Corte Costituzionale
Sentenza 14 novembre 2006 n. 372
(presidente Bile, relatore Silvestri)
(…)
Considerato in diritto
1. – Il Giudice per le indagini preliminari nel Tribunale di Pavia,
con tre distinte ordinanze deliberate in altrettanti procedimenti, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell’art. 132, comma 3, del
decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione
dei dati personali), in riferimento agli artt. 3, 97, 111 e 112 della Costituzione,
nella parte in cui disponeva che il pubblico ministero, per accedere a fini
d’indagine a dati concernenti il traffico telefonico, dovesse ottenere, nei
ventiquattro mesi successivi alle relative comunicazioni, un preventivo provvedimento
giudiziale di autorizzazione o di acquisizione dei dati medesimi.
Anche la questione sollevata dal Giudice per le indagini preliminari nel Tribunale
di Cuneo – in riferimento agli artt. 15, secondo comma, 111, secondo
comma, e 3, primo comma, Cost. – concerne il disposto in allora vigente
del comma 3 dell’art. 132 del d.lgs. n. 196 del 2003, nella parte in cui prevedeva
che il giudice acquisisse direttamente dati sul traffico telefonico, nei ventiquattro
mesi successivi alle comunicazioni interessate, senza nel contempo specificare
alcun criterio per la relativa deliberazione, e nella parte in cui delineava,
per i casi di particolare urgenza dell’indagine, un regime «più restrittivo» di
quello fissato per l’intercettazione di conversazioni telefoniche, non contemplando
la possibilità per il pubblico ministero di adottare un proprio provvedimento
acquisitivo, suscettibile di successiva convalida da parte del giudice.
Il Giudice per le indagini preliminari nel Tribunale di Palmi, dal canto proprio,
dubita della legittimità costituzionale della norma citata, in riferimento
agli artt. 3, 15 e 97 Cost., poiché la norma stessa – pur disponendo
che, nei ventiquattro mesi successivi alle relative comunicazioni, i dati concernenti
il traffico telefonico venissero acquisiti, su istanza del pubblico ministero,
con decreto giudiziale motivato – non avrebbe rimesso al giudice alcuna
possibilità di vaglio effettivo e «critico» della richiesta.
Anche il Giudice per le indagini preliminari nel Tribunale di Roma, infine,
ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 132 del
d.lgs. n. 196 del 2003, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 14, 24, 32, 42,
101, 104, 111 e 112 della Costituzione. La questione concerne, in questo caso,
la disciplina dell’accesso ai dati di traffico telefonico ad oltre ventiquattro
mesi dall’effettuazione delle relative comunicazioni, nella parte in cui preclude
l’acquisizione dei dati stessi per finalità di repressione di reati
non compresi nella previsione di cui all’art. 407, comma 2, lettera a), del
codice di procedura penale.
2. – Tutte le questioni indicate riguardano il disposto dell’art. 132
del d.lgs. n. 196 del 2003, nel testo introdotto dall’art. 3 del d.l. n. 354
del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 45 del 2004. Può essere
quindi disposta la riunione dei relativi giudizi.
3. – Le ordinanze dei Giudici per le indagini preliminari nei Tribunali
di Pavia, Cuneo e Palmi, hanno ad oggetto la disciplina dell’accesso ai dati
di traffico telefonico nei ventiquattro mesi successivi alle relative comunicazioni,
ed attengono in vario modo alla necessità di un intervento del giudice,
a carattere autorizzatorio se non addirittura materialmente acquisitivo, affinché il
pubblico ministero potesse ottenere – secondo la normativa vigente alle
date dei rispettivi atti introduttivi – le informazioni richieste presso
i gestori del servizio di telefonia.
La materia è stata profondamente innovata, dopo le ordinanze di rimessione,
dall’art. 6 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144 (Misure urgenti per il
contrasto del terrorismo internazionale), come convertito, con modificazioni,
dalla legge 31 luglio 2005, n. 155.
