Fermo Amministrativo e responsabilita’ extracontrattuale della P.A.

“La responsabilità extracontrattuale
della pubblica amministrazione non
consegue al mero dato obiettivo dell’illegittimità dell’azione amministrativa,
ma richiede anche l’accertamento in concreto della colpa della
P.A. intesa come apparato
“.

Lo ha stabilito la Corte Costituzionale,
citando l’orientamento delle sezioni unite della
Corte di cassazione (sentenza n. 500 del 1999 e nn. 20358
e 13164 del 2005).

Il Giudice di pace di Menfi aveva sollevato questione di legittimità costituzionale
di alcune norme sul fermo amministrativo, sia nella parte in cui non prevedono
l’indicazione dell’autorità giurisdizionale
dinanzi alla quale può promuoversi il giudizio di opposizione al fermo
di beni mobili registrati, sia nella parte in cui non prevedono, per tale fermo,
un termine di efficacia entro il quale il concessionario deve intraprendere
l’azione esecutiva a pena di decadenza dal diritto a procedere ad esecuzione
forzata;

Le questioni sono state sollevate in un giudizio civile in cui la proprietaria
di alcuni autoveicoli ha chiesto la condanna della società concessionaria
del servizio di riscossione dei tributi al risarcimento dei danni conseguenti
al fermo di detti autoveicoli, previo accertamento dell’illegittimità del
fermo stesso disposto dalla concessionaria.

Secondo la Consulta, le questioni sono prive di motivazione sulla rilevanza,
perché “il
giudice rimettente ha omesso di indicare le ragioni per le quali la dichiarazione
di incostituzionalità della norma censurata e la conseguente illegittimità del
fermo dovrebbero comportare l’automatica affermazione
della responsabilità della concessionaria”.

. . . . .

Corte Costituzionale

Ordinanza 7 aprile 2006 n. 149

(presidente Marini, estensore Gallo)

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 86 del d.P.R.
29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul
reddito), promosso con ordinanza del 27 agosto 2005 dal Giudice di pace di
Menfi, nel giudizio civile vertente tra la società cooperativa Autotrasporti
Adranone a r. l. e la s.p.a. Montepaschi SE.RI.T., iscritta al n. 560 del registro
ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48,
prima serie speciale, dell’anno 2005.

Visto l’atto di intervento del Presidente del consiglio dei ministri,

udito nella camera di consiglio del 22 marzo 2006 il Giudice relatore Franco
Gallo.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio civile, promosso nei confronti della
s. p. a. Montepaschi SE.RI.T., concessionaria del servizio di riscossione dei
tributi, dalla società cooperativa Autotrasporti Adranone a r. l., per
il risarcimento dei danni derivanti dal fermo di due autoveicoli di sua proprietà disposto
dalla convenuta, il Giudice di pace di Menfi, con ordinanza del 27 agosto 2005,
ha sollevato – in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione – questioni
di legittimità dell’art. 86 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni
sulla riscossione delle imposte sul reddito), quale modificato dall’art. 1,
comma 1, lettera q), del decreto legislativo 27 aprile 2001, n. 193 (Disposizioni
integrative e correttive dei decreti legislativi 26 febbraio 1999, n. 46, e
13 aprile 1999, n. 112, in materia di riordino della disciplina relativa alla
riscossione), «nella parte in cui non prevede l’Autorità Giurisdizionale
dinanzi alla quale sarebbe esperibile un eventuale giudizio di opposizione
e nella parte in cui non è previsto un termine, fissato a pena di decadenza,
entro il quale il concessionario deve intraprendere le azioni esecutive, decorso
il quale il fermo perde efficacia»;

che il giudice a quo premette: a) che la società concessionaria, a
séguito del mancato pagamento delle somme portate da quattro cartelle
esattoriali, notificate alla società attrice per l’omesso versamento
di tributi e contributi previdenziali, ha disposto il fermo dei predetti autoveicoli
ai sensi del censurato art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973 e del regolamento
adottato con il decreto ministeriale 7 settembre 1998, n. 503 (Regolamento
recante norme in materia di fermo amministrativo di veicoli a motore ed autoscafi,
ai sensi dell’art. 91-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, introdotto
con l’art. 5, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito,
con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30); b) che, in assenza
di atti di esecuzione, l’attrice ha successivamente pagato parte di dette somme,
restando debitrice di quelle relative all’omesso versamento dei contributi
previdenziali; c) che la stessa attrice ha chiesto la condanna della concessionaria
al risarcimento dei danni subiti per la indisponibilità degli autoveicoli
assoggettati a fermo, previo accertamento della illegittimità di tale
misura, perché disposta in mancanza del regolamento di attuazione di
cui al comma 4 del citato art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973, in materia di
recupero di contributi previdenziali, estranea all’àmbito di applicazione
dell’istituto, senza previa intimazione al debitore di pagare le somme iscritte
a ruolo entro il termine di venti giorni ed in violazione dell’art. 50 dello
stesso d.P.R. n. 602 del 1973; d) che la convenuta ha pregiudizialmente eccepito
sia l’improponibilità della domanda per la formazione di un giudicato
sul difetto di giurisdizione del giudice ordinario e, comunque, per difetto
di giurisdizione del giudice adíto, sia l’incompetenza per valore di
quest’ultimo; e) che, nel merito, la stessa convenuta ha concluso per la reiezione
della domanda;

