Il Consiglio di Stato ha rilasciato, lo scorso 6 giugno, il proprio parere obbligatorio sul secondo decreto correttivo al Codice Contratti.
Osservano i Giudici di Palazzo Spada che:
“Le principali modifiche contenute nel secondo decreto correttivo al Codice Contratti, deliberato dal consiglio dei ministri nella seduta del 25 gennaio 2007 in sede preliminare, riguardano:
– la procedura negoziata con bando ed é tesa ad eliminare dall’ordinamento la possibilità per le stazioni appaltanti di ricorrere a due ipotesi che potrebbero limitare la concorrenza per il rischio di indeterminatezza che é sotteso alla loro stessa previsione, laddove non consentono la fissazione preliminare e globale dei prezzi;
– la procedura negoziata senza bando, laddove si elimina la possibilità di estendere ai lavori l’istituto della ripetizione di servizi analoghi;
– il dialogo competitivo, laddove si intende introdurre a favore delle amministrazioni pubbliche che intendono ricorrere a questo strumento innovativo il conforto del parere del maggiore organo consultivo in materia di contratti pubblici;
– l’accordo quadro, laddove si ritiene, al fine di garantire una maggiore concorrenza nel mercato, che lo stesso sia limitato, nel caso di lavori, esclusivamente alle manutenzioni e che sia escluso per la progettazione e per gli altri servizi di natura intellettuale, in considerazione della specificità degli stessi;
– la modifica dell’articolo 110, tesa ad eliminare un vuoto normativo, laddove estende ai concorsi di idee sotto soglia comunitaria la procedura di affidamento di cui all’articolo 91, comma 2, del Codice, già prevista per i concorsi di progettazione di importo inferiore alla soglia di cui al comma 1 del medesimo articolo 91;
– la modifica dell’articolo 124, comma 3 , con riferimento agli obblighi delle stazioni di pubblicare l’avviso sui risultati della procedura di affidamento sui siti informatici;
– la modifica relativa all’articolo 143, con l’inserimento del comma 7 bis, laddove prevede la possibilità di un prezzo di restituzione dell’opera al concedente per la quota non ammortizzata nel periodo di gestione;
– dello schema vanno altresì segnalate le modifiche relative agli articoli 161 e 163 del Codice, tese a realizzare un più ampio ed efficace ricorso alla finanza di progetto per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici”.
Di seguito, il testo integrale del parere.
. . . . .
Consiglio di Stato, Adunanza Generale
Parere del 6 giugno 2007 numero 1750
(presidente Schianaia, relatore Cirillo)
“Ministero delle infrastrutture – Schema di decreto legislativo contenente modifiche al decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163, recante il Codice di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”.
Il Consiglio;
Vista la relazione prot. n. 0005066 in data 5 aprile 2007 e pervenuta il successivo 26 aprile, con la quale il Ministero delle infrastrutture – Ufficio legislativo -chiede il parere del Consiglio di Stato in ordine allo schema di decreto legislativo indicato in oggetto;
Esaminati gli atti ed udito il relatore Gianpiero Paolo Cirillo;
Premesso e considerato
1- Lo schema di decreto legislativo in esame, deliberato dal consiglio dei ministri nella seduta del 25 gennaio 2007 in sede preliminare, e successivamente trasmesso alla conferenza unificata, che ha espresso il proprio parere in data 15 marzo 2007, apporta modifiche al decreto legislativo 12 aprile del 2006 n. 163, recante il Codice di contratti pubblici relativi al lavori, servizi e forniture.
Esso è stato predisposto ai sensi dell’articolo 25, comma 3, della legge 18 aprile del 2005 n. 62, che consente l’adozione di disposizioni correttive ed integrative del Codice entro due anni dalla sua emanazione.
Il presente é stato preceduto da un primo decreto legislativo correttivo (il decreto legislativo 26 gennaio del 2007 n. 6), sul quale vi è stato il parere della sezione consultiva per gli atti normativi, espresso nell’adunanza del 28
settembre 2006.
Con il presente decreto l’amministrazione dichiara di voler proseguire l’opera di “revisione progressiva” della complessa disciplina adottata nel 2006 “con una formula che consente di distinguere i singoli “moduli”, corrispondenti ad autonome fasi del complessivo processo di riordino nell’arco di tempo per il quale ciò è consentito dalla legge delega”.
Ad avviso dell’amministrazione, la legge delega consente il riordino progressivo per offrire possibilità di confronto alle categorie e ai rappresentanti istituzionali di settore, oltre che per realizzare un effettivo riscontro tra i
contenuti dei provvedimenti proposti, prima, e adottati, poi, dal governo.
