Tar Lazio: discriminati i giudici dei Tar, si vada alla Corte Costituzionale

Con ordinanza depositata il 20 novembre, il Tar Lazio ha sollevato
la questione di costituzionalita’ delle norme che regolano il concorso per
l’accesso al Consiglio di Stato.

Il dubbio di costituzionalita’ riguarda in particolare:

– gli artt. 19 e 20 della legge 27 aprile 1982, n. 186 “nella
parte in cui non prevedono espressamente la composizione del ruolo del Consiglio
di Stato
nelle medesime aliquote previste per il sistema di provvista dei magistrati,
per contrasto con gli artt. 3, 97, 100, 101
e 108 della Costituzione”;

– l’art. 19 comma 1, n. 3 della legge 27 aprile 1982 n. 186, “nella
parte
in cui si dispone che ‘I vincitori del concorso conseguono la nomina con
decorrenza dal 31 dicembre dell’anno precedente a quello in cui è indetto
il concorso stesso’, per contrasto con
l’art. 3 della Costituzione”.

. . . . . . .

TAR Lazio, Roma, sezione II-quater

Ordinanza 20 novembre 2006
n. 12772

(presidente Riggio, estensore Conti)

Atzeni contro Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa e Presidenza
del Consiglio dei Ministri

(…)

Diritto

Il ricorso è rivolto avverso: a) il decreto del 30 marzo 2006, con il
quale il Presidente del Consiglio di Stato ha indetto un concorso per titoli
ed esami a due posti di consigliere di Stato; b) la delibera del Consiglio di
Presidenza della Giustizia Amministrativa adottata il 23 marzo 2006, nella parte
in cui, dopo aver verificato la vacanza nell’organico dei consiglieri
di Stato di n. 5 posti, ha assegnato solo tre posti, in luogo di cinque, al
passaggio
dei consiglieri di T.A.R. nel ruolo dei consiglieri di Stato.

In via subordinata l’impugnativa tende all’annullamento del predetto
decreto del 30 marzo 2006 nella sola parte in cui richiama l’art. 19, comma
1, n. 3 della legge 27 aprile 1982 n. 186 inteso a prevedere che “I vincitori
del concorso conseguono la nomina con decorrenza dal 31 dicembre dell’anno
precedente a quello in cui è indetto il concorso stesso”.

Tanto premesso, va previamente esaminata l’eccezione di inammissibilità del
gravame, formulata dalla difesa erariale sotto il profilo della carenza di
interesse del ricorrente ovvero della sua legittimazione ad agire.

Si sostiene, in particolare, che l’istante sarebbe già stato nominato
consigliere di Stato con delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia
Amministrativa del 19 maggio 2006, per essersi graduato terzo in ordine di anzianità tra
i magistrati T.A.R. che hanno concorso nell’assegnazione dei tre posti
di consigliere di Stato ad essi riservati. Né il suo interesse potrebbe
permanere in ragione della rilevata circostanza che i vincitori del concorso
sarebbero a lui anteposti in ruolo in forza della retrodatazione disposta dal
menzionato art. 19 della legge 27 aprile 1982 n. 186, in quanto la lesione lamentata
dipenderebbe non dal bando, ma dall’applicazione della predetta disposizione
che non sarebbe stata censurata.

L’eccezione appare infondata.

Deve, infatti, riconoscersi la legittimazione a ricorrere del dott. Atzeni,
il quale, pur essendo stato nominato consigliere di Stato con deliberazione
del
19 maggio 2006 (successivamente alla proposizione del ricorso) conserva l’interesse
ad agire in giudizio in quanto, contrariamente alla tesi della difesa erariale,
contesta il bando in argomento siccome viziato in via derivata (cfr. punto 11
del ricorso) dalla dedotta illegittimità costituzionale dell’art.
19, comma 1, n. 3 della legge 27 aprile 1982 n. 186 che prevede per i vincitori
del concorso l’immissione nel ruolo dei consiglieri di Stato con retrodatazione
della nomina al 31 dicembre dell’anno precedente a quello di indizione
della procedura concorsuale.

