Senato della Repubblica
Discussione generale sul bilancio di previsione dello Stato
per l’anno finanziario 2007 e il bilancio pluriennale per il
triennio 2007 – 2009
Intervento del Ministro
dell’Economia e delle Finanze
Tommaso Padoa-Schioppa
Roma, 15 dicembre 2006
“Signor Presidente, onorevoli Senatori,
prendo la parola in questa Aula per invitare il Senato ad approvare la
Legge
finanziaria e il bilancio che il Governo presenta e su cui chiede che
gli sia rinnovata la
fiducia. Da oltre 80 giorni la manovra sui conti pubblici è
oggetto di intenso lavoro nelle
Camere elette dal popolo, viene discussa in ogni dettaglio sui
giornali, alla televisione e
nelle piazze.
Il segno di quanto mi accingo a dire è espresso dalla stessa
parola che dà il nome a
questa procedura: fiducia.
Fiducia nelle energie del paese, nelle sue possibilità,
nella capacità degli italiani di distinguere i fatti veri
dalle false rappresentazioni, di udire le voci argomentanti anche
attraverso il frastuono.
Si usa dire che la politica è l’arte del
possibile; ma è stato anche detto che la politica
deve rendere possibile ciò che è necessario.
Abbiamo cercato di farlo. E abbiamo la
profonda convinzione, conoscendo l’Italia e gli italiani,
quelli che parlano e quelli che
tacciono, quelli che lavorano e quelli che si preparano al lavoro, che
operando per il
meglio nella difficile situazione ereditata, stiamo preparando per il
Paese un futuro più
sereno e costruttivo del presente. E che questo sarà
riconosciuto.
1. Nessun atto di Governo, e tanto meno la Legge finanziaria che
dell’attività del Governo
costituisce un elemento fondamentale, può essere valutato
senza rapportarlo da un lato ai
fatti, dall’altro agli obbiettivi.
Poiché è stato detto ripetutamente che questi
fatti e questi obbiettivi non sono stati
comunicati in modo chiaro, cercherò di farlo di nuovo nel
modo più sintetico in questa
sede, che è la massima sede istituzionale e costituzionale
per il Governo.
I fatti che ci siamo trovati davanti sono semplici.
L’Italia ha accumulato negli anni un debito pubblico
esorbitante, immenso, con pochi paralleli al mondo:
1.600 miliardi di euro.
Per pagarne gli interessi occorre reperire ogni anno 70 miliardi. Dal
2005 il peso di
quel debito ha ricominciato a crescere più rapidamente della
produzione nazionale, ciò che
non era più avvenuto dal 1994. Senza l’euro e
senza la ritrovata stabilità dei prezzi, due
obbiettivi faticosamente e meritoriamente raggiunti dal primo Governo
Prodi, il peso degli
interessi sarebbe insostenibile. I Buoni del Tesoro vengono
sottoscritti in larga parte dal
mercato internazionale dei capitali. Se i conti dell’Italia
fossero giudicati poco affidabili, e
ancora oggi siamo sull’orlo di questo negativo giudizio, la
legge del mercato imporrebbe
un rialzo dei tassi, perché altrimenti i titoli dello Stato
italiano resterebbero non collocati.
Un solo punto in più di interessi sul debito aggrava la
spesa pubblica (e dunque la
pressione fiscale) di 15 miliardi di euro, un punto del PIL. Ogni anno;
non una tantum.
Questo è il semplice fatto da cui partire; questo
è il fatto troppo spesso taciuto nelle
discussioni delle ultime settimane.
Ecco perché l’azzeramento dell’avanzo
primario, perpetrato nella legislatura passata
dal precedente Governo, è un fatto di straordinaria
gravità: si è distrutto in pochi anni
quanto si era faticosamente costruito in molti anni. In un Paese meno
indebitato il fatto
non sarebbe troppo grave. Lo è in Italia per le ragioni
dette.
In passato, prima dell’euro, la soluzione era semplice: si
creava inflazione e si svalutava.
Quella che Luigi Einaudi chiamava la tassa più ingiusta era
il rimedio perverso per tirare avanti.
Oggi, fortunatamente, questo rimedio non è più
disponibile.
L’avanzo primario è il saldo dei nostri conti al
netto della spesa per interessi. È
l’ossigeno, la riserva per poter onorare i debiti e pensare
al futuro. E’ il risparmio della
collettività. Come una famiglia, come una impresa, anche la
collettività deve
amministrarsi guardando al futuro, non solo al presente.
