Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri interviene su tariffe e pubblicita’

Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha diramato, lo scorso 18 settembre,
una circolare interpretativa sulle novita’ contenute nel decreto Bersani (D.L.
223/2006, come convertito dalla legge 248/2006), con
cui
sono
state
introdotte
disposizioni
urgenti per la tutela
della concorrenza nel settore dei servizi professionali.

Tariffe inferiori ai minimi ma adeguate all’importanza dell’opera e al
decoro
della
professione

La circolare si sofferma in particolare sugli "effetti concreti
dell’abrogazione generalizzata di tutte le disposizioni legislative e regolamentari
che prevedono,
con riferimento alle attività libero professionali ed intellettuali,
l’obbligatorietà delle tariffe nel settore dei contratti pubblici e
nel settore privato", e conclude nel senso che è ora possibile
pattuire compensi professionali in deroga ai minimi stabiliti dalle tariffe
professionali, ma "il compenso deve essere adeguato
all’importanza dell’opera e al decoro della professione".

Pubblicità come elemento propulsivo della concorrenza.

Il decreto Bersani ha abrogato tutte le norme
che prevedevano, per i liberi professionisti,
il divieto anche parziale di svolgere pubblicità informativa circa i
titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio
offerto,
nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni.

Osserva il CNI: "è chiara la ratio ispiratrice della norma, finalizzata
ad attribuire alla pubblicità il ruolo di elemento propulsivo della
concorrenza".

Pubblicità informativa

L’attività pubblicitaria
che il professionista potrà porre in essere dovrà essere di tipo informativo;
quindi, "finalizzata a comunicare all’esterno i titoli e le specializzazioni
professionali le caratteristiche del servizio offerto, il prezzo e i costi
complessivi delle prestazioni".

Secondo il CNI, devono, di conseguenza, "ritenersi esclusi i
messaggi pubblicitari volti a richiamare l’attenzione su elementi marginali
o addirittura diversi su quelli richiamati dalla norma".

In conclusione, alla luce del decreto Bersani, "soltanto rendendo noti i corrispettivi
ai quali i professionisti si impegnano a rendere la propria opera professionale,
sarà
possibile dare
portata pratica alla abrogazione delle norme che prevedevano l’obbligatorietà dei
minimi tariffari".

. . . . . . .

Consiglio Nazionale degli Ingegneri

Circolare del 18 settembre 2006, protocollo CNI n. 3118

Osservazioni e considerazioni sull’interpretazione della l. 4 agosto
2006, n. 248 di conversione del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, recante ‘disposizioni
urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione
della spesa pubblica, nonche’ interventi in materia di entrate e contrasto
all’evasione fiscale’

1. Premessa.

La presente circolare ha natura interpretativa ed è finalizzata a fornire
indicazioni agli Ordini professionali ed ai loro iscritti in ordine all’interpretazione
delle norme del d.l. 4 Luglio 2006, n. 223, come convertito dalla l. 4 agosto
2006, n. 248, con cui sono state introdotte disposizioni urgenti per la tutela
della concorrenza nel settore dei servizi professionali.

In particolare, oggetto della circolare saranno gli effetti concreti dell’abrogazione
generalizzata di tutte le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono,
con riferimento alle attività libero professionali ed intellettuali,
l’obbligatorietà delle tariffe nel settore dei contratti pubblici e
nel settore privato.

Inoltre, verranno fornite prime e generali indicazioni sul potere di vigilanza
attribuito dalla l. 4 agosto 2006, n. 248 agli ordini in merito alla veridicità ed
alla trasparenza del messaggio pubblicitario.


2. L’abrogazione delle norme legislative e regolamentari che prevedono
con riguardo alle attività libero professionali l’obbligatorietà di
tariffe fisse o minime nel settore degli appalti pubblici e nel settore privato.

Una prima questione che la presente circolare intende chiarire riguarda l’effettiva
portata della norma con cui sono state abrogate, in via generalizzata, tutte
le disposizioni legislative e regolamentari recanti l’obbligatorietà di
tariffe fisse o minime.