A tale stregua, permane il suo interesse ad ottenere l’annullamento degli
atti impugnati non soltanto nella parte relativa alla richiamata retrodatazione
delle nomine, ma anche nella parte (sub 1 e 2) concernente la accertata disponibilità e
la conseguente messa concorso di due posti di consiglieri di Stato in luogo della
loro assegnazione, per anzianità, ai consiglieri di T.A.R., atteso che
la caducazione del bando nella sua interezza eliminerebbe in radice la possibilità per
il ricorrente di essere sopravanzato nel ruolo dei consiglieri di Stato dai
vincitori del concorso.

Non può inoltre condividersi la tesi dell’Avvocatura dello Stato,
secondo la quale l’interesse azionato acquisterebbe carattere di attualità soltanto
con i provvedimenti di nomina.

Osserva al riguardo il Collegio che la retrodatazione delle nomine è prevista
dal bando con il richiamo al citato art. 19, comma 1, n. 3 della legge 27 aprile
1082, n. 186 e, conseguentemente, la lesione deve ritenersi concretizzata già con
l’emanazione di tale atto, rispetto al quale i provvedimenti di immissione
in ruolo non potranno che avere carattere meramente applicativo.

Per quanto sopra l’eccezione sollevata dalla difesa erariale deve essere
disattesa.

Può ora passarsi all’esame del primo articolato motivo di gravame
con il quale il ricorrente contesta la legittimità della delibera del
23 aprile 2006, che ha individuato n. 2 posti disponibili nel ruolo dei consiglieri
di Stato e della conseguente indizione del concorso con il bando del 30 marzo
2006 sotto i profili della violazione ed errata interpretazione di legge.

Si sostiene da parte dell’interessato che i provvedimenti impugnati sarebbero
fondati su una lettura meramente formale degli artt. 19 e 20 della legge n. 186/1982,
la quale ha portato ad affermare che tutti i posti divenuti vacanti dovrebbero
essere ripartiti fra le tre categorie indicate nello stesso art. 19 (consiglieri
di T.A.R., soggetti prescelti mediante nomina politica e vincitori di concorso
pubblico), prescindendo dalla categoria cui quei posti appartenevano. Una corretta
interpretazione delle stesse disposizioni, in linea con la finalità della
legge che è quella di aumentare la componente dei consiglieri di Stato
di provenienza T.A.R., invece, indurrebbe a ritenere che, il legislatore abbia
inteso disciplinare non soltanto il sistema di provvista, ma anche la composizione
del Consiglio di Stato nelle identiche percentuali dettate per la provvista,
con la conseguenza che i posti lasciati liberi dovrebbero essere assegnati
alla categoria cui quei posti appartenevano.

A sostegno della suddetta prospettazione viene evidenziato che:
– aderendo alla tesi interpretativa dell’amministrazione, la composizione
del Consiglio di Stato, in relazione alle tre categorie di magistrati che ne
fanno parte, non soltanto non avrebbe alcuna disciplina, ma sarebbe lasciata
al caso, in violazione dei precetti costituzionali di cui agli artt. 97, 100,
101 e 108 i quali viceversa impongono che la legge sull’ordinamento della
giurisdizione amministrativa non possa prescindere dall’indicare la specifica
composizione del ruolo dei consiglieri di Stato, nelle tre distinte componenti
e nelle stesse percentuali indicate per la provvista;
– sarebbe, pertanto, preferibile l’interpretazione del ricorrente, per
essere l’unica rispettosa dei richiamati precetti costituzionali;
– dagli stessi lavori preparatori della legge e dalla specifica previsione
dell’obbligo
del riassorbimento contenuta nell’art. 20 emergerebbe che il legislatore
abbia fatto riferimento non soltanto al sistema di provvista, ma anche a quello
della composizione del Consiglio di Stato.

La tesi non è condivisa dal Collegio ed il motivo risulta, conseguentemente,
infondato.

Giova al riguardo richiamare il contenuto degli artt. 19 e 20 della legge n.
186/1982.
L’art. 19 espressamente dispone: “I posti che si rendono vacanti
nella qualifica di consigliere di Stato sono conferiti: 1) in ragione della metà ai
consiglieri di tribunale amministrativo regionale…; 2) in ragione di un
quarto, a professori universitari ordinari di materie giuridiche o ad avvocati
che abbiano almeno quindici anni di esercizio professionale e siano iscritti
negli albi speciali per le giurisdizioni superiori, o a dirigenti generali od
equiparati dei Ministeri, degli organi costituzionali e della altre amministrazioni
pubbliche nonché a magistrati con qualifica non inferiore a quella di
magistrato di Corte di appello o equiparata…; 3) in ragione di un quarto,
mediante concorso pubblico per titoli ed esami teorico-pratici…”

A sua volta l’art. 20 dispone che “ I posti vacanti, che non siano
coperti mediante le quote previste dall’art. 19, possono essere posti
in aumento alle altre categorie, previa proposta del consiglio di presidenza,
salvo
riassorbimento negli anni successivi.”

