Il Parere del C.S.M.

Consiglio Superiore della Magistratura

Deliberazione dell’11 gennaio
2006

Oggetto: schema di decreto legislativo recante "Nuova disciplina dell’accesso
in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni
dei magistrati, a norma dell’art. 1, co. 1, lett. A), della legge 25 luglio
2005, n. 150".

1. Premessa: questioni di legittimità costituzionale, rinvio.

Lo schema di decreto legislativo riproduce, salvo lievi modifiche integrative,
il testo della legge delega sul quale il Consiglio superiore ha già espresso
le sue valutazioni, anche con specifico riguardo all’accesso, alla progressione
economica e al sistema dei concorsi per la progressione in carriera dei magistrati
in occasione dei pareri, approvati in data 14 marzo 2002, 22 maggio 2003 e
15 luglio 2004. Per economia espositiva è sufficiente, pertanto, richiamare
tali pareri, sottolineando soltanto che lo schema di decreto legislativo non
consente di superare i dubbi di legittimità costituzionale e la contrarietà nel
merito di alcune scelte compiute.

Restano quindi fermi i rilievi relativi alla contrarietà della disciplina
agli articoli 97, 102, 104, 105, 106, 107, 97, 110 e 111 cost., in relazione
ai seguenti profili:

a) la previsione di test psico-attitudinali, rimettendo la possibilità di
accesso in magistratura a valutazioni tecniche incontrollabili frustra la garanzia
di oggettività e imparzialità della selezione per pubblico concorso
affidato alla responsabilità di un organo di governo autonomo;

b) la previsione di una forma di concorso di secondo grado, che, innalzando
l’età necessaria per l’accesso, rischia di introdurre una
selezione per censo e quindi si pone in contrasto con la ratio della previsione
costituzionale del pubblico concorso, che tende a far coincidere la composizione
socio-culturale della magistratura con quella della società civile;

c) il Consiglio superiore viene sostanzialmente espropriato della competenza
costituzionale in materia di assegnazioni e promozioni in favore delle Commissioni
di concorso, specialmente riguardo ai giudizi negativi dalle stesse formulati
(come evidenziato anche nel messaggio del Presidente della Repubblica, con
il quale è stata sollecitata una nuova valutazione del Parlamento) e
alla previsione di concorsi per titoli che implicano valutazioni dell’attività professionale
svolta, anche in rapporto agli esiti dei provvedimenti nei gradi successivi
di giudizio;

d) la Costituzione prevede un solo concorso per l’accesso e vieta la
distinzione dei magistrati per funzioni, nel senso che nell’ambito di
tale distinzione non è consentita alcuna classificazione gerarchica;

e) l’attuazione pratica del sistema dei concorsi sarà estremamente
difficile e allungherà i tempi di copertura degli uffici vacanti;

f) la Cassazione non è solo il vertice del sistema dei mezzi di impugnazione,
come previsto in Costituzione, ma svolge un ruolo preponderante nella formazione
delle commissioni e nell’attribuzione degli uffici direttivi di primo
grado, cioè un ruolo che se non è di governo della magistratura
in senso stretto è certamente un ruolo di forte orientamento culturale
e, quindi, ideale;

g) il potere d’impugnazione delle nomine dei direttivi da parte del
Ministro eccede le competenze ministeriali previste dall’art. 110 cost..

Sul piano della legittimità costituzionale, come sarà più ampiamente
evidenziato in prosieguo, debbono farsi anche specifici rilievi con riferimento
al testo dello schema di decreto legislativo che appare in più punti
viziato da eccessi di delega.

Quanto al merito, nel presente parere, per evidenti ragioni di economia espositiva,
si cercherà di limitare i rilievi alle disposizioni dello schema di
decreto legislativo che presentano profili di novità rispetto al testo
della legge delega.

2. Ammissione in magistratura.

Il Capo I dello schema di decreto legislativo disciplina il concorso in magistratura
ed in particolare i requisiti per l’ammissione al concorso, la fase iniziale
della presentazione della domanda, la composizione e le funzioni della Commissione
di concorso, lo svolgimento delle prove, le modalità di svolgimento
dei lavori della Commissione; quindi, il capo termina con la nomina degli uditori
e, mediante rinvio al decreto legislativo sulla Scuola superiore della magistratura,
la destinazione degli uditori al tirocinio.

La tecnica legislativa adottata è quella della riscrittura della normativa
di ordinamento giudiziario in materia di requisiti di accesso e di modalità di
svolgimento del concorso, con contestuale abrogazione degli artt. 121 e 123
e seguenti del R.D. 30.1.41 n. 12. Tale operazione non è consentita
dalla legge delega, la quale (art. 1, c. 3) prevede che le norme delegate debbano
integrarsi con la disciplina preesistente e che le norme di coordinamento siano
adottate con separato decreto legislativo per sanare eventuali incompatibilità delle
disposizioni della normativa risultante. Analogo effetto avrebbe potuto essere
perseguito ove fossero state preservate quelle parti del testo degli artt.
121 e segg. del R.D. 12/41 non interessate dalle disposizioni delegate, procedendo
in unico contesto ad eventuale coordinamento.

