La verifica dei
risultati dell’attività annuale del direttore generale deve farsi “secondo
i criteri e i principi recati dalla normativa vigente” (art. 1, comma
6, d.l. 512 del 1994), mai approvati dal legislatore.
Spetterà dunque in concreto agli organi chiamati ad esprimere le valutazioni
sugli operati dei direttori generali delle Aziende sanitarie, individuare
i criteri sui quali condurre gli apprezzamenti da condurre sulle loro gestioni
annuali.
Dovrà trattarsi di valutazioni “aziendalistiche”, coerenti col nuovo carattere
impresso alle aziende improntato alla economicità della gestione, espresso
in modo esplicito con la riforma di cui al d. lgs. 19 giugno 1999, n. 229,
ma già desumibile dal sistema come era stato definito con il decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, nella sua originaria formulazione.
. . . . . . . .
Consiglio di Stato, V sezione
Sentenza 19 settembre 2006 n. 5476
(presidente Santoro, estensore Farina)
Conferma TAR Lazio-Roma, sez.
I bis, n. 369/99
[in un primo momento il Consiglio di Stato aveva accolto, su richiesta
della Regione Lazio appellante, la domanda di sospensione dell’efficacia
della sentenza impugnata, con ordinanza
della IV Sezione, n. 1276/99, del 1° giugno
1999, n.d.r.]
(…)
Diritto
1. Viene in decisione il ricorso in appello avverso la sentenza n. 369 del
1999, con la quale il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Sez. I
bis, ha annullato la deliberazione del consiglio regionale del Lazio, in data
16 maggio 1996, con la quale è stata negata la conferma del direttore
generale della Azienda U.S.L. di Frosinone.
Il provvedimento è stato adottato in applicazione dell’art. 1,
comma 6, del d.l. 27 agosto 1994, n. 512, conv. nella l. 17 ottobre 1994, n.
590. La norma dispone che, trascorso un anno dalla nomina dei direttori generali
delle aziende “unità sanitarie locali” e delle aziende ospedaliere,
le regioni provvedano alla verifica dei risultati “amministrativi e di
gestione ottenuti, secondo i criteri e i principi recati dalla normativa vigente” e
dispongano, di conseguenza, con “provvedimento motivato, la conferma
dell’incarico o la risoluzione del relativo contratto”.
L’atto impugnato col ricorso introduttivo, sulla scorta di una precedente
deliberazione della giunta regionale – n. 783 del 15 febbraio 1996 – e
della istruttoria compiuta, dispone appunto nel senso della risoluzione del
contratto.
2. La sentenza del T.A.R. ha concluso per la fondatezza dei motivi proposti
dal ricorrente, nella parte in cui ha lamentato “l’assenza di criteri
e parametri oggettivi di valutazione”.
La conclusione riportata segue all’esame dell’attività compiuta
dagli organi regionali:
con predisposizione di un insieme di informazioni significative per la verifica,
da parte della giunta;
con istruttoria curata da tutte le strutture del competente assessorato alla
salvaguardia ed alla cura della salute;
con presumibile intento dell’amministrazione “di attenersi a criteri
di valutazione obiettivi ed omogenei”;
ma senza la predeterminazione “degli anzidetti criteri di valutazione
omogenea”, in assenza di “qualsiasi definizione del livello di
rilevanza attribuibile ai diversi indicatori” raccolti;
e poiché la sola eccezione delle valutazioni predisposte dal direttore
dell’osservatore epidemiologico ragionale (O.E.R.) non era sufficiente
a concludere diversamente, perché questi, pur essendosi posto il problema
di introdurre elementi di misurazione, mediante attribuzione di punteggi: a)
non aveva reso ragione dei criteri seguiti per determinare il livello dei punteggi
stessi, b) ed inoltre aveva egli stesso espresso riserve, nella sua seconda
nota del 17 gennaio 1996, “circa la rispondenza allo scopo delle elaborazioni
effettuate”,
con l’ulteriore osservazione che la Regione “non ha predefinito
gli obiettivi da raggiungere, cosicché … appare incongruo che … i
risultati conseguiti nella singola azienda siano apprezzati come una variabile
totalmente indipendente da quelli verificatisi generalmente in ambito regionale”.
I giudizi espressi, svincolati da ogni riconoscibile parametro oggettivo,
sono stati perciò definiti, dal primo giudice, inadeguati ed incongrui.
