La Relazione al Decreto Legge 223/2006 sulle liberalizzazioni

Relazione al disegno di legge n. 741 AS

Conversione in legge del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni
urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione
della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto
all’evasione fiscale

presentato al Senato il 4 luglio

dal Presidente del Consiglio dei ministri
(PRODI)

dal Ministro dell’economia e delle finanze (PADOA SCHIOPPA)

e dal Ministro dello sviluppo economico (BERSANI)

Onorevoli Senatori. – Si illustrano di seguito le disposizioni dell’accluso
decreto-legge.

TITOLO I

Il Titolo I prevede misure urgenti per lo sviluppo, la crescita e la promozione
della concorrenza e della competitività, per la tutela dei consumatori
e per la liberalizzazione di settori produttivi.

Le disposizioni ivi contenute sono volte a promuovere la concorrenza per
la tutela dei consumatori, in attuazione del Trattato CE (in particolare degli
articoli 43, 49, 81, 82 e 86), nonché dei princìpi costituzionali
fondamentali sanciti dall’articolo 3 (principio di uguaglianza formale
e sostanziale) e dall’articolo 41 (principio di libertà di iniziativa
economica), nonché degli articoli 11 e 117, commi primo e secondo, della
Costituzione.

I requisiti che giustificano il ricorso ad un provvedimento d’urgenza
sono connessi alla oramai improcrastinabile esigenza di garantire il pieno
rispetto delle indicate norme comunitarie e di assicurare l’osservanza
delle raccomandazioni e dei pareri della Commissione europea, dell’Autorità garante
della concorrenza e del mercato e delle Autorità di regolazione e vigilanza
di settore, anche in relazione alla necessità di rafforzare la libertà di
scelta del cittadino consumatore e di promuovere assetti di mercato maggiormente
concorrenziali, al fine di favorire il rilancio dell’economia e dell’occupazione,
attraverso la liberalizzazione di attività imprenditoriali e la creazione
di nuovi posti di lavoro.

I previsti interventi, per la parte in cui sono volti al ripristino di regole
di funzionamento del mercato, potrebbero inoltre sollecitare taluni eventuali
comportamenti speculativi, ove non fossero caratterizzati dalla tempestiva
entrata in vigore delle nuove disposizioni.

Il primo comma dell’articolo 117 stabilisce che la legislazione, sia
statale che regionale, è sottoposta ai «vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali». Pertanto, anche le regioni
devono conformarsi alla normativa comunitaria in materia di promozione della
concorrenza e tutela del consumatore.

Il secondo comma dell’articolo 117 elenca, a propria volta, le materie
di competenza legislativa esclusiva statale. Tra esse rivestono, ai fini dell’intervento
normativo qui proposto, particolare rilevanza le «clausole trasversali» della
tutela della concorrenza (lettera e)), dell’ordinamento civile (lettera
l)) e della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale (lettera m)).

La giurisprudenza costituzionale, a partire dal 2002, ha evidenziato come la
tutela della concorrenza inerisca trasversalmente tutti i settori produttivi.

Con la sentenza 13 gennaio 2004, n. 14, la Corte ha specificato la nozione
di «tutela della concorrenza», evidenziando come tale espressione
vada intesa in «senso dinamico», ricomprendendo all’interno
della competenza legislativa esclusiva statale gli interventi che «siano
in ogni caso idonei, quanto ad accessibilità a tutti gli operatori ed
impatto complessivo, ad incidere sull’equilibrio economico generale»,
mentre sono ascritti alla competenza legislativa concorrente o residuale «gli
interventi sintonizzati sulla realtà produttiva regionale».

In particolare, al fine di valutare la legittimità o meno di determinati
interventi legislativi dello Stato attinenti la tutela della concorrenza, la
Corte ha affermato la necessità di basarsi sui criteri di proporzionalità ed
adeguatezza poiché, trattandosi di una cosiddetta materia-funzione,
essa non ha un’estensione rigorosamente circoscritta e determinata, ma,
per così dire, «trasversale» e per questo motivo si intreccia
inestricabilmente con una pluralità di altri interessi – alcuni
dei quali rientranti nella sfera di competenza concorrente o residuale delle
regioni – connessi allo sviluppo economico-produttivo del Paese.

Questo significa, secondo la Corte, che non possono ritenersi censurabili norme
statali che garantiscano, in forme appropriate e proporzionate, la più ampia
libertà di concorrenza nell’ambito dei rapporti che, per la loro
diretta incidenza sul mercato, devono essere in qualche modo tutelati da pratiche
anticoncorrenziali.

Sulla base di detti presupposti, nella sentenza n. 242 del 24 giugno 2005 la
Corte è andata oltre, ammettendo esplicitamente la possibilità,
anche con riferimento alle materie di competenza esclusiva regionale, che l’esigenza
di esercizio unitario consenta allo Stato di attrarre, oltre che la funzione
amministrativa, anche quella legislativa, ferma restando la necessità che
la disciplina segua «un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative
e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte
in base al princìpio di lealtà».

Articolo 1.

L’articolo 1 esplicita, nel senso sopra delineato, le finalità e
l’ambito di applicazione delle disposizioni urgenti, che vengono, di
seguito, descritte.

Articolo 2.

La norma in esame si propone di assicurare agli utenti dei servizi professionali
un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri
diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, in conformità al
princìpio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di
circolazione delle persone e dei servizi.

Il tradizionale approccio comunitario, rivolto al perseguimento degli obiettivi
della libertà di stabilimento e della libertà di circolazione
dei professionisti attraverso il reciproco riconoscimento, ha subìto
una svolta al vertice di Lisbona del 2000 quando ha preso concretamente avvio
una filosofia di intervento nei servizi professionali nell’ambito della
politica per la concorrenza: con il Piano strategico approvato in quell’occasione
anche le professioni liberali sono state ritenute rilevanti ai fini del miglioramento
della competitività, anche in funzione del loro peso economico.

Anche il Parlamento europeo è intervenuto sulla materia con un atto
di indirizzo politico (risoluzione del 16 dicembre 2003) che, pur riconoscendo
l’importanza delle associazioni professionali, dei loro codici deontologici
e quindi di una regolamentazione adeguata a garantire l’etica professionale,
la qualità dei servizi e l’interesse pubblico, ribadisce rinderogabilità delle
regole della concorrenza.

Tuttavia, è con la comunicazione n. 2004/83 «Relazione sulla concorrenza
nei servizi professionali» che la Commissione europea ha formalmente
richiesto ai governi nazionali, alle autorità di concorrenza, agli ordini
professionali e ai tribunali nazionali di intervenire per eliminare quelle
restrizioni che impediscono al sistema economico e agli utenti in particolare
di beneficiare dei vantaggi della concorrenza. La Commissione ha sostanzialmente
chiesto di valutare quali regole esistenti (a livello sia di norme di legge
che di codici di autoregolamentazione adottati dagli organismi professionali)
siano ancora oggi necessarie per l’interesse generale e quali siano proporzionate
e giustificate. La comunicazione ha assunto una valenza generale di politica
comunitaria rivolta a tutto il settore dei servizi professionali.

Nella comunicazione sono state descritte le numerose fattispecie di restrizioni,
molte delle quali non sono ritenute giustificate dal perseguimento di un interesse
generale, che costituiscono un potenziale disincentivo alla ricerca del miglior
rapporto qualità-prezzi da parte dei professionisti e alla libera scelta
da parte dei consumatori. Le limitazioni individuate fanno riferimento alla
fissazione di prezzi minimi per le prestazioni professionali, al divieto di
pubblicizzare i servizi offerti, ai parametri numerici per l’accesso
alla professione, al divieto di svolgere pratiche multidisciplinari, come quello
di istituire una società tra professionisti o di esercitare la professione
nella forma societaria.

Con specifico riguardo alla situazione riscontrabile in Italia, ad analoghe
conclusioni è giunta più volte l’Autorità garante
della concorrenza e del mercato: tra tutte, si possono citare le recenti segnalazioni
al Parlamento e al Governo del 18 novembre 2005 e del 27 aprile 2005 e l’indagine
conoscitiva del 9 ottobre 1997.

La prima fattispecie, individuata dalla lettera a), concerne la fissazione
di tariffe obbligatorie fisse o minime, ovvero il divieto di pattuire compensi
parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti. Viene, così,
a cadere uno dei maggiori vincoli allo sviluppo di un effettivo mercato concorrenziale
nel settore delle libere professioni.

Il secondo divieto, che viene rimosso, alla lettera b), è quello di
pubblicizzare i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche
del servizio offerto ed il prezzo delle prestazioni. Il fine specifico di tale
intervento è di favorire la trasparenza del mercato e la conoscibilità delle
diverse alternative da parte degli utenti.

La lettera c), infine, elimina l’anacronistico divieto di erogare servizi
professionali utilizzando la forma della società di persone o quella
della associazione tra privati, divieto che oltre tutto penalizza i professionisti
italiani che sono costretti a subire passivamente la concorrenza di società di
professionisti provenienti da altri Paesi europei.

In particolare, l’articolo proposto, richiamando i princìpi comunitari
in tema di tutela della concorrenza e libertà di circolazione delle
persone e dei servizi, stabilisce l’abrogazione delle norme legislative
e regolamentari dello Stato in argomento. Le norme deontologiche e dei codici
di autodisciplina dovranno essere tempestivamente adeguate entro il 1º gennaio
2007. In mancanza, a decorrere da tale data, le stesse clausole divengono nulle
per violazione di norma imperativa di legge.

Il comma 2 fa salve, rispetto alle abrogazioni ed alle dichiarazioni di nullità per
violazione di legge stabilite al comma 1, le disposizioni concernenti le prestazioni
sanitarie svolte nell’ambito della disciplina del Servizio sanitario
nazionale, nonché le eventuali tariffe massime prefissate in via generale
a tutela degli utenti.

Articolo 3.

L’articolo 3 stabilisce il diritto di svolgere sul territorio italiano,
con le modalità indicate nel medesimo articolo, le attività economiche
di distribuzione commerciale, ivi comprese la somministrazione di alimenti
e bevande, ai sensi delle disposizioni dell’ordinamento dell’Unione
europea in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle
merci e dei servizi ed al fine di garantire la libertà di concorrenza
secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento
del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo
ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti
e servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, secondo
comma, lettere e) ed m), della Costituzione.

A tale riguardo, si ricordi che il Trattato comunitario si pone la finalità della
creazione di una unione economica e di un mercato comune nel quale sia efficacemente
ed effettivamente assicurata la libera circolazione di persone, merci, servizi
e capitali, nel presupposto che la base per raggiungere una vera integrazione
economica fra gli Stati membri sia quella di consentire alle imprese comunitarie
di operare indifferentemente nello spazio economico rappresentato dal mercato
europeo integrato in modo di porre tutto il sistema produttivo comunitario
a disposizione dei consumatori e di selezionare le imprese migliori attraverso
il meccanismo concorrenziale.

L’Unione europea sta portando avanti da diversi anni un intenso programma
di misure destinate ad eliminare gli ostacoli agli scambi transfrontalieri
di servizi al fine di migliorarne la competitività.

Per ciò che riguarda il settore del commercio, nel presupposto che legislazioni
vincolistiche non favoriscono l’ammodernamento della rete, tra le azioni
individuate a livello europeo per favorire l’incremento dell’efficienza
e della produttività del settore, viene indicata la necessità di
previsione di un sistema regolatore fondato sulla semplificazione amministrativa,
con un alleggerimento degli adempimenti che gravano sulle imprese, e sull’affermazione
di processi di liberalizzazione in grado di rappresentare uno stimolo concorrenziale.
In linea con le indicazioni, alcuni Paesi europei (quali Regno Unito, Germania,
Olanda e Svezia) hanno spontaneamente avviato concrete misure di liberalizzazione
con processi di deregolamentazione che hanno eliminato barriere all’entrata
e restrizioni fondate sul possesso di requisiti professionali degli esercenti.

Tuttavia nel nostro Paese, la disciplina del commercio aveva già fatto
registrare, a seguito della riforma del 1998 (decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 114), un forte e profondo cambiamento nella direzione di una vigorosa
semplificazione, attraverso l’eliminazione di barriere amministrative
all’accesso e di vincoli nello svolgimento dell’attività,
e di un progressivo processo di liberalizzazione che ha coinvolto sin da subito
gli esercizi commerciali di piccole dimensioni.

Successivamente, a seguito della modifica dell’articolo 117 della Costituzione,
la quasi totalità delle regioni, alle quali è stata attribuita
la competenza esclusiva sulla materia del commercio, ha disciplinato il settore
determinando, nella sostanza, differenziazioni normative territoriali di rilievo,
pur mantenendo fermo l’impianto di obiettivi e di regole introdotte con
il decreto legislativo di riforma del 1998, soprattutto per ciò che
ha riguardato la libertà di insediamento, sul piano commerciale, degli
esercizi di dimensioni inferiore ai 250 metri quadrati di superficie di vendita
(cosiddetti esercizi di vicinato).

Sulla situazione che si è venuta a creare si è espressa ripetutamente
l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, evidenziando
l’inopportunità del mantenimento di ingiustificati vincoli quantitativi
alle possibilità di ingresso nel mercato per quanto attiene in particolare
le medie e grandi strutture di vendita.

L’introduzione di regolazioni
inadeguate, rigide e burocraticamente onerose comporta, di regola, incremento
dei costi, ingiustificato aumento dei prezzi, irrazionale allocazione delle
risorse, disincentivo all’innovazione. Anche il Governatore della Banca
d’Italia è intervenuto recentemente sul tema dell’assetto
normativo del commercio: nella sua ultima relazione annuale ha evidenziato
che non tutte le regioni hanno colto l’occasione del trasferimento di
competenze per liberalizzare; anzi, «nelle regioni dove si sono adottati
criteri più restrittivi, efficienza produttiva e diffusione delle nuove
tecnologie ne sono risultate frenate, a scapito dei consumatori e della stessa
crescita dell’occupazione nel settore».

Pur in presenza di una competenza regionale in materia di commercio, spetta
però allo Stato il compito di verificare che sia assicurata vitalità e
operatività ai princìpi costituzionali di fonte sia europea che
statale, al fine di garantire una uniformità delle regole principali
di mercato nell’ambito di un regime concorrenziale. Porre in campo gli
strumenti per garantire una rete diversificata, ove le diverse tipologie distributive
abbiano, con il necessario equilibrio, pari opportunità di iniziativa
economica, non può che avere effetti positivi, sia in termini di sviluppo
che in termini di rilancio dei consumi, consentendo l’adeguamento dell’offerta
ai cambiamenti del mercato.

Lo sviluppo competitivo del settore, infatti, non va solo a vantaggio delle
imprese, ma anche – e soprattutto – dell’intera collettività,
perché la modernizzazione delle imprese distributive favorisce lo sviluppo
economico, gli investimenti e l’occupazione. Occorre quindi individuare
alcune regole di fonte statale, che in armonia con il rispetto della materia
della tutela della concorrenza e del princìpio comunitario della libera
circolazione delle persone e delle merci, possano rappresentare un quadro di
riferimento in grado di impedire sia il mantenimento di una parte residuale
della legislazione nazionale, ritenuta oggi incompatibile con una regolazione
pro concorrenziale, sia l’affermarsi di una legislazione regionale dalle
quali possano risultare pregiudicati gli interessi costituzionalmente garantiti
di un corretto ed uniforme funzionamento del mercato e di un livello minimo
ed uniforme di accessibilità dei consumatori all’acquisto di beni
e servizi sul tutto il territorio nazionale.

A tale fine, nell’articolo 3 del decreto si individuano in via prioritaria
le prime regole urgenti di tutela della concorrenza nel settore della distribuzione
commerciale con le quali si intende garantire:

– l’uniformità su tutto il territorio nazionale delle
condizioni soggettive di natura professionale di accesso all’esercizio,
eliminando i requisiti professionali eventualmente già previsti da leggi
regionali per l’apertura di esercizi commerciali operanti in settori
diversi da quello alimentare ed orientando in tal senso le scelte future del
legislatore regionale;
– la soppressione del parametro della distanza minima tra attività commerciali
appartenenti al medesimo esercizio (ritenuto dalla dottrina fortemente restrittivo
della concorrenza), ai fini della concessione dell’autorizzazione all’apertura
di una determinata attività commerciale;
– l’assenza di ogni forma di limitazione, fissata per legge o per
via amministrativa, nella libera scelta dell’imprenditore di determinare
l’assortimento merceologico del proprio esercizio commerciale, ritenuto
più idoneo a soddisfare le esigenze dei consumatori;
– l’eliminazione di meccanismi di programmazione degli insediamenti
commerciali fondati sul rispetto di predeterminati limiti antitrust operanti
a livello infraregionale, anche per tener conto della specifica segnalazione
dell’Antitrust (AS 281 del 9 luglio 2004) riguardo alla regolamentazione
adottata in materia di commercio dalla Regione siciliana;
– l’assenza di divieti generali, parziali o di limitazioni di ordine
temporale per l’effettuazione di vendite promozionali scontate all’interno
dei singoli esercizi commerciali, fatta eccezione delle tradizionali vendite
di fine stagione e delle vendite sottocosto.

Per questo ultimo punto, va precisato inoltre che pervenire ad una effettiva
liberalizzazione delle vendite promozionali (che si caratterizzano per il fatto
che l’esercente offre condizioni favorevoli, reali ed effettive, di acquisto
dei propri prodotti) nasce sì dall’esigenza di assicurare il corretto
funzionamento di questa forma di vendita nel mercato interno, eliminando qualsiasi
tipologia di restrizione alla libera circolazione dei beni, ma anche dalla
considerazione che la libertà di iniziativa imprenditoriale può produrre,
in via generale, un vantaggio per i consumatori e uno strumento per realizzare
un più elevato livello competitivo fra le imprese. Ciò anche
per evitare che il consumatore di un determinato territorio regionale possa
essere penalizzato nell’acquisto dei beni di largo e generale consumo – come
quelli alimentari – a causa di disposizioni regionali che limitano la
vendita a prezzi scontati rispetto ad un consumatore residente in un’altra
regione, magari confinante, dove queste limitazioni non sono state introdotte
nella legislazione regionale.

Al riguardo si richiama l’attenzione sulla circostanza che anche gli
organismi competenti in seno all’Unione europea si erano espressi nel
senso di non ritenere favorevoli alla concorrenza interventi di regolamentazione
delle iniziative di vendite promozionali (cfr. Proposta modificata di regolamento
del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione delle vendite del mercato
interno del 30 ottobre 2002).

In linea con le disposizioni contenute nella suddetta proposta di regolamento
comunitaria – successivamente ritirata per esigenze più generali
di semplificazione della normativa comunitaria – si ritiene di mantenere
ferma la vigenza delle disposizioni statali in materia di vendite sottocosto
recate dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6
aprile 2001, n. 218: in detto caso, infatti, la previsione di regole è finalizzata
ad evitare che la vendita da parte di un operatore commerciale di un prodotto
al consumatore al di sotto del prezzo di acquisto si concretizzi come una pratica
predatoria messa in atto da aziende che, titolari di potere economico, la utilizzino
per eliminare dal mercato i concorrenti o scoraggiare gli ingressi.

Gli effetti delle regole generali fissate a tutela della concorrenza nel settore
del commercio si concretano, al comma 3, prevedendo l’immediata abrogazione
delle disposizioni legislative e regolamentari statali incompatibili con dette
regole, e al comma 4 con il previsto adeguamento della legislazione regionale.

L’intervento statale qui delineato si giustifica e non risulta invasivo
delle attribuzioni regionali perché risponde alla esigenza e alla necessità di
attuare iniziative in grado di favorire il ripristino, in un settore strategico
in termini macroeconomici, delle condizioni di un mercato aperto e in libera
concorrenza. Del resto la materia della tutela della concorrenza, in quanto
trasversale rispetto a tutti i settori della vita economica, non può avere
una linea di confine definita e, inevitabilmente, può intaccare gli
ambiti di materie riservate alla potestà residuale regionale.

Il criterio utilizzato per giustificare l’intervento statale, pertanto,
non può che essere la finalità di incidere sull’equilibrio
economico e sullo sviluppo generale. A questo riguardo, si segnala che, anche
con riferimento alla materia commercio, la sentenza n. 14 del 2004 della Corte
costituzionale traccia le linee interpretative della nozione di concorrenza,
osservando che la stessa «non può non riflettere quella operante
in ambito comunitario, che comprende interventi regolativi, la disciplina antitrust
e misure destinate a promuovere un mercato aperto e in libera concorrenza».

Il testo costituzionale vigente, pertanto, affidando alla potestà legislativa
esclusiva statale la tutela della concorrenza, non vuole che questa sia interpretata
soltanto in senso statico come garanzia di interventi di regolazione e ripristino
di equilibri perduti, bensì in senso dinamico, «che giustifica
misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un
sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali» e
per questo qualificata come una delle leve della politica economica statale.

La Corte rileva, al riguardo, che l’intervento statale si giustifica
per la sua rilevanza macroeconomica mentre appartengono alla competenza legislativa
residuale delle regioni «gli interventi sintonizzati sulla realtà produttiva
regionale» purché, ovviamente, non creino «ostacolo alla
libera circolazione delle persone e delle cose» e non limitino «l’esercizio
del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale».

Articolo 4.

La disposizione, al fine di favorire la promozione di un assetto maggiormente
concorrenziale nel settore della panificazione ed assicurare una più ampia
accessibilità dei consumatori ai relativi prodotti, abroga la vigente
disciplina, che assoggetta a contingentamento l’impianto di un nuovo
panificio ed il trasferimento o la trasformazione di panifici esistenti, assoggettando
a dichiarazione di inizio attività, da presentare al comune competente
per territorio, l’apertura di nuovi impianti, facendo salve le necessarie
tutele igienico-sanitarie.