Richiamate le obiezioni di contenuto costituzionale sopra riassunte, sul
disegno in esame può osservarsi quanto segue.

a) Scelta delle funzioni.

L’art. 1 del decreto delegato prevede che il candidato deve indicare
nella domanda di partecipazione al concorso, a pena d’inammissibilità,
se intende accedere ai posti della magistratura giudicante o requirente. Tale
scelta è operata quindi sulla base delle semplici aspirazioni e prescindendo
da ogni vaglio attitudinale. Il concorso resta, infatti, unico, prescindendo
dall’opzione manifestata dal candidato e la scelta inizialmente effettuata
influisce solo su due, più rilevanti, aspetti: il colloquio di idoneità psico-attitudinale
all’esercizio della professione di magistrato e l’attribuzione
della sede di prima destinazione.

Inoltre, va rimarcato che la scelta anticipata al momento della domanda di
ammissione, da ritenersi non revocabile, salvo vanificarne in radice l’utilità, è espressa
in un momento in cui il potenziale uditore è un semplice candidato,
generalmente privo di esperienze specifiche e, quindi, viene effettuata senza
una maturazione personale delle proprie reali capacità o inclinazioni
verso un settore o l’altro della magistratura; insomma, si tratta di
una scelta non sufficientemente consapevole, che può determinare distorsioni
iniziali, mentre una scelta, maturata all’esito del tirocinio, assumerebbe
evidentemente maggiori caratteri di consapevolezza ed autenticità.

b) Il colloquio psico-attitudinale.

Il precedente parere Consiglio sul disegno di legge delega di modifica dell’ordinamento
giudiziario ha in proposito evidenziato le difficoltà riconnesse all’introduzione
di questo colloquio con riferimento all’individuazione dei parametri
in base ai quali effettuare la valutazione, dell’autorità istituzionale
o scientifica che li dovrebbe indicare, dei soggetti cui affidare la somministrazione
e l’interpretazione tecnica dei risultati dei test e dell’organo
che dovrebbe formulare il giudizio finale di ammissione agli orali. Il decreto
delegato risponde solo in parte a questi quesiti, il che non consente di affidare
proprio al colloquio la possibilità di effettiva valutazione dei candidati
in relazione all’idoneità alla diversa funzione giudicante e requirente.

Lo schema di decreto legislativo, nel tentativo di conferire oggettività ai
criteri di valutazione, prevede che il colloquio stesso sia condotto secondo
modelli di valutazione approvati con decreto del ministro della giustizia di
concerto con il Ministro della salute, da emanarsi entro sessanta giorni dalla
data di pubblicazione del decreto delegato sulla Gazzetta ufficiale.

In proposito possono essere formulati due rilievi. Sul piano strettamente
giuridico, deve rilevarsi che tale rinvio (che investe peraltro aspetti di
particolare rilievo concorsuale) ad una fonte normativa secondaria, quali sono
i decreti ministeriali, non solo non è previsto dalla legge delega,
ma investe un requisito essenziale della normativa di ordinamento giudiziario,
che è quella della riserva assoluta di legge in materia. Non può,
inoltre, non rilevarsi che la materia, essendo inerente una delle attribuzioni
costituzionali del C.S.M. (le "assunzioni" in magistratura ex art.
105) avrebbe raccomandato che il concerto fosse attuato anche nei confronti
dell’organo di autogoverno.

Sul piano più strettamente funzionale, né la norma in esame
né la relativa relazione precisano se detti modelli ministeriali debbano
essere determinati volta per volta, in relazione ai singoli concorsi, o se
debbano essere fissati una tantum, secondo una standardizzazione concorsuale
tipica da adottare in via generale ed astratta. Al riguardo non sembra che
le esigenze della regolamentazione normativa vadano incontro alle esigenze
della tecnica valutativa.

Lo stesso c. 7 dell’art. 1 prevede che i candidati sostengano il colloquio "nell’ambito
delle prove orali di cui al comma 4", ovvero al momento stesso in cui
la commissione esamina il candidato nelle materie giuridiche. Non è previsto,
tuttavia, se la valutazione attitudinale sia frutto di un giudizio autonomo,
disgiunto dall’esito della prova orale, o se debba integrarsi in esso,
in modo da contribuire alla formulazione del giudizio di idoneità complessivo.
In altre parole, non è specificato che tipo di rilevanza può avere
l’esito del colloquio e comunque quale sia il grado di incidenza sulla
procedura concorsuale; in particolare, se possa essere formulato un giudizio
di inidoneità tale da escludere totalmente (e definitivamente) l’esercizio
della funzione giurisdizionale oppure tale da precludere solo la funzione giudicante
o requirente, o se vi sia la possibilità di adottare un giudizio a termine
di inidoneità oppure, infine, se il giudizio è valevole per quel
solo concorso. Dovrebbe ipotizzarsi che la scelta al momento della domanda
abbia il senso di limitare pure questo tipo di giudizio, ma la lettera della
norma non autorizza conclusioni certe sul punto, laddove recita "…i
candidati sostengono un colloquio di idoneità psico-attitudinale all’esercizio
della professione di magistrato, anche in relazione alle specifiche funzioni
indicate nella domanda di ammissione"; formula che non sembra voler dire
esclusivamente in relazione alla funzione prescelta.