L’accumulo eccessivo
dell’indebitamento è prima di tutto miopia,
egoismo, sacrificio del benessere di domani al
benessere di oggi, espropriazione dei nostri figli e nipoti.
E’ peggio della condotta della
cicala, che nella favola non accumula debiti, ma si limita a consumare
l’esistente.
2. Come correre ai ripari ? Nell’enunciazione, la risposta
è semplice: si rimedia mettendo a
posto i conti. Non perché ce lo impone l’Europa,
ma perché ce lo impongono la salute
pubblica, l’interesse nazionale, l’elementare buon
senso. Questa risposta è stata annunciata
nel giugno scorso dal Governo, che ha indicato anche le
quantità necessarie allo scopo.
La Finanziaria che state per votare raggiunge l’obbiettivo di
risanare i conti,
evitando il collasso finanziario del Paese al quale eravamo esposti? La
risposta, di nuovo,
è semplice: sì. L’obiettivo di risanare
i conti viene raggiunto.
Con una manovra per la massima parte strutturale viene, in un colpo
solo, ricostituito
un avanzo primario che già nel 2007 raggiungerà
il 2 per cento. E in un solo anno viene
riportato sotto il 3 per cento il disavanzo che da quattro anni era
superiore ai parametri
europei e che, in assenza di interventi, si sarebbe collocato a valori
prossimi al 4 per cento.
Viene così rispettato l’impegno assunto dal
precedente Governo al termine della passata
legislatura. Anche su questo fatto si è troppo taciuto nelle
ultime settimane.
Non è stato facile mettere a punto le misure necessarie per
il risanamento.
Nonostante la presenza, nella maggioranza che ha vinto le elezioni, di
culture politiche
molto lontane tra loro nella loro genesi l’obiettivo
è stato raggiunto.
La pluralità delle voci si è tradotta nella
omogeneità dei comportamenti. Che l’intero
schieramento della maggioranza abbia condiviso le
responsabilità e le scelte necessarie per
governare in una situazione difficile quale è la nostra
è un fatto di importanza storica per
l’Italia: un fatto che sembra passato inosservato.
3. Se ci fossimo limitati, per la Finanziaria 2007, a fotografare il
“tendenziale”, se non
avessimo modificato nulla rispetto alle disposizioni della Finanziaria
precedente,
sarebbero accadute quattro cose:
a) saremmo andati “sotto” di ben 15 miliardi di
euro
rispetto all’impegno assunto dal Paese nel 2005 per rientrare
nei parametri di sana gestione sottoscritti nei trattati;
b) avremmo dovuto rinunciare a interventi di spesa essenziali,
cioè bloccato le Ferrovie, interrotto i lavori per le
strade,
sospeso le missioni di pace, non avremmo potuto rinnovare i contratti
per l’impiego pubblico e così via;
c) avremmo dovuto rinunciare a ogni intervento di stimolazione
dell’economia e dell’innovazione;
d) avremmo dovuto rinunciare a forme di sostegno alle famiglie con
figli, alle donne lavoratrici, agli anziani bisognosi, ed altro ancora.
Risanamento, sviluppo, equità.
4. Per soddisfare queste quattro esigenze occorrevano risorse. Come
reperirle ?
Le sole due vie possibili sono evidenti: ridurre le spese e aumentare
le entrate.
E’ vera l’affermazione, che si continua a ripetere
quasi ossessivamente, che questa
Finanziaria opera solo sulle entrate e non fa nulla sulle spese? La
risposta anche qui è
chiara: l’affermazione è semplicemente falsa.
Basta leggere le cifre per quello che sono.
Questa Finanziaria attua un contenimento della spesa corrente che ha
pochi
precedenti nel passato e rappresenta una vera e propria inversione di
rotta rispetto alle
tendenze in atto. Si ferma un treno in corsa e lo si fa operando sul
motore, non solo sul
freno; lo si fa con misure permanenti, strutturali; non con palliativi
da escogitare ogni
anno di bel nuovo.
Per la prima volta si mette un vincolo all’aumento sinora
quasi incontrollato della
spesa sanitaria; e questo, si noti, in accordo con le Regioni.
Per la prima volta si imbocca, concordandolo con essi, un iter di
razionalizzazione della spesa dei Comuni.
Le due misure introducono elementi importantissimi di federalismo
fiscale,
da tempo auspicati, ma non attuati sino ad oggi:
al federalismo proclamato per una legislatura subentra il federalismo
praticato.