L’articolo risponde all’urgente necessità di consentire
il dispiegarsi della concorrenza nel settore della panificazione, abrogando
le norme ancora vigenti della legge 31 luglio 1956, n. 1002, tra le quali quelle
che subordinano l’apertura, il trasferimento e la trasformazione dei
panifici ad una previa verifica della «opportunità del nuovo impianto
in relazione alla densità dei panifici esistenti e del volume della
produzione nella località ove è stata chiesta l’autorizzazione»,
nonché la disposizione contenuta nell’articolo 22, comma 2, lettera
b), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, che assoggetta tale autorizzazione
all’istituto del silenzio-assenso di cui all’articolo 20 della
legge 7 agosto 1990, n. 241. L’articolo 2 della legge n. 1002 del 1956
prevede per l’esercizio dell’attività di panificazione l’autorizzazione
della Camera di commercio della provincia in cui è situato l’impianto,
che viene rilasciata sentita una Commissione composta, tra gli altri, da rappresentanti
dell’associazione dei panificatori, delle organizzazioni sindacali dei
lavoratori del settore e del comune interessato.

Il rilascio dell’autorizzazione comporta una valutazione di opportunità ad
installare un nuovo impianto in relazione alla potenzialità produttiva
dei panifici già esistenti ed al consumo teorico di pane da parte della
popolazione residente nella località interessata, secondo parametri
fissati dalla circolare ministeriale 18 luglio 1997, n. 161, e da successivi
regolamenti adottati dalle singole Camere di commercio.

Tale procedimento deve essere seguito anche nei casi di trasformazione dell’impianto
per ampliare il volume di produzione e di variazione della destinazione della
produzione. Dopo aver ottenuto l’autorizzazione occorre richiedere la
licenza sempre alla Camera di commercio nella cui provincia è situato
l’impianto.
La licenza di panificazione, sia per i nuovi panifici che
per i trasferimenti e le trasformazioni di quelli esistenti, è rilasciata
previo accertamento dell’efficienza e dei requisiti igienico sanitari
dell’impianto stesso. Per svolgere l’attività di panificazione
non occorrono requisiti professionali.

La misura proposta trae spunto dalla segnalazione AS 246 effettuata il 24 ottobre
2002 dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Ad
avviso dell’Autorità, la normativa che si va ad abrogare determina
un’evidente distorsione della concorrenza nel settore interessato, non
essendo peraltro giustificata da alcuna esigenza di carattere generale. Al
riguardo, la stessa Autorità evidenzia che l’utilizzazione di
strumenti regolatori che limitino, in assenza di motivate esigenze di carattere
generale, la quantità delle imprese autorizzate ad operare nel settore
della panificazione, non può che determinare distorsioni della concorrenza
e del funzionamento del mercato, creando ingiustificate posizioni di rendita
degli operatori già presenti e disincentivando gli stessi a migliorare
le condizioni di offerta del loro prodotto. L’abrogazione della prevista
programmazione sul territorio provinciale e degli ulteriori limiti quantitativi
oggi posti per la produzione del pane, mantenendo esclusivamente la verifica
del rispetto delle prescrizioni di carattere igienico sanitario, consentirà configurazioni
di mercato più idonee delle attuali a soddisfare le esigenze della domanda,
anche mediante una maggiore articolazione dell’offerta sotto il profilo
delle scelte di prezzo, di qualità e varietà del prodotto, con
conseguente vantaggio sia per i produttori più capaci, sia per tutti
i consumatori.
Infatti, in analogia con quanto avvenuto per altre attività produttive
riguardanti anche il settore alimentare, da tempo oramai liberalizzate, non
si ravvisa più oggi un interesse generale volto al mantenimento di un
regime autorizzatorio e di un contingente numerico alla produzione del pane.

Articolo 5.

Il settore farmaceutico è caratterizzato da una estesa regolamentazione
pubblica, che influenza profondamente tanto le condizioni di domanda e di offerta
dei beni e servizi, quanto i comportamenti e il grado di autonomia dei soggetti
coinvolti (imprese, medici, farmacisti, pazienti).

In questi ultimi anni, si è assistito, nei maggiori Paesi industrializzati,
a un ampio processo di trasformazione delle politiche sanitarie, volto principalmente
al contenimento della spesa pubblica. In tale contesto, l’industria farmaceutica
sta, da tempo, adeguando la propria struttura alle mutate politiche pubbliche
di regolamentazione, tramite un processo di concentrazione e razionalizzazione.
In Italia, peraltro, l’Autorità garante della concorrenza e del
mercato ha evidenziato, con una serie di indagini conoscitive di natura generale
e di pareri e segnalazioni su aspetti particolari, la permanenza di condizioni
di concorrenza impedita, ristretta o falsata, nel processo di riforma avviato
con la legge finanziaria per il 1994 e poi proseguito con le successive leggi
finanziarie e con ulteriori provvedimenti che, in realtà, pur conseguendo
importanti risultati di contenimento della spesa pubblica, non hanno comportato
un superamento del metodo di amministrazione dei prezzi.

A giudizio dell’Autorità, i principali limiti alla concorrenza,
non giustificati dagli interessi generali sottesi alla necessità di
assicurare a tutti un’adeguata assistenza sanitaria, concernono il sostanziale
mantenimento di meccanismi di determinazione in via amministrativa dei prezzi
dei farmaci, con il ritardato passaggio ad un regime di sorveglianza e, in
parte, di liberalizzazione piena dei prezzi, le procedure relative alla brevettazione
dei princìpi attivi e alla registrazione dei farmaci, la datata regolamentazione
delle farmacie e la disciplina della commercializzazione dei farmaci.

La realizzazione dell’indicato processo di transizione nell’assetto
regolamentativo del settore farmaceutico nazionale, con la definitiva abolizione
del prezzo unico nazionale, richiede adeguate misure, rispettose della necessità di
assicurare il diritto costituzionale alla salute e di rispettare le compatibilità di
finanza pubblica.

Fin da oggi è, però, possibile incidere da subito sul processo
normativo ed anche culturale di innovazione, mediante lo sviluppo su larga
scala dei farmaci generici o equivalenti e la diffusione fra consumatori dei
prodotti da banco, al fine di promuovere l’introduzione di maggiori elementi
di concorrenzialità nel settore, eliminando quei vincoli alla libertà dell’iniziativa
economica che non risultano necessari al fine di assicurare le superiori esigenze
della tutela della salute e del contenimento della spesa pubblica.

L’articolo proposto reca, dunque, le misure suggerite dall’Autorità per
favorire la concorrenza fra farmaci (interbrand), incentivare l’utilizzo
dei farmaci generici, stimolare la concorrenza fra distributori al dettaglio
(intrabrand), mediante:

– l’estensione dei punti vendita dei medicinali non soggetti
a prescrizione medica, comunque secondo modalità rispettose del diritto
alla salute dei consumatori (commi 1 e 2);

– la possibilità di praticare, secondo modalità trasparenti,
lo sconto sui farmaci (comma 3);
– l’eliminazione dei gravosi obblighi dei grossisti di detenzione
delle scorte (comma 4);
– l’eliminazione del vincolo fra Albo provinciale in cui è iscritto
il farmacista e circoscrizione provinciale sede della farmacia e del divieto
di assumere la titolarità di più di una farmacia e del divieto
di partecipare a più di una società, nonché l’eliminazione
della possibilità per gli eredi di ottenere la titolarità della
farmacia fino al trentesimo anno di età ovvero fino al termine di dieci
anni dalla data di acquisizione, a condizione che il dante causa si iscriva ad
una facoltà di farmacia (commi 5 e 6);

L’articolo, inoltre, ai commi 5 e 7, affronta la questione della partecipazione
societaria alla gestione delle farmacie e dell’incompatibilità tra
attività di distribuzione all’ingrosso e vendita al dettaglio
dei farmaci, oggetto del recentissimo (giugno 2006) deferimento dell’Italia
alla Corte di giustizia per violazioni degli articoli 43 e 56 del Trattato
CE.

Si tratta di questioni che ostacolano di fatto la concorrenza in tutta la
filiera.

Per quanto riguarda i commi 1 e 2, si segnala che l’Autorità rileva
(segnalazione n. 300 del 1º giugno 2005) che la commercializzazione dei
farmaci di automedicazione presso i punti vendita della distribuzione organizzata
(garantendo adeguati spazi dedicati ed un’eventuale assistenza informativa)
determinerebbe il superamento di rendite del tutto ingiustificate con un aumento
della concorrenza e, quindi, un forte incentivo alle farmacie a praticare sconti
sul prezzo in favore dei consumatori. Si tratta del resto, aggiunge l’Autorità,
di una pratica diffusa in vari Paesi europei, senza che essa abbia determinato
alcun danno, di natura sanitaria o altro, per i consumatori.

Il comma 3 concerne la citata segnalazione n. 300, con la quale l’Autorità,
rifacendosi alla precedente n. 131 del 2 aprile 1998, ritiene necessario eliminare
i vincoli di prezzo e di sconto (20 per cento), lasciando al farmacista piena
libertà di fissazione del prezzo del farmaco; un intervento che può assumere
un connotato maggiormente positivo laddove si inserisca in un quadro di disposizioni
che mirino a rendere più concorrenziale la distribuzione dei farmaci
a prezzo libero, come quella dei medicinali generici o equivalenti.

Il comma 4 si riferisce sempre alla segnalazione n. 300 del 2005, per la parte
in cui l’Autorità ritiene non più giustificato l’obbligo
per i grossisti di detenere il 90 per cento dei medicinali non rimborsabili:
l’eliminazione di tale divieto consentirebbe ai distributori di determinare
la propria politica di approvvigionamento sulla base dell’effettiva domanda,
mettendo così in concorrenza tra loro i produttori che sarebbero incentivati
a competere anche sul prezzo.

Per quanto attiene ai commi 5 e 6, le osservazioni formulate dall’Autorità con
la recente segnalazione n. 326 dell’8 febbraio 2006 riguardano invece
gli effetti distorsivi della concorrenza che derivano dalla normativa che regola
l’esercizio di una farmacia, ed in particolare quella concernente il
divieto di acquistare la titolarità di più di una farmacia – considerata
una restrizione assai elevata del livello di concorrenza – che non consentono
a farmacisti e società di farmacisti la possibilità di costituire
catene di farmacie (al pari di quanto può avvenire per le farmacie comunali)
che darebbero maggiore efficienza al mercato, nonché quella che, da
un lato, riserva la titolarità dell’esercizio della farmacia a
società di persone ed a società cooperative che gestivano farmacie
in periodi antecedenti l’entrata in vigore della legge 8 novembre 1991,
n. 362, e, dall’altro lato, limita la partecipazione del singolo farmacista
ad una sola società.

L’eliminazione di queste ultime limitazioni
sembrano oltremodo opportune per consentire ai farmacisti in attività,
che perdono l’esclusiva sui medicinali da banco, di ricercare forme più evolute
e più efficienti di organizzazione di uno o più punti di vendita
al fine di essere più competitivi sul mercato, offrendo ai consumatori
prezzi più bassi.

La Corte costituzionale nella pronuncia n. 275 del 2003 ha eccepito l’incostituzioanlità della
norma nazionale (articolo 8, comma 1, lettera a), della legge n. 362 del 1991)
per la conseguente disparità di trattamento tra farmacie pubbliche e
private. Le prime possono assumere la titolarità di più farmacie,
mentre i privati possono assumere la titolarità soltanto di una farmacia
come persone fisiche o associati in società di persone di soli farmacisti
abilitati. Il diverso trattamento risulta ancora più immotivato se si
considera che il testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267, all’articolo 116, ha consentito che i comuni potessero cedere
a soggetti privati una quota, anche maggioritaria, delle azioni delle società di
gestione delle farmacie pubbliche. La Corte ha, inoltre, affermato l’incostituzionalità della
norma nella parte in cui prevede l’incompatibilità tra la partecipazione
a società di gestione di farmacie comunali e le altre attività nel
settore della produzione, distribuzione, intermediazione e informazione scientifica
del farmaco.

Inoltre, va evidenziato come contro tale disposizione si sia recentemente mossa
anche la Commissione europea che nel parere motivato del 13 dicembre 2005,
che ha poi portato al recente deferimento alla Corte di giustizia, ha ribadito
la richiesta formale all’Italia di modificare la normativa relativa all’assunzione
di partecipazioni nelle farmacie, in quanto trattasi di normativa in contrasto
con le regole comunitarie relative alla libertà di stabilimento e di
circolazione dei capitali nell’Unione europea.

Infine, non sembrano più giustificate da criteri di proporzionalità e
di adeguatezza le disposizioni (commi 9 e 10 dell’articolo 7 della legge
n. 362 del 1991) che prevedono l’estensione «postuma» della
difesa degli interessi della proprietà all’erede, il quale, pur
non essendo abilitato all’esercizio della professione, può mantenere
la proprietà della farmacia fino al compimento del trentesimo anno di
età o per i successivi dieci anni dalla morte del de cuius (a condizione
che si iscriva alla facoltà di farmacia). Durante questo periodo, inoltre,
non sono giuridicamente attive in capo all’erede tutte le incompatibilità previste
dall’articolo 8 per la proprietà e la gestione di una farmacia.

Le motivazioni giuridiche di questa eccezione appaiono oggi inconsistenti:
si pensi soprattutto al diritto alla salute pubblica quale rivendicato baluardo
per le regole di accesso alla professione. Anche secondo l’Antitrust
(cfr. Indagine conoscitiva del 9 ottobre 1997 nel settore degli ordini professionali)
la disciplina dei trasferimenti mortis causa determina un ingiustificato innalzamento
dei costi dei potenziali entranti nel settore e, insieme agli altri fattori
limitativi della concorrenza già illustrati, impedisce che si crei una
maggiore offerta di esercizi farmaceutici sul mercato.

Articolo 6.

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha più volte
segnalato, fin dal 1º agosto 1995, le distorsioni della concorrenza che
emergono nella prestazione del servizio taxi, in particolare per quanto riguarda
l’accesso al mercato e la determinazione delle tariffe.

Ciò determina un non completo soddisfacimento della domanda dei consumatori,
anche a causa della inadeguata densità di taxi in rapporto alla popolazione
in gran parte dei principali comuni italiani e dei conseguenti lunghi tempi
di attesa del taxi.

La prestazione del servizio di taxi è tuttora disciplinata, a livello
nazionale, dalla legge 15 gennaio 1992, n. 21, «Legge quadro per il trasporto
di persone mediante autoservizi pubblici non di linea», che prevede il
rilascio della licenza da parte delle amministrazioni comunali attraverso un
bando di pubblico concorso.

La licenza è necessariamente riferita ad un singolo veicolo adibito
a taxi, non essendo ammesso, in capo ad un medesimo soggetto, il cumulo di
più licenze per l’esercizio di detto servizio. Anche la sostituzione
dei titolari delle licenze di taxi è consentita solo in determinate
circostanze.

Alle singole regioni è demandata la competenza a disporre le norme,
nel quadro dei princìpi fissati dalla legge citata, volte in particolare
a stabilire i criteri cui devono attenersi i comuni nel redigere i regolamenti
sull’esercizio del servizio taxi.

La disciplina puntuale dell’attività di prestazione del servizio
taxi è tuttavia riservata ai comuni i quali, nel predisporre i propri
regolamenti, sono competenti a stabilire il numero e la tipologia dei veicoli,
i requisiti e le condizioni per il rilascio della licenza, le modalità di
svolgimento del servizio, nonché i criteri per la determinazione delle
tariffe.

Tuttavia, in una nuova segnalazione del 3 marzo 2004, l’Autorità ha
osservato che la competenza dei comuni ad incrementare il numero dei veicoli
da adibire al servizio di taxi incontra una forte resistenza da parte degli
operatori del settore, che trova fondamento nell’elevato costo che gli
stessi hanno sostenuto per l’acquisto di una licenza da altri soggetti.
Infatti, benché le licenze siano state originariamente rilasciate gratuitamente
da parte delle autorità pubbliche, le stesse sono state sovente alienate
sulla base di valori economici di volta in volta crescenti, circostanza questa
che, di per sé, riflette la scarsità del numero delle licenze,
ovvero del numero di taxi attualmente in circolazione.

In questo contesto, il timore che un incremento del numero delle licenze possa
determinare una riduzione del valore di mercato delle stesse, nonché una
riduzione dei ricavi attesi, spiega le resistenze degli operatori e spinge
l’Autorità ad ipotizzare più meccanismi per compensare «una
tantum» gli attuali titolari delle licenze in caso di una maggiore apertura
del mercato, ad esempio mediante il rilascio, da parte delle amministrazioni
comunali, di ulteriori licenze agli operatori, prevedendo che i proventi derivanti
dall’assegnazione delle nuove licenze siano ripartiti tra gli operatori
già presenti sul mercato.

In ragione dell’urgenza di dare la possibilità ai comuni di assicurare
un livello di offerta adeguato alla domanda, la norma qui proposta riprende
una delle proposte dell’Autorità, al fine di facilitare il riassorbimento
dello squilibrio tra domanda e offerta del servizio taxi, in particolare nei
comuni di grandi dimensioni, dove il fenomeno è più accentuato
e più gravi sono i riflessi negativi sulla mobilità urbana e
sul traffico veicolare.

L’articolo in questione dispone che i comuni possano bandire pubblici
concorsi aperti a tutti i richiedenti oppure limitati nell’accesso agli
attuali titolari di licenza per il servizio taxi (ovvero riservati pro quota
agli uni ed agli altri), per assegnare nuove licenze a titolo oneroso. I relativi
proventi devono essere ripartiti dall’amministrazione comunale ai titolari
di licenza che ne mantengono solo una.

Nei casi in cui i comuni esercitino tale facoltà, i soggetti già titolari
di licenza possono quindi ottenere, in deroga al divieto di cumulo previsto
dai commi 1 e 2 dell’articolo 8 della medesima legge n. 21 del 1992,
l’assegnazione di ulteriori licenze – non cedibili separatamente
dalla licenza originaria. In ogni caso, i titolari di licenza dovranno esercitare
il servizio taxi personalmente, ovvero avvalendosi, sotto la propria responsabilità,
di conducenti iscritti al relativo ruolo, assunti con contratto di lavoro subordinato.

Resta, naturalmente, salva la facoltà dei comuni di continuare a bandire
concorsi per l’assegnazione a titolo gratuito delle nuove licenze già programmate,
ai sensi della vigente normativa, che non viene per questo aspetto modificata.

Con la disposizione in esame, inoltre, i comuni, a fronte di situazioni di
squilibrio tra la domanda e l’offerta dovuto ad eventi e circostanze
straordinarie, potranno rilasciare licenze temporanee non trasferibili.

Articolo 7.

L’articolo 3, commi 4, 5 e 6 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35,
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, e poi l’articolo
13 della legge 28 novembre 2005, n. 246, disponeva che, per la sottoscrizione
di atti e dichiarazioni aventi ad oggetto l’alienazione di veicoli registrati
e rimorchi di valore non superiore a 25.000 euro o la costituzione di diritti
di garanzia sugli stessi, la relativa autenticazione potesse essere fatta,
oltre che dai notai, gratuitamente anche dai funzionari del Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti, dai funzionari e dai titolari dello Sportello
telematico dell’automobilista previsto dal regolamento di cui al decreto
del Presidente della Repubblica 19 settembre 2000, n. 358, e dai funzionari
dell’Automobile club d’Italia (ACI).

L’attuazione della norma veniva demandata ad un decreto del Ministro
della funzione pubblica (di concerto con quelli dell’economia e delle
finanze, delle infrastrutture e dei trasporti, della giustizia, dell’interno
e sentita la Conferenza unificata) non avente natura regolamentare per la disciplina
delle concrete modalità operative e ad un regolamento su proposta del
Ministro per la funzione pubblica (di concerto con quelli dell’economia,
dei trasporti, della giustizia e dell’interno) per la fissazione dei
requisiti necessari e le modalità di esercizio, nonché per l’eventuale
estensione ad altre categorie della possibilità di svolgere l’attività di
autenticazione.

Non essendo pervenuti all’adozione di detti provvedimenti attuativi,
con la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006), commi
390, 391 e 392, si è giunti ad una nuova disciplina, sostitutiva della
precedente.

Anche in quest’ultima norma le concrete modalità operative sono
state demandate ad un decreto del Ministro della funzione pubblica (di concerto
con quelli dell’economia e delle finanze, delle infrastrutture e dei
trasporti, della giustizia e dell’interno), che non è stato sinora
emanato.

La disposizione, allo stato inattuata, è, inoltre, non del tutto univoca
sia quanto all’individuazione dei soggetti competenti alla autentica,
sia quanto alle relative modalità. In considerazione dell’urgenza
di un intervento di semplificazione e liberalizzazione, si ritiene, pertanto,
necessario intervenire con un provvedimento di urgenza per porre in capo al
cittadino la facoltà di avvalersi, in alternativa al ricorso al notaio,
di ulteriori modalità di autenticazione della firma, rivolgendosi al
proprio comune di residenza o agli sportelli telematici dell’automobilista.

Articolo 8.