Ancora, è possibile ipotizzare che vi sia anche un giudizio psico-attitudinale
non necessariamente netto nella sua affermazione, che non sancisca cioè l’inidoneità del
candidato, ma ne evidenzi alcuni aspetti di criticità; ciò non
sembra potere determinare un effetto decisivo sulla procedura concorsuale,
escludendo il candidato medesimo.

In ogni caso, le problematiche evidenziate rendono anche difficile determinare
che tipo di giustiziabilità abbia questa decisione all’esito del
colloquio ed in particolare quali siano gli eventuali rimedi esperibili contro
le valutazioni negative.

Il colloquio è affidato ad un docente con particolare qualifica, come
indicato all’art. 5, comma 1° del decreto delegato; questo finisce
per riversare su un solo componente della commissione una parte del giudizio
sul candidato, dal momento che la valutazione del colloquio rientrerà in
quella globale dell’aspirante, dovendo intendersi che il test, svolto
nell’ambito delle prove orali, come prevede il decreto delegato, è effettuato
alla presenza di tutta la commissione, che espleta tale incombente e lo può,
quindi, apprezzare.

Tuttavia, la peculiarità del giudizio relativo al colloquio rende
difficile per gli altri componenti della commissione, non competenti in scienze
e tecniche psicologiche, operare una valutazione in reale contraddittorio con
chi quelle competenze scientifiche possiede, finendo per attribuire a quest’ultimo
un potere che diventa naturalmente preponderante con riguardo a questo aspetto.

Dal punto di vista più strettamente organizzativo non può non
rilevarsi che l’affidamento ad un solo componente della Commissione non
intercambiabile con altri del peso esclusivo del colloquio psico-attitudinale
potrebbe determinare rallentamenti della procedura concorsuale, collegati anche
solo ad impedimenti momentanei o contingenti.

Infine, sembrerebbe opportuno che i dati scaturenti dall’effettuazione
del colloquio siano coordinati con la normativa della protezione dei dati personali,
di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196 (codice sulla riservatezza
dei dati personali), potendo i test in questione essere riconducibili ai trattamenti
che presentano rischi specifici per i diritti e le libertà fondamentali
nonché per la dignità dell’interessato.

c) Il concorso come "concorso di secondo grado".

La disciplina dell’accesso in magistratura si connota altresì per
la previsione, all’art. 2 comma 1°, di particolari requisiti tecnici
per l’ammissione al concorso; si conferma una tendenza volta a non consentire
l’espletamento del concorso in magistratura al semplice laureato in giurisprudenza,
come già previsto attraverso l’introduzione con la l. n. 48/2001
di una prova preselettiva informatica o del possesso del diploma della scuola
di specializzazione per le professioni legali.

Alla base di questa tendenza vi è l’esigenza di assicurare da
un lato una maggiore qualificazione dei partecipanti, dall’altro di ridurre
il numero dei concorrenti e di conseguenza i tempi di espletamento delle procedure
concorsuali.

Il sistema che ne scaturisce è una sorta di ibrido concorso di secondo
grado, per il quale occorrono solo in alcuni casi titoli realmente professionali
e si riscontrano disomogeneità che non si correlano ai motivi che muovono
l’introduzione dei requisiti: l’accrescimento della qualificazione
tecnica dei candidati e di conseguenza il loro restringimento; effetti, che
come si è visto non sembrano potersi realmente determinare. Al riguardo
lo schema di decreto non apporta alcun contributo razionalizzante, limitandosi
a riportare pressoché letteralmente le tipologie di requisiti professionali
formulate dalla legge (art. 2), senza, ad esempio, precisare se possano essere
esclusi dal concorso coloro che, nelle categorie di appartenenza, abbiano riportato
sanzioni disciplinari.

Un ultimo rilievo riguarda l’art. 2, c. 2, lett. d), che tra le condizioni
per l’ammissione al concorso indica il possesso degli altri requisiti
richiesti dalle leggi vigenti; una maggiore specificità della norma
sarebbe senz’altro auspicabile per evitare di favorire un contenzioso
amministrativo.

d) Lo svolgimento delle prove.

Sulle questioni inerenti allo svolgimento delle prove ed alla commissione
di concorso già nei precedenti pareri sono stati evidenziati alcuni
aspetti positivi della legge di modifica dell’ordinamento giudiziario
riversati nel decreto delegato, come, ad es., la previsione di una data fissa
di espletamento del concorso, il ritorno alle tre prove scritte obbligatorie,
l’inserimento tra le prove orali, quale materia a se stante, del diritto
commerciale e industriale, il contingentamento dei tempi della procedura concorsuale.