Con gli adeguamenti predisposti l’amministrazione intende realizzare una più profonda conformazione dell’ordinamento alle esigenze di matrice comunitaria, ossia di apertura del mercato e di sana e corretta concorrenza tra gli operatori economici.
Inoltre intende soddisfare l’esigenza di snellimento delle procedure,
“rimuovendo” ogni pericolo di incrostazione burocratica o comunque non funzionale al conseguimento delle esigenze sopra indicate di trasparenza e apertura del mercato”.
2- Dalla lettura dello schema predisposto dall’ufficio legislativo del Ministero delle Infrastrutture si ricava che un primo gruppo di disposizioni correttive interessano istituti giuridici la cui concreta applicazione era stata già
oggetto di sospensione.
Salvo l’esame analitico di ciascuna di esse, le principali modifiche riguardano:
– la procedura negoziata con bando ed é tesa ad eliminare dall’ordinamento la possibilità per le stazioni appaltanti di ricorrere a due ipotesi che potrebbero limitare la concorrenza per il rischio di indeterminatezza che é sotteso alla loro stessa previsione, laddove non consentono la fissazione preliminare e globale dei prezzi;
– la procedura negoziata senza bando, laddove si elimina la possibilità di estendere ai lavori l’istituto della ripetizione di servizi analoghi;
– il dialogo competitivo, laddove si intende introdurre a favore delle amministrazioni pubbliche che intendono ricorrere a questo strumento innovativo il conforto del parere del maggiore organo consultivo in materia di contratti pubblici;
– l’accordo quadro, laddove si ritiene, al fine di garantire una maggiore concorrenza nel mercato, che lo stesso sia limitato, nel caso di lavori, esclusivamente alle manutenzioni e che sia escluso per la progettazione e per gli altri servizi di natura intellettuale, in considerazione della specificità degli stessi;
– la modifica dell’articolo 110, tesa ad eliminare un vuoto normativo, laddove estende ai concorsi di idee sotto soglia comunitaria la procedura di affidamento di cui all’articolo 91, comma 2, del Codice, già prevista per i concorsi di progettazione di importo inferiore alla soglia di cui al comma 1 del medesimo articolo 91;
– la modifica dell’articolo 124, comma 3 , con riferimento agli obblighi delle stazioni di pubblicare l’avviso sui risultati della procedura di affidamento sui siti informatici;
– la modifica relativa all’articolo 143, con l’inserimento del comma 7 bis, laddove prevede la possibilità di un prezzo di restituzione dell’opera al concedente per la quota non ammortizzata nel periodo di gestione;
– dello schema vanno altresì segnalate le modifiche relative agli articoli 161 e 163 del Codice, tese a realizzare un più ampio ed efficace ricorso alla finanza di progetto per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici.
Parimenti vanno segnalate le disposizioni volte a rafforzare la tutela del lavoro, con riguardo segnatamente alle condizioni di lavoro e ai diritti dei lavoratori nell’esecuzione dei contratti pubblici.
Particolarmente interessante, almeno nelle intenzioni e salvo il rilievo tecnico di cui oltre, appare poi la modifica che assegna al regolamento generale la disciplina uniforme, nel rispetto del riparto di competenze tra Stato e
regioni, della tutela dei diritti dei lavoratori, dandosi una maggiore incisività al ruolo del Ministero del lavoro nei rapporti con l’osservatorio di contratti pubblici.
3- E’ stato riportato il contenuto più significativo del decreto correttivo nonchè le ragioni che hanno ispirato il Governo a predisporlo, in quanto proprio dalla natura delle modifiche proposte scaturisce il primo problema di ordine generale, ossia in che misura sia legittima la prassi dell’utilizzazione ripetuta della delega con riferimento ai decreti integrativi e correttivi di precedenti decreti delegati.
3.1. Sul punto sono necessarie alcune considerazioni generali.
Se si osserva la storia della legislazione recente è facile osservare che,mentre in passato le deleghe legislative erano per lo piu’ utilizzate per realizzare riforme di singoli microsettori dell’ordinamento (si pensi alla codificazione, alla materia tributaria, all’attuazione della disciplina di origine comunitaria), negli anni novanta si registra una vistosa tendenza ad utilizzare lo strumento della delega per perseguire alcuni grandi obiettivi di tipo strategico, tradizionalmente riservati al procedimento legislativo ordinario, come il risanamento economico, l’adeguamento alle regole della concorrenza, il recepimento della normativa comunitaria, le grandi riforme dell’amministrazione.