Il processo di liberalizzazione del settore assicurativo e, in particolare,
della Responsabilità civile auto (RCA), avviato nel 1994 ha fortemente
deluso le aspettative dei consumatori, relativamente al mancato impatto positivo
della deregolamentazione di tariffe e condizioni di contratto sul livello dei
prezzi, sulla qualità dei prodotti offerti e sulle modalità distributive.
Fin dal 1996 l’Autorità garante della concorrenza e del mercato
ha, quindi, avviato una serie di indagini conoscitive volte a verificare la
situazione del mercato italiano in termini di effettiva apertura alla concorrenza,
a fronte di un costante, assai rilevante incremento dei premi assicurativi,
di una scarsa innovazione del settore e di una invariata qualità dei
prodotti.

L’indagine conoscitiva conclusa il 17 aprile 2003 dall’Autorità garante
della concorrenza e del mercato ha addebitato la descritta situazione sia ai
comportamenti anticoncorrenziali delle imprese, che ha sanzionato, sia ad alcune
caratteristiche dell’organizzazione del mercato, retaggio del periodo
precedente alla liberalizzazione, che ostacolano lo sviluppo di condizioni
competitive.

In particolare, l’analisi svolta ha mostrato che la ridotta tensione
concorrenziale che caratterizza il mercato deve essere ricondotta, in primo
luogo, alle relazioni verticali di esclusiva tra produttori e distributori
che, da un lato, ostacolano l’accesso al mercato da parte di nuovi concorrenti
in grado di esercitare una pressione competitiva sulle imprese preesistenti
e, d’altro lato, accrescono i costi dell’attività di ricerca
della migliore offerta per i consumatori, contribuendo ad irrigidire la domanda
che si rivolge alle singole imprese, in un contesto in cui la domanda complessiva
di mercato è rigida per effetto dell’obbligatorietà della
polizza ed in cui i distributori non sono incentivati ad una migliore informativa
sui prodotti offerti a causa dell’imposizione, da parte delle compagnie,
dei prezzi minimi e degli sconti massimi praticabili ai consumatori finali.

Non appare, quindi, affatto irragionevole la disposizione di legge recata dall’articolo
proposto che sancisce la nullità delle nuove clausole contrattuali di
esclusiva tra compagnie ed agenti assicurativi e di fissazione dei prezzi minimi
e degli sconti massimi praticabili ai consumatori, e che inoltre acclara, in
sede di interpretazione autentica, la nullità delle medesime clausole,
essendone stata così autorevolmente accertata la contrarietà al
princìpio di libera concorrenza, sancito dal diritto nazionale, nonché dal
diritto comunitario a far data dalla data di entrata in vigore della legge
14 ottobre 1957, n. 1203, di ratifica del primo Trattato di Roma.

In particolare, l’articolo proposto stabilisce l’immediato divieto
per le compagnie assicurative e i loro agenti di vendita di stipulare nuove
clausole contrattuali di distribuzione esclusiva e di imposizione di prezzi
minimi o di sconti massimi per l’offerta di polizze relative all’assicurazione
obbligatoria per la responsabilità civile auto.

Con il comma 2 si stabilisce che le clausole contrattuali che legano, in esclusiva,
uno o più agenti assicurativi o altro distributore di servizi assicurativi
relativi al ramo responsabilità civile auto ad una o più compagnie
assicurative individuate, o che impongono ai medesimi soggetti il prezzo minimo
o lo sconto massimo praticabili ai consumatori per gli stessi servizi sono
nulle per contrarietà a norme imperative, secondo quanto previsto dall’articolo
1418 del codice civile.

Al fine di salvaguardare i rapporti contrattuali in essere e consentire alle
imprese di potere adeguare la propria organizzazione imprenditoriale ai princìpi
comunitari di cui la nuova disciplina è espressione, le clausole sottoscritte
prima della data di entrata in vigore del presente decreto sono fatte salve
sino alla loro naturale scadenza e comunque non oltre il 1º gennaio 2008.

Il comma 3, infine, assimila le clausole contrattuali di cui trattasi alla
fattispecie delle intese restrittive della concorrenza, così come disciplinate
dall’articolo 2 della legge generale sulla tutela della concorrenza (legge
10 ottobre 1990, n. 287) e li assoggetta direttamente ai poteri di vigilanza
dell’Autorità garante.

Articolo 9.

Con le disposizioni contenute nell’articolo proposto si intende pervenire
ad una più diffusa informazione a vantaggio dei consumatori dei prezzi
all’ingrosso dei prodotti agro-alimentari trattati nei mercati all’ingrosso
tramite il collegamento di regioni e comuni al sistema informativo del Consorzio
obbligatorio infomercati, previsto dal decreto legge 17 giugno 1996, n. 321,
convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1996, n. 421, e vigilato
dal Ministero dello sviluppo economico e dal Ministero delle politiche agricole,
alimentari e forestali, incaricati delle gestione del sistema telematico dei
mercati agro-alimentari all’ingrosso.

Inoltre viene attribuita al medesimo Consorzio infomercati la possibilità di
effettuare sul territorio, su richiesta dei comuni, rilevazioni dei prezzi
al dettaglio dei medesimi prodotti (stessa specie e stessa categoria merceologica)
trattati nei locali mercati all’ingrosso.
Si vuole in tal modo eliminare qualsiasi indeterminatezza, confusione metodologica,
e discordanza fra le due rilevazioni. Lo stesso prodotto sarà seguito
dal momento in cui viene introdotto nel mercato fino al momento in cui viene
messo nella «borsa» del consumatore.
Con il comma 1 il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero delle politiche
agricole, alimentari e forestali mettono a disposizione di regioni e comuni
il collegamento al sistema informativo del Consorzio obbligatorio infomercati
ai fini della rilevazione al dettaglio degli stessi prodotti riscontrati all’ingrosso.
I programmi di rilevazione saranno effettuati tenendo conto dell’articolazione
dei canali distributivi (esercizi di vicinato, grande distribuzione organizzata
e commercio su aree pubbliche).
Il comma 2 consente al Consorzio obbligatorio infomercati, con una integrazione
alla disposizione di legge che lo ha istituito, di effettuare rilevazione di
prezzi al dettaglio dei prodotti agro-alimentari.
La norma non comporta oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato in
quanto le iniziative in essa previste attengono alla medesima linea di attività disciplinata
dal decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni,
dalla legge 24 novembre 2003, n. 326.

Articolo 10.

La materia è specificamente disciplinata dal testo unico delle leggi
in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1º settembre
1993, n. 385, (TUB), in particolare dall’articolo 118 che regola la «modifica
unilaterale delle condizioni contrattuali» e secondariamente, in attuazione
della normativa primaria, dalla delibera CICR del 4 marzo 2003, recante la «Disciplina
della trasparenza delle condizioni contrattuali delle operazioni e dei servizi
bancari e finanziari».

L’articolo 118 del TUB norma la possibilità di modificare le
condizioni contrattuali solo se previsto dal contratto, riconosce un breve
termine per esercitare il recesso senza penalità e stabilisce il diritto
al mantenimento delle vecchie condizioni fino al recesso.
La successiva deliberazione del CICR del 4 marzo 2003, all’articolo 11,
stabilisce che le variazioni generalizzate possono essere comunicate al cliente
in modo indiretto e impersonale tramite pubblicazione su Gazzetta Ufficiale,
da questa pubblicazione parte il termine per recedere senza penalità e
alle vecchie condizioni.

Attualmente quindi le banche variano tassi di interesse, prezzi e altre condizioni
delle operazioni e dei servizi, inseriscono nuove voci di costo, con modalità che
non consentono al cliente di reagire cambiando banca. Spesso accade che le
comunicazioni delle variazioni non sono comunicate tempestivamente e direttamente
al cliente, ma pubblicate in Gazzetta Ufficiale: dal giorno della pubblicazione
il cliente ha soltanto 15 giorni per recedere e cambiare banca.

Secondo la recente segnalazione del 26 maggio 2006 dell’Autorità garante
della concorrenza e del mercato la maggioranza delle banche utilizza ampiamente
lo strumento dello ius variandi comunicando anche più di dieci variazioni
nell’arco di un anno.

La mancanza di preavviso, i tempi stretti per recedere (si pensi a chi dovendo
cambiare conto corrente deve trasferire domiciliazione delle utenze, carta
di credito, eventuali finanziamenti e mutui, conto titoli, e così via),
l’impossibilità di fare affidamento sulla durata delle condizioni
contrattuali di un eventuale nuovo contratto, impedendo di fatto la ricerca
di migliori offerte e il passaggio a banche concorrenti, costituiscono quindi
ostacoli alla mobilità della clientela (quest’ultimo aspetto peraltro
oggetto dell’apertura dell’indagine conoscitiva n. 13771 del 16
novembre 2004 della stessa Autorità, con riferimento specifico ai costi
di chiusura dei conti correnti bancari).

Secondo l’Antitrust, le specifiche disposizioni sui contratti bancari
di durata andrebbero correlati agli istituti normativi più generali
posti a tutela del consumatore, in ragione dell’assimilazione di quest’ultimo
soggetto ad una parte contraente più debole, quali quelli definiti dal
decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante «Codice del consumo».

In particolare con la definizione di «clausola vessatoria» nel
momento in cui determina a carico del consumatore un significativo squilibrio
dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto «malgrado la buona
fede». Ed, infatti, l’articolo 33, comma 2, lettera m), del codice
del consumo sancisce una presunzione di vessatorietà, e quindi di nullità,
per tutte le clausole che hanno per oggetto o per effetto di «consentire
al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto,
ovvero le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un
giustificato motivo indicato nel contratto stesso».

Tuttavia, nella trasposizione nazionale della direttiva europea sulle clausole
vessatorie, si è voluto mitigare il divieto, inserendo, con il comma
3 dell’articolo 33, una deroga: «Se il contratto ha ad oggetto
la prestazione di servizi finanziari a tempo indeterminato, il professionista
può, […] b) modificare, qualora sussista un giustificato motivo, le
condizioni del contratto, preavvisando entro un congruo termine il consumatore,
che ha diritto di recedere dal contratto».

Quindi la banca può cambiare le condizioni soltanto se:

– tale possibilità è prevista dal contratto con una clausola
specificamente approvata dal cliente;
– indica un «giustificato motivo» cioè una
valida ragione per giustificare il cambiamento;
– preavvisa con un termine congruo;
– concede al cliente la possibilità di recedere.

Come si è precedentemente illustrato, questo non accade. Anche secondo
la giurisprudenza (vedi Corte d’Appello di Roma 24 settembre 2002), le
banche dovrebbero rispettare il codice del consumo nella stipulazione dei contratti
bancari rivolti ai consumatori in quanto ricompresi nella più generale
categoria di contratti per servizi di natura finanziaria.

Per l’Antitrust la normativa di settore è in contrasto col codice
del consumo e non consente una libera concorrenza tra gli operatori.

Di fatto il correntista non può esercitare il suo diritto di recedere
senza penalità e alle vecchie condizioni perché la comunicazione
in Gazzetta Ufficiale non è ricettizia, la comunicazione personale della
variazione avviene quando le condizioni sono già vigenti ed è trascorso
il termine di 15 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta. Manca, dunque, il
preavviso, il giustificato motivo e un termine congruo per il recesso.

Pertanto, con l’articolo proposto si riscrive l’articolo 118 del
TUB introducendo: il giustificato motivo a sostegno delle variazioni sfavorevoli;
l’obbligo di rendere comprensibili, mediante una specifica comunica scritta
al cliente, le variazioni con un preavviso minimo di 30 giorni; il termine
di 60 giorni dalla comunicazione delle variazioni per recedere dal contratto
senza sostenere alcuna spesa di chiusura del conto corrente, con l’applicazione
delle condizioni precedentemente praticate. Si stabilisce, altresì,
che le variazioni contrattuali adottate senza il rispetto delle predette condizioni
siano inefficaci, se pregiudizievoli per il consumatore, e che le variazioni
dipendenti da modifiche del tasso di riferimento debbano operare sia sui tassi
debitori che su quelli creditori.

Articolo 11.

La presenza di rappresentanti della categoria – con evidente commistione
di interessi – nelle Commissioni consultive per l’iscrizione ai
relativi ruoli, per l’esercizio delle funzioni di vigilanza, ed in quella
giudicatrice per gli esami di mediatore può dar luogo ad effetti distorsivi
della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato.

Oltre che per detti motivi, analogamente a quanto operato con interventi
volti alla semplificazione amministrativa, adottati soprattutto nel corso dell’ultimo
decennio, la soppressione di organi collegiali di natura consultiva risponde
inoltre a finalità di snellimento dei procedimenti amministrativi e
di contenimento della spesa pubblica.
Con l’articolo si propone di sopprimere le seguenti commissioni:

– le commissioni comunali e provinciali sull’insediamento dei
pubblici servizi (bar e ristoranti), di cui all’articolo 6 della legge
25 agosto 1991, n. 287, in cui, per i comuni con popolazione superiore ai diecimila
abitanti, erano presenti un rappresentante del sindaco, uno del questore, il
direttore dell’ufficio provinciale dell’industria, oggi soppresso,
rappresentanti delle organizzazione del commercio, del turismo e dei servizi,
un rappresentante dell’azienda di promozione turistica, tre esperti designati
dalle associazioni di categoria nel settore della somministrazione di alimenti
e di bevande, un rappresentante delle organizzazioni sindacali maggiormente
rappresentative ed uno delle associazioni dei consumatori. La suddetta legge
n. 287 del 1991 (e, quindi, l’operatività delle commissioni sui
pubblici esercizi) continua ad essere attualmente vigente nelle regioni che
non hanno ancora esercitato la propria competenza legislativa esclusiva in
materia;

– la commissione provinciale per l’iscrizione al ruolo e alla
tenuta del ruolo degli agenti di affari in mediazione, di cui all’articolo
7 della legge 3 febbraio 1989, n. 39, in cui, tra gli altri, oltre ai rappresentanti
delle organizzazioni imprenditoriali dei settori dell’industria, dell’agricoltura
e del commercio, sono presenti anche cinque rappresentanti degli agenti di
affari in mediazione;
– la commissione centrale per l’esame dei ricorsi degli agenti di
affari in mediazione, di cui all’articolo 4 della legge n. 39 del 1989,
in cui, tra gli altri, oltre ai rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali
dei settori dell’industria, dell’agricoltura e del commercio, sono
presenti anche sette rappresentanti degli agenti di affari in mediazione;
– la commissione provinciale per l’iscrizione al ruolo e alla tenuta
del ruolo degli agenti e rappresentanti di commercio, di cui all’articolo
4 della legge 3 maggio 1985, n. 204, in cui oltre ai rappresentanti delle organizzazioni
imprenditoriali dei settori dell’industria, dell’artigianato e del
commercio, sono presenti anche sette membri scelti tra gli agenti e rappresentanti
di commercio;
– la commissione centrale per l’esame dei ricorsi avverso le decisioni
delle commissioni provinciali al ruolo degli agenti e rappresentanti di commercio,
di cui all’articolo 8 della legge n. 204 del 1985, in cui oltre ai rappresentanti
delle organizzazioni imprenditoriali dei settori dell’industria, dell’artigianato
e del commercio, sono presenti anche sette membri scelti tra gli agenti e rappresentanti
di commercio e il presidente dell’Ente nazionale di assistenza per gli
agenti e rappresentanti di commercio (Enasarco).

Con il comma 3, inoltre, viene stabilita la incompatibilità per gli
iscritti al ruolo degli agenti di affari in mediazione a prendere parte in
qualità di componente della commissione incaricata di giudicare, mediante
esame diretto, i candidati aspiranti a svolgere la medesima professione. Tale
commissione è attualmente disciplinata dalle norme regolamentari attuative
della legge n. 39 del 1989.

Anche l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con
la segnalazione n. AS 337 dell’11 aprile 2006 riguardante gli usi tariffari
in materia di servizi di mediazione, è intervenuta sull’argomento
auspicando l’introduzione del divieto, sia a livello normativo che amministrativo – da
parte delle camere di commercio nel caso esaminato – della partecipazione
ai lavori di commissioni e comitati tecnici di rappresentanti di interessi
contrapposti.
Con il comma 5 si recepisce l’auspicio dell’Antitrust, vietando
la partecipazione di rappresentanti di associazioni di categoria aventi interesse
diretto nei comitati tecnici per la rilevazione degli usi, istituiti presso
le Camere di commercio.

Articolo 12.

La previsione di diritti di esclusiva nello svolgimento dei servizi di interesse
generale di rilievo economico, svolti in ambito locale, risponde, almeno in
alcuni casi, all’esigenza di garantire i caratteri di universalità,
accessibilità ed adeguatezza dei servizi pubblici locali, ma non garantisce
di per sé né il miglioramento della qualità del servizio,
né la sua articolazione e flessibilità in relazione alla crescente
diversificazione dell’esigenza dell’utenza.

D’altro canto, la presenza di ingenti immobilizzazioni economiche,
così come avviene per il possesso dei mezzi pubblici necessari all’esercizio
del trasporto passeggeri di linea in ambito locale, osta ad un ulteriore sviluppo
del settore mediante il ricorso alle regole di mercato e la conseguente offerta
concorrenziale di più opzioni all’utenza, che, quindi, per una
parte non accede al servizio pubblico in esame, facendo ricorso al proprio
automezzo privato, con gravi ripercussioni sulla situazione del traffico e
dell’inquinamento urbano.

In tale contesto, l’articolo 12, senza intaccare lo svolgimento del servizio
pubblico locale di trasporto di linea di persone, prevede la facoltà per
i comuni di limitare, secondo criteri di proporzionalità e sussidiarietà,
l’ambito di esclusiva in materia. I comuni interessati potranno, quindi,
prevedere, a fianco del servizio pubblico, tratte sulle quali possano competere
anche operatori privati, in possesso dei necessari requisiti tecnici, professionali
e morali, che opereranno sul mercato secondo criteri imprenditoriali, prefissando
autonomamente orari e tariffe, senza oneri di servizio pubblico, restando quindi
esclusi anche da ogni forma di sussidio pubblico.

La competizione, lungo alcune tratte, tra servizio pubblico locale e nuovi
servizi privati di linea aperti all’accesso del pubblico, comporterà quindi,
senza alcun aggravio per la pubblica finanza, una positiva dinamica competitiva,
che potrà determinare, da un lato, il progressivo miglioramento della
qualità del servizio offerto dal gestore del servizio pubblico e, dall’altro,
una progressiva articolazione e differenziazione dell’offerta del servizio,
secondo modalità dirette a fasce differenziate di utenza, di modo che
l’offerta del nuovo servizio privato interesserà presumibilmente
anche molti soggetti che oggi non si avvalgono usualmente del servizio pubblico,
comportando un aumento complessivo della domanda di trasporto di linea, con
benefici effetti anche sul piano della mobilità urbana.

Il comma 2 del medesimo articolo, in linea con le finalità del provvedimento
di tutela dei diritti degli utenti e in relazione alla prevista parziale apertura
al mercato dei servizi di trasporto pubblico urbano di linea, salvaguarda i
poteri degli enti locali di disciplina del traffico locale, già previsti
dal vigente codice della strada, peraltro, secondo una disciplina che si è rivelata
non del tutto idonea a garantire le comunità locali.

La norma individua quindi, con disposizione immediatamente operativa, i diritti
fondamentali della persona (salute, salubrità ambientale e sicurezza
degli utenti della strada), nonché il superiore interesse pubblico della
comunità locale ad una adeguata mobilità urbana, che dovranno
motivare i futuri tempestivi interventi pubblici, in conformità ai princìpi
di sussidiarietà, proporzionalità, leale collaborazione e non
discriminazione tra gli operatori economici parimenti interessati all’utilizzo
della viabilità urbana.

Gli enti locali potranno, pertanto, disciplinare l’accesso, il transito
e la fermata di ciascuna categoria di veicolo nelle diverse aree dei centri
abitati, anche in relazione alle specifiche modalità di utilizzo, in
particolari contesti urbani e di traffico, prevedendo, ad esempio, le modalità e
gli eventuali divieti per la sosta ed anche per la fermata, in particolare
dei veicoli di maggiori dimensioni, per la circolazione dei veicoli maggiormente
inquinanti o più ingombranti (o più onerosi per la sede stradale)
in determinate aree centrali, nonché per l’accesso dei veicoli,
in particolari condizioni di traffico o di inquinamento, anche in relazione
all’impatto sull’inquinamento e sul traffico ed al numero di persone
che vengono trasportate da ciascun veicolo. Viene, altresì, previsto
che gli enti locali possano istituire zone di divieto di fermata, anche limitato
a fasce orarie, al fine di arginare i pericoli e gli intralci alla circolazione
derivanti dalle frequenti fermate, anche in doppia o tripla fila, che spesso
caratterizzano le aree centrali e le aree periferiche delle città. Sono,
infine, autorizzati mezzi di rilevazione delle infrazioni fotografici e telematici,
che dovranno comunque essere utilizzati secondo modalità rispettose
della riservatezza, ad esempio oscurando, all’atto della notifica dell’infrazione,
i tratti del volto degli altri soggetti eventualmente raffigurati sul supporto
visivo.

Articolo 13.

L’articolo reca norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici
regionali e locali e a tutela della concorrenza.

Ai commi 1 e 2 si prevede che le società, a capitale interamente pubblico
o misto, costituite dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per
la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali
enti, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato
di funzioni amministrative di loro competenza, devono avere oggetto sociale
esclusivo ed operare esclusivamente con gli enti costituenti ed affidanti,
non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati,
né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare
ad altre società o enti. La norma ha la finalità di evitare alterazioni
o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli
operatori.
Il comma 3 dispone la cessazione, entro dodici mesi dalla data di entrata in
vigore del presente decreto-legge, delle attività non consentite da
parte delle società di cui al comma 1. Esse possono, però, cedere
la attività non consentite a terzi ovvero scorporarle, anche costituendo
una separata società da collocare sul mercato secondo le procedure del
decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla
legge 30 luglio 1994, n. 474, entro ulteriori dodici mesi.
Il comma 4 sanziona con la nullità i contratti conclusi in violazione
delle prescrizioni dei commi 1 e 2.