Un altro rilievo può essere fatto in ordine all’ipotesi in cui
la prova scritta abbia luogo contemporaneamente in Roma ed altre sedi, assicurando
il collegamento a distanza della commissione esaminatrice con le diverse sedi;
la valutazione di tale possibilità è operata in relazione al
numero dei posti messi a concorso, quando invece essa appare chiaramente condizionata
piuttosto dal numero dei partecipanti alle prove, quindi, dal numero delle
domande presentate, pur non potendosi disconoscere che vi è una logica
corrispondenza di progressione numerica tra posti messi a concorso e candidati.

In ogni caso la possibilità di una prova scritta da espletarsi in
più sedi potrebbe essere sicuramente meglio agganciata anche al numero
dei candidati.

Riguardo alla composizione della commissione di concorso vi è la previsione
che i magistrati che ne fanno parte (oltre al presidente che deve avere le
funzioni direttive giudicanti di legittimità ovvero le funzioni direttive
giudicanti di secondo grado ed al vice presidente che deve esercitare le funzioni
di legittimità) devono avere almeno cinque anni di esercizio delle funzioni
di secondo grado.

Si tratta di una previsione che elimina in modo drastico qualsiasi apporto
proveniente dai magistrati di primo grado, che pure sono in contatto con la
totalità delle questioni che investono la giurisdizione diversamente
dai giudici di secondo grado; la norma poi non tiene conto del fatto che la
funzione magistratuale non si caratterizza per essere maggiormente qualificata
perché esercitata in secondo grado o in sede di legittimità,
ma per la sua diffusività, che investe proprio il giudice di primo grado,
colui che è in diretto rapporto con le istanze di giustizia dei cittadini.

E’, peraltro, una previsione in linea con l’impianto di una la
legge di modifica dell’ordinamento giudiziario che assume, invece, che
l’ascesa verso funzioni di secondo grado implichi una pari ascesa in
termini di autorevolezza e professionalità.

3. Le funzioni dei magistrati.

La lettera e), la lettera h), nn. da 1) a 16), e la lettera i), nn. da 1)
a 5), del comma 1 dell’art. 2 della legge delega trovano fedele attuazione
nel capo II dello schema, composto dagli articoli 10 ed 11. In essi sono elencate
le funzioni di merito e di legittimità che i magistrati possono espletare
ed è contenuta la distinzione tra funzioni giudicanti e requirenti.

4. La progressione in carriera.

La lett. f), nn. da 1) a 4), dell’art. art. 2, comma 1, della delega
trova attuazione nel capo III, rubricato "Della progressione nelle funzioni" e
composto dal solo art. 12 che è una delle norme chiave dell’intera
legge di modifica dell’ordinamento giudiziario, nel senso che ne riassume
più di altre maggiormente lo spirito. La carriera, per effetto di tale
norma, potrà svolgersi attraverso i concorsi o senza di essi. I magistrati
che non sostengono i concorsi e quelli che li abbiano affrontati con esito
negativo sono soggetti soltanto ad una obbligatoria verifica di professionalità al
fine di conseguire la progressione economica, mentre è indispensabile
sostenere i concorsi per accedere alle funzioni di appello e di legittimità,
oltre che ai ruoli direttivi e semidirettivi. I concorsi diventano lo strumento
centrale della progressione nelle funzioni e nella carriera, annullando il
lungo percorso normativo che aveva condotto all’attuazione del comma
terzo dell’art. 107 della Cost., concretatosi con la l. 20 dicembre 1973,
n. 831 che estendeva il sistema della nomina a ruoli aperti al conferimento
delle funzioni di cassazione ed alle funzioni direttive superiori; con la legge
24 maggio 1951, n. 392, che aveva abolito i gradi interni all’organizzazione
giudiziaria; con la legge 4 gennaio 1963, n. 1, che aveva cancellato il concorso
per titoli; con la legge 25 luglio 1966, n. 570, che aveva ristrutturato il
sistema della promozione in appello, abolendo le promozioni a seguito di scrutinio
ed il concorso per esami; con la legge 25 maggio 1970, n. 357, che aveva abolito
l’esame ad aggiunto giudiziario.

Se questo è l’effetto della legge di modifica dell’ordinamento
giudiziario, è evidente la sua non condivisibilità sul punto,
proprio perché sarebbe più opportuno che il legislatore individui
meccanismi normativi finalizzati a spingere i magistrati più preparati
e motivati a continuare ad esercitare le funzioni di primo grado, prendendo
atto della delicatezza e del ruolo nevralgico di queste ultime nell’ambito
della giurisdizione in un sistema processuale, sia civile che penale, caratterizzato
da una sempre maggiore esecutività delle decisioni di prime cure.

Nello specifico delle previsioni normative, occorre rilevare che la norma,
contenuta nei commi 4 e 5 dell’art. 12 del decreto in esame e riproduttiva
della direttiva della legge delega, consentendo l’accesso alle funzioni
di legittimità, mediante concorso per titoli, ai magistrati che abbiano
effettivamente svolto per tre anni funzioni di secondo grado qualsiasi sia
la loro anzianità di ruolo, non tiene conto dei differenti livelli di
anzianità necessari nei diversi distretti per ottenere il conferimento
di un posto di appello.