Nel testo attualmente in vigore, il comma 3 dell’art. 132 del d.lgs. n. 196
del 2003 dispone che, nel termine di ventiquattro mesi dall’effettuazione delle
comunicazioni relative, i dati di traffico telefonico sono acquisiti direttamente
dal pubblico ministero, con un proprio decreto motivato.
Una tale disciplina incide, all’evidenza, su tutti gli aspetti delle questioni
sollevate, elidendo i problemi connessi ai presupposti ed alla motivazione
del provvedimento giudiziale, rimettendo al pubblico ministero il controllo
sui tempi dell’indagine ed assegnandogli, infine, un potere di iniziativa diretta
analogo a quello già previsto per il difensore della persona sottoposta
alle indagini o imputata.
Con riguardo poi alle investigazioni successive di oltre ventiquattro mesi
alla raccolta dei dati di traffico, per le quali ancor oggi è necessario
che il giudice – ove ritenga la sussistenza di sufficienti indizi dei
delitti di cui all’art. 407, comma 2, lettera a), cod. proc. pen. – rilasci
un’autorizzazione con proprio decreto motivato, è prevista la possibilità di
un provvedimento urgente del pubblico ministero, secondo la procedura descritta
al comma 4-bis del nuovo testo dell’art. 132 sopra citato.
Gli atti vanno quindi restituiti ai giudici a quibus per un nuovo esame della
rilevanza delle questioni proposte alla luce dello ius superveniens.
4. – La questione posta dal Giudice per le indagini preliminari nel
Tribunale di Roma – il quale dubita della legittimità costituzionale
dell’art. 132 del d.lgs. n. 196 del 2003, nella parte in cui esclude, decorso
il termine di ventiquattro mesi, che possano essere acquisiti e utilizzati
dati di traffico telefonico per finalità di repressione di reati diversi
da quelli di cui all’art. 407, comma 2, lettera a), cod. proc. pen. – è inammissibile
con riferimento ai parametri di cui agli artt. 2, 13, 14, 32, 42, 101, 104
e 112 della Costituzione, data l’assenza di motivazione sulla non manifesta
infondatezza.
5. – Con riferimento all’art. 3, in connessione con gli artt. 24 e 111
Cost., la questione non è fondata.
5.1. – Il legislatore ha operato un bilanciamento tra il principio costituzionale
della tutela della riservatezza dei dati relativi alle comunicazioni telefoniche,
riconducibile all’art. 15 Cost. (sentenza n. 81 del 1993), e l’interesse della
collettività, anch’esso costituzionalmente protetto, alla repressione
degli illeciti penali. Il sindacato di legittimità di questa Corte deve
limitarsi alla verifica che la norma impugnata non abbia imposto limitazioni
manifestamente irragionevoli dell’uno o dell’altro.
5.2. – Lo scrutinio di costituzionalità non deve essere effettuato
in astratto, tra i valori in sé e per sé considerati, ma in concreto,
valutando l’interazione reciproca tra l’accrescimento di tutela dell’uno e
la corrispondente diminuzione di garanzia dell’altro, come disposti dal legislatore
in vista della composizione del potenziale contrasto.
Con riferimento al caso de quo, non è condivisibile l’argomentazione
del giudice rimettente, tesa a dimostrare la presunta irragionevolezza della
norma che dispone l’accessibilità dei dati, da parte dell’autorità giudiziaria,
per ventiquattro mesi ai fini dell’accertamento e della repressione dei reati
in generale, e per ulteriori ventiquattro mesi quando si tratti dei reati di
cui all’art. 407, comma 2, lettera a), cod. proc. pen. Tale argomentazione
si basa sul rilievo che vi sarebbe un sacrificio maggiore dell’interesse alla
repressione della generalità dei reati rispetto a quello riguardante
i delitti elencati nella suddetta norma del codice di rito penale, senza che
da tale differenziazione derivi una maggiore tutela per il diritto alla riservatezza.