Sulle spese dei Ministeri si effettuano, più che in ognuna
delle
precedenti manovre di bilancio, risparmi sostanziali, eliminando ove
possibile il superfluo.
Ed altro ancora. Il tutto per una somma complessiva di oltre 10
miliardi di euro.
Un intervento pur tanto rigoroso non poteva, tuttavia, bastare:
né per l’economia, né
per la crescita, né per l’equità. Per
l’economia occorreva rifinanziare ferrovie e opere
pubbliche, che tra l’altro rappresentano sostegni
all’occupazione: circa 4 miliardi. Per
l’economia e per la crescita occorreva alleggerire il costo
del lavoro, così da rendere più
competitive le nostre imprese: il cuneo fiscale costerà nel
2007 circa 5 miliardi di euro,
una parte dei quali andrà in busta paga. Per
l’equità occorreva sostenere le famiglie e il
lavoro femminile, i disabili e gli anziani indigenti; e occorreva far
pagare qualcosa di
meno a chi guadagna di meno.
Dunque maggiori spese pubbliche, certo, oltre che riduzioni. Ma spese di
investimento, spese per infrastrutture. Spese necessarie a conseguire
obbiettivi essenziali
di efficienza e di crescita; la ricerca e
l’Università, certo meritevoli in futuro di
investimenti ulteriori, sono comunque i comparti nei quali si
è fatto ogni sforzo possibile
per non pregiudicare gli investimenti. Rispetto
all’evoluzione che si sarebbe avuta in
assenza di interventi, si attua una ricomposizione e riqualificazione
importante, dalla spesa
corrente, che viene ridotta, a quella in conto capitale, che viene
sostanzialmente
incrementata. Anche questo fatto è stato quasi del tutto
ignorato nella discussione delle
ultime settimane.
5. Vengo alle entrate.
Sul fronte delle entrate si è puntato anzitutto al recupero
dell’evasione fiscale:
far pagare le tasse a chi non le paga.
Nel valutare la pressione fiscale, l’aumento delle entrate
derivanti dal ridursi dell’evasione è cosa ben
diversa
dall’aumento delle aliquote legali di prelievo. Non
dispiaccia, questa affermazione, a chi
non ama sentirla ripetere: la ripeto per rispetto ai tantissimi
italiani che fanno il loro
dovere di contribuenti onesti.
La lotta all’evasione significa in primo luogo distribuire
più equamente il carico
tributario, non significa aumentarlo. Ed è stato proprio il
Senato a tradurre in norma
l’impegno politico più volte enunciato dal Governo
di ridurre le aliquote di prelievo
allorché la lotta all’evasione abbia prodotto un
permanente aumento delle entrate.
L’evasione, che in Italia è patologia allo stato
epidemico, può venir progressivamente
arginata e ridotta a patologia sporadica. Non certo con i condoni. Al
contrario: con
politiche fiscali tenaci e continue, come quelle che abbiamo
intrapreso. I primi risultati già
si vedono, altri verranno. Quando saranno consolidati, si spera in
tempi brevi, si potrà
finalmente cominciare a far diminuire le aliquote.
Un’altra parte delle risorse necessarie per la crescita viene
dall’impiego di una parte
(la sola parte che i lavoratori liberamente decideranno di non
assegnare alla previdenza
integrativa, la cui partenza abbiamo deciso di anticipare di un anno)
del trattamento di fine
rapporto (TFR) delle imprese con più di 50 dipendenti.
Questa misura non toglie assolutamente nulla né alle imprese
né ai lavoratori, come ha spiegato lucidamente
una voce isolata sul quotidiano di cui è editore proprio la
confederazione degli industriali.
I soldi sono e restano dei lavoratori e l’INPS si limita a
investirli in infrastrutture, per
raggiungere scopi largamente condivisi. Dove sta lo scandalo? Un fuoco
di paglia,
violento e fatuo. La riprova è che del TFR da qualche
settimana non si parla più.
Invece la pressione tributaria, le tasse sui cittadini e le imprese che
già adempiono al
loro dovere fiscale, viene ridotta già in questa
Finanziaria, se si tiene conto del complesso
delle misure adottate. Aumentano sì i contributi
previdenziali, ma, particolarmente col
passaggio al sistema contributivo che è in corso, i
contributi previdenziali rappresentano
un risparmio dei lavoratori che verrà loro restituito in
forma di maggiori pensioni future e
non sono quindi assimilabili alle tasse in senso stretto.
L’aumento è necessario non solo
per assicurare l’equilibrio del sistema nel lungo periodo, ma
anche per migliorare le
pensioni future dei giovani.