In particolare, si ritiene necessario distinguere il settore dei contratti
pubblici dal settore privato. Ciò in ragione di alcuni argomenti che
– a nostro parere – inducono a ritenere non operante in materia di contratti
pubblici l’abrogazione dell’art. 92 del d.lgs. 163/06.

In sostanza, in base alla disposizione appena citata, il Codice degli appalti
rinvia ad un apposito regolamento ministeriale la determinazione dei corrispettivi
minimi per alcune attività tipiche della professione di ingegnere (1),
statuendo il carattere inderogabile di tali corrispettivi e prevedendo la nullità dell’eventuale
patto contrario (2).

Nelle more dell’emanazione del decreto previsto dal citato art. 92 trova applicazione
l’analogo decreto emanato in base all’art. 17 della L. 109/94.

Infatti, l’art. 253 comma 17 del d.lgs. n. 163/06 stabilisce che, fino alla
ridefinizione delle tabelle dei corrispettivi prevista dall’art. 92 del d.lgs.
163/06, "continua ad applicarsi quanto previsto nel decreto del Ministro
della Giustizia del 4 Aprile 2001 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96
del 26 Aprile 2001"

L’interpretazione qui sostenuta, in base alla quale l’art. 2 comma 1 let.
a) del decreto Bersani (con cui è disposta l’abrogazione di tutte le
disposizioni di legge e di regolamento che prevedono l’obbligatorietà di
tariffe fisse o minime) non incide sul d.lgs. 163/06, noto come Codice dei
Contratti dei contratti pubblici, è confermata dagli argomento di seguito
specificati.

a) In primo luogo, vale richiamare il tenore dell’art. 255 del d.lgs 163/06,
che prevede la c.d."clausola di resistenza".

In base a tale disposizione ogni intervento normativo incidente sul codice,
o sulle materie dallo stesso disciplinate, andrebbe attuato mediante esplicita
modifica, integrazione, deroga o sospensione delle specifiche disposizioni
in esso contenute.

La disposizione, che riproduce la norma di tenore analogo prevista dall’art.
1 comma 4 della l. 109/94, implica la possibilità incidere su una delle
materie disciplinate dal codice soltanto attraverso l’introduzione di un’esplicita
previsione normativa.

Al riguardo, in primo luogo, sembra porsi la questione relativa all’omesso
riferimento, nel testo dell’art. 255, all’abrogazione quale modalità di
intervento normativo incidente sul codice. Ma, a meno di volere giungere a
conclusioni illogiche, sembra da accogliere la tesi in base alla quale anche
l’abrogazione delle disposizioni contenute nel codice, seppure non espressamente
richiamata, sarebbe sottoposta alla predetta clausola di resistenza. Del resto
l’abrogazione di una o più disposizioni del d.lgs. 163/2006 configurerebbe
un intervento ancor più radicale rispetto a quelli espressamente citati
(modifica, integrazione, deroga o sospensione).

Tale orientamento sembra trovare un avallo nella relazione di accompagnamento
al d.lgs. 163/2006, che, nella parte che riguarda l’art. 255, inquadra il medesimo
tra le disposizioni meramente riproduttive dell’art. 1 comma 4 della l. 109/1994,
in cui, invece, l’abrogazione era espressamente contemplata.

Tale circostanza sembra consentire di interpretare l’omesso riferimento all’abrogazione,
nell’ambito della disposizione dell’art. 255, quale semplice dimenticanza,
inidonea a mutare l’effettiva portata della clausola di resistenza nella nuova
norma rispetto a quella previgente.