Orbene, l’art. 14 della legge 23 agosto n. 400, che disciplina i decreti legislativi adottati dal Governo ai sensi dell’articolo 76 della Costituzione, disegnando l’articolazione del procedimento di approvazione e il rapporto con le Commissioni parlamentari e con il Presidente della Repubblica, che procede alla emanazione, nulla dispone in ordine alle deleghe correttive.
Si deve inoltre constatare il silenzio della legge sulla natura e i limiti del potere correttivo, poiché, il Parlamento, nei casi in cui lo ha previsto, si è limitato a richiamare i medesimi principi e criteri direttivi relativi alla delega principale, oltre alla previsione del termine, anche quando ha stabilito la delega “correttiva” con una disposizione successiva alla legge contenente la delega “principale”, senza specificare in alcun modo in che cosa debba consistere l’attività di correzione.
Soltanto in un caso (l’art.1 comma 6 della legge n.62 del 2005, in materia di Codice del consumo) si stabilisce che la proposta di decreto correttivo deve prevedere una relazione motivata da presentare alle Camere circa le disposizioni su cui intende intervenire e le ragioni della modifica.
Dal canto suo, la Corte costituzionale, pur ritenendo conforme all’art. 76 della Costituzione la tecnica del ricorso al decreto correttivo, per lungo tempo non ha avuto modo di chiarire se tale tipologia di decreti legislativi avesse dei limiti maggiori (o diversi) rispetto ai decreti legislativi principali; e in particolare se i decreti correttivi dovessero avere un contenuto esclusivamente correttivo rispetto alle norme poste mediante il decreto legislativo “principale”, che non potrebbero essere quindi fatto oggetto di un vero e proprio ribaltamento (Corte cost., 23 maggio 1985 n. 156; Corte cost. 14 dicembre 1994 n. 422).
Qualche indicazione più specifica circa l’ampiezza del potere di correzione si trova nella sentenza n. 425 del 2000, laddove la Corte costituzionale, ponendosi in contrasto con la tendenza dominante che considera assimilabili i due termini, sembra ritenere più estesi i margini di azione del Governo ove la legge delega usi l’espressione “disposizioni integrative e correttive” anzichè il termine “disposizioni correttive”.
Con la sentenza n. 206 del 26 giugno 2001, il giudice delle leggi affronta in maniera espressa il problema, laddove, pur escludendo che la potestà legislativa delegata di integrazione e correzione possa essere esercitata solo per fatti sopravvenuti, ha distinto tra presupposti e “ratio”del potere di interpretazione e correzione.
Secondo la Corte l’istituto si presta ad essere utilizzato “soprattutto in occasione di deleghe complesse,il cui esercizio può postulare un periodo di verifica, dopo la prima attuazione, e dunque la possibilità di apportare modifiche di dettaglio al corpo delle norme delegate, sulla base anche dell’esperienza o di rilievi ed esigenze avanzate dopo la loro emanazione, senza la necessità di fare ricorso ad un nuovo procedimento legislativo parlamentare”.
In particolare ha escluso che il potere correttivo abbia la stessa estensione del potere delegato sulla base del quale e’ stato emanato il decreto legislativo “principale”.
Infatti nella medesima sentenza, si afferma che il decreto correttivo può intervenire “solo in funzione di correzione o integrazione delle norme delegate già emanate, e non già in funzione di un esercizio tardivo, per la prima volta, della delega “principale””.
Quanto alla dottrina, anch’essa è dell’avviso che tale ultima fase della delega sia volta a garantire un periodo di “collaudo” della nuova disciplina e a favorire così la gradualità e la flessibilità propria delle regolamentazioni delle complesse società contemporanee.
3.2. Sembra dunque che si possa concludere nel senso che dottrina e giurisprudenza concordino su due punti: il primo è che la delega per interventi correttivi deve essere espressamente formulata dal legislatore; la seconda è che la “ratio” di essa è quella di consentire un breve periodo di sperimentazione delle riforme normative più complesse prima di radicarle definitivamente nell’ordinamento giuridico.
Venendo dunque alla delineazione del sistema, l’Adunanza Generale ritiene di dover pervenire a tali conclusioni.
Anzitutto, la delegazione ad emanare disposizioni integrative correttive di precedenti decreti deve ritenersi autonoma rispetto alla delega principale, pur essendo normalmente collocata nello stesso testo legislativo e pur essendo sottoposta ai medesimi principi e criteri direttivi. Inoltre la finalità della previsione di un intervento correttivo e integrativo di decreti emanati sulla base della delega principale é quella di consentire una prima sperimentazione applicativa di questi, sperimentazione che sembra assumere i connotati di un presupposto indispensabile.