Articolo 14.

La legge 10 ottobre 1990, n. 287, al momento della sua entrata in vigore
costituiva un esempio di normativa concorrenziale aderente al diritto comunitario.
Oggi essa non risulta più del tutto in linea con l’impianto di
fondo del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002.

In particolare, con riferimento ai poteri di «enforcement», sarebbe
opportuno aggiungere, in un quadro di chiara e coerente disciplina, le nuove
tipologie previste dal regolamento (CE) n. 1/2003. Tra queste meriterebbero
sicuramente recepimento, i poteri cautelari ed i relativi rimedi in caso di
inottemperanza e le decisioni di accoglimento degli impegni, senza l’accertamento
dell’illecito, previste dall’articolo 9 del regolamento (CE) n.
1/2003.

La giurisprudenza ha ritenuto compatibile con la normativa attuale la possibilità che
l’Autorità adotti provvedimenti cautelari. Tuttavia, ai fini della
certezza del diritto, sarebbe auspicabile una definitiva chiarificazione legislativa
sul punto ed una puntuale definizione dei poteri dell’Autorità in
caso di inottemperanza al provvedimento cautelare.

La decisione volta ad accettare impegni secondo il modello previsto dall’articolo
9 del regolamento (CE) n. 1/2003 si presta ad un uso duttile e consentirebbe
di ripristinare il corretto funzionamento del mercato non appena ne fosse intravista
un’alterazione, sulla base di un rapporto collaborativo con le imprese.
Anche in questo caso risulterebbe indispensabile alla funzionalità dello
strumento una disciplina compiuta dei rimedi in caso di violazione degli impegni
assunti.

Sarebbe poi opportuno prevedere esplicitamente la possibilità di imporre,
in caso di accertata violazione degli articoli 81 e 82 del Trattato e 2 e 3
della legge n. 287 del 1990, sia rimedi comportamentali che strutturali per
il ripristino degli assetti concorrenziali violati. Attualmente, tali rimedi
non sembrano in realtà del tutto esclusi dal nostro ordinamento, atteso
che la diffida che l’Autorità adotta ai sensi dell’articolo
15 può avere gli specifici contenuti funzionali all’eliminazione
delle infrazioni accertate e delle loro conseguenze, come si evince anche da
alcune pronunce del Consiglio di Stato (sez. VI, n. 926/2004).

È , comunque, evidente il vantaggio in termini di certezza di una disciplina
esplicita.
Infine, auspicabile sarebbe la formalizzazione della possibilità di
adottare riduzioni delle sanzioni amministrative pecuniarie laddove l’impresa
presti una qualificata collaborazione nell’accertamento delle infrazioni
alle regole di concorrenza.
Gli interventi normativi d’urgenza auspicati si possono agevolmente tradurre
in integrazioni puntuali alle disposizioni della legge n. 287 del 1990.

Articolo 15.

L’articolo 15 – coerentemente con la speciale disciplina prevista
dal programma di Governo per le risorse idriche – interviene sulla gestione
del relativo servizio idrico integrato, posticipando di un anno i termini previsti
dall’articolo 113, commi 15-bis e 15-ter, del testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto
2000, n. 267, come introdotti dall’articolo 14 del decreto-legge 30 settembre
2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003,
n. 326, e poi ulteriormente modificati dal comma 234 dell’articolo 4
della legge 24 dicembre 2003, n. 350, in materia di:

– cessazione delle concessioni rilasciate con procedure diverse dall’evidenza
pubblica;
– possibilità di differimento del termine di cui sopra ad una data
successiva, previo accordo, raggiunto caso per caso, con la Commissione europea,
a determinate condizioni indicate dal medesimo comma 15-ter.

TITOLO II

Il Titolo II reca misure urgenti per la ripresa degli interventi infrastrutturali,
interventi per il sostegno della famiglia e misure di contenimento e razionalizzazione
della spesa pubblica.

Esso si suddivide in tre capi.

Capo I

Il Capo I contiene misure per la ripresa degli interventi infrastrutturali.

Articolo 16.
In sede di applicazione dell’articolo 1, commi 2 e 3, del decreto-legge
21 febbraio 2005, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 aprile
2005, n. 58, la Corte dei conti ha manifestato perplessità sul decreto
di variazione al bilancio dello Stato per l’anno 2005 con il quale si è proceduto
a disporre la riduzione dei trasferimenti erariali spettanti alle regioni a
statuto ordinario – e corrispondenti all’onere che la richiamata
normativa ha posto a carico delle regioni in aggiunta all’onere di 200
milioni di euro annui originariamente posti a carico dello Stato – a
valere sulle somme da attribuire a titolo di compartecipazione all’IVA.

Le perplessità sono state manifestate in quanto la compartecipazione
IVA non configura un trasferimento ma una manifestazione di fiscalità locale.
Al fine di ovviare per gli anni 2006 e seguenti ai suddetti inconvenienti si
dispone la modifica della suddetta normativa che non comporta alcun effetto
sostanziale sull’intervento finanziario disposto per il rinnovo del 1º biennio
del contratto collettivo 2004-2007 relativo al settore del trasporto pubblico
locale; modifica che, infatti, elimina la complessa procedura originariamente
prevista, stabilendo che l’intervento dello Stato viene corrisposto alle
regioni, non nell’importo lordo comprensivo della quota di 60 milioni
posta a carico delle regioni e recuperato sui trasferimenti statali, ma nell’importo
posto a effettivo carico del bilancio statale, al quale dovrà essere
aggiunta direttamente dalle regioni la quota a loro carico.
Il comma 2 prevede l’esclusione dal Patto di stabilità interno
delle spese di investimento per il trasporto su ferro ricadenti nel territorio
della Capitale.

Articolo 17.

La disposizione prevede, per la prosecuzione degli interventi relativi al «Sistema
alta velocità-alta capacità», per l’anno 2006, un
contributo dello Stato, in conto impianti, nel limite massimo di 1.800 milioni
di euro a favore di Ferrovie dello Stato Spa o a società del gruppo.
Inoltre, viene previsto, a favore dell’ANAS Spa, un ampliamento, per
1.000 milioni di euro, della capacità di spesa rispetto al limite già previsto
dall’articolo 1, comma 32, della legge 23 dicembre 2005, n. 266.

Articolo 18.

La disposizione prevede un incremento delle dotazioni, determinate dalla
tabella C della legge 23 dicembre 2005, n. 266, del Fondo nazionale per il
servizio civile di cui all’articolo 19 della legge 8 luglio 1998, n.
230, del Fondo per le politiche sociali di cui all’articolo 20, comma
8, della legge 8 novembre 2000, n. 328, e del Fondo unico per lo spettacolo
di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163.

Capo II

Il Capo II, composto dal solo articolo 19, reca interventi per le politiche
della famiglia, per le politiche giovanili e per le politiche relative ai diritti
e alle pari opportunità.

Articolo 19.

Con l’articolo 19 vengono istituiti tre fondi per interventi destinati
alle politiche della famiglia, a quelle giovanili e alle pari opportunità,
ciascuno con dotazione pari a 3 milioni di euro per l’anno 2006 e 10
milioni di euro a decorrere dall’anno 2007.

Capo III

Il Capo III contiene varie misure di contenimento e di razionalizzazione
della spesa pubblica.

Articolo 20.

La disposizione è volta ridurre, per l’anno 2006, e ulteriormente
a decorrere dall’anno 2007, l’autorizzazione di spesa per il settore
dell’editoria di cui alla legge 25 febbraio 1987, n. 67, come determinata
dalla tabella C della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006).

L’editoria è un settore nel quale appare necessario proseguire
l’intervento di razionalizzazione della spesa attivato con la legge finanziaria
2006, articolo 1, commi da 454 a 464.
Viene, infine, ridotta la dotazione relativa all’autorizzazione di spesa
di cui all’articolo 1 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, come determinata
dalla tabella C della legge finanziaria 2006.

Articolo 21.

Al fine di evitare la formazione di eccedenze di spesa, viene modificata
la disciplina connessa al pagamento delle spese di giustizia, impedendo, nella
relativa procedura di erogazione, l’anticipazione da parte di Poste Spa,
fatta eccezione per le spese di notifica d’ufficio relative ai processi
penali.

I commi da 4 a 6 hanno la finalità di istituire una fonte di finanziamento
per la copertura di parte dei costi di gestione della giustizia amministrativa,
in analogia a quanto previsto per la giustizia ordinaria dall’articolo
1, comma 309, della legge 30 dicembre 2004, n. 311.
Le innovazioni introdotte dalla norma nella disciplina del contributo unificato
dovuto per i processi davanti ai tribunali amministrativi regionali e davanti
al Consiglio di Stato sono le seguenti:

– l’importo del contributo è fisso (euro 500), anziché commisurato
al valore della vertenza;

– il contributo è dovuto anche per la fase cautelare (euro 250).

La previsione di un contributo di importo fisso per i processi amministrativi
si giustifica per il fatto che la maggior parte dei ricorsi davanti al giudice
amministrativo (presumibilmente circa il 90 per cento) sono diretti ad ottenere
l’annullamento di un atto e, pertanto, sono di valore indeterminabile.
Inoltre, pur quando si tratta di ricorsi diretti al conseguimento di un bene
della vita, spesso il petitum è espresso in forma generica. Questa consuetudine
si spiega in quanto nel processo amministrativo il valore della causa è irrilevante
ai fini processuali. In realtà il valore sostanziale delle vertenze
supera spesso il limite che si riferisce alle cause di valore indeterminato.

La contribuzione in misura fissa semplifica il controllo da parte dell’ufficio
preposto alla ricezione del ricorso, che richiederebbe, altrimenti, un esame
del ricorso e del fascicolo e determinerebbe, per conseguenza, un rilevante
e non sostenibile aggravio di lavoro.
Il pagamento di un contributo (euro 250) per il giudizio cautelare trova giustificazione
nel fatto che tale fase dà vita ad attività del giudice amministrativo
e degli uffici di supporto sostanzialmente equivalente a quella richiesta dal
giudizio di merito (audizione delle parti; decisione in forma collegiale; appellabilità)
e richiede, pertanto, un investimento di risorse umane e materiali sostanzialmente
equivalente. Un analogo contributo di misura ridotta (euro 250) è dovuto
per il processo conseguente al «silenzio» dell’amministrazione,
per il processo a tutela del diritto di accesso ai documenti e per i giudizi
di ottemperanza. Beninteso, restano ferme nel processo amministrativo sia le
ipotesi di esenzione previste dall’articolo 10 del testo unico di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, sia la disciplina
di favore prevista dal successivo articolo 11 per coloro che sono ammessi al
patrocinio a spese dello Stato.

Il comma 5 introduce una sanzione per l’omesso o parziale pagamento del
contributo, colmando così una lacuna della disciplina vigente, che configura
una rara se non unica ipotesi di obbligazione tributaria il cui inadempimento
comporta soltanto il pagamento di interessi calcolati al saggio legale. La
soluzione si conforma a quanto previsto nell’ipotesi di omesso o parziale
pagamento dell’imposta di registro.
Il maggior gettito derivante, nell’anno 2006, dall’incremento dell’importo
del contributo previsto dall’articolo 1, comma 309, della legge 30 dicembre
2004, n. 311, per la parte relativa ai processi amministrativi, è destinato
alle spese di funzionamento della giustizia amministrativa, largamente inferiori,
in proporzione, rispetto a quelle degli altri plessi giurisdizionali.

Articolo 22.

La disposizione prevede una riduzione del 10 per cento degli stanziamenti
per l’anno 2006 relativi a spese per consumi intermedi dei bilanci di
enti ed organismi pubblici non territoriali, individuati ai sensi dell’articolo
1, commi 5 e 6, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, con esclusione delle
aziende sanitarie ed ospedaliere, degli istituti di ricovero e cura a carattere
scientifico, dell’Istituto superiore di sanità, dell’Istituto
superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, dell’Agenzia
italiana del farmaco, degli Istituti zooprofilattici sperimentali e delle istituzioni
scolastiche. Le somme provenienti da tali riduzioni sono versate da ciascun
ente all’entrata del bilancio dello Stato.

Inoltre, è prevista una misura di contenimento delle stesse voci di
spesa anche per il triennio 2007-2009. Infatti, le relative previsioni di spesa
non potranno superare l’80 per cento delle previsioni di spesa iniziali
dell’anno 2006.

Articolo 23.

La disposizione, nell’ottica dello snellimento e della semplificazione
dell’azione amministrativa, è diretta ad eliminare il parere di
legittimità del Consiglio universitario nazionale sulle procedure di
valutazione comparativa per posti di ricercatore universitario e di professore
ordinario e associato.

Articolo 24.

L’articolo 24 mira a razionalizzare il sistema dei compensi relativi
allo svolgimento delle funzioni di arbitrato ai sensi degli articoli 806 e
seguenti del codice di procedura civile.

La disposizione, inoltre, si inquadra nell’ambito degli interventi
diretti al contenimento ed al controllo della spesa per compensi spettanti
agli arbitri in quanto applicabile alle procedure di arbitrato attivate rispetto
a contenziosi in cui sia parte una pubblica amministrazione.
Tale spesa è esponenzialmente cresciuta negli ultimi anni; in proposito
va tenuto conto anche delle conseguenze in termini di espansione del ricorso
a procedure di arbitrato per effetto della previsione dell’articolo 808-bis
introdotto con la riforma del codice di procedura civile in vigore dal 2 marzo
2006. Tale ultima disposizione, infatti, prevede la possibilità di stipulare
apposita convenzione di arbitrato anche in materia non contrattuale, ampliando
notevolmente le possibilità di risoluzione di controversie per il tramite
della procedura del deferimento in arbitri.

In materia, la normativa di riferimento per la determinazione degli onorari,
dei diritti e delle indennità per le prestazioni giudiziali, in materia
civile, amministrativa, tributaria, penale e stragiudiziali è contenuta
nel regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 8 aprile 2004,
n. 127, che, tuttavia, detta disposizioni solo in materia di compensi spettanti
agli avvocati.
La disposizione prevede che per qualsiasi tipo di arbitrato la misura del compenso
degli arbitri, anche se non avvocati, è determinata sulla base dei parametri
di cui ai punti 8. e 9. della Tabella D allegata al citato regolamento di cui
al decreto del Ministro della giustizia 8 aprile 2004, n. 127.
In tal modo i compensi e le indennità verranno ancorati ad un parametro
certo e valido per tutti i componenti dei collegi arbitrali.
La norma, nel razionalizzare il sistema dei compensi, comporterà senz’altro
notevoli risparmi di spesa, tenuto conto del rilevante entità del contenzioso,
di cui è parte la pubblica amministrazione, risolto in sede arbitrale,
il cui effetto potrebbe rilevarsi soltanto a consuntivo.

Articolo 25.

Ai fini del contenimento della spesa pubblica, la norma prevede che negli
stati di previsione della spesa delle amministrazioni centrali sono accantonate
quote di stanziamenti specificatamente indicate nell’elenco 1 allegato
al decreto-legge. Nello stesso elenco sono indicate le riduzioni da apportare
alle previsioni di bilancio a legislazione vigente per il triennio 2007-2009.

Tali accantonamenti sono versati all’entrata del bilancio dello Stato
entro il mese di novembre 2006.
Ai fini della responsabilizzazione nella gestione delle risorse dell’anno
2006, e fino al 30 novembre 2006, per effettive, motivate e documentate esigenze,
il Ministro competente, d’intesa con il Ministro dell’economia
e delle finanze, con propri decreti, da comunicare alle competenti Commissioni
parlamentari, alla Corte dei conti ed al coesistente Ufficio centrale di bilancio,
può modificare gli accantonamenti di cui al comma 2, fermo restando
il mantenimento dell’effetto complessivo sul fabbisogno e sull’indebitamento
netto.
Inoltre, su richiesta delle amministrazioni, potrà essere effettuata
una diversa distribuzione delle riduzioni relative al triennio 2007-2009, indicate
nell’elenco di cui al comma 1, in sede di manovra finanziaria per il
triennio medesimo.

Articolo 26.

La disposizione rende più stringente il rispetto della norma di contenimento
dell’incremento delle spese di cui al comma 57 dell’articolo 1
della citata legge n. 311 del 2004, ai sensi della quale, per il triennio 2005-2007,
gli enti indicati nell’elenco 1 allegato alla citata legge, inseriti
nel conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche – ad
eccezione degli enti di previdenza di cui al decreto legislativo 30 giugno
1994, n. 509, e al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, delle altre
associazioni e fondazioni di diritto privato e degli enti del sistema camerale – possono
incrementare per l’anno 2005 le proprie spese, al netto delle spese di
personale, in misura non superiore all’ammontare delle spese dell’anno
2003 incrementato del 4,5 per cento. La norma richiamata dispone, inoltre,
per gli anni 2006 e 2007 l’applicazione di un limite all’incremento
delle predette spese in misura non superiore al 2 per cento di quelle sostenute,
rispettivamente, nel 2005 e nel 2006.

Tenuto conto della circostanza che il citato comma 57, nel caso di inottemperanza,
non prevede misure di tipo sanzionatorio, l’articolo 26 del decreto introduce
la previsione secondo cui, in caso di mancato rispetto dei limiti di incremento
della spesa, i trasferimenti statali a qualsiasi titolo operati a favore di
detti enti sono ridotti in misura pari alle eccedenze di spesa risultanti in
sede di rendiconto consuntivo relativi agli esercizi 2005, 2006 e 2007.
Agli enti interessati che non beneficiano di contributi a carico del bilancio
dello Stato viene imposto il versamento all’entrata del bilancio dello
Stato delle predette eccedenze di spesa.
In relazione agli adempimenti in precedenza descritti, la norma introduce a
carico delle amministrazioni vigilanti un obbligo di comunicazione – fissato
entro il 31 luglio di ciascun anno – dell’ammontare delle predette
eccedenze di spesa al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento
della Ragioneria generale dello Stato.

Articolo 27.

La norma prevede una ulteriore riduzione delle spese per studi, incarichi
di consulenza e convegni rispetto a quella già indicata dall’articolo
1, commi 9 e 10, della citata legge n. 266 del 2005, che ha stabilito con decorrenza
dal 2006 che tali spese non possono superare il 50 per cento di quelle sostenute
nel 2004. La disposizione prevede, altresì, che dal medesimo anno 2006
dette spese non possono superare il 40 per cento di quelle sostenute nel 2004.

Articolo 28.

La norma è rivolta a contenere la spesa sostenuta dalle amministrazioni
pubbliche per l’indennità giornaliera dovuta al personale che
svolge incarichi di missione all’estero. Ciò in linea con quanto
già disposto dalla legge finanziaria 2006 che all’articolo 1,
comma 213, ha previsto la soppressione dell’indennità di trasferta
per le missioni all’interno del territorio nazionale.

A tal fine le diarie per le missioni all’estero, che trovano applicazione
sia per il personale privatizzato sia per quello in regime di diritto pubblico,
determinate, da ultimo, con la tabella B allegata al decreto ministeriale 27
agosto 1998, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 202 del 31 agosto 1998,
vengono ridotte del 20 per cento e viene soppressa la maggiorazione del 30
per cento attualmente riconosciuta ai componenti di delegazioni di cui all’articolo
3 del regio decreto 3 giugno 1926, n. 941.
Il comma 3 esclude il personale impegnato nelle missioni internazionali di
pace finanziate per il 2006 con provvedimento di proroga in corso di emanazione.

Articolo 29.

L’intervento proposto si rende necessario in quanto le vigenti disposizioni
di razionalizzazione degli organismi pubblici finalizzate alla riduzione della
relativa spesa hanno esaurito i loro effetti senza aver centrato i prefissati
obiettivi.

Infatti, nonostante le esplicite finalità di contenimento indicate
dall’articolo 12 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (revisione degli organismi
anche attraverso il loro accorpamento o soppressione, e mediante la riduzione
del numero dei componenti) è stata registrata una tendenza opposta con
una consistente proliferazione di organismi, realizzata sia in sede legislativa
che regolamentare.
Il trend di spesa non ha subito significative riduzioni per effetto dell’entrata
in vigore dell’articolo 18 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, che,
oltre al divieto di istituire nuovi organismi, ha previsto l’obbligo
per ciascuna amministrazione di individuare quelli di carattere tecnico ad
elevata specializzazione ritenuti indispensabili per la realizzazione degli
obiettivi istituzionali non perseguibili attraverso l’utilizzazione del
proprio personale.
Peraltro, considerato che la norma non fissava per le amministrazioni uno specifico
obiettivo di contenimento della spesa, sono stati confermati in sostanza tutti
gli organismi già operanti.

Per realizzare con efficacia i prefissati obiettivi di contenimento occorre,
quindi, dare un segnale di forte discontinuità rispetto ai tentativi
passati.
A tale scopo la normativa proposta riduce del 30 per cento rispetto al 2005
la spesa per commissioni, comitati e per gli altri organismi, anche a composizione
monocratica, che operino nell’ambito delle amministrazioni. Le amministrazioni
statali adottano immediatamente, comunque entro trenta giorni, le conseguenti
misure allo scopo di assicurare il rispetto del nuovo limite di spesa.
Sulla base dei princìpi indicati nel comma 2, improntati a criteri di
razionalizzazione, efficienza ed economicità, si procede al riordino
attraverso l’emanazione degli appositi regolamenti ai sensi della legge
23 agosto 1988, n. 400, per gli organismi previsti da leggi o da regolamenti,
e tramite decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, per le strutture
istituite in via amministrativa.