Semmai il problema si pone su altro piano. Occorre rilevare, infatti, come
la dottrina costituzionalistica abbia sempre dubitato della reale portata delle
disposizioni legislative che considerano la sola abrogazione espressa quale
meccanismo di intervento su una determinata disciplina normativa preesistente.
La dottrina maggioritaria ritiene, infatti, che solo una fonte normativa superiore
possa restringere o allargare la forza delle leggi nella prospettiva della
loro successione nel tempo (3). Pertanto, la clausola "di sola abrogazione
espressa" si configurerebbe, al massimo, come un invito all’autolimitazione
rivolto al futuro legislatore, magari allo scopo di preservare l’organicità e
la coerenza di un determinato testo legislativo (si pensi, appunto, al caso
dei Codici o dei Testi unici). Tuttavia, pur riconoscendo che ogni legge in
ogni tempo può derogare o sovrapporsi con effetto abrogativo alle norme
delle leggi preesistenti, si può ritenere che la riserva di sola abrogazione
espressa rivesta, comunque, nei casi dubbi, una valenza interpretativa in favore
della sopravvivenza della norma cui si rivolge.

b) Ad ogni modo, la non riconducibilità delle disposizioni del codice
degli appalti nell’ambito di applicazione dell’art. 2 del decreto "Bersani" sembra
possa essere dimostrata anche in base a due ordini di considerazioni, espressione
dell’applicazione del criterio di specialità nella successione di leggi
nel tempo.

Da un lato, infatti, il d.lgs. 163/06 configura un autonomo nucleo organico
di norme, un "micro-sistema" utilizzato dal legislatore per disciplinare
un vasto assetto di interessi e che deve essere valutato in ragione della propria
logica settoriale.

Ciò indurrebbe a ritenere che norme generali, quali l’art. 2, non siano
in grado di incidere sulla disposizione speciale, seppure anteriore.

Dall’altro lato, l’intervento legislativo volto a incentivare il rilancio
economico e la concorrenza nel settore delle prestazioni professionali – caratterizzato
per la sua generalità – è intervenuto ridefinendo il sistema
di regole relativo alle tariffe professionali rivolgendosi ad un assetto di
interessi in parte diverso da quello, particolare, che il legislatore del codice
degli appalti ha tenuto presente proprio con riguardo alle disposizioni in
materia di prestazioni di ingegneria.

In materia di contratti pubblici, infatti, l’obbligo di ricorrere a procedure
di evidenza pubblica, nonché il fondamentale ruolo della progettazione
e dei servizi affini nell’ambito del processo di realizzazione di un’opera
pubblica, inducono a ritenere che il sistema dei corrispettivi minimi – e non
delle tariffe (ma sul punto vedi infra) – costituisca un complesso normativo
speciale, in quanto tale sottratto agli effetti dell’abrogazione disposta dall’art.
2 del d.l. 223/06.

c) La non incidenza dell’abrogazione delle norme sull’obbligatorietà di
tariffe minime rispetto alle previsioni del codice degli appalti sembra potersi
trarre anche dall’interpretazione letterale dell’art. 2 comma 1 let. a) del
d.l. 4 luglio 2006, n. 223, come convertito dalla l. 4 agosto 2006, n. 248.

Infatti, tale disposizione ha abrogato le norme di legge e di regolamento
contenenti l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime.

L’art. 92 del d.lgs 163/06, invece, rinvia ad un regolamento ministeriale
l’individuazione dei corrispettivi minimi che devono essere stabiliti per alcune
tipologie di attività rispetto ai quali le tariffe rappresentano meri
parametri di riferimento, come è dato evincere dal comma 2 del citato
articolo, in base al quale tali corrispettivi vengono stabiliti "tenendo
conto delle tariffe previste per le categorie professionali interessate".

Tale disposizione non fa altro che confermare la differenza tra tariffe e
corrispettivi, differenza che consente di definire l’ambito di applicazione
del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla l. 4 agosto 2006, n. 248,
in cui non sembra possano essere ricondotte le disposizioni del codice degli
appalti in materia di corrispettivi per le attività tecniche contemplate
dall’art. 92.