5. La mobilità dei magistrati.

Sicuramente la legge di modifica dell’ordinamento giudiziario non contribuisce
a risolvere i problemi della mobilità interna ed anzi li aggrava notevolmente.
Il C.S.M. ha cercato di porre rimedio a tali problemi semplificando il più possibile
le procedure concorsuali, rendendo più frequenti i bandi di concorso.

In costanza di tale situazione, le nuove norme, piuttosto che dare una risposta
funzionale al miglioramento della stessa, aggravano definitivamente le patologie
palesate dal sistema della mobilità, il che già era stato invano
segnalato dal CSM nel parere del 15 luglio 2004, allorquando si era evidenziato "il
rischio concreto … di realizzare un sistema assolutamente ingestibile,
del tutto inidoneo a garantire una tempestiva copertura dei vuoti di organico" e
che "tutti i tempi dei concorsi risultano dilatati, rispetto alle vigenti
procedure, dal macchinoso sistema di "quote" previsto dal nuovo sistema
concorsuale, che impone un necessario sdoppiamento delle fasi per l’assegnazione
dei posti a concorso, in specie per i trasferimenti "orizzontali",
non sempre funzionale (come ad esempio per i posti nelle funzioni di secondo
grado) a concrete aspirazioni di canditati, e comporterà difficoltà di
gestione da parte dell’organo di autogoverno". Né è condivisibile
che la legge di modifica dell’ordinamento giudiziario, sul punto, non
sia stata preceduta da una accurata analisi sui possibili flussi di mobilità,
sicché è altamente probabile che i tramutamenti del futuro possano
risentire di tempi oggettivamente lunghissimi, e comunque più lunghi
di quelli attuali, con evidenti ricadute sulla funzionalità degli uffici
interessati dagli spostamenti dei magistrati.

In particolare, stando ai tramutamenti c.d. orizzontali in primo grado, l’art.
17 recepisce la lett. l), n. 1) dell’at. 2, comma 1, della delega con
riguardo ai posti vacanti nella funzione giudicante, mentre il n. 2) della
lett. l) è recepito dal successivo articolo 18. Tale meccanismo, caratterizzato
da automatismo, non tiene conto delle diverse situazioni che nel corso degli
anni hanno interessato la copertura del ruolo organico della magistratura soprattutto
nei posti di primo grado e che hanno richiesto interventi e strumenti flessibili
e diversi da parte del Consiglio.

I problemi sopra rappresentati, invece, valgono per la c.d. assegnazione
delle funzioni di secondo grado, su cui si soffermano gli articoli 20, 21 e
22 dell’articolato, fedelmente attuativi della lett. l), nn. 3) e 4),
dell’art. 2, comma 1, della legge delega, nonché per quella nelle
funzioni di legittimità, contemplati dagli articoli 23, 24 e 25 dell’articolato,
anch’essi correttamente attuativi della lett. l), n. 7) e 9), dell’art.
2, comma 1, della legge delega medesima.

6. Il divieto di permanenza ultradecennale nelle medesime funzioni.

E’ previsto dall’art. 19 dell’articolato attraverso il
quale trova attuazione la lettera r) dell’art. 2 comma 1). Il Consiglio
ha, comunque, introdotto già da molti anni con normativa secondaria
previsioni simili a quelle in esame: con circolare P – 25138 del 21 dicembre
2003, al par. 46 ha regolamentato, infatti, la permanenza ultradecennale nel
medesimo posto, stabilendo che questa fosse del tutto eccezionale e limitata
ai casi in cui "il trasferimento ad altro posto del medesimo ufficio provochi
rilevanti disservizi, da illustrarsi specificamente nella proposta". Tale
eccezione, tuttavia, non si applica alla permanenza ultradecennale nelle sezioni
fallimentari, in quelle che si occupano della materia societaria, nelle sezioni
del riesame nell’ambito dei tribunali aventi sede nel capoluogo del distretto
o della sezione distaccata di corte di appello nonché nelle sezioni
distaccate.

7. Il passaggio di funzioni.

Quanto, infine, al passaggio di funzioni, il capo IV dello schema, composto
dagli articoli da 13 a 16, correttamente attua la lett. g) dell’art.
2, comma 1, della delega. La descritta opzione legislativa non soddisfa il
Consiglio superiore, il quale deve riportarsi integralmente a quanto già espresso
nel parere del 22 maggio 2003. È del tutto evidente che è stato
introdotto un regime di sostanziale separazione delle funzioni, essendo il
cambio delle stesse permesso una sola volta, all’inizio della carriera
e previo superamento, del tutto eventuale, di un concorso. Il C.S.M. ha limitato
(vedasi circolare P – 5157 del 14 marzo 2003) fortemente il diritto al passaggio
e cura che quest’ultimo in ogni caso avvenga con l’ausilio di adeguati
corsi di riconversione.