La norma dispone nello specifico che con i suddetti provvedimenti si procede
all’accorpamento o alla soppressione degli organismi le cui competenze
rientrino nelle attribuzioni delle amministrazioni.
Si tratta, in concreto, di intervenire nei confronti di Alti commissari, commissioni
e comitati di verifica e valutazione, comitati di esperti, nuclei di valutazione
tecnica, osservatori, segreterie tecniche eccetera, che svolgono prevalentemente
compiti di monitoraggio di attività, di verifica di dati e di valutazione
degli impatti o dei fabbisogni. Non tutti tali organismi sono necessari ed
in ogni caso appare oggettivamente possibile, nonché doveroso, che gli
stessi, ove confermati, proseguano le proprie attività con una composizione
più contenuta e/o con compensi ridotti.
Per le amministrazioni non statali, ad eccezione di regioni, enti del Servizio
sanitario nazionale e autonomie locali, per i quali le disposizioni rappresentano
princìpi di coordinamento della finanza pubblica, è previsto
un analogo processo applicativo, nel rispetto dei propri ordinamenti.
Il percorso attuativo delle misure proposte viene rafforzato, inoltre, dalla
previsione di cui al comma 5, che introduce un’apposita sanzione in caso
di inadempimento da parte della amministrazioni, anche a garanzia del conseguimento
della percentuale di riduzione di spesa indicata.

Articolo 30.

La norma, al fine di garantire il raggiungimento delle economie già previste
a legislazione vigente per regioni ed enti locali, intende rafforzare e rendere
più efficace il meccanismo di monitoraggio sulle misure adottate dagli
enti per il rispetto di quanto previsto dall’articolo 1, comma 198, della
citata legge n. 266 del 2005. In particolare – attraverso il coinvolgimento
istituzionale del sistema delle autonomie nell’elaborazione di un compiuto
sistema di verifica – viene prevista la costituzione di un tavolo tecnico
chiamato ad elaborare specifici criteri per l’accertamento del conseguimento
dell’obiettivo finanziario posto dalla richiamata disposizione.

Viene altresì prevista una sanzione nei confronti sia degli enti inadempienti
al dettato normativo che di quelli che non provvedono ad inviare la dovuta
documentazione. Si reputa infatti che l’individuazione di una specifica
sede di confronto per l’analisi dei dati e la contestuale previsione
di un meccanismo sanzionatorio possano incidere positivamente sul puntuale
impegno, da parte degli enti, nell’adempiere al dettato normativo.
Completa la disposizione, che sostituisce il comma 204 e introduce il comma
204-bis nell’articolo 1 della legge n. 266 del 2005, la previsione di
un ulteriore compito per il tavolo tecnico, chiamato a elaborare, anche sulla
scorta dei dati analizzati, specifiche proposte operative, concertate con il
sistema delle autonomie, dirette ad un contenimento strutturale delle spese
di personale nonché la condivisione delle risultanze con la Corte dei
conti, anche ai fini del referto sul costo del lavoro pubblico di cui al titolo
V del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

Articolo 31.

In base alla vigente normativa gli organi di direzione del Servizio di controllo
interno sono costituiti da collegi composti da almeno tre membri, per la maggior
parte esterni all’amministrazione, con trattamenti economici rapportabili
a quelli corrisposti ai responsabili degli uffici di diretta collaborazione.

La disposizione in esame introduce elementi di contenimento nell’ambito
della composizione del collegio di direzione del Servizio di controllo interno.
Inoltre, la disposizione fissa un limite nel contingente di personale addetto
agli uffici del Servizio rendendolo proporzionale alla consistenza numerica
del personale complessivamente assegnato. Ciò in quanto in base alla
normativa vigente, che non fissa alcun criterio o parametro di riferimento,
il numero di personale addetto presenta disomogeneità rispetto alle
necessità delle varie amministrazioni. La disposizione, ai sensi dell’articolo
10 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, si applica a tutte le pubbliche
amministrazioni.

Articolo 32.

La disposizione ha come obiettivo la riduzione della spesa relativa alle
collaborazioni occasionali o coordinate e continuative attribuite da parte
delle pubbliche amministrazioni.

A tal fine si prevede che il conferimento degli incarichi in esame sia condizionato
alla sussistenza di rigorosi presupposti legati alla elevata specializzazione
della prestazione richiesta, alla temporaneità dell’incarico e
all’oggettiva impossibilità di reperire personale specializzato
all’interno delle pubbliche amministrazioni. In questo senso si è costantemente
espressa la Corte dei conti, con l’obiettivo, perseguito sul piano finanziario
anche nell’ambito dei più recenti interventi di finanza pubblica,
di ridurre il più possibile il ricorso a tale tipologia di incarichi.
La disposizione demanda, altresì, ad appositi regolamenti adottati dalle
singole amministrazioni, da trasmettere al Dipartimento della funzione pubblica
e al Ministero dell’economia e delle finanze, la definizione dei criteri
di comparazione finalizzati al conferimento dell’incarico.

Articolo 33.

Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 riguardano l’abrogazione della
disciplina concernente la possibilità di trattenimento in servizio dei
dipendenti pubblici fino al compimento del settantesimo anno di età.

In via preliminare si rappresenta che tale disposizione si colloca all’interno
del quadro normativo delineato dalle ultime leggi finanziarie in tema di riduzione
del personale e di divieto di procedere a nuove assunzioni. Il ricorso all’istituto
del trattenimento relativo al personale in servizio presso le pubbliche amministrazioni
ha rappresentato un costo per il settore pubblico, sia per il correlato mantenimento
di retribuzioni più elevate rispetto ad un nuovo assunto nel contesto
di una disciplina di forte contenimento delle assunzioni, sia in termini di
funzionalità trattandosi di un ulteriore impedimento alle esigenze di
ricambio generazionale.
La previsione contenuta al comma 3 uniforma la disciplina dei limiti di età per
il collocamento a riposo del personale incaricato di funzioni dirigenziali
nelle amministrazioni pubbliche, sia interno che esterno, ai sensi dell’articolo
19, comma 6, del citato decreto legislativo n. 165 del 2001.
Si tratta di una misura necessaria di equità e razionalizzazione, tenuto
conto della prassi instauratasi in molte amministrazioni di attribuire un incarico
dirigenziale, in qualità di estraneo, allo stesso dirigente cessato
dal servizio per limiti di età, con mantenimento della stessa retribuzione
complessiva.

Articolo 34.

La disposizione di cui al comma 1 è rivolta a perseguire una maggiore
trasparenza ed il contenimento della spesa in materia di trattamento economico
accessorio riconosciuto in sede di contratto individuale ai titolari di un
incarico di funzione dirigenziale nelle amministrazioni statali.

A tali fini, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto
con il Ministro dell’economia e delle finanze, vengono individuati criteri
per la determinazione dei trattamenti economici accessori massimi da riconoscere
ai dirigenti in relazione all’incarico ricoperto.
Tali criteri dovranno conformarsi a princìpi di contenimento della spesa
e di omogeneità dei trattamenti stessi a parità di funzione,
con lo scopo di frenare i fenomeni di continua crescita, non sempre giustificata,
delle retribuzioni dell’alta dirigenza.
Al fine di realizzare una migliore trasparenza in materia di conferimento di
incarichi di consulenza, il comma 2 integra il comma 14 dell’articolo
53 del decreto legislativo n. 165 del 2001 nel senso di porre l’obbligo
per le pubbliche amministrazioni di pubblicare, mediante inserimento nelle
proprie banche dati accessibili al pubblico, gli elenchi degli incarichi conferiti
a soggetti estranei alle amministrazioni stesse, indicando per ogni singolo
incarico l’oggetto, la durata e l’ammontare del compenso.
Si prevede, poi (comma 3), che il Dipartimento della funzione pubblica adotti
le necessarie misure per dare una più diffusa pubblicità a tali
elenchi.

TITOLO III

Il titolo III prevede misure urgenti in materia di contrasto all’evasione
e all’elusione fiscale, di recupero della base imponibile, di potenziamento
dei poteri di controllo dell’amministrazione finanziaria, di semplificazione
degli adempimenti tributari e in materia di giochi.

Articolo 35.

L’articolo 35 reca disposizioni in materia di contrasto all’evasione
ed all’elusione fiscale.

Il comma 1 è volto a contrastare il fenomeno dell’elusione dell’IVA
che caratterizza le consumazioni obbligatorie nei locali da ballo. Nei locali
da ballo ove si svolge attività di intrattenimento o di spettacoli viene
frequentemente utilizzata la formula dell’ingresso libero con consumazione «obbligatoria».
Tale modalità di accesso e partecipazione ad esecuzioni musicali – con
o senza prevalenza di musica dal vivo – in discoteche o sale da ballo,
offerta da imprese che non svolgono quale attività principale la somministrazione
di alimenti o bevande, ma esercitano quale attività propria l’intrattenimento
o lo spettacolo, consente di fatto l’elusione dell’IVA, con aliquota
del 20 per cento, applicabile ai corrispettivi per l’ingresso in locali
da ballo.

La disposizione prevede l’applicabilità dell’aliquota IVA
del 20 per cento alle consumazioni obbligatoriamente imposte nei locali da
ballo, evitando che la fittizia gratuità dell’attività di
intrattenimento e di spettacolo con la previsione della consumazione obbligatoria
diventi una modalità per l’elusione dell’imposta. Restano
invece assoggettate all’aliquota del 10 per cento le consumazioni facoltative.

Con i commi da 2 a 4 si stabilisce che, per le cessioni aventi ad oggetto beni
immobili e relative pertinenze, l’accertamento del valore, ai fini dell’IVA
e delle imposte dirette, è desunto in base al valore normale del bene
medesimo. Conseguentemente, è abrogato l’articolo 15 del decreto-legge
23 febbraio 1995, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo
1995, n. 85.

Ai commi 5 e 6 si stabilisce, in deroga alle regole ordinarie in materia di
IVA, che, in relazione a talune operazioni aventi ad oggetto prestazioni di
servizi, poste in essere nel settore dell’edilizia, il debitore di imposta è il
destinatario del servizio (cosiddetto sistema del reverse-charge). Le prestazioni
considerate sono quelle rese nell’edilizia da soggetti che assumono la
veste di subappaltatori nei confronti di imprese che svolgono abitualmente
l’attività di costruzione o ristrutturazione di immobili; soggetti
che risultano appaltatori di lavori immobiliari; imprese che operano come subappaltatori
nel quadro di lavori di costruzione o ristrutturazione di immobili.

La finalità della disposizione è quella di contrastare fenomeni
fraudolenti consistenti nella creazione di piccole imprese che realizzano lavori
edilizi nel quadro di opere complesse, fatturano regolarmente le prestazioni
con applicazione dell’IVA, ma poi omettono di versare il tributo, che
lucrano illecitamente, per poi sparire, salvo ricostituirsi in forme analoghe.
L’attribuzione della qualità di debitore d’imposta al soggetto
capofila, sia esso un costruttore o un general contractor, garantisce adeguata
tutela all’erario attesa la normale affidabilità dei contribuenti
maggiori.
L’introduzione della norma è condizionata all’autorizzazione
in deroga che deve essere rilasciata ai sensi dell’articolo 27 della
direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, dagli organismi comunitari.
Al comma 7, al fine di contrastare con maggiore efficacia i fenomeni di evasione
da riscossione, sono introdotte due nuove fattispecie delittuose riferite al:

– mancato versamento dell’IVA dovuta a seguito di dichiarazione,
in analogia con quanto già contemplato dalla legge n. 311 del 2004 per
le ipotesi di mancato versamento delle ritenute;

– mancato versamento di somme complessivamente dovute, utilizzando,
mediante il sistema della compensazione di cui all’articolo 17 del decreto
legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti indebiti o inesistenti.

La disposizione di cui al comma 8 prevede una generale esenzione dall’applicazione
dell’IVA per tutte le cessioni e le locazioni di fabbricati o di porzioni
di fabbricato indipendentemente dalla tipologia (abitativa o strumentale) e
dal soggetto locatore, fatta eccezione per le cessioni aventi ad oggetto immobili
effettuate dal costruttore o dal soggetto che vi abbia operato interventi di
ristrutturazione, purché intervenute entro cinque anni dalla data di
ultimazione della costruzione o dell’intervento.

La previsione esentativa determina di conseguenza l’indetraibilità dell’IVA
assolta all’atto degli acquisti di beni e servizi inerenti per effetto
dell’applicazione delle regole generali in materia di detrazione.

Conseguentemente, si provvede alla modifica dell’articolo 19-bis1, comma
1, lettera i), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972,
n. 633, ed alla soppressione dell’articolo 36, terzo comma, ultimo periodo,
nonché della voce di cui al numero 127-ter) della Tabella A, Parte terza,
del medesimo decreto.

Al comma 9, viene prevista, in via transitoria, una modalità agevolata
di effettuazione della rettifica della detrazione IVA, necessitata dal mutamento
di regime delle predette operazioni, ai sensi del combinato disposto dei commi
3 e 8 dell’articolo 19-bis-2 del decreto del Presidente della Repubblica
n. 633 del 1972. A tal fine si prevede il versamento dell’imposta dovuta
per effetto della rettifica in tre rate, la prima delle quali da effettuare
entro il termine previsto per il versamento dell’acconto dell’anno
in corso.

Allo scopo di neutralizzare gli effetti eccessivamente onerosi delle modifiche
sui contratti di leasing immobiliare, al comma 10 viene previsto che l’imposta
di registro sui relativi canoni e sul riscatto degli immobili si applica in
misura fissa.

Il comma 11, al fine di contrastare l’elusione delle disposizioni fiscali
in tema di veicoli, demanda ad un provvedimento del direttore dell’Agenzia
delle entrate l’individuazione della tipologia di veicoli che, prescindendo
dalla categoria di omologazione, sono stati sottoposti ad adattamenti i quali
non precludono il trasporto privato di persone, al fine di consentire l’applicazione
a tali fattispecie dei limiti di deduzione e detrazione previsti in materia
di imposte dirette ed IVA, rispettivamente, dall’articolo 164 del testo
unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica
22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) e dall’articolo 19-bis1 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 633 del 1972.

Con il comma 12, si prevede l’obbligo per l’esercente arte o professione,
anche in forma associata, di tenere uno o più conti correnti bancari
o postali ai quali obbligatoriamente far affluire le operazioni connesse all’esercizio
dell’attività. È inoltre posto l’obbligo per il contribuente
di riscuotere i compensi derivanti dall’esercizio dell’attività mediante
forme di pagamento che li facciano affluire direttamente ai predetti conti.
Per i compensi unitari inferiori a 100 euro è consentita la riscossione
anche in contanti, fermo restando l’obbligo per il professionista di
far affluire le somme ai predetti conti correnti, ai sensi del terzo comma
dell’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del
1973, introdotto appunto dal comma 12 in oggetto.

Il comma 13 è finalizzato a contrastare il fenomeno delle società cosiddette
esterovestite. Si tratta di soggetti che presentano due rilevanti e continuativi
elementi di collegamento con il territorio dello Stato, in quanto detengono
partecipazioni di controllo in società ed enti residenti nel territorio
dello Stato che, a loro volta, sono controllate o amministrate da soggetti
residenti.
Il comma 14 stabilisce la decorrenza della disposizione in commento.

Con il comma 15 si rende più efficace la disposizione che contrasta
la attività delle società non operative effettuando i seguenti
interventi:

1) si elevano le percentuali utilizzate per stabilire se una società possa
rientrare nel novero delle società non operative alle quali si applica
la disciplina in esame;
2) si aumentano le percentuali utilizzate per stabilire
l’entità del
reddito minimo che deve essere obbligatoriamente dichiarato;
3) l’IVA a credito non è ammessa a rimborso né può essere
utilizzata in compensazione ovvero costituire oggetto di cessione; lo stesso
credito, in assenza di operazioni attive rilevanti per tre periodi di imposta
consecutivi, non potrà più essere riportato in avanti;
4) le norme antielusive potranno essere disapplicate dal direttore regionale
dell’Agenzia delle entrate qualora il contribuente evidenzi situazioni
straordinarie che di fatto hanno reso impossibile il conseguimento degli obiettivi
previsti dalla norma. Si riconduce in tale ambito anche la causa di esclusione
collegata alla esistenza di un periodo non normale di attività, che
in assenza della modifica opererebbe in modo automatico.

Il comma 16 stabilisce la decorrenza della disposizione in commento.

Il comma 17 reca disposizioni in materia di fusione con effetti fiscali retroattivi.
Attualmente, dando efficacia retroattiva all’operazione di fusione, è possibile «compensare» risultati
positivi di periodo della incorporante con risultati negativi di periodo della
incorporata o della scissa. Tale previsione si presta a possibili abusi, in
quanto non appaiono applicabili nella fattispecie le limitazioni previste dall’articolo
172, comma 7, del TUIR, per le perdite pregresse. In considerazione di ciò,
si prevede, in sostanza, che se l’incorporazione vede coinvolta una società «non
operativa», la perdita di periodo, da determinarsi appositamente, non è tout
court rilevante; invece, se la società coinvolta è «operativa»,
si rendono applicabili alle perdite di periodo le stesse limitazioni espressamente
previste per le perdite pregresse.
Il comma 18 precisa la decorrenza delle disposizioni recate dal comma 17.
I commi 19 e 20 intervengono sul regime agevolativo della detrazione IRPEF
per le ristrutturazioni edilizie, subordinandone l’applicazione alla
condizione che, per le spese sostenute a decorrere dalla data di entrata in
vigore del decreto, nella fattura emessa dal soggetto che esegue l’intervento
venga separatamente esposto il costo della manodopera.
I commi da 21 a 23 dettano criteri per la tassazione, ai fini delle imposte
di registro, ipotecaria e catastale, degli atti aventi ad oggetto cessioni
di immobili; in particolare, si stabilisce l’obbligo, per le parti, di
indicare nell’atto di cessione dell’immobile il corrispettivo pattuito.
L’accertata violazione di tale obbligo fa sì che, oltre all’applicazione
di un’apposita sanzione, l’imposta sia dovuta in proporzione al
corrispettivo effettivamente pattuito dalle parti contraenti. È fatto
altresì obbligo alle parti di fornire notizie in merito alle modalità di
pagamento, alla eventualità che si siano avvalse dell’opera di
mediatori ed alla spesa sostenuta per la mediazione.
Il comma 24 prevede l’estensione dei poteri di controllo in materia di
accertamento delle imposte sui redditi anche ai fini dell’imposta di
registro, nonché delle imposte ipotecaria e catastale, disciplinate
dal testo unico di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347, con
conseguente estensione della disciplina sanzionatoria.
I commi 25 e 26 riconoscono ai dipendenti della Riscossione Spa o delle società dalla
stessa partecipate, definiti «agenti della riscossione», la possibilità di
utilizzare, previa autorizzazione, i dati in possesso dell’Agenzia delle
entrate e di altri soggetti pubblici e privati, ai fini della riscossione mediante
ruolo.
Il comma 27 prevede nuove comunicazioni al sistema informativo dell’anagrafe
tributaria da parte del settore assicurativo, con l’obiettivo di acquisire
informazioni rilevanti ai fini del controllo, con riferimento al significativo
flusso di importi liquidati dalle compagnie ai danneggiati, in ragione di contratti
assicurativi. La disposizione prevede, in particolare, che siano trasmessi
dati e notizie riferiti sia ai beneficiari sia ai soggetti le cui prestazioni
sono state valutate ai fini della quantificazione della somma liquidata.
I commi da 28 a 34 recano disposizioni in materia di ritenute e contributi
dovuti da appaltatore e subappaltatore. Nell’affidamento di appalti non
di rado accade che l’appaltatore o il subappaltatore non adempiano puntualmente
ai loro obblighi di effettuazione e versamento delle ritenute sui redditi di
lavoro dipendente e dei contributi previdenziali. Spesso, inoltre, gli appaltatori
ed i subappaltatori non dispongono di un patrimonio che possa offrire sufficienti
garanzie agli enti impositori e previdenziali, con conseguente impossibilità di
riscuotere i propri crediti.
Peraltro, tali violazioni risultano distorsive delle regole di corretta concorrenza,
in quanto i soggetti che non versano le ritenute ed i contributi possono offrire
prezzi più bassi.

Per arginare tale fenomeno vengono previste la responsabilità solidale
a carico dell’appaltatore per le ritenute ed i contributi dovuti dal
subappaltatore ed una sanzione amministrativa nel caso in cui il committente
proceda al pagamento del corrispettivo dovuto all’appaltatore senza aver
prima verificato che le ritenute ed i contributi dovuti per le prestazioni
di lavoro dipendente concernenti l’opera, la fornitura o il servizio
affidati siano stati versati.
Il comma 35 reca disposizioni per il miglioramento delle attività di
accertamento, prevenzione e contrasto delle violazioni tributarie in materia
doganale.

Articolo 36.

Con l’articolo 36 si introducono disposizioni volte al recupero della
base imponibile.