Peraltro, tale opzione ermeneutica sembra confermata dalla legge di conversione
al decreto che ha aggiunto al comma 2 dell’articolo 2 il seguente periodo: "nelle
procedure ad evidenza pubblica le stazioni appaltanti possono utilizzare le
tariffe, ove motivatamente ritenute adeguate, quale criterio o base di riferimento
per la determinazione dei compensi per attività professionali".

Tale norma, infatti, qualificando le tariffe come meri criteri per la determinazione
dei corrispettivi riafferma la differenza tra queste e quelle, confermando
al tempo stesso l’interpretazione qui proposta.

Tale disposizione, comunque, non è ridotta al rango di mero criterio
interpretativo in quanto essa ha una sua autonoma portata in relazione alle
prestazioni professionali di ingegneria diverse da quelle indicate nell’art.
90 del d. lgs. 163/06, ovvero affidate da soggetti aggiudicatori diversi da
quelli tenuti all’applicazione degli artt. 90 e ss. d. lgs. 163/06.

d) Infine, ad ulteriore conferma dell’interpretazione in base alla quale l’abrogazione
delle norme contenenti l’obbligatorietà di tariffe minime non incide
sul codice degli appalti, si sottolineano alcuni argomenti di carattere sostanziale.

Infatti, le disposizioni in tema di affidamento dei servizi di ingegneria
contemplati dall’articolo 90, impongono lo svolgimento di procedure concorsuali
in cui il corrispettivo posto a base di gara è, proprio per l’intrinseca
natura di una procedura di gara, sottoposto a ribasso, anche laddove venisse
utilizzato il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Di conseguenza, lasciare alle stazioni appaltanti la possibilità di
scendere al di sotto di corrispettivi minimi comporterebbe come conseguenza
un’eccessiva riduzione dei compensi per le prestazioni professionali di ingegneria.

Ciò avrebbe come ulteriore conseguenza la violazione dei parametri
– rappresentati, per un verso, dal decoro della professione e, per altro verso,
dall’importanza dell’opera – cui la misura del compenso professionale deve
comunque essere riferita, nonché l’inevitabile peggioramento della qualità delle
prestazioni di ingegneria che hanno un’importanza vitale nella realizzazione
delle opere pubbliche.

Infatti, il decreto non ha assolutamente inciso sulla portata applicativa
dell’art. 2233 c.c. in base alla quale la misura del compenso deve essere adeguata
all’importanza dell’opera e al decoro della professione.

Si consideri che la sanzione di nullità per i patti posti in deroga
ai corrispettivi professionali minimi, stabiliti dal d.m. previsto dall’art.
90 del d.lgs. 163/06 è espressione di una precisa valutazione del legislatore
in ordine alla rilevanza pubblicistica degli interessi sottesi alla misura
dei compensi per le attività professionali funzionali alla realizzazione
di opere pubbliche.

Le considerazioni sopra svolte sembrano – a nostro avviso – tali da ritenere
che la riforma, introdotta con il decreto "Bersani", abbia determinato,
con riguardo ai servizi professionali di ingegneria, il seguente nuovo assetto
normativo:

1) i corrispettivi delle prestazioni di ingegneria, richiamate nell’art. 90
del d.lgs. 163/06, non possono essere posti in deroga ai corrispettivi minimi,
atteso il carattere speciale della disciplina in materia di contratti pubblici,
in quanto tale sottratta all’abrogazione in forza del decreto "Bersani";

2) i contratti stipulati con corrispettivi inferiori ai minimi sono affetti
da nullità, che ha carattere parziale ed è sottoposta al meccanismo
della sostituzione automatica delle clausole nulle. Di conseguenza, il patto
posto in deroga verrebbe sostituito dal corrispondete corrispettivo minimo
previsto dalla tabella;

4) attualmente continua a trovare applicazione la tabella prevista dal d.m.
4 aprile 2001;