Opportunamente, tuttavia, è stata prevista una normativa transitoria
che, nella prima fase attuativa della legge di modifica dell’ordinamento
giudiziario, consentirà ai magistrati in servizio, pur senza la frequentazione
presso la scuola superiore della magistratura dei corsi di formazione, di presentare,
entro tre mesi dalla data di acquisto di efficacia del primo dei decreti legislativi
emanati nell’esercizio della legge delega, domanda per il passaggio,
nello stesso grado, dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa,
per quanto essa lasci a desiderare nella parte in cui non attribuisce un diritto
assoluto al passaggio stesso, consentendolo nei limiti dei posti disponibili
nell’arco di un quinquennio.

8. Concorsi e commissioni per il passaggio di funzioni e per l’assegnazione
delle funzioni di secondo grado e di legittimità.

a) Concorsi per titoli.

L’art. 26, primo comma, prevede che la valutazione dei titoli deve "porre
in evidenza la professionalità del magistrato". La formula è nuova
perché la legge delega (art. 2, comma l n. 11), in verità con
maggiore chiarezza, dispone che "nella individuazione e valutazione dei
titoli. . .sulla base di criteri oggettivi e predeterminati, si tenga conto
prevalentemente, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, dell’attività prestata
dal magistrato nell’ambito delle sue funzioni giudiziarie…".
Nell’interpretazione della generica nozione di "professionalità" dovrà quindi
farsi riferimento al testo della legge delega.

Inoltre, la disposizione non prevede che nella individuazione e valutazione
dei titoli si debbano rispettare criteri obbiettivi e predeterminati, come
previsto dalla legge delega, con ciò attribuendo una incontrollabile
discrezionalità alle Commissioni di concorso e, quindi, aggravando il
vulnus delle competenze del Consiglio superiore, costituzionalmente garantite.

Al secondo comma vengono indicati i titoli dei quali deve tenersi conto per
valutare l’attività prestata dal magistrato nell’ambito
delle sue funzioni giudiziarie, ovvero: il numero dei provvedimenti emessi,
la rilevanza e complessità delle fattispecie esaminate e le questioni
giuridiche trattate (effettuato con sorteggio), l’autorelazione (facoltativa)
e gli esiti dei provvedimenti nonché le statistiche comparate nella
sede ed a livello nazionale; vengono indicati altresì i titoli dei quali
deve tenersi conto per valutare il livello di preparazione scientifica, ovvero:
le pubblicazioni di studi e le ricerche, i titoli di studio e i titoli attestanti
qualificanti esperienze tecnico professionali.

Richiamato quanto alla valutazione degli esiti dei provvedimenti, quanto
già osservato nei precedenti pareri (violazione dell’art. 101
Cost., spinta al conformismo giurisprudenziale e, quindi, freno all’evoluzione
della giurisprudenza), deve rilevarsi che mentre la legge delega considera
rilevanti le statistiche relative al lavoro svolto dai magistrati "tenuto
conto della sede e dell’ufficio…con loro proiezione comparativa
rispetto a quelle delle medie nazionali e dei magistrati in servizio nello
stesso ufficio" lo schema di decreto prende in considerazione solo la
peculiarità della sede e omette di considerare la peculiarità dell’ufficio,
nonché fa riferimento semplicemente a medie di produttività nazionale,
trascurando di prevedere la necessità delle "proiezioni" e
cioè della parametrazione dei dati.

Mentre la legge delega nulla prevedeva in proposito, il secondo comma dell’art.
26 dispone che "la professionalità del magistrato è altresì desunta
dalle pubblicazioni di studi e ricerche scientificamente apprezzabili su argomenti
di carattere giuridico, nonché da titoli di studio o da ulteriori titoli
attestanti qualificanti esperienze tecnico-professionali". La legge delega,
cioè, considerava rilevanti soltanto i titoli giudiziari, mentre il
decreto delegato attribuisce rilievo ai titoli extragiudiziari. Inoltre tale
rilevanza è riconosciuta come avente livello pari a quella attribuita
ai titoli giudiziari ("altresì") e utilizza concetti generici
e indeterminati, quali quello di "apprezzabilità della pubblicazione" che
aumenta a dismisura i poteri discrezionali delle commissioni in un ambito non
previsto, si ripete, dalla legge delega.

Non è stata inserita alcuna indicazione, anche in considerazione della
mancata enunciazione dei criteri oggettivi e predeterminati da adottare ai
fini della valutazione, circa l’incidenza differenziata nell’ambito
del 50% della valutazione per titoli, così che è rimessa alla
valutazione discrezionale delle commissioni l’attribuzione della prevalenza "all’attività prestata
dal magistrato nell’ambito delle sue funzioni giudiziarie, alle statistiche
comparate nella sede ed a livello nazionale o alle pubblicazioni di studi e
ricerche o dai titoli di studio e titoli attestanti qualificanti esperienze
tecnico professionali", ove l’enfatica enunciazione di "valutazione
che tenga conto della professionalità" viene privata di concretezza
in mancanza di criteri oggettivi che riservino maggiore incidenza a tali titoli.