Il comma 1 esclude l’applicazione dell’aliquota IVA del 10 per
cento per alcuni beni, non più meritevoli di agevolazione; si tratta
di prodotti dolciari (caramelle, cioccolato, eccetera) venduti in confezioni
non di pregio (attualmente quelli venduti in confezioni di pregio sono già assoggettati
ad aliquota ordinaria); i servizi telefonici resi attraverso posti telefonici
pubblici (con tale esclusione, che tiene conto della alta diffusione dei telefoni
cellulari, si intendono tassare tutti i servizi telefonici in eguale maniera)
nonché le collezioni di francobolli.
Inoltre, viene limitata l’agevolazione alle prestazioni relative al solo
calore-energia derivante da fonti rinnovabili, escludendo dall’aliquota
ridotta ogni prestazione ottenuta dall’impiego di idrocarburi, gas, eccetera.
La modifica introdotta consente, inoltre, di contrastare la stipula di contratti
servizio-energia posti in essere al solo fine di un risparmio fiscale senza
alcun risparmio in termini energetici.

Il comma 2 mira a omogeneizzare la nozione di terreno o area edificabile, in
relazione all’applicazione dei diversi tributi che a tale categoria di
beni riservano trattamenti peculiari (IVA, imposta di registro, imposte sui
redditi e ICI).
In particolare, viene chiarito che l’edificabilità si riconnette
all’esistenza del piano regolatore generale che qualifica il terreno
come fabbricabile, non essendo quindi necessario che sussista anche il piano
di attuazione dello strumento urbanistico generale. La norma chiarisce, altresì,
che ai fini della qualificabilità dell’area, come terreno edificabile, è sufficiente
che il piano regolatore generale sia stato adottato dal comune competente,
anche se l’iter di approvazione del predetto piano non si è ancora
concluso con la prescritta approvazione regionale.

Il comma 3 ripristina la formulazione dell’articolo 47, comma 4, del
TUIR precedente alla modifica recata dall’articolo 2, comma 2, lettera
b), del decreto legislativo 18 novembre 2005, n. 247, cosiddetto «correttivo
IRES». Con tale ultima modifica si è specificato che la tassazione
integrale dei dividendi provenienti dai paesi a fiscalità privilegiata
riguarda solo quelli «corrisposti» direttamente dalla partecipata
estera situata in detti paesi e non anche a quelli percepiti indirettamente
in quanto «provenienti» dalla partecipata estera per il tramite
di altra partecipata situata in paesi diversi da quelli a fiscalità privilegiata.
La norma invero, così come modificata dal cosiddetto correttivo IRES,
consente di aggirare facilmente il regime di tassazione integrale degli utili
provenienti da partecipate situate in paesi a fiscalità privilegiata,
interponendo nella catena societaria un altro soggetto estero residente in
un paese a regime fiscale non privilegiato.

Il comma 4 stabilisce la decorrenza della disposizione di cui al comma 3.
La modifica normativa, prevista al comma 5, è volta ad escludere la
possibilità di dedurre quote di ammortamento anticipato per i mezzi
di trasporto a motore utilizzati nell’esercizio d’impresa, disciplinati
dall’articolo 164, comma 1, lettera b), del TUIR, e si applica, per il
rinvio contenuto negli articoli 56 e 66 del TUIR, anche alle imprese soggette
all’imposta personale sul reddito (IRPEF).

Il comma 6 ne stabilisce la decorrenza.
Il comma 7 ribadisce il princìpio della non ammortizzabilità dei
terreni e delle aree occupate dai fabbricati strumentali, in aderenza con le
indicazioni fornite al riguardo dai princìpi contabili nazionali ed
internazionali, secondo i quali le imprese devono indicare separatamente (scorporare)
in bilancio il valore del fabbricato da quello del terreno e non potranno ammortizzarlo.
Per agevolare lo scorporo del costo del terreno da quello del fabbricato è stata
introdotta una misura percentuale di riduzione che determina in modo forfetario
il costo del terreno.
Il comma 8 ne stabilisce la decorrenza.

I commi 9 e 10 introducono un limite all’utilizzo delle perdite fiscali
anteriori alla tassazione per trasparenza, conformemente a quanto previsto
per il regime delle perdite adottato nel consolidato fiscale. Attualmente,
infatti, a differenza di quanto avviene nel consolidato, di cui la trasparenza
costituisce una sorta di surrogato, la società partecipante, che ha
esercitato l’opzione per la trasparenza, ha la possibilità di
utilizzare le perdite pregresse sia per compensare i propri redditi che per
compensare i redditi che le vengono imputati per trasparenza dalle società partecipate.
La modifica evita il verificarsi di fenomeni di pianificazione fiscale consistenti
nel ridurre le partecipazioni detenute dal socio per poter accedere alla tassazione
per trasparenza anziché al consolidato fiscale, riuscendo così a
compensare le perdite pregresse maturate dallo stesso con i redditi delle partecipate,
aggirando il disposto dell’articolo 118, comma 2, del TUIR.
Le predette disposizioni, come previsto al comma 11, hanno effetto dal periodo
d’imposta dei soci in corso alla data di entrata in vigore del decreto-legge
e con riferimento ai redditi delle società partecipate relativi a periodi
d’imposta chiusi a partire dalla predetta data. Ad esempio, in ipotesi
di società partecipata, con periodo d’imposta chiuso al 30 giugno
2006, e di soci con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare
(1º gennaio-31 dicembre 2006), la modifica normativa non trova applicazione
se non dal periodo d’imposta 2007.

I commi 12 e 13 recano disposizioni in materia di riporto delle perdite. Il
comma 2 dell’articolo 84 del TUIR riconosce il diritto al riporto illimitato
nel tempo delle perdite generate nei primi tre periodi d’imposta. La
norma avrebbe dovuto avere la funzione di trattare in modo agevolato le nuove
iniziative produttive. È opportuno, quindi, subordinare il regime di
riporto illimitato delle perdite all’effettiva «novità» dell’iniziativa
economica che le ha generate.
L’attuale comma 3 dell’articolo 84 del TUIR reca una disciplina
volta a contrastare il cosiddetto «commercio delle bare fiscali» attuato
non già sotto forma di incorporazione della società decotta (fenomeno
elusivo già contrastato con disposizioni ad hoc nell’ambito del
successivo articolo 172, comma 7, del TUIR), ma attraverso la previa acquisizione
della società e il collegato conferimento in essa di attività aziendali
redditizie. Tale previsione limitativa viene, peraltro, resa inoperante qualora
il cambio dell’attività riguardi una società con perdite
fiscali pregresse che faccia già parte di un gruppo. L’esimente
in questione non appare pienamente giustificabile e, soprattutto, non appare
coordinata con il divieto posto nel consolidato di «sfruttare» le
perdite pregresse: divieto che, in tal modo, può essere facilmente superato.
Il comma 14 stabilisce la decorrenza del comma 12, nella parte in cui modifica
il citato articolo 84, comma 3, del TUIR.

Il comma 15 abroga l’articolo 33, comma 3, della legge 23 dicembre 2000,
n. 388, il quale prevede in origine l’aliquota agevolata dell’1
per cento ai fini dell’imposta di registro e le imposte ipotecarie e
catastali in misura fissa per i trasferimenti di immobili compresi in piani
urbanistici particolareggiati. Successivamente l’articolo 76 della legge
28 dicembre 2001, n. 448, ha inteso rimuovere il dubbio interpretativo specificando
che l’agevolazione in esame si intende riferita anche ai casi in cui
l’acquirente non disponga in precedenza di altro immobile compreso nel
piano urbanistico particolareggiato.
Il dato testuale della legge n. 448 del 2001, esaminato in combinazione con
la norma introdotta dalla legge n. 388 del 2000, ha dato luogo ad una singolare
soluzione completamente avulsa dalla ratio ispiratrice della originaria norma
agevolativa, tale da riconoscere l’applicazione dell’imposta di
registro con l’aliquota dell’1 per cento e le imposte ipotecarie
e catastali in misura fissa alla generalità dei trasferimenti di immobili
ricompresi in piani urbanistici particolareggiati.
Venuta meno la stessa ratio della norma agevolativa di cui alla legge n. 388
del 2000, si prevede ora l’abrogazione di quest’ultima con effetto
dalla data di entrata in vigore del decreto.

Il comma 16 reca disposizioni in materia di trasparenza delle società a
responsabilità limitata (srl) a ristretta base proprietaria. La norma,
nell’intervenire in seno al regime di trasparenza delle srl a ristretta
compagine sociale, di cui all’articolo 116 del TUIR, elimina la causa
ostativa al predetto regime del possesso di una partecipazione con i requisiti
per l’esenzione di cui all’articolo 87 del TUIR e stabilisce che,
in capo alla srl, gli utili di cui all’articolo 89 e le plusvalenze di
cui all’articolo 87 concorrono a formare il reddito nella misura del
40 per cento. In sostanza, la srl viene, a tali effetti, equiparata ad una
società di persone in coerenza con i criteri direttivi fissati nella
legge delega (legge 7 aprile 2003, n. 80) all’articolo 4, comma 1, lettera
h), ultimo periodo. La disposizione, peraltro, corregge una evidente distorsione
del sistema per cui una persona fisica otteneva un regime di favore per il
solo fatto di detenere la partecipazione non direttamente ma tramite una srl
che opta per la trasparenza fiscale.
Il comma 17 ne stabilisce la decorrenza.
Il comma 18 è finalizzato a rendere indeducibili le minusvalenze in
caso di assegnazione di beni ai soci o di loro destinazione a finalità estranee.
Il comma 19 ne stabilisce la decorrenza.
Con il comma 20 si elimina la possibilità di effettuare svalutazione
con rilevanza fiscale per le rimanenze finali di opere, forniture e servizi
di durata ultrannuale (per rischio contrattuale, a giudizio del contribuente,
nella misura del 2 per cento per lavori eseguiti in Italia o del 4 per cento
per quelli eseguiti all’estero).
Il comma 21 ne stabilisce la decorrenza.

Il comma 22 prevede disposizioni relative all’esclusione della no-tax
area per i soggetti non residenti.
In base alla attuale formulazione dell’articolo 3 del TUIR la cosiddetta
no-tax area (deduzione prevista dall’articolo 11 TUIR) si rende applicabile
anche ai redditi dei soggetti non residenti assoggettati a tassazione in Italia.
Ciò non appare coerente con la finalità della no-tax area, volta
ad escludere da tassazione un importo minimo vitale. Tale beneficio, infatti,
ha senso per i residenti che sono assoggettati a tassazione per tutti i loro
redditi ovunque prodotti e non per i non residenti che assoggettano a tassazione
in Italia, in linea generale, solo i redditi prodotti in Italia mentre assoggettano
a tassazione il loro reddito complessivo nel paese di residenza. La modifica
normativa proposta si pone, peraltro, in linea con i criteri affermati dalla
Corte di giustizia delle Comunità europee la quale ha ripetutamente
precisato che non è discriminatorio un diverso trattamento, in quanto
il reddito percepito da un soggetto non residente costituisce il più delle
volte soltanto una parte del reddito complessivo, concentrato nel luogo di
residenza. Ed è solo qui che può essere valutata la sua capacità contributiva
con la disamina di tutti i suoi redditi e della situazione personale e familiare
(sentenze C-80/94, C-279/93; C-234/01). Inoltre, con la formulazione proposta
viene esclusa l’applicazione della deduzione per oneri di famiglia ai
soggetti non residenti, al fine di stabilire una regola analoga a quella recata
dall’articolo 24, comma 3, del TUIR, che esclude l’applicazione
della detrazione per carichi di famiglia nei confronti di detti soggetti. Si
prevede infine l’abrogazione della predetta previsione dell’articolo
24, comma 3, in considerazione del fatto che dal 1º gennaio 2005 le detrazioni
per familiari a carico sono state trasformate in deduzioni.
Il comma 23 dispone l’abrogazione del comma 4-bis dell’articolo
19 del TUIR, che esenta dall’IRPEF le somme corrisposte ai dipendenti
per incentivarne l’esodo. Ciò anche al fine di eliminarne i profili
di incompatibilità con la normativa comunitaria, evidenziati dalla Corte
di giustizia delle comunità europee con la sentenza n. C-207/04.

Il comma 24 mira a rendere applicabile la ritenuta a titolo di acconto, prevista
dall’articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre
1973, n. 600, anche ai compensi che costituiscono redditi diversi, ai sensi
dell’articolo 67, comma 1, lettera l), del TUIR, derivanti dall’assunzione
di obblighi di fare, non fare o permettere.
La previsione uniforma le modalità di tassazione dei redditi in questione
a quelle previste per altri tipi di redditi allorché i compensi sono
erogati da un soggetto che riveste la qualifica di sostituto d’imposta.
L’applicazione della ritenuta consente, inoltre, l’anticipo della
tassazione al momento dell’erogazione dei compensi stessi, rispetto al
sistema attuale che ne prevede la tassazione in sede di dichiarazione dei redditi.
Il comma 25 riconduce a tassazione ordinaria – quale reddito di lavoro
dipendente – la differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione
e l’ammontare corrisposto dal dipendente.
Il comma 26 ne stabilisce la decorrenza.

Il comma 27 reca disposizioni in materia di perdite di lavoro autonomo e di
imprese minori. La riformulazione dell’articolo 8 del TUIR è finalizzata
ad estendere i criteri di imputazione e di deducibilità delle perdite,
previsti per le attività commerciali esercitate in modo ordinario, alle
perdite derivanti da attività commerciali esercitate attraverso imprese
minori, ai sensi dell’articolo 66 del TUIR, e a quelle derivanti dall’esercizio
di attività di lavoro autonomo, anche se esercitate attraverso società semplici
e associazioni di cui all’articolo 5 del TUIR. È, quindi, eliminata
la possibilità per i lavoratori autonomi e per le imprese minori di
sottrarre le perdite dal reddito complessivo del periodo d’imposta in
cui si sono determinate. Anche per tali categorie di contribuenti è,
infatti, previsto che le perdite siano portate in deduzione dai relativi redditi
conseguiti nello stesso periodo d’imposta e che le eccedenze siano scomputate
dai redditi della medesima categoria conseguiti nei periodi d’imposta
successivi ma non oltre il quinto. Le perdite derivanti da redditi d’impresa
e di lavoro autonomo prodotti in forma associata, attraverso le società e
le associazioni di cui all’articolo 5 del TUIR, sono imputate ai singoli
soci i quali potranno dedurle nell’esercizio in cui sono realizzate e,
per la parte eccedente, negli esercizi successivi ma non oltre il quinto, dai
redditi appartenenti alla stessa categoria di reddito al quale partecipano
(dal quale derivano).
Il comma 28 ne stabilisce la decorrenza.

Il comma 29 intende dare rilevanza reddituale alle plusvalenze e alle minusvalenze
realizzate da esercenti arti e professioni in occasione della estromissione
(cessione, destinazione a finalità estranee all’attività di
lavoro autonomo, eccetera) di beni strumentali.
Dalla previsione di realizzazione di plusvalenze tassabili sono escluse le
cessioni di beni il cui costo di acquisto non è ammortizzabile per un
esercente attività di lavoro autonomo. Si tratta dei beni immobili,
che, ai sensi dell’articolo 54, comma 2, del TUIR sono deducibili nel
limite della rendita catastale e degli oggetti d’arte, di antiquariato
o da collezione per i quali, ai sensi del medesimo articolo 54, comma 5, è prevista
la deducibilità unitamente alle spese di rappresentanza, nel limite
dell’1 per cento dell’ammontare dei compensi percepiti nel periodo
d’imposta, se si configurano come beni di rappresentanza.
Viene prevista, inoltre, la tassazione della fattispecie di cessione della
clientela e di altri elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica
o professionale.
Trattasi di un’ipotesi che sempre più frequentemente si realizza,
mediante la quale possono essere ceduti valori immateriali che, sebbene di
difficile inquadramento in figure giuridiche tradizionali, nei fatti sono ben
individuati. Si tratta, ad esempio, della cessione del marchio, dell’assunzione
di obbligo di non effettuare attività in concorrenza nella medesima
zona, eccetera.
La determinazione della plusvalenza è stata individuata nell’intero
compenso specifico percepito.
Per il caso in cui il compenso sia riscosso in unica soluzione, è stata
prevista la tassazione separata, ai sensi degli articoli 17 e 21 del TUIR.
Con la modifica introdotta nel comma 5 dell’articolo 54 del TUIR, si
prevede la deduzione integrale delle spese di vitto e alloggio sostenute dal
committente per conto del professionista e da questi evidenziate in fattura.
I professionisti sono tenuti ad includere tra i compensi fatturati tutti i
corrispettivi, in denaro e in natura, percepiti in relazione alle prestazioni
effettuate, ivi comprese quelle liquidate a titolo di rimborso spese.
Con la norma proposta, le spese sostenute dal committente per conto del professionista,
evidenziate ed incluse in fattura, sono neutralizzate con il riconoscimento
di una componente negativa di pari importo in quanto non opera la limitazione
alla deducibilità del 2 per cento dei compensi prevista dal primo periodo
del comma 5 del citato articolo 54 del TUIR.

Il comma 30 reca una norma di interpretazione autentica in materia di reddito
di lavoro dipendente prestato all’estero. Con l’interpretazione
autentica proposta, si chiarisce che in caso di reddito calcolato convenzionalmente
in misura ridotta – secondo le disposizioni dell’articolo 51, comma
8-bis, del TUIR – il prestatore di lavoro all’estero fruisce, per
le imposte pagate all’estero, di un credito d’imposta non pieno,
ma proporzionale al reddito determinato ai sensi del predetto articolo 51,
comma 8-bis.
Il comma 31 reca disposizioni fiscali relative al comune di Campione d’Italia.
L’articolo 188 del TUIR stabilisce, al comma 1, che «ai fini dell’imposta
sul reddito delle persone fisiche, i redditi delle persone fisiche iscritte
nei registri anagrafici del comune di Campione d’Italia prodotti in franchi
svizzeri nel territorio dello stesso comune per un importo complessivo non
superiore a 200.000 franchi sono computati in euro, in deroga alle disposizioni
dell’articolo 9, sulla base di un tasso convenzionale di cambio stabilito
ogni tre anni con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze,
tenuto conto anche della variazione dei prezzi al consumo nelle zone limitrofe
intervenuta nel triennio».
Tale peculiare sistema di calcolo dell’imposta sul reddito delle persone
fisiche in favore di quanti risiedono nel comune di Campione d’Italia
e, nel territorio del medesimo comune, producono il proprio reddito in franchi
svizzeri, è basato sull’utilizzo di un tasso di cambio convenzionale
per la conversione dei suddetti redditi in euro. Esso venne introdotto in un
determinato contesto storico, allo scopo di perequare la pressione fiscale
nei confronti dei cittadini campionesi, tenuto conto della circostanza che
questi ultimi, operando in un contesto economico sostanzialmente assimilabile
a quello svizzero – caratterizzato dall’utilizzo del franco svizzero
e dal costo della vita superiore a quello registrato in Italia – sarebbero
stati penalizzati dalla conversione dei redditi in lire secondo le modalità ordinarie
previste dall’articolo 9 del TUIR.
Va tuttavia rilevato che la distanza fra il costo della vita in Svizzera ed
in Italia, pure esistente all’epoca in cui è stato previsto il
beneficio, è sostanzialmente venuta meno.
Inoltre, anche fra le diverse città italiane vi sono rilevanti differenze
di costo della vita. In alcune il costo della vita notoriamente si avvicina
o supera quello di Campione.
In ogni caso, nel panorama legislativo italiano le sperequazioni fra i diversi
costi della vita normalmente non trovano rimedio mediante misure fiscali.
La norma prevede quindi di eliminare questa eccezione relativa solo ai cittadini
di Campione.
Si ricorda che il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze
27 ottobre 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 257 del 4 novembre
2005, per il triennio 2005–2007 ha fissato il tasso in euro 0,40515 per
ogni franco svizzero (il franco svizzero è oggi quotato a 1,550 euro).
I commi 32 e 33 riguardano la problematica relativa alla disciplina tributaria
dei contributi il cui versamento è sospeso in conseguenza di calamità naturali.
In particolare, è diretta ad evitare il rischio del doppio beneficio
di non concorrenza alla base imponibile nell’anno di sospensione e di
deduzione nell’anno di pagamento del contributo. La norma transitoria,
in modo speculare, vuole evitare la doppia penalizzazione per chi non ha dedotto
il contributo nel periodo d’imposta di sospensione.

Al riguardo, si fa presente che la disciplina fiscale dei contributi previdenziali
ed assistenziali dovuti in base a disposizioni di legge, trattenuti in ciascun
periodo di paga e versati dal datore di lavoro, è attualmente contenuta
nell’articolo 51, comma 2, lettera a), del TUIR, secondo il quale «i
contributi previdenziali ed assistenziali versati dal datore di lavoro o dal
lavoratore in ottemperanza a disposizioni di legge» non concorrono a
formare il reddito imponibile.
La norma citata che, relativamente al reddito di lavoro dipendente, riproduce
la disposizione dell’articolo 10, comma 1, lettera e), del TUIR, nella
parte in cui si riferisce ai contributi previdenziali ed assistenziali obbligatori,
presuppone il versamento e la sopportazione dell’onere contributivo da
parte del contribuente.
Ne consegue che in tutti i casi in cui il pagamento dei contributi in esame
non venga eseguito (per intervento, ad esempio, di un provvedimento che ne
dispone la sospensione a favore delle popolazioni colpite da calamità naturali),
le somme corrispondenti all’importo dei contributi non versati, lasciate
nella disponibilità del lavoratore, concorrono a formare la base imponibile
e, in vigenza della sospensione, non sono deducibili ai sensi del citato articolo
51, comma 2, lettera a).
Più precisamente, tali somme assumono rilevanza agli effetti tributari
in base ai princìpi generali in materia e, in quanto percepite nel periodo
d’imposta in relazione al rapporto di lavoro, concorrono ai sensi del
comma 1 dello stesso articolo 51 del TUIR alla formazione del reddito di lavoro
dipendente.
Orbene, si propone di derogare ai princìpi generali come prima evidenziati
e, quindi, di consentire la deducibilità dei contributi sospesi in seguito
a calamità.
Ciò per salvaguardare le finalità sostanziali delle norme agevolative
di sospensione della riscossione, dirette a consentire una maggiore disponibilità finanziaria
al contribuente residente nei territori colpiti dagli eventi calamitosi.