Orbene, dal contenuto delle predette disposizioni emerge che sia l’art.
19 che il successivo art. 20 dettano chiaramente ed univocamente una disciplina
relativa al solo “conferimento” dei posti di consigliere di Stato
e, quindi, al solo loro reclutamento (c.d. sistema di provvista).

In particolare, per quanto riguarda l’art. 19, è sufficiente rilevare
che le percentuali di cui sopra sono espressamente riferite alla copertura dei
posti di consigliere di Stato e non alla stabile composizione dell’organo
giurisdizionale, non considerata dalla disposizione medesima. Il successivo
art. 20 ha invece introdotto il sistema del riassorbimento tra le diverse componenti
solo al fine di apportare correttivi al meccanismo sopra specificato, qualora
non si riesca a coprire taluno dei posti vacanti in quota a ciascuna categoria.

In via generale può affermarsi che nessuna norma di legge contempla
espressamente una disciplina relativa alla composizione del Consiglio di Stato
che abbia riguardo
alle tre componenti previste dal citato art. 19.

Per contro la stessa legge n. 186/1982, all’art. 1, primo comma, nel disciplinare
la “composizione” del Consiglio di Stato, dispone che “Il Consiglio
di Stato è composto dal Presidente del Consiglio di Stato, da presidenti
di sezione e da consiglieri di Stato, secondo la tabella A allegata alla presente
legge”, senza prevedere alcuna suddivisione dell’organico in relazione
alle varie componenti in cui è ripartito il sistema di provvista dei
consiglieri di Stato.

Parimenti alcun cenno alla composizione del Consiglio di Stato è rinvenibile
nell’originario art. 17, primo comma, della legge 6.12.1971 n. 1034 – poi
abrogato, nella parte relativa alla percentuale, dalla menzionata legge n. 186/1982
– il quale disponeva che “un quarto dei posti che si rendano vacanti nel
ruolo dei consiglieri di Stato è riservato ai consiglieri amministrativi
regionali con almeno quattro anni di effettivo servizio nella qualifica”.

Come è possibile constatare, la previsione legislativa si limita ad individuare
una nuova modalità di accesso alla qualifica di consigliere di Stato
e non anche a determinare la composizione del citato Consesso in misura corrispondente
al sistema di provvista.

E’ ben vero che nella menzionata disposizione si fa espresso richiamo al “ruolo
dei consiglieri di Stato”, ma il riferimento alla pianta organica prescinde
da qualsiasi suddivisione nelle tre categorie in argomento.

Del resto, non può trascurarsi che il legislatore, laddove ha inteso disciplinare
la composizione di un organo giurisdizionale, lo ha fatto espressamente, come
nel caso del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana,
i cui componenti sono individuati per numero e categorie dall’art. 2 del
D.Lgs. 6 maggio 1948, n. 654, norma questa successivamente abrogata dal D.Lgs.
24.12.2003, n. 373, che agli artt. 3 e 4 disciplina ancora più minuziosamente
la “composizione” dell’Organo con riferimento sia alla sezione
consultiva che a quella giurisdizionale.

Analoghe considerazioni valgono per la Corte costituzionale: invero l’art.
135, primo comma, della Costituzione stabilisce che la stessa “…. è composta
da quindici giudici nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per
un terzo dal Parlamento in seduta comune, per un terzo dalle supreme magistrature
ordinaria e amministrativa”.

Nessun dubbio può esservi, quindi, sulla portata dei richiamati artt.
19 e 20 della legge n. 186/1986 i quali con espressione chiara e univoca si limitano
a disciplinare il sistema di provvista dei magistrati del Consiglio di Stato
e non anche la composizione dell’organo giurisdizionale.