Il comma quinto rinvia, come nella legge delega, all’art. 76 bis e
quindi "alle specifiche attitudini ed esperienze nella trattazione di
procedimenti relativi alla criminalità organizzata" quanto alla
nomina del Sostituto Procuratore antimafia, anche in questo caso la mancata
indicazione dell’incidenza dei criteri "oggettivi e predeterminati" rischia
di non dare il necessario spazio a tali attitudini o di lasciare il giudizio
in ordine alla rilevanza delle stesse nella incontrollata discrezionalità delle
Commissioni.

b) Concorsi per titoli ed esami.

Mentre la legge delega (art.2, lettera f n. 5) prevede che l’esame
scritto consista nella risoluzione di casi pratici che implichi, alternativamente
o congiuntamente, la risoluzione di rilevanti questioni probatorie, istruttorie
e cautelari, il sesto comma dell’art. 26 dello schema di decreto legislativo,
da un lato, prende in considerazione questioni genericamente processuali (dalle
quali, esulano le questioni cautelari) e dall’altra considera tali questioni
come congiunte (e non alternative) ad altre questioni sostanziali implicate
dal caso pratico.

Lo schema di decreto legislativo non chiarisce se il caso pratico debba riguardare
l’esperienza professionale del candidato, né se sia possibile
scegliere, eventualmente con sorteggio, tra diverse tracce. La previsione generica
delle funzioni, riferendosi in generale alle funzioni giudicanti e requirenti
di secondo grado o di legittimità o direttive e semidirettive, non sembra
tenere in nessun conto – quanto al settore giudicante – la distinzione
tra le funzioni penali e le funzioni civili, né le specializzazioni
di alcuni settori civili. Ciò rischia di determinare la necessità di
una preparazione generica in contrasto con la necessità di affinare
professionalità specifiche relative a branche del diritto sempre più specializzate.

Particolarmente evidente è l’effetto negativo della mancata
previsione di una disciplina ad hoc per le funzioni per le quali la legge prevede
una specializzazione, come gli uffici minorili, di sorveglianza e del lavoro.

c) L’esito negativo dei concorsi.

La disciplina prevista nel caso di mancato superamento dei concorsi per le
funzioni di secondo grado o di legittimità è contenuta all’art.
32 dello schema recante l’istituzione della Scuola superiore della magistratura
e nessun coordinamento è contenuto nella schema di modifica della progressione.

La conseguenza è che mentre la legge delega (art. 2, secondo comma,
lettera t ) prevede che in caso di tre giudizi negativi in sede di valutazioni
periodiche ai tredicesimo, ventesimo e ventottesimo anno, il magistrato è dispensato,
lo schema di decreto legislativo nulla prevede in caso di esito negativo dei
concorsi.

d) Commissioni di concorso.

Con riferimento ai componenti professori universitari la generica indicazione
della "prima fascia" consente la nomina di professori straordinari
ovvero professori che non hanno ancora superato il giudizio di conferma, mentre
più opportunamente avrebbe potuto prevedersi la necessità di
una anzianità nelle funzioni minima, così come avviene per i
componenti magistrati. Del pari opportuno sarebbe stata la previsione di un
rapporto tra le materie insegnate e le funzioni da assegnare per evitare, ad
esempio, che le commissioni siano tutte composte da penalisti o da civilisti.

Infine, lo schema di decreto legislativo nulla prevede circa rimborsi o indennità da
liquidare ai professori universitari e tale omissione rischia di rendere estremamente
difficile ottenere la disponibilità di questa categoria di componenti.

9. Incarichi direttivi e semidirettivi.

a) La disciplina della vacanza.

L’art. 29 intitolato "individuazione dei posti vacanti negli incarichi
semidirettivi e direttivi di merito" (come l’art. 38, riguardante
gli uffici direttivi di legittimità) contiene una norma nuova, non prevista
dalla legge delega. L’individuazione delle vacanze è affidata
al Consiglio superiore della magistratura, ma la norma non prevede le modalità di
individuazione (se le vacanze vadano pubblicate a mano a mano che si verificano
ovvero con una pubblicazione unica riguardante più vacanze) né i
tempi (ad esempio se la pubblicazione possa essere anteriore alla vacanza quando
la stessa sia prevedibile).

b) La legittimazione.

Per il conferimento degli incarichi direttivi di merito sono previsti quattro
requisiti a) una determinata anzianità nella qualifica necessaria; b)
età inferiore a sessantasei anni; c) esito positivo del corso di formazione
presso la scuola; d) il superamento del concorso per titoli.

Mentre con riferimento all’attribuzione degli incarichi direttivi superiori
ed apicali di legittimità l’art. 40 prevede come condizione solo
l’esercizio di incarico direttivo di legittimità (o le funzioni
di Procuratore Generale Aggiunto), per il conferimento di incarichi direttivi
di legittimità, analogamente a quanto previsto per il conferimento di
incarichi direttivi di merito, sono previsti quali requisiti: a) l’esercizio
di funzioni di legittimità da almeno quattro anni; b) età inferiore
ai sessantotto anni; c) esito positivo del corso di formazione d) esito positivo
della valutazione per titoli da parte della Commissione esaminatrice.