3. Il ricorso in appello, muovendo dalla norma riguardante la verifica da
fare – e che si è sopra riferita – pone in rilievo:
che è esclusa ogni comparazione tra le varie aziende ed i vari direttori
generali;
che la decisione è l’effetto di due equivoci:
a) che l’insieme delle informazioni richieste (la “griglia”,
secondo la terminologia dell’amministrazione) esigeva una omogeneità “tra
i dati della ricostruzione amministrativo contabile che ciascun interessato
avrebbe dovuto fornire”;
b) che la preoccupazione del T.A.R. di lasciare spazio ad una discrezionalità troppo
ampia: è connessa con un principio che vale per i procedimenti concorsuali
o di gara, vale a dire la predeterminazione dei criteri; e non era esatta,
perché, per legge, i risultati raggiunti dovevano essere verificati “secondo
i criteri ed i principi recati dalla normativa vigente”, sicché va
fugato un dubbio circa una discrezionalità tendenzialmente arbitraria;
che si è di fronte ad un atto di alta amministrazione, espressione
della potestà di indirizzo e di governo delle regioni nel settore sanitario,
sicché è logico che la legge non richieda “quella astratta
predeterminazione, cui la sentenza ha fatto invece erroneo riferimento”;
che il provvedimento è motivato in modo conforme alla legge con espressione
di un giudizio complessivo di inadeguatezza, rispetto alle “aspettative
di cambiamento riposte” in tutti i nuovi direttori generali delle Aziende
in discorso.
4. L’appello non merita adesione.
È palese che, nonostante che la legge stabilisca che la verifica dei
risultati dell’attività annuale debba farsi “secondo i criteri
e i principi recati dalla normativa vigente” (art. 1, comma 6, d.l. 512
del 1994), tali parametri non siano espressamente enunciati. Con la conseguenza
che spetta agli organi, chiamati ad esprimere le definitive valutazioni sugli
operati dei direttori generali delle Aziende in discussione, desumere dalla
legge – che stabilisce i poteri dei medesimi direttori – i criteri
sui quali modellare gli apprezzamenti da condurre sulle loro gestioni annuali.
È altresì pacificamente accolto in giurisprudenza, perché è un
portato logico altrettanto generalmente accolto, che un giudizio in tanto può rispondere
ad obiettività, in quanto è espresso sulla scorta di raffronti
a misure predeterminate, e queste quanto più possibili legate ad elementi
definiti nella loro materialità (come a determinati risultati di bilancio,
a tempi medi di erogazione di prestazioni sanitarie, a rapporti tra popolazione
assistita e consistenza delle risorse umane e strumentali apprestate per fornire
il servizio, ma solo per citarne alcuni).
La dovizia di elementi vari, raccolti in sede di istruttoria dalla amministrazione
procedente, dimostra già questa carenza nella disomogeneità dei
dati e degli elementi considerati. Questi, alla stregua di parametri diversi,
possono condurre, sul piano della interpretazione dei giudizi espressi, a non
chiare o non precise o non percepibili valutazioni correlative agli elementi
messi in risalto nei giudizi stessi. Sicché i giudizi sono inficiati
non solo sul piano giuridico, con riguardo alla esigenza di una motivazione
che risponda ad obiettività ed a corrispondenza con l’interesse
pubblico da perseguire in concreto, ma anche sul piano dei profili di valutazione
cosiddetti “aziendalistici”. Connessi, vale a dire, col nuovo carattere
impresso alle aziende improntato alla economicità della gestione, poi
espresso in modo esplicito, con la riforma di cui al d. lgs. 19 giugno 1999,
n. 229, ma già desumibile dal sistema come era stato, all’epoca
del provvedimento impugnato, definito con il decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502, nella sua originaria formulazione.
E che dovessero valere i criteri che presiedono alla valutazione, nell’ambito
delle imprese, della gestione dei responsabili, si trova dimostrazione proprio
nella norma della cui applicazione qui si discute (art. 1, comma 6, d.l. 512
del 1994) che ha introdotto la verifica annuale dei risultati della attività dei
direttori generali delle aziende sanitarie.
Ne segue che, in concreto, è mancata, nella specie, come ha esattamente
messo in luce il primo giudice, la predeterminazione, su basi omogenee, dei
criteri in forza dei quali condurre le valutazioni. Ma anche che il giudizio è improntato,
in talune sue parti, a formulazione generica, ad espressione relativamente
vaga, a conclusione non chiaramente compatibile con le risultanze dell’istruttoria:
come è stato concretamente indicato dal Tribunale amministrativo regionale
nell’ultima parte della motivazione della sentenza impugnata (a proposito,
rispettivamente, della “strategia di riferimento per l’avvio del
processo di riorganizzazione aziendale”, del possesso dei necessari requisiti
del responsabile del centro di assistenza domiciliare e di problemi di gestione
delle risorse umane non meglio definiti, e infine a rilievi desunti dalla relazione
trimestrale dei revisori, dopo l’affermazione che le relazioni non erano
state fatte pervenire).
In conclusione, l’assenza di obiettivi previamente assegnati, e puntualmente
definiti per la A.U.S.L., e l’assenza di prefissazione di elementi omogenei
di valutazione dei risultati di gestione raccolti e, infine, la genericità o
le altre inadeguatezze, sopra delineate, di taluni apprezzamenti espressi,
conducono a condividere il giudizio, dato dal primo giudice, sulla illegittimità della
deliberazione impugnata in prime cure.
6. Ne segue la conferma della sentenza appellata.
7. Vi sono motivi per disporre la compensazione delle spese del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello.
Spese compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quinta), nella camera di consiglio del 4 aprile 2006. Depositata in
segreteria il 19 settembre 2006.