In altre parole, secondo il giudice rimettente, l’esistenza fisica dei dati,
non ancora distrutti, comporterebbe un tasso di pericolosità, derivante
dalla possibile illecita diffusione degli stessi, destinato a rimanere costante
per tutto il tempo anteriore la loro distruzione, senza subire variazioni in
rapporto alla gravità dei reati. Da ciò discenderebbe l’irragionevolezza
della bipartizione – contenuta nella norma censurata – dei termini
di accessibilità dei dati da parte dell’autorità giudiziaria.
L’infondatezza del ragionamento si coglie se si pensa all’influenza reciproca
tra le due tutele, che si mantengono in equilibrio – secondo la valutazione
del legislatore – sin quando sono messe a confronto entità di
peso ritenuto equivalente (ventiquattro mesi a fronte della generalità dei
reati, esclusi quelli di cui all’art. 407, comma 2, lettera a), cod. proc.
pen.). Lo stesso legislatore ha ritenuto che, per mantenere l’equilibrio, all’aumento
del peso di una delle due entità debba corrispondere un proporzionale
aumento dell’altra, con la conseguenza che, in corrispondenza di reati di particolare
gravità, la limitazione, in termini relativi, della tutela della riservatezza è stata
aumentata in ragione del maggior disvalore sociale sotteso ai reati di cui
all’art. 407, comma 2, lettera a), cod. proc. pen.
Questa Corte ha già espresso l’orientamento di metodo sopra illustrato,
con riferimento a materia analoga a quella in cui si inserisce la questione
oggetto del presente giudizio: «l’utilizzazione delle intercettazioni
telefoniche in procedimenti diversi, limitatamente all’accertamento di una
categoria predeterminata di reati presuntivamente capaci di destare particolare
allarme sociale, costituisce indubbiamente un non irragionevole bilanciamento
operato discrezionalmente dal legislatore fra il valore costituzionale rappresentato
dal diritto inviolabile dei singoli individui alla libertà e alla segretezza
delle loro comunicazioni e quello rappresentato dall’interesse pubblico primario
alla repressione dei reati e al perseguimento in giudizio di coloro che delinquono» (sentenza
n. 63 del 1994).
5.3. – In definitiva, la tutela del diritto alla riservatezza può subire
variazioni in rapporto all’esigenza concreta – purché costituzionalmente
protetta – posta a raffronto. Affinché la norma sfugga alla censura
di illegittimità costituzionale non è necessario, come ritiene
il giudice a quo, che dalla differente disciplina del tempo di accessibilità dei
dati, a seconda della gravità dei reati da perseguire, derivi una maggiore
o minore tutela del diritto alla riservatezza; è sufficiente che la
maggiore o minore limitazione sia posta in rapporto con la maggiore o minore
gravità attribuita dal legislatore a reati diversi, individuati secondo
scelte di politica criminale non censurabili in questa sede. Fermo restando
il criterio generale di bilanciamento in astratto, spetta al legislatore individuare
specifici equilibri non manifestamente irragionevoli, come avviene nel caso
oggetto del presente giudizio.
6. – La non manifesta irragionevolezza della differenza di disciplina
disposta dalla norma impugnata conduce all’ulteriore, logica conclusione che
non esiste una ingiustificata disparità delle tutele offerte alle parti
nel processo penale dagli artt. 24 e 111 Cost., così come prospettata
nell’ordinanza di rimessione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art.
132 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione
dei dati personali), sollevata dal Giudice delle indagini preliminari nel Tribunale
di Roma in riferimento agli artt. 2, 13, 14, 32, 42, 101, 104 e 112 della Costituzione;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata
dallo stesso Giudice, in relazione alla medesima norma, con riferimento agli
artt. 3, 24 e 111 della Costituzione;
ordina la restituzione degli atti ai Giudici per le indagini preliminari nei
Tribunali di Pavia, Cuneo e Palmi.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 6 novembre 2006. Depositata in Cancelleria il 14 novembre
2006.