Con riferimento al requisito di età massima gli articoli 35 e 41 dispongono
che il momento rilevante, al quale deve essere rapportato tale requisito sia
quello della pubblicazione della vacanza, ma la norma, che è nuova rispetto
a quanto previsto dalla legge delega, non può essere condivisa, sembrando
più opportuno ancorare l’accertamento alla data in cui si verifica
la vacanza. Questo è infatti un dato oggettivo, mentre la pubblicazione
della vacanza dipende dall’esercizio di un potere discrezionale del Consiglio
superiore.

Al requisito degli anni di servizio che residuano al momento del pensionamento è prevista
deroga in applicazione della disciplina introdotta dall’art. 3, comma
57, legge 350/04 e successive integrazioni. Per effetto di tale deroga il conferimento
dell’incarico è disancorato da considerazioni relative all’età del
soggetto da nominare. Il bilanciamento tra l’interesse pubblico al buon
andamento dell’amministrazione di cui all’art. 94 della Costituzione,
del quale il pensionamento per raggiunti limiti di età è espressione, è risolto
in favore dell’interesse individuale alla reintegrazione in forma specifica.
Tale previsione, contenuta all’art. 36 costituisce eccesso di delega
perché la legge n 150/2005 non contiene nessuna delega a derogare al
requisito del limite di permanenza in servizio.

Per effetto della nuova disciplina la platea dei concorrenti ad uffici direttivi è più ristretta
di quella attuale, in quanto l’età minima viene elevata dalla
necessità di avere conseguito le qualifiche necessarie da un numero
di anni variabile, ma rilevante, e l’età massima è abbassata
dal riferimento all’età dell’ordinario collocamento a riposo
(settanta anni). Peraltro i due aspetti sono tra loro contraddittori, perché l’effetto
finale delle nuove disposizione sarà certamente quello di elevare e
non di diminuire l’età media dei dirigenti.

c) Valutazioni delle Commissioni.

L’art. 44 dispone che la dichiarazione di idoneità allo svolgimento
delle funzioni semidirettive si basa su una valutazione delle commissioni di
esame che riguarda "in via prevalente" la laboriosità e la
capacità organizzativa, mentre la valutazione dei titoli (da individuare
con specifico riferimento allo svolgimento delle funzioni semidirettive) deve
avvenire "in via non prevalente".

La norma ha carattere innovativo e desta perplessità in quanto la
prevalenza della laboriosità e delle capacità organizzative rispetto
ai titoli non è prevista dalla legge delega né appare imposta
dalla necessità di colmare una lacuna. Nel merito più opportuno
sarebbe stato un contemperamento dei tre elementi.

Gli articoli 43 e 44 attribuiscono funzioni di titolo preferenziale al pregresso
esercizio di funzioni semidirettive e direttive, senza subordinare il riconoscimento
di tale preferenza a una valutazione positiva dello svolgimento delle funzioni
precedenti. Inoltre l’attribuzione di titoli preferenziali di questa
natura assegna alle capacità organizzative concrete una funzione meno
rilevante di quella che sarebbe opportuno avessero.

d) Poteri del Ministro della giustizia.

Nonostante le modifiche introdotte a seguito dei rilievi del Presidente della
Repubblica, il potere di impugnazione delle nomine o delle proroghe dei direttivi
attribuito al Ministro della giustizia continua a destare perplessità in
relazione ai limiti che la giurisprudenza costituzionale assegna alle competenze
ministeriali in materia. O infatti il Ministro lamenta la lesione di un proprio
potere, e allora si rientra nella materia dei conflitti di competenza della
Corte Costituzionale, ovvero critica l’esercizio del potere discrezionale
del Consiglio superiore, e allora eccede dai poteri che la Costituzione gli
riconosce con l’art. 110.

Inoltre, il parere del Ministro ai fini del rinnovo biennale appare lesivo
dell’indipendenza dei capi degli uffici essendo idoneo a condizionare
l’indipendente esercizio delle funzioni.

10. Magistrati fuori ruolo.

Lo schema di decreto legislativo (art. 50, secondo comma) prevede, con disposizione
che non trova corrispondenza nella legge delega, che la regola secondo la quale
il collocamento fuori ruolo non può superare i dieci anni non si applica
ai magistrati già fuori ruolo prima dell’entrata in vigore della
legge, nel senso che "in detto periodo massimo non è computato
quello trascorso fuori ruolo antecedentemente all’entrata in vigore del
presente decreto". Con tale disposizione il legislatore delegato ha operato
l’azzeramento del periodo di fuori ruolo trascorso prima dell’entrata
in vigore del decreto con evidente eccesso di delega.

11. Progressione economica.

La nuova disciplina introduce una rilevantissima deroga al principio generale
della parità di retribuzione in caso di identità delle funzioni
esercitate. Poiché infatti non è stato stabilito il principio
dell’irreversibilità delle funzioni, può accadere che i
vincitori dei concorsi potranno optare per il mantenimento delle funzioni svolte
prima del superamento del concorso. La disparità di trattamento, nell’ambito
dell’esercizio delle stesse funzioni è poi aggravata dal trascinamento
degli scatti di anzianità».

Redazione

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