Ferma restando, dunque, la chiarezza del precetto normativo nella sua formulazione
testuale non vi è alcuno spazio per ricorrere ai criteri ermeneutici,
diversi da quello letterale, richiamati dal ricorrente (cfr. Cons.St., IV, 27
aprile 2005 n. 1948; Cass.Civ., I, 6 aprile 2001 n. 5128) atteso che nella specie
trova applicazione il principio non codificato, ma ripetutamente affermato in
giurisprudenza, secondo il quale “in claris non fit interpretatio” (cfr.
Cons.St., VI, 15 novembre 2005 n. 6353; id., V, 13.1.2005 n. 82; Cass.Civ,
I, 2 novembre 1995 n. 11392).

D’altro canto, per confutare la tesi di parte ricorrente è sufficiente
rammentare che il ricorso all’interpretazione conforme ai precetti costituzionali
presuppone che il dettato normativo sia incerto nel suo significato o, quanto
meno, presenti una duplicità di possibili interpretazioni, ipotesi questa
che non ricorre nella specie, dal momento che, come in precedenza evidenziato,
le norme censurate, stante la inequivocabile formulazione letterale non possono
intendersi che nel senso reso palese dal legislatore.

Quanto ai lavori parlamentari, questi, come ha avuto modo di chiarire la giurisprudenza
amministrativa (cfr. Cons.St., IV, 26.1.1987, n. 47), ancorché di ausilio
ai fini interpretativi, non possono comunque sopperire a comandi o enunciazioni
insussistenti nella norma legislativa.

In conclusione, e per quanto sopra argomentato, i provvedimenti impugnati risultano
immuni dalle dedotte censure di violazione o errata interpretazione degli artt.
19 e 20 della legge n. 186/1982 e di eccesso di potere, dovendo i medesimi
pienamente conformi al contenuto delle predette disposizioni, come sopra precisato.

Può ora passarsi alla trattazione del secondo motivo, con il quale il
ricorrente prospetta l’illegittimità costituzionale dei ripetuti
artt. 19 e 20 della legge suindicata, nella parte in cui non prevedono che
la composizione del ruolo dei consiglieri di Stato sia conforme al sistema
di provvista
sopra delineato.

Premessa la rilevanza della questione, l’interessato sostiene, in primo
luogo, che le norme denunciate sarebbero illegittime per contrasto con il principio
di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione, in quanto il legislatore,
da un lato avrebbe dettato un sistema di provvista che certamente indica la volontà di
assicurare la presenza del 50% dei magistrati T.A.R. nel ruolo dei consiglieri
di Stato, assicurandosi che tale aliquota sia garantita mediante la regola del
riassorbimento di cui all’art. 20; dall’altro avrebbe instaurato,
omettendo di disciplinare esplicitamente la composizione del ruolo dei consiglieri
di Stato nelle medesime aliquote previste dalla citata legge, un sistema del
tutto irrazionale che porterebbe ad un risultato opposto ed aberrante rispetto
al manifestato intento di aumentare la quota di riserva originaria del 25% già (fissata
dall’art. 17, primo comma della legge 6 dicembre 1971 n. 1034. Infatti
la componente di provenienza T.A.R. risulterebbe progressivamente erosa in favore
della componente di provenienza concorsuale, in ragione della maggiore età alla
quale i consiglieri T.A.R. accedono di regola al ruolo del Consiglio di Stato
rispetto ai vincitori di concorso, senza neppure la garanzia che i posti rimasti
vacanti a seguito del collocamento a riposo dei primi vengano riassegnati a
magistrati in servizio nei T.A.R..

In secondo luogo si assume in ricorso che le predette norme sarebbero in contrasto
con i principi della riserva di legge in tema di ordinamento giudiziario, di
autonomia e buon funzionamento dell’organo giurisdizionale nonché di
indipendenza del giudice e della sua soggezione solo alla legge fissati dagli
artt. 97, 100, 101 e 108 della Costituzione, sul rilievo che uno dei più importanti
e decisivi elementi della disciplina dell’ordinamento giudiziario, costituito
dalla composizione dell’organo giurisdizionale di secondo grado sarebbe
lasciato totalmente al caso.