Il comma 34 reca una disposizione che, in deroga ai princìpi fissati
dal cosiddetto «Statuto del contribuente» (legge 27 luglio 2000,
n. 212), interviene sui criteri di determinazione dell’acconto dovuto
dai soggetti tenuti al versamento dell’IRES, con effetti di gettito per
l’anno 2006.

Articolo 37.

L’articolo 37 reca disposizioni in materia di accertamento, semplificazione
e altre misure di carattere finanziario.

Il comma 1 permette di ricomprendere tra i sostituti di imposta tenuti ad
operare la ritenuta a titolo di acconto anche il curatore fallimentare e il
commissario liquidatore. Attualmente la giurisprudenza di legittimità,
con orientamento consolidato da tempo, ha chiarito che la vigente normativa
non attribuisce la posizione di sostituto d’imposta ai predetti soggetti.
L’applicazione della ritenuta consentirà l’anticipo della
riscossione al momento dell’erogazione dei compensi rispetto alla tassazione
degli stessi in sede di dichiarazione dei redditi.
Al fine di potenziare l’efficacia dell’applicazione degli studi
di settore nei confronti della generalità dei contribuenti, il comma
2, mediante l’abrogazione dei commi 2 e 3 dell’articolo 10 della
legge 8 maggio 1998, n. 146, prevede che gli accertamenti, sulla base degli
studi di settore, possano essere effettuati nei confronti dei contribuenti
in contabilità ordinaria, anche per opzione, nonché di quelli
esercenti arti e professioni, con le medesime disposizioni regolanti gli accertamenti
nei confronti dei contribuenti in contabilità semplificata. Sono contestualmente
apportate modifiche di coordinamento legislativo. La disposizione si applica
a decorrere dai periodi d’imposta per i quali il termine di presentazione
della dichiarazione scade successivamente alla data di entrata in vigore del
decreto.

Al comma 3, in via transitoria, per il periodo 2005 (nonché per quello
il cui termine di presentazione della dichiarazione scade successivamente alla
data di entrata in vigore del decreto) è prevista la possibilità per
la generalità dei contribuenti di effettuare l’adeguamento agli
studi di settore nel termine di presentazione della dichiarazione; entro tale
data potranno essere effettuate le annotazioni contabili previste ai fini IVA.
Resta applicabile la maggiorazione del 3 per cento, prevista dall’articolo
2, comma 2-bis, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica
31 maggio 1999, n. 195, qualora la differenza tra i ricavi e compensi annotati
nelle scritture contabili e quelli risultanti dagli studi di settore sia superiore
al 10 per cento dei ricavi e compensi annotati.
I commi da 4 a 7 rafforzano la possibilità di effettuare indagini economico–finanziarie,
prevedendo che gli operatori finanziari comunichino all’anagrafe tributaria
periodicamente l’elenco dei soggetti con i quali intrattengono rapporti.
Le disposizioni in argomento semplificheranno anche gli adempimenti dei medesimi
operatori in quanto, sulla base delle informazioni acquisite, gli organi dell’amministrazione
finanziaria potranno limitarsi ad effettuare le richieste di dati, notizie
e documenti ai soli operatori che avranno comunicato l’esistenza di uno
o più rapporti. Le medesime informazioni sono acquisite in anagrafe
tributaria, in apposita sezione dedicata, e potranno essere utilizzate anche
ai fini della riscossione mediante ruolo, in presenza di debitori morosi. Si
procede altresì ad apportare alcune modifiche al sistema sanzionatorio
relativo agli operatori finanziari per adeguarle al mutato quadro normativo
conseguente alle modifiche in materia di indagini economico–finanziarie,
operate con la legge n. 311 del 2004 agli articoli 32 del decreto del Presidente
della Repubblica n. 600 del 1973 e 51 del decreto del Presidente della Repubblica
n. 633 del 1972. Si prevede infine una modifica all’articolo 8 del decreto
del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, concernente i poteri
dell’anagrafe tributaria, al fine di consentire l’invio, con procedure
automatizzate, di questionari per l’acquisizione di informazioni utili
all’attività di controllo, se le medesime informazioni non risultano
dalle dichiarazioni annuali ovvero da altri flussi informativi.

Il comma 8 si inquadra nell’ambito delle azioni mirate a contrastare
e prevenire comportamenti fraudolenti nel settore dell’IVA (frodi intracomunitarie,
fatture per operazioni inesistenti, eccetera), ma riverbera positivi effetti
anche con riguardo alla tassazione del reddito, con riguardo sia ai fenomeni
di evasione da ricavi, sia a quelli di evasione da costi. Con provvedimento
del direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabilite le modalità tecniche
per la trasmissione telematica degli elenchi nonché il contenuto degli
stessi; potrà essere altresì differito il termine previsto per
la presentazione degli elenchi, in considerazione di difficoltà di natura
tecnica ovvero per particolari tipologie di contribuenti in relazione alla
dimensione delle informazioni da trasmettere, al fine di evitare la concentrazione
in un unico periodo delle attività di inoltro con conseguenti difficoltà del
funzionamento dei sistemi informativi.
Il comma 9 stabilisce che, per il 2006, primo periodo di applicazione della
nuova disposizione, i contribuenti sono obbligati a ricomprendere nell’elenco
dei clienti i soli titolari di partita IVA.
I commi da 10 a 14 prevedono un’articolata modifica dell’attuale
normativa in materia di presentazione delle dichiarazioni e dei relativi versamenti.
Tra l’altro, si anticipano il termine di approvazione, da parte dell’Agenzia
delle entrate, dei modelli di dichiarazione nonché i termini di presentazione
delle medesime; si elimina la facoltà di presentare il modello in qualità di
sostituito d’imposta unitamente alla dichiarazione annuale e si anticipa
al 31 marzo la presentazione dei modelli da parte dei sostituti d’imposta,
con relativa anticipazione al 28 febbraio del rilascio del modello Cud ai sostituiti.
Il complesso degli interventi consente una più razionale distribuzione
dei termini di presentazione delle dichiarazioni e dei versamenti ed una complessiva
accelerazione della disponibilità delle dichiarazioni per l’amministrazione.
Il comma 15 introduce nel decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre
1972, n. 633, l’articolo 32-bis, con cui si prevede l’esonero dal
versamento e dagli obblighi contabili IVA per i contribuenti che nell’anno
solare precedente hanno realizzato un volume d’affari non superiore a
7.000 euro oppure che, in caso di inizio di attività, prevedono di realizzare
il predetto volume d’affari e sempreché non effettuino cessioni
all’esportazione. La norma risponde all’esigenza di semplificare
gli adempimenti tributari attraverso l’eliminazione di alcuni obblighi
contabili per i soggetti che realizzano un ridotto volume d’affari, agevolando
nel contempo l’amministrazione finanziaria nello svolgimento dell’attività di
controllo.
Il comma 16 modifica l’articolo 41, comma 2-bis, del decreto-legge 30
agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre
1993, n. 427, prevedendo che le cessioni di beni effettuate dai soggetti che
applicano il regime di franchigia di cui all’articolo 32-bis del decreto
del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, non costituiscono
cessioni intracomunitarie rese nei confronti di soggetti di altro Stato membro,
con la conseguenza che le stesse si configurano come cessioni interne senza
diritto di rivalsa.

Al comma 17, conformemente a quanto previsto dall’articolo 3 della legge
27 luglio 2000, n. 212, concernente «Disposizioni in materia di statuto
dei diritti del contribuente», si prevede che le disposizioni inerenti
il nuovo regime per i contribuenti minimi in franchigia si applicano a far
data dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata
in vigore del decreto-legge.
I commi da 18 a 20 recano nuove disposizioni in materia di attribuzione del
numero di partita IVA. L’attribuzione del numero di partita IVA è attualmente
eseguita con modalità prevalentemente telematiche, senza effettuazione
di specifici controlli preventivi; con le disposizioni in commento si disciplinano
le modalità dei riscontri e controlli in argomento prevedendo, altresì,
l’emanazione di uno specifico provvedimento del direttore dell’Agenzia
delle entrate che individui tipologie di contribuenti per i quali l’attribuzione
del numero di partita IVA può essere subordinato al rilascio di polizza
fidejussoria o di fidejussione bancaria. È inoltre previsto uno specifico
piano di controlli mirati, finalizzati a contrastare i fenomeni di frode.
I commi da 21 a 23 prevedono, in attuazione dell’articolo 50 del codice
dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo
2005, n. 82, come modificato dal decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 159,
l’obbligo, senza oneri finanziari a carico dello Stato, di comunicare
i dati e le notizie contenuti nelle domande di iscrizione, variazione e cancellazione,
di cui all’articolo 6, primo comma, lettera f), del decreto del Presidente
della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, anche se relative a singole unità locali,
nonché i dati dei bilanci di esercizio depositati. Con tali disposizioni
si semplificano gli adempimenti dei contribuenti ai fini degli obblighi dichiarativi
e nel contempo si rafforza la capacità informativa dell’anagrafe
tributaria, acquisendo con immediatezza tutte le informazioni rilevanti anche
ai fini dei controlli.
Con i commi da 24 a 26 si apportano modifiche ai termini di decadenza dei poteri
di accertamento dell’amministrazione finanziaria in materia di imposte
dirette e di imposta sul valore aggiunto. Tali modifiche nascono dall’esigenza
di garantire la possibilità di utilizzare per un periodo di tempo più ampio
di quello ordinario gli elementi istruttori emersi nel corso delle indagini
condotte dall’autorità giudiziaria.

I commi 27 e 28 introducono modifiche alla disciplina delle notificazioni degli
atti e degli avvisi che per legge devono essere notificati al contribuente,
nonché alla disciplina delle notificazioni e comunicazioni nel processo
tributario. Tali modifiche nascono dall’esigenza di allineare la relativa
disciplina a quanto previsto dall’articolo 174 del codice in materia
di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003,
n. 196. La specialità delle disciplina normativa del settore tributario
richiede un apposito intervento di modifica tale da consentire il rispetto
della riservatezza del destinatario, alla stregua del princìpio enunciato
dall’articolo 6, comma 1, della citata legge 27 luglio 2000, n. 212,
in materia di statuto dei diritti del contribuente.
Il comma 29 reca sanzioni per la mancata restituzione dei questionari inviati
al contribuente in base al decreto legislativo 19 marzo 2001, n. 68, nel quale è prevista
la possibilità per il Corpo della guardia di finanza di richiedere dati
e notizie, ai sensi degli articoli 51 del decreto del Presidente della Repubblica
n. 633 del 1972 e 32 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del
1973, anche negli altri settori della polizia economica e finanziaria diversi
da quello tributario. Al fine di rendere perentorio ed efficace l’obbligo
di fornire tali dati e notizie, si prevede una specifica sanzione amministrativa
pecuniaria, della medesima misura prevista per le analoghe violazioni in materia
tributaria.
Il comma 30 stabilisce che per la constatazione e l’irrogazione della
predetta sanzione si applicano le disposizioni di cui alla legge 24 novembre
1981, n. 689.
Il comma 31 prevede l’estensione agli organi requirenti e giudicanti
in materia penale di quanto già attualmente previsto per la magistratura
civile ed amministrativa in ordine alla comunicazione dei fatti che possono
configurarsi come violazioni in materia tributaria. Contestualmente l’obbligo è esteso,
previa autorizzazione, anche gli organi di polizia giudiziaria.
Il comma 32 è finalizzato ad adeguare i poteri in materia di imposte
sui redditi agli speculari poteri già vigenti per l’imposta sul
valore aggiunto. In particolare, si prevede un duplice intervento all’articolo
32, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973.
Con le modifiche apportate al numero 4) si prevede che i questionari inviati
ai contribuenti possano riguardare non solo la posizione fiscale del contribuente
stesso ma anche quella dei contribuenti con i quali abbiano intrattenuto rapporti;
con le modifiche al numero 8) si prevede che nelle richieste di notizie e documenti
relative ad attività svolte nei confronti di clienti, fornitori e prestatori
di lavoro autonomo, i medesimi non debbano essere necessariamente indicati
nominativamente. In tal modo, nel rendere coerente il quadro normativo tra
le imposte sui redditi e l’IVA, si consentono, anche ai fini delle imposte
sui redditi, i cosiddetti «controlli esplorativi» consistenti nell’inviare
questionari, nonché richiedere dati, notizie e documenti o acquisire
informazioni relativamente al complesso dei rapporti economici intrattenuti
dal destinatario dell’istanza conoscitiva.

I commi da 33 a 37 recano nuove modalità di certificazione dei corrispettivi.
A partire dal 1º gennaio 2007, la certificazione dei corrispettivi, effettuata
generalmente mediante emissione di scontrini o di ricevute fiscali, viene sostituita
dall’invio telematico degli importi all’Agenzia delle entrate.
La semplificazione contabile comporta l’eliminazione dell’obbligo
di rilascio, ai fini fiscali, di scontrini e ricevute, mentre quello di registrazione
dei corrispettivi previsto dall’articolo 24 del decreto del Presidente
della Repubblica n. 633 del 1972, in materia di IVA, è sostituito dalla
trasmissione telematica. La tempistica e le modalità tecniche di invio
delle informazioni sono stabilite con apposito provvedimento del direttore
dell’Agenzia delle entrate. Per le diverse esigenze dei clienti finali,
non viene meno l’obbligo di emissione della fattura a seguito di richiesta.
Gli eventuali comportamenti omissivi posti in essere dai soggetti interessati
dalla disposizione sono assoggettati ad apposita sanzione amministrativa.
Il comma 38 uniforma il trattamento fiscale previsto nel caso di cessioni di
immobili acquistati a titolo oneroso a quello in cui l’acquisizione è avvenuta
per donazione, a condizione che il periodo di cinque anni che rende imponibile
la plusvalenza decorra non dalla data dell’acquisizione a titolo gratuito,
ma da quella di acquisto da parte del donante. In base al comma 39, per il
costo iniziale si fa riferimento a quello sostenuto dal donante.
Con i commi da 40 a 43 si ripristina il termine originariamente previsto per
l’iscrizione a ruolo delle somme dovute a seguito della liquidazione
del trattamento di fine rapporto e delle indennità equipollenti. Si
prevedono, altresì norme di coordinamento formale per adeguare il quadro
normativo alle modifiche intervenute nel corso del tempo. Inoltre, con riferimento
alle indennità corrisposte dal 1º gennaio 2003 al 31 dicembre 2005,
si prevede la non iscrizione a ruolo e la non effettuazione dei rimborsi per
gli importi inferiori a 100 euro.
Inoltre, al comma 44, si stabilisce il termine finale per la notifica delle
cartelle di pagamento per i contribuenti che si sono avvalsi degli istituti
definitori di cui alla legge 27 dicembre 2002, n. 289, ma che non hanno adempiuto
integralmente al pagamento degli importi ivi previsti, al fine di effettuare
con puntualità la verifica degli inadempimenti previsti ed evitare,
conseguentemente, iscrizioni a ruolo erronee o infondate.

Il comma 45 consente di dedurre in un lasso temporale più breve il costo
dei diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno, dei brevetti industriali,
dei processi e del know how, allo scopo di incentivare gli investimenti in
nuove tecnologie. Con riferimento ai brevetti industriali la norma si applica
limitatamente a quelli di più recente registrazione. Per i brevetti
registrati prima dei cinque anni antecedenti la data di entrata in vigore del
decreto-legge continua ad applicarsi l’articolo 103, comma 1, del TUIR
nella versione previgente alle modifiche apportate dal comma 45 in oggetto
(deduzione in misura non superiore ad un terzo del costo). La disciplina dell’ammortamento
del costo dei marchi, invece, viene equiparata a quella dell’avviamento
(un diciottesimo del costo).
Il comma 46 stabilisce, appunto, la decorrenza dell’applicazione della
precedente disposizione.
Il comma 47 tiene conto del fatto che, per effetto dell’applicazione
di corretti princìpi contabili, le spese di ricerca e sviluppo, in alcune
ipotesi, possono essere capitalizzate. Ciò può comportare che
il processo di ammortamento civilistico sia più lungo di quello fiscale
ovvero, nel caso in cui la ricerca si protragga nel tempo, che il processo
di ammortamento inizi nell’esercizio in cui la ricerca è completata.
In particolare in questa ultima ipotesi si verifica un disallineamento temporale
tra l’esercizio in cui i costi sono stati sostenuti e capitalizzati e
l’avvio del processo di ammortamento che non coincide con l’inizio
del quinquennio previsto dall’articolo 108, comma 1, del TUIR, che decorre
dal momento del sostenimento della spesa. L’inclusione di tali spese
nell’ambito di quelle per le quali è consentita l’attivazione
del meccanismo delle deduzioni extracontabili di cui all’articolo 109
del TUIR consente di risolvere le problematiche precedentemente accennate,
agevolando spese che appaiono meritevoli di un trattamento più favorevole
dell’attuale in quanto finalizzate ad assicurare una maggiore competitività delle
imprese.
Il comma 48 stabilisce la decorrenza di applicazione della precedente disposizione.

II comma 49 prevede che, dal 1º ottobre 2006, i titolari di partita IVA
effettuino esclusivamente con modalità telematiche i propri versamenti
fiscali e previdenziali; ciò allo scopo di rendere più efficiente
la gestione di tali versamenti e tenuto conto che i soggetti coinvolti dal
nuovo obbligo sono, comunque, ampiamente in condizione di adempiervi, per le
tecnologie informatiche di cui normalmente dispongono. L’urgenza dell’entrata
in vigore della disposizione consegue dall’esigenza di garantire a tutti
i soggetti interessati dalla modifica normativa (contribuenti, intermediari
ed amministrazione finanziaria) i tempi tecnici necessari affinché quest’ultima
possa effettivamente operare.
Il comma 50 esclude la corresponsione degli interessi anatocistici sui rimborsi
di tributi di ogni specie. La specifica normativa tributaria assorbe e sostituisce
la disciplina dettata dal codice civile, sicché gli interessi dovuti
sui tributi rimborsati sono dovuti nella misura fissa stabilita dalla singola
legge d’imposta e non sono cumulabili con gli interessi anatocistici
di cui all’articolo 1283 del codice civile.
Il comma 51 sopprime l’istituto della programmazione fiscale.
Il comma 52 reca disposizioni in materia di composizione degli organi delle
Agenzie fiscali.

I commi da 53 a 55 recano disposizioni di semplificazione e riduzione degli
adempimenti posti a carico dei contribuenti, rendendo più agevole per
gli enti locali l’acquisizione delle informazioni relative alle variazioni
che comportano una diversa determinazione dell’imponibile ICI. Attualmente
i contribuenti sono tenuti a presentare la dichiarazione ICI, ovvero la comunicazione,
ove introdotta dai singoli regolamenti comunali, ai sensi dell’articolo
59, comma 1, lettera l), numero 1), del decreto legislativo 15 dicembre 1997,
n. 446, per dichiarare gli immobili posseduti, oppure qualora si verifichino
modificazioni degli elementi dichiarati che determinino una diversa misura
dell’imponibile. Analoghe informazioni sono fornite in occasione della
presentazione della dichiarazione dei redditi, con la conseguenza che i contribuenti
sono sottoposti ad una duplicazione di adempimenti. L’intervento normativo
consente, invece, ai contribuenti di utilizzare una modulistica unificata,
in coerenza con l’orientamento perseguito negli ultimi anni di snellimento
e semplificazione degli adempienti posti a carico della cittadinanza. Con la
disposizione si prevede altresì la possibilità di effettuare
la liquidazione del tributo in sede di dichiarazione ai fini delle imposte
sui redditi ed effettuare i versamenti con le modalità del capo lII
del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241. Infine, la modifica è coerente
con il processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione delineato
dal citato codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo
n. 82 del 2005, e con gli obiettivi di incremento delle sinergie e dell’interoperabilità tra
gli enti.
Il comma 56 reca modifiche all’articolo 1, comma 2, del decreto-legge
23 febbraio 2004, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile
2004, n. 104, in materia di cartolarizzazione.
Con il comma 57 si individuano le risorse finanziarie, pari a 16 milioni di
euro per ciascuno degli anni 2006 e 2007, 13 milioni di euro per l’anno
2008 e 23 milioni di euro a decorrere dall’anno 2009, necessarie alla
copertura delle minori entrate derivanti dal recepimento della direttiva 2003/123/CE
del Consiglio, del 22 dicembre 2003, recante modifiche alla direttiva 90/435/CEE
inerente il trattamento fiscale delle società madri-figlie di Stati
membri diversi.

Articolo 38.

L’articolo 38 reca disposizioni in materia di giochi, in necessaria
coerenza con le iniziative di semplificazione e razionalizzazione già attuate
negli scorsi anni, finalizzate all’attuazione del contrasto al gioco
illegale attraverso uno sforzo per la modernizzazione dell’offerta dei
giochi pubblici italiana e per renderla coerente con una domanda sempre più esigente,
selettiva e sempre più proiettata verso forme innovative di gioco più attrattive
e maggiormente sfidanti.