che il rimettente, respinte tali eccezioni e ritenuto applicabile il fermo
anche alla riscossione coattiva delle entrate degli enti previdenziali, ha
affermato che, in assenza di un nuovo regolamento di attuazione successivo
alla riforma apportata all’istituto dal menzionato decreto legislativo n. 193
del 2001, «continua ad avere validità» il citato decreto
ministeriale n. 503 del 1998;

che, quanto alla rilevanza, lo stesso rimettente afferma che le sollevate
questioni incidono sulla definizione del giudizio principale, «(salvo
la prova del danno)», in quanto «l’applicazione dell’art. 86 nella
versione vigente, e del D.M. 503/98 dovrebbe condurre […] ad affermare
la legittimità del disposto fermo e, conseguentemente, a respingere
la domanda di risarcimento danni»;

che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo ritiene che
il censurato art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973, nella parte in cui omette
di indicare l’organo giurisdizionale competente a conoscere le controversie
sul fermo, lederebbe il diritto di difesa del cittadino sancito dall’evocato
art. 24 Cost., «con particolare riguardo all’aspetto teso a garantire
[…] l’effettività della tutela giurisdizionale»;

che inoltre, per lo stesso giudice a quo, l’omessa previsione, in tale articolo,
di un termine di efficacia del fermo violerebbe gli artt. 3 e 24 Cost., in
quanto: a) assoggetterebbe a tempo indefinito il cittadino alla azione esecutiva
del concessionario, compromettendo la «certezza del diritto»; b)
determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra i debitori
assoggettati alla esecuzione forzata ordinaria e quelli soggetti – come
nella specie – ad esecuzione esattoriale, in quanto, ancorché il
fermo produca «gli stessi effetti sostanziali del pignoramento»,
i termini perentori stabiliti dagli artt. 481 e 497 del codice di procedura
civile per la cessazione di efficacia del precetto e del pignoramento sono
previsti solo per il procedimento di esecuzione forzata ordinaria e non anche
per quello di esecuzione esattoriale; c) non sarebbe coerente, sul piano logico
e sistematico, con le attività dell’amministrazione finanziaria e del
concessionario anteriori all’emanazione del fermo, che sono, invece, scandite
da termini precisi;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per
l’inammissibilità o per la manifesta infondatezza delle questioni sollevate,
perché le controversie relative all’applicazione del fermo di beni mobili
registrati sarebbero devolute alla giurisdizione del giudice ordinario.

Considerato che il Giudice di pace di Menfi dubita, in riferimento agli artt.
3 e 24 della Costituzione, della legittimità dell’art. 86 del d.P.R.
29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul
reddito), come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera q), del decreto legislativo
27 aprile 2001, n. 193 (Disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi
26 febbraio 1999, n. 46, e 13 aprile 1999, n. 112, in materia di riordino della
disciplina relativa alla riscossione), sia nella parte in cui non indica l’autorità giurisdizionale
dinanzi alla quale può promuoversi il giudizio di opposizione al fermo
di beni mobili registrati, sia nella parte in cui non prevede, per tale fermo,
un termine di efficacia entro il quale il concessionario deve intraprendere
l’azione esecutiva a pena di decadenza dal diritto a procedere ad esecuzione
forzata;

che le questioni sono sollevate in un giudizio civile, in cui la proprietaria
di alcuni autoveicoli chiede la condanna della società concessionaria
del servizio di riscossione dei tributi al risarcimento dei danni conseguenti
al fermo di detti autoveicoli, previo accertamento dell’illegittimità del
fermo stesso disposto dalla concessionaria;

che, con la prima questione, il giudice a quo deduce la violazione dell’art.
24 Cost., perché l’omessa indicazione dell’«autorità giurisdizionale
dinanzi alla quale sarebbe esperibile un eventuale giudizio di opposizione
alla misura del fermo» lederebbe il diritto di difesa, «con particolare
riguardo all’aspetto teso a garantire al privato cittadino l’effettività della
tutela giurisdizionale»;