Nel complesso, l’aumento del prelievo aggiuntivo sul settore
privato rappresenta una
quota modestissima della manovra complessiva. È, questo, un
altro dato di fatto troppo
spesso trascurato dall’analisi cui la manovra finanziaria
è stata sottoposta in queste
settimane.
Si sarebbe potuto procedere ritoccando un solo comparto, ad esempio
alzando l’IVA;
la Germania della grande coalizione l’ha alzata di tre punti.
Questa scelta è stata scartata
per non creare intralci ai consumi ed alla crescita. Si è
preferito rimodulare con mano
leggera (ripeto, con mano leggera: lasciamo per favore ad altri
contesti l’immagine delle
lacrime e ancor più quella del sangue) una serie di comparti
allo scopo di coniugare la cura
per la crescita con quella per l’equità. Chi ha
parlato ossessivamente di un rialzo
generalizzato dell’imposizione fiscale, di 67 nuove tasse, ha
deliberatamente ignorato
questi dati. I quali non si annullano certo per il fatto di venir
contraddetti a parole una,
cento o mille volte nei messaggi televisivi.
6. La procedura che in Italia conduce all’approvazione della
Legge finanziaria è ben nota
ed è praticata da anni. Questa volta, però, essa
ha attraversato in sei mesi vicende a dir
poco inconsuete, per non dire eccezionali, sulle quali non si
può sorvolare.
Nessuna Finanziaria precedente ha conosciuto un iter così
trasparente e così
intensamente partecipativo quanto l’attuale. Ogni Ministro ha
preso parte al gigantesco
cantiere, manifestando esigenze raccolte nel concreto contatto con la
realtà della quale è il
responsabile politico e istituzionale di punta. Le Regioni, le
Province, i Comuni, le
rappresentanze dei lavoratori e degli imprenditori, i commercianti, gli
artigiani sono stati
ascoltati. A lungo, ripetutamente, approfonditamente.
Il Governo ha operato una sintesi e l’ha espressa in tre
punti: sviluppo, risanamento, equità.
Le molte centinaia di disposizioni che compongono la manovra sono state
più volte sezionate,
riconsiderate sulla base di critiche e osservazioni, rimodulate,
riscritte.
Il Parlamento ha a sua volta introdotto rettifiche, miglioramenti,
elementi ulteriori,
pur lasciando intatte le mura portanti della manovra.
Tutto questo è positivo; è espressione di
democrazia, è strumento per migliorare i
testi legislativi, è acquisizione di apporti critici e di
consensi. Guai a lamentarsene come se
fosse un male del quale dovremmo liberarci. Lo dice un Ministro che non
proviene dalla
professione politica, ma che della politica, alla quale è
stato chiamato, ha un altissimo
concetto.
È positivo, ma ha i suoi costi: il flusso ininterrotto delle
notizie ha dato l’impressione
– un’impressione spesso lontana dalla realtà – di
affanno, di confusione, di incertezza. Me
ne dolgo e me ne scuso, a nome del Governo, con i cittadini. A questo
occorrerà porre
rimedio, anche migliorando le procedure per far sì che,
già dall’anno prossimo, il percorso
divenga più lineare.
E’ naturale la tentazione di pensare a quanto sia
più agevole e più gradevole la
procedura dei Paesi nei quali la proposta del Governo va tal quale al
voto del Parlamento.
Il budget inglese viene approvato in cinque giorni. E tuttavia anche in
quel sistema l’aula
di Westminster interviene dopo una intensa fase di lavoro e confronto
parlamentare nella
competente commissione: al riguardo, convengo pienamente sulle
considerazioni rivolte
in questa sede dal Presidente Morando cui desidero rivolgere –
così come al relatore,
Senatore Morgando – un ringraziamento particolare per
l’equilibrio, la fermezza, la
chiarezza di metodo con cui ha diretto i lavori. Chi vi parla
è un fermo sostenitore della
concertazione, del confronto, della ricerca della soluzione
più accettabile in termini di
equità e di efficacia, ed è ben consapevole di
quanto sia essenziale, sostanziale il
contributo che deriva da un pieno coinvolgimento del Parlamento.