L’evoluzione della domanda rappresenta un volano di sviluppo importante
per l’economia del Paese; tuttavia essa va analizzata e gestita con particolare
attenzione onde evitare che sia indirizzata verso forme di gioco irregolari.
In tal senso le revisioni normative proposte sono finalizzate a sostenere l’evoluzione
del sistema italiano dei giochi per renderlo coerente con le caratteristiche
dei consumatori che in esso orbitano. Gli interventi di seguito descritti presentano
carattere di:

1) necessità, in quanto è opportuno che, in tempi brevissimi,
siano ridefinite alcune caratteristiche dell’offerta di gioco in grado
di contrastare sempre più efficacemente forme nuove e pericolose di
illegalità ovvero aree di illegalità che l’attuale sistema
di regolazione non riesce ancora a governare con il massimo successo, prevedendo:
da un lato, una distribuzione capillare, professionale, facilmente distinguibile
e controllabile dei giochi pubblici;

dall’altro, l’ampliamento dell’offerta con nuove tipologie
di giochi (e non di nuovi giochi) che risultino competitive rispetto a quelli
illegali o irregolari, in particolare sulla rete internet;

2) urgenza, in quanto la mancata attuazione di tali interventi comporterebbe:
il dirottamento progressivo non solo della domanda specifica dei giochi oggetto
della proposta, ma anche e soprattutto dei consumatori e, quindi, di buona
parte dell’attuale domanda, verso luoghi di gioco (reali o virtuali)
che possono offrire un portafoglio più completo (mercato illegale/estero);

una minore tutela e sicurezza per i consumatori;
la perdita del maggior gettito ottenibile dalle sopracitate iniziative di razionalizzazione,
quantificabile in circa 367 milioni di euro per il 2006, 262 milioni di euro
per il 2007 e 281 milioni di euro per il 2008;
un ostacolo alle prospettive di sviluppo dell’industria italiana del
gioco.

Nel dettaglio gli interventi previsti sono concentrati sui seguenti obiettivi:
a) introduzione di due tipologie di gioco, da veicolare sul canale internet,
vale a dire i giochi di abilità e le scommesse con interazione diretta
tra i singoli giocatori;

b) ulteriore ottimizzazione della rete di vendita dei giochi pubblici: quest’intervento,
nel suo complesso orientato alla concentrazione della raccolta di gioco in «negozi» specializzati
e dedicati al gioco ed ad una organizzazione strutturata della rete di vendita
non specializzata, si compone di tre iniziative distinte, strettamente correlate
e coerenti tra loro:

caratterizzazione dei punti di vendita dedicati al gioco, rendendo tali luoghi – per
i consumatori innanzitutto – il più possibile distinguibili, controllabili
ed uniformi rispetto alla tipologia di giochi offerti;

razionalizzazione della rete di vendita dei giochi sportivi;
razionalizzazione della rete di vendita dei giochi ippici;

c) migliore organizzazione del comparto degli apparecchi da intrattenimento,
con misure aggiuntive di contrasto agli illeciti ed all’evasione fiscale.
In particolare, si prevede la regolamentazione dell’esercizio «a
distanza» delle scommesse a quota fissa, con modalità di interazione
diretta tra i singoli giocatori (lettera a), del comma 1).

L’intervento in oggetto risponde alla necessità di inquadrare
una particolare tipologia di scommessa, vale a dire quella in cui un gestore
di piattaforme telematiche interconnette due giocatori per scommettere l’uno
contro l’altro su un determinato evento.
Questa modalità crea dinamiche di gioco di notevole attrattività.
Con tale formula è, infatti, possibile non solo scommettere sulla vittoria
ma anche sulla sconfitta (cioè essere, a seconda dei casi, banco o giocatore)
e partecipare, di conseguenza, ad una sfida personale particolarmente attrattivo.
Il gioco in interazione diretta costituisce, peraltro, anche una modalità,
per i gestori professionali del cosiddetto «rischio di gioco»,
di «riassicurarsi» a condizioni convenienti, con beneficio per
tutto il sistema e per gli stessi consumatori.
Oggi, in assenza della possibilità, per gli operatori italiani, di proporre
questa formula i giocatori si rivolgono all’offerta estera, veicolata
tramite internet. La proposizione di una norma che la inserisca nel nostro
ordinamento – determinando con precisione le regole di interazione tra
i giocatori, le forme e modalità per evitare cannibalizzazioni con gli
altri giochi parte del portafoglio esistente, nonché «collusioni» tra
giocatori e attori ovvero organizzatori degli eventi – è, dunque,
un intervento necessario ed urgente per tutelare i giocatori e le esigenze
di ordine pubblico nonché per evitare un deflusso di capitali verso
l’estero ed un contestuale decremento delle entrate erariali.
A stime dichiarate dal maggiore operatore mondiale del settore (Betfair, inglese),
nello scorso biennio la raccolta di soggetti italiani, su questa tipologia
di gioco, ha già raggiunto valori importanti. Si ritiene, peraltro,
che, a partire dal 2008, possa rappresentare, a livello mondiale, circa il
20 per cento del totale della raccolta relativa alle scommesse sportive.
Per questa tipologia di giochi il prelievo erariale è definito nella
stessa misura fissata per le scommesse su eventi singoli (ovvero sulle scommesse
composte fino a sette eventi). Ciò eviterà di creare, in una
fase iniziale, distorsioni nel complessivo sistema dei giochi.
Si prevede poi l’introduzione di giochi di abilità (lettera b)
del comma 1).

L’intervento in oggetto risponde alla necessità di definire un
quadro regolamentare organico, anche in materia di imposizione fiscale, per
i giochi di abilità, i quali riscontrano, anche in ragione dell’evoluzione
tecnologica e della disponibilità di modalità e canali sempre
più sofisticati di collegamento, un crescente favore da parte dei giocatori
italiani.
La mancata autorizzazione degli operatori italiani all’offerta di questa
forma di intrattenimento produrrebbe, al pari di quanto già descritto
per le scommesse a quota fissa con modalità di interazione diretta tra
i giocatori, un deflusso di giocatori verso l’offerta estera. Tuttavia,
con un aggravio. Infatti lo spostamento della raccolta di gioco verso l’estero
non sarebbe relativa solo a tipologie di gioco non presenti nel portafoglio
dei giochi pubblici italiano, ma anche a quelle in esso presenti. Ciò grazie
ad un’offerta, sugli stessi siti internet esteri, più completa
e competitiva.
La scelta dei consumatori italiani verso l’estero che ne consegue metterebbe
in evidente e sempre più significativa difficoltà:

il sistema predisposto dallo Stato italiano per la tutela del giocatore,
finalizzato ad evitare che il gioco con vincite in denaro, principale strumento
di intrattenimento e di prova della capacità individuale, raggiunga «la
deriva» della compulsività ovvero sia indirizzato a soggetti a
rischio (minori);

il controllo della regolare destinazione dei flussi economici derivanti da
tale attività (estero-Italia-estero) da parte degli enti a ciò preposti
(Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato – AAMS e Forze di polizia soprattutto);
i ritorni erariali, sia quelli diretti derivanti dal prelievo erariale sui
giochi sia quelli derivanti dallo sviluppo dell’industria del settore
(con ulteriori e pesanti ricadute occupazionali).

In questo senso appare urgente, anche a complemento delle misure di inibizione
dei siti illegali (adottate a seguito dell’ultima legge finanziaria),
una regolamentazione che determini le tipologie di gioco consentite e che,
anche attraverso una modalità di selezione dei soggetti ammessi all’esercizio
del gioco, fornisca tutela al consumatore in termini di equità del gioco
e di gioco responsabile.

Per questa tipologia di giochi il prelievo erariale è definito nella
stessa misura ad oggi fissata per le scommesse su eventi singoli (scommesse
composte fino a sette eventi), vale a dire il 3 per cento del movimento netto.
Ciò eviterà di creare, in una fase iniziale, distorsioni nel
complessivo sistema dei giochi.
Ancora, si prevede la costituzione di una rete di negozi specializzati nella
vendita del gioco (lettera c) del comma 1).
La norma in oggetto pone le basi per la costituzione di una rete di «negozi» specializzati
nella vendita del gioco, in grado di offrire una gamma molto ampia di giochi.
Ciò allo scopo di:

a) rendere più efficace il controllo sulla regolarità dei giochi
svolti aumentando l’interesse degli operatori coinvolti (esclusivamente
dedicati al gioco) di operare nella completa legalità e di mantenersi
informati sugli sviluppi in questa direzione;

b) concentrare il gioco in una rete di dimensione limitata, in modo da rendere
la rete stessa più facilmente monitorabile e più agevolmente
coinvolgibile in iniziative e programmi di diffusione del «gioco sicuro»;
c) offrire, quindi, ai giocatori tutti i servizi informativi e di intrattenimento
necessari, così migliorando «l’esperienza di gioco» vissuta
dai consumatori;
d) consentire lo sviluppo delle migliori professionalità nel campo della
commercializzazione, soprattutto ai fini della serietà dell’offerta
e tutela del giocatore, evento possibile solo se il punto vendita ha volumi
di raccolta tali da giustificare la specializzazione degli addetti, siano essi
proprietari o dipendenti.

In tal senso la lettera c) del comma 1, oltre a prevedere successivi provvedimenti,
prevede la definizione di tali punti vendita, includendo in essi le agenzie
di scommessa, le sale pubbliche da gioco e le sale destinate al gioco disciplinato
dal regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 31 gennaio 2000,
n. 29.

Ulteriori disposizioni sono volte alla razionalizzazione della rete di vendita
delle scommesse sportive ed ippiche (commi 2 e 4).
I commi 2 e 4 intervengono in modo strutturato sull’attuale sistema concessorio
e distributivo dei giochi a base sportiva ed ippica, caratterizzato, ad oggi,
da un sistema misto in cui le reti di vendita sono determinate non già da
un piano organico di sviluppo del settore, ma dalla stratificazione di norme
successive, intervenute nel tempo per la regolazione della struttura concessoria
e dei nuovi giochi via via introdotti.
In particolare si prevede la costituzione di una rete strutturata di punti
di vendita del gioco, il cui esercizio è – anche in risposta alle
recenti osservazioni ricevute a livello comunitario – aperto ad ogni
operatore di gioco degli Stati membri dell’Unione europea, dell’Associazione
europea per il libero scambio (EFTA) ovvero di altri Stati che rispettino determinati
requisiti di affidabilità.
Tale rete è suddivisa in:

punti di vendita aventi come attività principale la commercializzazione
dei prodotti di gioco pubblici; tali punti (denominabili «negozi»)
potranno offrire, oltre agli altri giochi pubblici di sorte eventualmente commercializzati
in questi luoghi in virtù degli esistenti rapporti concessori (lotto,
superenalotto, eccetera), tutti i giochi basati sullo sport e sull’ippica,
ovvero, nel caso acquisiscano una sola abilitazione, tutti i giochi con l’eccezione
delle scommesse sullo sport riservate alla rete sportiva (qualora acquisiscano
esclusivamente l’ippica) ovvero delle scommesse sull’ippica (qualora
acquisiscano solo lo sport); potranno essere previste, per questi punti, alcune
tipologie di scommessa in via esclusiva;

punti di vendita aventi come attività accessoria la commercializzazione
dei prodotti di gioco pubblici (denominabili «angoli» o «corner»)
i quali potranno offrire, in generale, tutti i giochi a basso rischio di compulsività e,
in particolare, comunque, tutti i giochi di sport ed ippica attualmente disponibili
in ricevitoria. Saranno quindi proposti i concorsi pronostici su base sportiva
e le scommesse sportive a totalizzatore ed a quota fissa (quest’ultima
per la sola rete sportiva), il concorso pronostici denominato totip, le scommesse
ippiche di cui all’articolo 1, comma 498, della legge 30 dicembre 2004,
n. 311.

Ogni ulteriore gioco pubblico a totalizzatore basato sull’ippica, che
sarà posto in vendita nel periodo di vigenza dell’abilitazione
alla raccolta, sarà attribuito alla rete ippica, mentre i giochi sportivi
saranno attribuiti ad entrambe le reti.

L’assegnazione iniziale di ulteriori «negozi» ovvero di «angoli» (nel
caso dei punti in cui la commercializzazione di giochi rappresenta un’attività accessoria)
avverrà tramite una o più aste competitive con l’obiettivo
di avere un numero complessivo di punti tale da permettere, aggiungendosi a
quelli operanti a quella data, la creazione di reti di vendita composte da
almeno 7.000 punti di vendita (ovvero 10.000 nel caso dell’ippica), oltre
le agenzie già esistenti.

Al fine di mantenere una dimensione della rete coerente con gli obiettivi
di controllo definiti, i punti di vendita aventi come attività principale
la commercializzazione dei prodotti di gioco pubblici potranno essere:
il 30 per cento del numero dei nuovi punti di vendita per le scommesse sportive;

il 5 per cento del numero dei nuovi punti di vendita per le scommesse ippiche.

La localizzazione è determinata sulla base del numero di abitanti
del comune, ovvero, nel caso dell’ippica, del numero di abitanti della
provincia e della propensione al gioco ippico.

A tutela della rete esistente sono fissati dei limiti di prossimità alle
attuali agenzie, pari a:

800 metri (ovvero 1.600 metri per comuni con popolazione inferiore a 200.000
abitanti) nel caso della rete specializzata sullo sport e 2.000 metri (ovvero
3.000 metri per comuni con popolazione inferiore a 200.000 abitanti) nel caso
della rete specializzata sull’ippica;

400 metri (ovvero 800 metri per comuni con popolazione inferiore a 200.000
abitanti) nel caso dei negozi in cui il gioco è attività accessoria.

Da tali limiti sono esclusi i negozi già attivi.

Per non determinare squilibri di breve termine e mantenendo quanto già previsto
nelle norme precedenti, è altresì prevista la definizione di
modalità di salvaguardia verso gli attuali concessionari.
Al fine di assicurare un trattamento uniforme e di determinare con ragionevole
certezza il gettito erariale sono, altresì, stabiliti i valori minimi
per l’acquisizione dell’abilitazione, pari a 7.500 euro per gli «angoli»,
25.000 euro per i negozi (30.000 per l’ippica) e 200.000 euro per l’esercizio
del gioco telematico.
In tal modo si otterrà il triplice effetto di:

1) contrastare l’offerta illegale od irregolare, che oggi si fonda
in gran parte su di un numero di punti vendita largamente inferiore alla domanda;

2) ottenere un beneficio erariale immediato;
3) rispondere alle crescenti (seppur in larga misura infondate) contestazioni
mosse dall’Unione europea, con soluzioni di lungo termine, ancor più in
linea con lo spirito e con le evoluzioni in essere del trattato comunitario.

Si prevede altresì il riordino delle aliquote di imposta per le scommesse
a quota fissa per eventi diversi dalle corse dei cavalli (comma 3).

Il riordino in oggetto costituisce un perfezionamento dello schema impostato
nella legge finanziaria 2006, proponendo l’introduzione di meccanismi
oggettivi e predeterminati di allineamento automatico dell’aliquota dell’imposta
unica sulle scommesse sportive alla crescita della raccolta.
In particolare si propone di integrare il sistema già impostato nella
finanziaria per il 2006, mantenendone genericamente lo spirito ma rendendolo
molto più rapido ed elastico a fronte di variazioni della raccolta anche
significative, con l’obiettivo di assicurare, comunque, pur a fronte
di una riduzione di aliquota, entrate erariali complessive crescenti rispetto
al dato attuale previsto di circa 155 milioni di euro annui.
Nel dettaglio il meccanismo previsto prevede di sostituire l’attuale
revisione annuale delle aliquote con un sistema più dinamico, basato
su cinque scaglioni di raccolta, al raggiungimento dei quali diminuisce l’imposta;
il raggiungimento di tali valori è misurato, ogni mese, sulla base dei
dodici mesi precedenti, ed il numero di scaglioni è strutturato in maniera
tale da poter seguire anche variazioni di un ordine di grandezza pari al doppio
della raccolta attuale.
Questa soluzione consente di diminuire, tramite la riduzione dell’imposta,
la convenienza all’evasione ovvero ad operare da Paesi esteri a basso
prelievo fiscale, ed appare urgente per fornire agli operatori (esteri) un
quadro certo di lungo periodo della convenienza ad operare in Italia, favorendo
nuovi investimenti ed evitando il deflusso degli operatori attuali.
Ad una ulteriore razionalizzazione del comparto degli apparecchi da intrattenimento
provvedono i commi da 5 a 8.

Gli interventi in materia di apparecchi da intrattenimento sono finalizzati:

a) ad armonizzare la disciplina riguardante gli esercizi pubblici e commerciali
che costituiscono la rete di punti di vendita degli apparecchi da intrattenimento
con la logica più generale di razionalizzazione delle reti distributive
fisiche dei giochi (introducendo, tra l’altro, nuove e specifiche sanzioni
amministrative);

b) ad impostare nuove modalità di gestione dei flussi finanziari nella
raccolta.

In particolare, si attribuisce all’AAMS (comma 5) la competenza esclusiva
per l’individuazione del numero massimo di apparecchi installabili (e
delle specifiche prescrizioni di installazione) relativamente ai locali che
abbiano come attività principale la commercializzazione del gioco pubblico,
ferme restando, per gli stessi punti di vendita, le autorizzazioni di polizia
demandate agli enti locali.

Si mantiene invece, in materia, l’attuale regime di concertazione tra
l’AAMS, il Ministero dell’interno – Dipartimento di pubblica
sicurezza e la Conferenza Stato-città ed autonomie locali per tutti
gli altri punti «non specializzati».
Nel quadro delle scelte di specializzazione dei punti vendita, quelle relative
alle modalità di installazione degli apparecchi da intrattenimento sono
specificamente mirate a sviluppare politiche di collocazione selettiva di apparecchi
nei luoghi dedicati al gioco, operanti con le caratteristiche definite.
Il comma 6, invece, introduce una nuova sanzione amministrativa accessoria,
per i casi di reiterazione, ai sensi dell’articolo 110, comma 10, del
testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno
1931, n. 773, dei comportamenti illeciti in materia di produzione, importazione,
distribuzione od offerta di apparecchi irregolari o privi di autorizzazioni
amministrative (comma 9 dello stesso articolo 110).
In tali casi di reiterazione di comportamenti illeciti, i titolari di licenze
di pubblica sicurezza (articolo 86 del citato testo unico) o commerciali (articolo
3 della legge 25 agosto 1991, n. 287) decadono, automaticamente, dalle autorizzazioni
o dagli incarichi inerenti la raccolta di giochi, concorsi o scommesse pubblici,
siano essi rilasciati dal Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione
autonoma dei monopoli di Stato ovvero derivanti da rapporti contrattuali con
i soggetti concessionari od affidatari, da parte dell’AAMS stessa, della
raccolta degli stessi giochi pubblici.
Tale sanzione amministrativa accessoria, di sostanziale esclusione degli esercenti
dalla possibilità di far parte delle reti di distribuzione e raccolta
dei giochi pubblici, trova la sua natura nella evidenza – data dalla
reiterazione di comportamenti illeciti – della perdita dei requisiti
di affidabilità necessari per far parte delle reti stesse.
L’intervento in materia di apparecchi da intrattenimento prevede inoltre,
al comma 7, la soppressione – con riferimento alla modalità di
pagamento dei premi in denaro previsti per gli apparecchi di cui al comma 6,
lettera a), del citato articolo 110 del testo unico di pubblica sicurezza – dell’inciso «in
monete metalliche».
L’intervento consente nuove prospettive di sviluppo costruttivo e di
funzionamento degli apparecchi con vincite in denaro, in ragione delle opportunità,
offerte dall’evoluzione tecnologica, volte a favorire il contrasto alle
frodi ed all’evasione fiscale nello specifico comparto di gioco.
In particolare, sarà possibile la progettazione e l’introduzione
di strumenti elettronici di pagamento delle giocate e delle vincite, strumentale,
inoltre, ad impostare – nel quadro delle altre disposizioni vigenti in
materia di raccolta del gioco e di gestione del prelievo erariale unico – modalità di
determinazione del prelievo erariale al momento della vendita degli strumenti
di pagamento e non – come avviene oggi – al momento della singola
giocata.
Tale modifica legislativa non richiede il necessario intervento sulle modalità costruttive
e di funzionamento delle macchine attualmente operative sul mercato, in quanto
diverrà efficace, a livello tecnico, solo dopo il recepimento nelle
regole di produzione e verifica tecnica degli apparecchi.
Con il comma 8, infine, si proroga al 1º gennaio 2007 la già prevista
rideterminazione dell’aliquota sul prelievo erariale unico, fissata al
12 per cento, a decorrere dal 1º luglio 2006, dall’articolo 1, comma
531, della legge n. 266 del 2005.

TITOLO IV

Il titolo IV reca le disposizioni finali del decreto-legge.

Articolo 39.

L’articolo 39 modifica la disciplina di esenzione dall’ICI. In
particolare, si prevede che l’esenzione disposta dall’articolo
7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si
intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera che
non abbiano esclusivamente natura commerciale.

Articolo 40.

La norma reca la copertura finanziaria del provvedimento, disponendo che
agli oneri recati dal decreto-legge, pari a complessivi 4.219 milioni di euro
per l’anno 2006, a 1.582 milioni di euro per l’anno 2007 e a 2.338
milioni di euro per l’anno 2008, si provvede mediante utilizzo delle
maggiori entrate e delle riduzioni di spesa recate dal medesimo decreto-legge.

Articolo 41.

L’ultima disposizione è relativa all’entrata in vigore
del decreto-legge, fissata nel giorno stesso della sua pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale.

Redazione

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