5) le stazioni appaltanti, chiamate ad affidare gli incarichi di ingegneria
contemplati dall’art. 90 del d.lgs. 163/06, dovranno porre a base della procedura
per l’affidamento i corrispettivi individuati dalla tabella di cui sopra, con
l’avvertenza che il corrispettivo risultante dall’eventuale ribasso non dovrà essere
inferiore ai minimi, salvo il disposto dell’art. 4, comma 12bis della legge
26 Aprile 1989, n. 155 che consente, per i soggetti aggiudicatori in esso indicati,
il ribasso del 20 per cento rispetto ai minimi;

6) le stazioni appaltanti per le prestazioni professionali diverse da quelle
indicate dal citato articolo 90, ed i soggetti aggiudicatori non tenuti all’applicazione
degli artt. 90 e ss. applicheranno l’art. 2 comma 2 del d. l. 223/06 e, quindi,
potranno utilizzare le tariffe, ove motivatamente ritenute adeguate, quale
criterio o base di riferimento per la determinazione dei compensi per attività professionali,
e non saranno tenute all’applicazione dei corrispettivi minimi di cui al citato
d.m., né ad esse risulterà applicabile la sanzione della nullità;

7) nell’ambito individuato nel precedente punto 6, però, non si può escludere
che i professionisti siano sottoposti all’obbligo, sanzionabile in sede disciplinare,
di individuare la misura del compenso in modo che essa risulti adeguata all’importanza
dell’opera e al decoro della professione.


3. … nel settore privato.

Tali considerazioni, valide per il settore degli appalti pubblici, non trovano
invece riscontro nel settore privato.

Infatti, l’abrogazione disposta dall’art. 2 comma 1 let. a) del decreto legge
n. 223/2006, come modificato dalla legge di conversione spiega sicura efficacia
in relazione disposizione dell’articolo unico della legge 5 maggio 1976, n.
340 che ha aggiunto un comma all’articolo unico della legge n. 143/1958, secondo
cui "i minimi di tariffa per gli onorari a vacazione, a percentuale ed
a quantità, fissati falla legge 2 marzo 1949, n 143, o stabiliti secondo
il disposto della presente legge, sono inderogabili. L’inderogabilità non
si applica agli onorari a discrezione per le prestazioni di cui all’articolo
5 del testo unico approvato con la citata legge 2 marzo 1949, n. 143".

In particolare, deve intendersi abrogato l’articolo unico della legge 143/1958
nella parte in cui, modificato dalla legge 340/1976, aveva sancito l’inderogabilità dei
minimi tariffari.

A ben riflettere, con riguardo alle prestazioni professionali di ingegneria
nel settore privato, l’abrogazione introdotta con il decreto "Bersani" non
sembra avere un impatto dirompente.

Ciò in quanto la norma che statuiva il principio dell’inderogabilità dei
minimi tariffari non era presidiata da una sanzione espressa di nullità per
i patti negoziali posti in deroga.

Opzione ermeneutica questa, ormai consolidata nelle pronunce della Corte di
Cassazione, secondo la quale non è affetto da nullità il patto
in deroga ai minimi inderogabili di tariffe professionali, essendo questi stabiliti
nell’interesse delle categorie professionali, interesse che può essere
tutelato adeguatamente in sede disciplinare.

La norma che prevedeva l’inderogabilità dei minimi tariffari nel settore
privato, infatti, non era posta nell’interesse generale della collettività,
il solo idoneo giustificare l’imperatività del precetto ed a rendere
eventualmente nulli i patti ad esso contrari, bensì era posta nell’interesse
della categoria professionale.

Tale giudizio è stato, invece, differente, da parte del legislatore,
in materia di prestazioni professionali di ingegneria rese nei confronti di
soggetti aggiudicatori per la realizzazione di opere pubbliche. In questo settore,
infatti, come precisato, la rilevanza di interessi generali, connessi alla
realizzazione di opere pubbliche, ha indotto il legislatore a comminare la
sanzione della nullità per i patti posti in deroga alle tariffe professionali.