In proposito osserva il Collegio che le questioni dedotte appaiono non manifestamente
infondate e rilevanti ai fini della decisione del ricorso, posto che dal loro
eventuale accoglimento discenderebbe l’illegittimità ed il conseguente
annullamento dei provvedimenti impugnati, i quali trovano il loro unico presupposto
nei più volte citati artt. 19 e 20 della legge n. 186/1982.

Come accennato più sopra, con l’art. 17, primo comma, della legge
6 dicembre 1971 n. 1034, istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali, era
stato disposto che “un quarto dei posti che si rendano vacanti nel ruolo
dei consiglieri di Stato è riservato ai consiglieri amministrativi regionali
con almeno quattro anni di effettivo servizio nella qualifica”.

Con la successiva legge 27 aprile 1982 n. 186, il legislatore, all’art.
19, ha elevato l’indicata quota di riserva disponendo che “I posti
che si rendono vacanti nella qualifica di consigliere di Stato sono conferiti:…1)
in ragione della metà, ai consiglieri di tribunale amministrativo regionale”.

La previsione è rafforzata dal successivo art. 20, secondo cui “ I
posti vacanti, che non siano coperti mediante le quote previste dall’art.
19, possono essere posti in aumento alle altre categorie… salvo riassorbimento
negli anni successivi.”

Si è già precisato che la chiarezza del precetto contenuto nei
citati articoli di legge non consente l’applicazione di criteri interpretativi
diversi da quello letterale, con la conseguenza che ad avviso del Collegio non è possibile
l’interpretazione integratrice proposta dal ricorrente sicchè deve
ritenersi che la disciplina dettata è relativa al sistema di provvista
dei magistrati del Consiglio di Stato e non anche alla composizione di tale
Consesso.

Ciò premesso, sembra logico dedurre dalla successione delle richiamate
disposizioni, l’intenzione del legislatore non soltanto di aumentare
la quota di presenza dei magistrati T.A.R. nel ruolo dei consiglieri di Stato,
ma
anche di conservarla nel tempo, non potendosi ipotizzare alcuna valida ragione
che consigli di riservare un maggior numero di posti ai magistrati provenienti
dai T.A.R. senza che la stessa proporzione si rifletta in maniera preordinata
sulla composizione della pianta organica del Consiglio di Stato.

Peraltro la formulazione dei richiamati artt. 19 e 20 della legge n. 186/1982
e la loro concreta applicazione invece, hanno determinato e determinano un
sistema completamente opposto, in quanto, non sussistendo alcuna norma volta
a disciplinare
la composizione del Consiglio di Stato nelle stesse quote previste per la copertura
dei posti vacanti, la presenza dei magistrati T.A.R. nel menzionato Consesso
di fatto viene costantemente a ridursi in favore delle altre due componenti.

E’ notorio che l’età media dei magistrati T.A.R. che accedono
al Consiglio di Stato è al di sopra dei 50 anni, mentre quella dei vincitori
di concorso è di circa 30 anni. In conseguenza, ove i posti vacanti si
ripartiscano considerandoli un unico insieme, e cioè prescindendo del
tutto dalla categoria cui ciascun posto vacante apparteneva, il risultato al
quale si giunge è che la categoria che ha un ricambio più veloce
decresce con una tendenza costante in favore della categoria che permane più tempo
in servizio.

Quanto sopra trova riscontro nei dati numerici evidenziati dal ricorrente e
non contestati da controparte, secondo i quali, attualmente, su un complessivo
organico
di consiglieri di Stato di n. 105 unità, 39 sono di provenienza TAR
(37,14%), 36 (34,28%) di concorso e 30 (28,57%) di nomina governativa.

In sostanza, attraverso l’applicazione delle disposizioni in esame si raggiungono
finalità opposte rispetto all’obiettivo di aumentare la presenza
nell’ambito del Consiglio di Stato della quota di provenienza T.A.R., con
la conseguenza che tali norme appaiono irrazionalmente formulate e, quindi, in
contrasto con il principio di ragionevolezza fissato dall’art. 3 della
Costituzione nella parte in cui non prevedono espressamente la composizione
del ruolo del Consiglio di Stato nelle medesime aliquote previste per il sistema
ideato di provvista dei magistrati.