Non tutto è però sempre positivo nel processo
vitale e tormentato della nostra
democrazia. E proprio per salvaguardare l’inestimabile valore
di questo processo occorre a
tutti i costi evitare che la spinta, pur legittima, per la tutela degli
interessi particolari superi
la soglia del ragionevole. Occorre evitare che il coro delle richieste
particolari, pur
comprensibili e quasi sempre di per sé giustificate, diventi
così assordante da far tacere la
voce profonda ma fievole dell’interesse generale e del bene
comune. Il rischio per l’Italia
sarebbe molto alto, se si smarrisse la bussola dell’interesse
generale
Lo ha detto benissimo Gustavo Zagrebelsky in un articolo di pochi
giorni fa su La
Repubblica. “La politica pesca dalla società le
istanze che essa vuole rappresentare […].
Tante cose eterogenee e tanti soggetti sociali, conflittuali tra loro e
al loro stesso interno,
che con i mezzi più diversi […] cercano di farsi
strada e che la classe politica è tenuta a
selezionare. Un caos di istanze tra le quali si deve però
fare una prima, fondamentale
distinzione, a seconda della prospettiva in cui si collocano:
individuale e immediata,
oppure generale e duratura. In questa distinzione traspare il pericolo
della catastrofe della
democrazia, cui è esposta per cecità o per
incapacità di allungare il suo sguardo” (La
Repubblica, 12 dicembre 2006).
7. E’ per l’interesse generale
dell’Italia che si è fatta questa Finanziaria. Il
Governo ha
ascoltato e raccolto diverse istanze, ma senza perdere di vista i tre
obiettivi – sviluppo,
risanamento, equità – che ho appena ricordato e senza
mancare il traguardo stabilito. Un
traguardo, sia detto per inciso, che oggi alcuni contestano, avanzando
la tesi che l’intero
aumento del gettito del 2006 (in sé un fatto molto positivo)
sia ormai strutturale e,
soprattutto, aggiuntivo rispetto alle previsioni. Non è
vero. Il Governo ha costantemente
aggiornato le stime del gettito e la Finanziaria tiene conto, quasi per
intero, del maggior
gettito tributario del 2006. Non c’è quindi un
tesoro nascosto da spendere, almeno per ora.
Vi è chi ha sostenuto persino la tesi stravagante che per
sistemare tutto sarebbe
bastata una manovra da 15 o addirittura da 7 miliardi di euro – del
tutto al di fuori della
realtà. Giudizi fondati su una lettura errata, se non
pretestuosa, dei fatti e dei dati. Non
l’albero, ma addirittura il cespuglio o il filo
d’erba, ha nascosto la foresta. E allora non
meravigliamoci se il cittadino non capisce. E magari protesta. Ma la
foresta c’era, c’è, e a
questa bisognava e bisogna guardare.
In questi mesi di intenso lavoro è stata mia costante cura
verificare, quanto più
spesso possibile, le richieste e le reazioni di chi lavora e produce.
Piuttosto, e prima, per ascoltare
che per persuadere. Ciò mi è sembrato e mi sembra
tanto più necessario in
presenza di misure senza dubbio severe. Ebbene, in Veneto come in
Lombardia, in
Romagna, in Abruzzo, in Toscana e altrove, ho ascoltato certamente
lamenti, critiche,
insofferenze, impazienze. Ma anche, in misura non inferiore, segnali
inequivocabili di
consapevolezza e disponibilità a modificare comportamenti
che pregiudicano uno sviluppo
sano dell’economia, a cominciare dall’evasione
fiscale. Quando confronto l’immagine
catastrofista di tanti commenti con quella degli incontri pubblici e
privati, allargati o
ristretti, ai quali ho preso parte personalmente non posso non notare
uno iato. Quasi si
trattasse di due mondi separati.
La mia convinzione, che ogni incontro sembra confermare, è
che l’Italia ha in sé
energie vitali ancora enormi.
Certo, non vi è più la spinta prepotente al
benessere che fu propulsiva negli anni Cinquanta e Sessanta,
né la sfida immediata del Mercato comune, che costrinse a
fare
subito il salto qualitativo necessario a vincere la concorrenza dei
Paesi
vicini.
Certo, oggi la sfida è più ardua e non
può essere agevolata dallo strumento facile e
ingiusto delle svalutazioni competitive praticate prima
dell’avvento dell’euro.
La sfida può e deve venire da una giusta ambizione sul
futuro del Paese. Le energie, le intelligenze e la
creatività ci sono. In ogni parte d’Italia. E
l’immagine di questa creatività è
vivissima fuori
d’Italia, specie nei continenti lontani, nei paesi che stanno
lottando per arrivare al
benessere. Sta a noi sfruttare questa immagine per far crescere il
nostro Paese e inventarci
un futuro di sviluppo civile e sociale.