Da ciò scaturisce che, nel settore privato, l’obbligatorietà dei
minimi tariffari non trova più applicazione, con la conseguenza che
non potranno più essere sanzionati, quali violazioni delle norme deontologiche,
i patti negoziali posti in deroga ai minimi tariffari.

La determinazione dei compensi professionali nel settore privato sarà,
pertanto, integralmente rimessa alle libere pattuizioni tra privati e potrà anche
discostarsi dalle tariffe professionali, che assolveranno ad una funzione meramente
sussidiaria rispetto al generale potere di stabilire liberamente il compenso
di cui all’art. 2233 c.c.

Tuttavia, particolare attenzione si richiede agli ordini professionali nell’ambito
dell’esercizio dei poteri disciplinari in quanto, se è vero che il decreto "Bersani",
con riguardo alle prestazioni rese dagli ingegneri, ha sottratto alla potestà disciplinare
i professionisti che, nell’esercizio della professione, pongano in essere patti
in deroga ai minimi tariffari, è altrettanto vero che non risulta abrogata
la disposizione del secondo comma dell’art. 2233 c.c. in base alla quale "in
ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera
e al decoro della professione".

Di conseguenza, il professionista potrà pattuire compensi professionali
in deroga ai minimi stabiliti dalle tariffe professionali, ma non potrà,
comunque, pattuire compensi di entità tale da menomare il decoro della
professione e, dunque, tali da violare il disposto del secondo comma dell’art.
2233 c.c.

Sotto questo profilo, l’attività di verifica del rispetto delle regole
deontologiche da parte degli ordini professionali acquista una maggiore importanza,
trattandosi adesso di verificare in concreto la proporzione tra attività posta
in essere e compenso pattuito al fine di scrutinarne la compatibilità con
il nuovo sistema di regole deontologiche.

Sotto tale profilo, una prima indicazione operativa consiste nella possibilità per
gli ordini professionali di utilizzare i minimi tariffari quali indici sintomatici.
In sostanza, la pattuizione di compensi in deroga ai minimi, laddove questi
erano stati normativamente considerati inderogabili, rappresenterebbe l’indizio
di una prestazione posta in violazione della regola codicistica che impone
il rispetto del decoro della professione, rispetto alla quale, il professionista,
chiamato in sede disciplinare dovrebbe fornire la prova contraria.

– – – –

In conclusione, dunque, gli effetti prodotti dall’abrogazione delle
disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano l’obbligatorietà di
tariffe fisse o minime ha determinato il seguente nuovo assetto normativo:

1) le parti possono pattuire compensi professionali in deroga ai minimi stabiliti
dalle tariffe professionali, ma sono tenute al rispetto del principio in base
al quale il compenso deve essere adeguato all’importanza dell’opera e al decoro
della professione;

2) in caso di mancanza di convenzione pattizia sul compenso questo può essere
determinato in base alle tariffe professionali o dagli usi e, se non può essere
in tal modo determinato, esso sarà stabilito dal giudice, sentito il
parere dell’associazione professionali a cui il professionista appartiene;

3) il compenso, comunque, deve essere di misura tale da risultare adeguato
all’importanza dell’opera e al decoro della professione;

4) il compenso fissato in spregio ai criteri dettati dall’articolo 2233 c.c.,
richiamati al precedente punto, può assumere rilevanza in sede disciplinare,
sia pure con valenza meramente indiziaria.


4. La possibilità di svolgere attività pubblicitaria da parte
dei professionisti ed il nuovo compito di controllo sulla trasparenza e sulla
veridicità dell’informazione pubblicitaria assegnato agli ordini professionali.

Altra importante novità è l’introduzione da parte del decreto "Bersani" della
possibilità per i professionisti di svolgere attività pubblicitaria.

L’art. 2 comma 1 lett. b), infatti, abroga le disposizioni legislative e regolamentari
che prevedono, con riferimento alle attività libero professionali, il
divieto anche parziale di svolgere pubblicità informativa circa i titoli
e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto,
nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni; la pubblicità dovrà rispondere,
dunque, a criteri di trasparenza e veridicità del messaggio, il cui
rispetto sarà verificato dall’ordine, mentre sono individuati con precisione
gli elementi dell’attività professionale che possono essere reclamizzati
all’esterno.