Come si è espressa la Corte costituzionale con la sentenza richiamata
dal ricorrente (n. 54 del 9-29 maggio 1968), infatti, “nel giudizio sulla
razionalità di una disciplina non si deve guardare soltanto alla posizione
formale di chi è destinatario, ma anche alla funzione od allo scopo cui
essa è preordinata”.

Le stesse disposizioni sembrano porsi altresì in contrasto con i principi
della riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario, di buon funzionamento
dell’organo giurisdizionale, nonché di indipendenza del giudice
e della sua soggezione soltanto alla legge fissati – rispettivamente – , dagli
artt. 108, 97, 100, 101 della Costituzione.

Al riguardo va, infatti, rilevato che le richiamate disposizioni, dettando
unicamente la disciplina relativa al conferimento delle nomine (c.d. provvista)
dei magistrati,
lasciano nell’incertezza la concreta composizione del Consiglio di Stato,
che resta subordinata a fattori variabili e casuali, idonei a determinare la
vacanza dei posti (raggiunti limiti di età, dimissioni, decessi, collocamenti
fuori ruolo e così di seguito) senza alcuna garanzia che la copertura
dei posti medesimi, attraverso il meccanismo ideato dal legislatore sia idonea
a ricomporre l’organico in una proporzione fissa e legislativamente determinata.

Tutto ciò sembra confliggere con il principio della riserva di legge fissato
dall’art. 108 in materia di “ordinamento giudiziario e su ogni magistratura”,
atteso che l’elemento cardine su cui poggia l’amministrazione della
giustizia è costituito dalla composizione dell’organo giurisdizionale.

Si profila, altresì, ulteriore contrasto con gli artt. 97, 100 e101 della
Costituzione, poichè ai fini dell’indipendenza dei magistrati, del
buon funzionamento e della imparzialità dell’Organo giurisdizionale
e della soggezione del giudice soltanto alla legge, con correlata garanzia da
interferenze di altri poteri, il contenuto minimo della legge sull’ordinamento
della giurisdizione amministrativa non può prescindere dal prevedere,
qualora distinte componenti siano chiamate a formare il ruolo dei consiglieri
di Stato, la specifica misura della loro partecipazione, atteso che questa si
riflette inevitabilmente sulla composizione dei collegi giudicanti e, quindi,
sull’esercizio stesso della funzione giurisdizionale e sulla tutela dei
diritti e degli interessi legittimi dei soggetti che si rivolgono al giudice
di secondo grado.

Per quanto sopra evidenziato, vanno dichiarate rilevanti e non manifestamente
infondate le eccezioni di illegittimità costituzionale degli artt. 19
e 20 della legge n. 186/1982, nella parte in cui non prevedono espressamente
la composizione del ruolo del Consiglio di Stato nelle medesime aliquote previste
per il sistema di provvista dei magistrati, per contrasto con i principi di razionalità e
ragionevolezza fissati dall’art. 3 della Costituzione, con i principi della
riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario, di buon funzionamento
dell’organo giurisdizionale, nonché di indipendenza del giudice
e della sua soggezione soltanto alla legge fissati, rispettivamente, dagli
artt. 108, 97, 100, 101 della Costituzione.

In via subordinata, il ricorrente contesta il controverso bando di concorso
indetto con il citato decreto del Presidente del Consiglio di Stato datato
30 marzo 2006,
nella parte in cui richiama l’art. 19, comma 1, n. 3 della legge 27 aprile
1982 n. 186, il quale prevede che “I vincitori del concorso conseguono
la nomina con decorrenza dal 31 dicembre dell’anno precedente a quello
in cui è indetto il concorso stesso”.

Deduce in particolare l’interessato il vizio di invalidità derivata
dalla illegittimità costituzionale del richiamato art. 19, comma 1,
n. 3 della legge 27 aprile 1982 n. 186.

La norma in argomento, invero, si porrebbe in conflitto con i principi di ragionevolezza
e di pari trattamento fissati dall’art. 3 della Costituzione in quanto
da un lato, senza alcuna intuibile ragione deprimerebbe, anziché valorizzare,
l’esperienza professionale specifica dei magistrati dei T.A.R.; dall’altro,
introdurrebbe tra costoro ed i vincitori del concorso una palese disparità di
trattamento priva di sostanziale giustificazione.