Ciò che lo Stato può fare è
predisporre le condizioni, le strutture e le infrastrutture
che facilitino il percorso. E’ qui lo scopo primario della
Finanziaria e del programma del
Governo. Eliminare gli sprechi per aumentare l’efficienza,
attrarre gli investimenti
stranieri, combattendo la criminalità organizzata e rendendo
più celere la giustizia,
stimolare investimenti e consumi con un alleggerimento dei pesi fiscali
che soltanto la
lotta all’evasione renderà possibile, rendere
più agevoli le riconversioni individuali e di
impresa introducendo efficaci ammortamenti sociali, investire nella
ricerca incentivando
fiscalmente imprese e singoli che vi destinino risorse, riprendere gli
investimenti a livello
europeo.
L’Italia che vuole battersi per competere e per eccellere
c’è ancora, l’Italia che
guarda al futuro per fortuna c’è ancora.
C’è ancora l’Italia che ha voglia di
fare sacrifici
per costruire un paese migliore.
8. Mi sia lecito rivelarlo, al termine di un processo politico
intensissimo durato sette mesi:
in più momenti ho temuto che si avverasse la sorte del
vecchio pescatore raffigurato da
Hemingway ed evocato da Altiero Spinelli davanti al Parlamento europeo
nel febbraio
1984: il rischio di giungere a riva con la sola lisca nuda e spoglia
del pesce tanto
faticosamente arpionato.
La sorte, ma anche il merito dei tanti soggetti, politici e non, che
hanno contribuito
a costruire la Finanziaria che ora siete chiamati a votare, hanno
determinato un esito diverso. La partecipazione eccezionalmente intensa
dei Deputati e dei
Senatori, sia della maggioranza sia della minoranza, alle scelte della
Finanziaria, è un fatto
in sé estremamente positivo. È segno di un
impegno pienissimo, che non so quante
corrispondenze trovi in realtà parlamentari straniere.
Quanto alle incongruenze e agli errori, è giusto che la
responsabilità di tutto ricada
alla fine sul Ministro, anche per le cose materialmente non viste o
controllate da lui.
Controllare tutti i dettagli di una manovra di centinaia di norme
rivedute ancora da cima a
fondo in Commissione e al Ministero nei giorni scorsi, e rimesse a
punto dagli uffici in
poche ore e in nottate insonni sarebbe impossibile. È giusto
e doveroso che il Ministro si
assuma la responsabilità di tutto. Ma è giusto
che la manovra sia giudicata innanzi tutto
nelle sue linee portanti, sulla base di fatti incontrovertibili, in
relazione con i suoi obiettivi
di fondo.
9. Dopo il tifone, la nave di Conrad vede il porto. Qualche vela
è strappata, qualche
impalcatura è da riparare e sarà riparata. Ma la
struttura è integra. La nave può ripartire.
Bisogna ora spiegare le vele per far sì che
l’Italia torni a crescere a ritmi più elevati e che
lo faccia in maniera duratura.
Ci sono, già nella Finanziaria e nell’azione
complessiva del Governo in questi primi
mesi, le premesse per costruire il domani. Innanzitutto una finanza
pubblica più sana,
condizione indispensabile per uno sviluppo sostenibile, per rinforzare
la voglia di investire
sul futuro, per orientare risorse pubbliche alla crescita e,
soprattutto, per ridare prospettive
ai giovani, ripristinando un patto di solidarietà tra le
generazioni. Inoltre, le azioni
intraprese per migliorare le pensioni future di chi oggi è
giovane, specie se precario; per la
ricerca scientifica, la formazione scolastica e universitaria, le
infrastrutture, l’efficienza e la qualità
dei servizi pubblici; per il federalismo fiscale, l’ordine e
la sicurezza interna, la
giustizia incagliata; per la competitività delle nostre
imprese, le liberalizzazioni, la
concorrenza.
Bisogna quindi essere fieri di quanto fatto fin qua e del coraggio del
Governo nel
dire la verità ai nostri concittadini. Ma bisogna nello
stesso tempo riconoscere che siamo
solo all’inizio, che molto rimane da fare in tutti i campi
che ho appena ricordato e che il
lavoro andrà continuato fin da subito con ancor
più tenacia e volontà.
Questa Finanziaria ci permette di farlo con rinnovato ottimismo.
Vi ringrazio”.
Tommaso Padoa-Schioppa
Ministro dell’Economia e delle Finanze
Roma, 15 dicembre 2006