Una prima notazione riguarda la tipologia di attività pubblicitaria
che il professionista può porre in essere: si tratta, infatti, di pubblicità informativa;
quindi, finalizzata a comunicare all’esterno i titoli e le specializzazioni
professionali le caratteristiche del servizio offerto, il prezzo e i costi
complessivi delle prestazioni. Devono, di conseguenza, ritenersi esclusi i
messaggi pubblicitari volti a richiamare l’attenzione su elementi marginali
o addirittura diversi su quelli richiamati dalla norma.

È chiara la ratio ispiratrice della norma, finalizzata ad attribuire
alla pubblicità il ruolo di elemento propulsivo della concorrenza.

Soltanto rendendo noti i corrispettivi ai quali i professionisti si impegnano
a rendere la propria opera professionale, infatti, è possibile dare
portata pratica alla abrogazione delle norme che prevedevano l’obbligatorietà dei
minimi tariffari.

È evidente che l’attività pubblicitaria posta in essere dovrà essere
veritiera e trasparente.

Si apre dunque, un altro fronte per gli ordini professionali che acquistano
un importanza fondamentale, con il nuovo assetto normativo, proprio in ragione
dell’attribuzione ad essi del compito, qualificabile quale munus publico, di
vigilare sulla vedicità sulla trasparenza e, verosimilmente, anche sulla
decorosità dell’attività pubblicitaria.

Roma, 18 settembre 2006

F.to per il CNI, il segretario, Renato Buscaglia, il presidente, Ferdinando
Luminoso


– – –

Note

(1) Tali attività, indicate – sembrerebbe in modo tassativo – dal comma
1 dell’art. 90 del d.lgs. 163/06, sono quelle relative alla progettazione preliminare,
definitiva ed esecutiva di lavori, nonché alla direzione dei lavori
e agli incarichi di supporto tecnico-amministrativo, alle attività del
responsabile del procedimento e del dirigente competente alla formazione del
programma triennale dei lavori pubblici.

(2) In base a tale disposizione "il Ministro della Giustizia, di concerto
con il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, determina, con proprio
decreto, le tabelle dei corrispettivi delle attività (che possono essere
espletate dai soggetti di cui al comma 1 dell’articolo 90), tenendo conto delle
tariffe previste per le categorie professionali interessate. I corrispettivi
sono minimi inderogabili ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo unico della
legge 4 marzo 1958, n. 143, introdotto dall’articolo unico della legge 5 maggio
1976, n. 340. Ogni patto contrario è nullo. I corrispettivi delle attività di
progettazione sono calcolati, ai fini della determinazione dell’importo da
porre a base dell’affidamento, applicando le aliquote che il decreto di cui
al comma 2 stabilisce".

La norma, poi, individua le modalità concrete di determinazione dei
corrispettivi con riguardo alle varie tipologie di attività.

In base al comma 4 dell’art. 92, inoltre, "i corrispettivi determinati
ai sensi del comma 3, fatto salvo quanto previsto dal comma 12-bis dell’articolo
4 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 65, convertito, con modificazioni, dalla
legge 26 aprile 1989, n. 155, sono minimi inderogabili ai sensi dell’ultimo
comma dell’articolo unico della legge 4 marzo 1958, n. 143, introdotto dall’articolo
unico della legge 5 maggio 1976, n. 340. Ogni patto contrario è nullo".

(3) In proposito, A. Ruggeri, Fonti, norme, criteri ordinatori. Lezioni, Torino
2005, 62 ss.; in senso opposto, P. Carnevale, Riflessioni sul problema dei
vincoli all’abrogazione futura: il caso delle leggi concernenti clausole"di
sola abrogazione espressa" nella più recente prassi legislativa,
in Dir.soc., 1998 407 ss.

Redazione

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