La dedotta questione appare rilevante nella presente controversia, atteso che,
nell’ipotesi in cui non venisse accolta l’eccezione sopra esaminata,
idonea a travolgere integralmente il bando di concorso – compresa la previsione
da ultimo contestata – comporterebbe la caducazione della disposizione
censurata e, conseguentemente, il soddisfacimento dell’interesse del ricorrente,
che nelle more del giudizio è stato nominato consigliere di Stato nella
quota riservata ai magistrati T.A.R., a non essere posposto nel ruolo ai vincitori
del concorso de quo.

Inoltre, della costituzionalità dell’art. 19, comma 1, n. 3 della
legge n. 182/1986 il Collegio ha motivo di dubitare per le seguenti considerazioni.

La norma in questione, nella parte in cui prevede la retrodatazione della nomina
dei vincitori del concorso a consigliere di Stato al 31 dicembre dell’anno
precedente a quello in cui è indetto il concorso sembra confliggere con
il principio di uguaglianza e ragionevolezza fissato dall’art. 3 della
Costituzione, atteso che riconosce, senza una comprensibile ragione, ai vincitori
di concorso una decorrenza giuridica della nomina diversa e più favorevole
rispetto a quella riconosciuta ai magistrati T.A.R., il cui ingresso nel ruolo
dei consiglieri di Stato decorre dalla data del provvedimento di nomina, con
la conseguenza che questi ultimi vengono ad essere posposti ai primi, anche nell’ipotesi
in cui la data di conferimento delle funzioni sia anteriore a quella dei vincitori
del concorso.

Né la ragione di tale più favorevole decorrenza della nomina potrebbe
individuarsi nella preferenza fissata dal Costituente con l’art. 97 della
costituzione, secondo il quale l’accesso “agli impieghi nelle Pubbliche
Amministrazioni” avviene di norma “mediante concorso”, atteso
che, nella specie, non è in discussione l’accesso all’ufficio
di consigliere di Stato secondo le quote fissate dallo stesso art. 19 della
legge n. 186/192, ma la decorrenza giuridica, anteriore persino alla data del
bando,
stabilita dal legislatore in favore dei vincitori di concorso.

Detta decorrenza è dovuta ad una fictio juris che non sembra giustificata
allorché si consideri che il Consiglio di Stato costituisce il massimo
organo della giustizia amministrativa, dove l’apporto dell’esperienza
dei giudici di primo grado è stato ritenuto essenziale dal legislatore,
tanto da indurlo a prevedere, con lo stesso art. 19, un aumento fino al 50%
della quota di provvista di tali magistrati.

Per quanto sopra argomentato va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata
anche la questione di legittimità costituzionale riguardante l’art.
art. 19, comma 1, n. 3 della legge 27 aprile 1982 n. 186, nella parte in cui
dispone che “I vincitori del concorso conseguono la nomina con decorrenza
dal 31 dicembre dell’anno precedente a quello in cui è indetto il
concorso stesso”, per contrasto con il principio di uguaglianza e ragionevolezza
fissato dall’art. 3 della Costituzione.

Pertanto il giudizio deve essere sospeso e gli atti vanno trasmessi alla Corte
Costituzionale.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez. II quater, visti gli
artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara
rilevanti
e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale:

– degli artt. 19 e 20 della legge 27 aprile 1982, n. 186, nella parte in cui
non prevedono espressamente la composizione del ruolo del Consiglio di Stato
nelle medesime aliquote previste per il sistema di provvista dei magistrati,
per contrasto, nei sensi di cui in motivazione, con gli artt. 3, 97, 100, 101
e 108 della Costituzione;

– dell’art. 19 comma 1, n. 3 della legge 27 aprile 1982 n. 186, nella parte
in cui si dispone che “I vincitori del concorso conseguono la nomina con
decorrenza dal 31 dicembre dell’anno precedente a quello in cui è indetto
il concorso stesso”, per contrasto, nei sensi di cui in motivazione, con
l’art. 3 della Costituzione.

Sospende il giudizio in corso e ordina l’immediata trasmissione degli
atti alla Corte Costituzionale. Dispone che la presente ordinanza, a cura
della Segreteria della Sezione, sia notificata al Presidente del Consiglio
dei Ministri ed alle parti in causa,
nonchè ai
Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati.
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2006, in Camera di Consiglio. Depositata
il 20 novembre 2006.

Redazione

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