che, con la seconda questione, il rimettente deduce la violazione degli artt.
3 e 24 Cost., perché l’omessa previsione di un termine di efficacia
del fermo: a) assoggetterebbe a tempo indefinito il cittadino alla azione esecutiva
del concessionario, compromettendo la «certezza del diritto»; b)
determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra i debitori
assoggettati alla esecuzione forzata ordinaria e quelli soggetti – come
nella specie – ad esecuzione esattoriale, in quanto, ancorché il
fermo produca «gli stessi effetti sostanziali del pignoramento»,
i termini perentori stabiliti dagli artt. 481 e 497 del codice di procedura
civile per la cessazione di efficacia del precetto e del pignoramento sono
previsti solo per il procedimento di esecuzione forzata ordinaria e non anche
per quello di esecuzione esattoriale; c) non sarebbe coerente, sul piano logico
e sistematico, con le attività dell’amministrazione finanziaria e del
concessionario anteriori all’emanazione del fermo, che sono, invece, scandite
da termini precisi;

che il rimettente osserva che «l’applicazione dell’art. 86 nella versione
vigente e del D.M. 503/98 dovrebbe condurre […] ad affermare la legittimità del
disposto fermo e, conseguentemente, a respingere la domanda di risarcimento
danni» e, pertanto, ritiene le sollevate questioni rilevanti per la definizione
del giudizio, «(salvo la prova del danno)»;

che le questioni sono manifestamente inammissibili, per diversi e concorrenti
motivi;

che, in primo luogo, esse sono prive di motivazione sulla rilevanza, perché il
giudice rimettente ha omesso di indicare le ragioni per le quali la dichiarazione
di incostituzionalità della norma censurata e la conseguente illegittimità del
fermo dovrebbero comportare, da parte dello stesso giudice, l’automatica affermazione
della responsabilità della concessionaria; e ciò senza che esso
abbia proceduto al previo accertamento della sussistenza dell’elemento soggettivo
dell’illecito aquiliano;

che tale accertamento è, invece, richiesto dal diritto vivente in
tema di responsabilità extracontrattuale della pubblica amministrazione,
secondo cui l’imputazione di tale responsabilità non consegue al mero
dato obiettivo dell’illegittimità dell’azione amministrativa, ma richiede
anche l’accertamento in concreto «della colpa […] della P.A. intesa
come apparato» (sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione
n. 500 del 1999; v. inoltre, ex plurimis, le successive sentenze della stessa
Corte, numeri 20358 e 13164 del 2005);

che, in ogni caso, la richiamata espressione parentetica «salvo la
prova del danno» non consente, a causa della sua genericità ed
equivocità, di stabilire con certezza se tale accertamento sia stato
effettuato;

che, pertanto, le indicate lacune motivazionali dell’ordinanza di rimessione
impediscono il controllo di questa Corte circa l’applicabilità, nel
giudizio a quo, della norma denunciata;

che, inoltre, la questione concernente l’omessa indicazione, nella norma
censurata, del giudice competente sull’opposizione al fermo, sollevata in riferimento
all’art. 24 Cost., è manifestamente inammissibile perché priva
di motivazione sulla non manifesta infondatezza;

che, infatti, il giudice a quo non chiarisce le ragioni per cui l’obbligo
per il legislatore di indicare il giudice competente sull’impugnazione del
fermo sarebbe riconducibile all’art. 24 Cost., né precisa quali siano
le difficoltà che tale omessa indicazione frapporrebbe all’esercizio
del diritto alla tutela giurisdizionale;

che la questione concernente l’omessa previsione di un termine di efficacia
del fermo, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., è altresí manifestamente
inammissibile, perché, come risulta dall’ordinanza di rimessione, l’attrice
nel giudizio principale non ha addotto, tra i motivi di illegittimità del
fermo produttivi di danno, quello dell’indefinito protrarsi del fermo stesso
causato dalla mancanza di un termine di efficacia; con la conseguenza che l’invocata
dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma oggetto di
censura non avrebbe alcuna incidenza nel giudizio a quo, essendo essa pronunciata
con riferimento ad una circostanza – appunto, la mancanza di un termine
di efficacia del fermo – estranea al thema decidendum del giudizio stesso.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9,
comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

P.Q.M.

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 86 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione
delle imposte sul reddito), come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera q),
del decreto legislativo 27 aprile 2001, n. 193 (Disposizioni integrative e
correttive dei decreti legislativi 26 febbraio 1999, n. 46, e 13 aprile 1999,
n. 112, in materia di riordino della disciplina relativa alla riscossione),
sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice
di pace di Menfi con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 3 aprile 2006. Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2006.

Redazione

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