Ciò evidentemente è in linea con quella attenzione alla qualità anche sostanziale della legislazione che è da tempo all’attenzione del Parlamento e del Governo.
Ovviamente, a maggior ragione, deve ritenersi non solo possibile ma doveroso un intervento volto a garantire la qualità formale, e in particolare l’eliminazione di illegittimità costituzionali o comunitarie nonché di errori tecnici, illogicità, contraddizioni.
A tale conclusione non può opporsi la mancanza di una espressa previsione di un tale limite, poiché la possibile disciplina procedimentale dello stesso (come nel caso del Codice del consumo) appare, piuttosto che una eccezione, la traduzione di un principio generale di rilevanza costituzionale circa il corretto riparto della funzione legislativa fra Governo (così tassativi e circoscritti) e Parlamento.
Quanto alla possibilità di attribuire una efficacia estensiva del potere del Governo all’endiati “correzione e integrazione”, non sembra che si possa andare oltre al semplice ampliamento dell’oggetto del primo decreto legislativo a quei profili della materia delegata – come individuato nei criteri base – trascurati in prima attuazione.
3.3. Nel caso del decreto in esame, il potere correttivo è stato esercitato sulla base dell’articolo 25 della legge 18 aprile del 2005 n. 62, comma 3, che stabilisce: “entro due anni dalla data di entrata in vigore di decreti legislativi previsti dal comma 1 possono essere emanate disposizioni correttive ed integrative nel rispetto delle procedure di cui all’articolo 1, commi 2, 3 e 4”. Inoltre l’articolo 1, comma 5 della medesima legge delega stabilisce: “entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può emanare, con la procedura indicata nei commi 2, 3 e 4, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del comma 1, fatto salvo quanto previsto dal comma 5 bis”.
Sicché, per il potere correttivo non sono stati previsti principi e criteri direttivi diversi da quelli della delega principale.
E’ dunque alla stregua dei principi fin qui delineati che va valutato il decreto legislativo all’esame dell’Adunanza Generale.
4- Riguardo agli emendamenti allegati al parere negativo della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto del 1997, n. 281, espresso nella seduta del 15 marzo 2007, si osserva che gran parte delle questioni sollevate attengono al riparto delle competenze legislative fra Stato e regioni, riparto su cui il Consiglio di Stato si è già pronunciato e che sono al vaglio della Corte costituzionale.
5- Si passa ora ad esaminare lo schema del testo in via analitica.
5.1 Articolo 1, comma 1, n. 1 dello schema (“all’articolo 56, comma 1, la lettera b) e la lettera c) sono soppresse”).
Si prevede la soppressione di due ipotesi di procedura negoziata previo bando, in particolare le lett. b) e c) dell’art. 56 del Codice.
Al riguardo sul piano tecnico va segnalato che per i servizi le ipotesi di procedura negoziata di cui all’art. 56, lett. b) e c) del Codice erano già previste dal d.lgs. 157 del 1995: la modifica ha dunque una notevole incidenza sostanziale.
Nella prospettiva dei limiti del potere correttivo, si deve tuttavia presumere che sia stata attentamente valutata, sulla base delle esperienze fatte, la effettiva necessità di una nuova più restrittiva disciplina, rispetto a quella comunitaria. Sarebbe stata peraltro opportuna una adeguata motivazione in proposito.
In ogni caso si esprime parere negativo in base alle considerazioni svolte nel paragrafo 3 del presente parere.
5.2 Articolo 1, comma 1, n. 2 e articolo 2, comma 1, n. 25 dello schema (all’articolo 57, comma 5, la lettera b) è sostituita dalla seguente (rectius “all’art”): “b) per nuovi servizi consistenti nella ripetizione di servizi analoghi già affidati all’operatore economico aggiudicatario del contratto iniziale dalla medesima stazione appaltante, a condizione che tali servizi siano conformi a un progetto di base e che tale progetto sia stato oggetto di un primo contratto aggiudicato secondo una procedura aperta o ristretta; in questa ipotesi la possibilità del ricorso alla procedura negoziata senza bando è consentita solo nei tre anni successivi alla stipulazione del contratto iniziale, e deve essere indicata nel bando del contratto originario; l’importo complessivo stimato dei servizi successivi è computato per la determinazione del valore globale del contratto, ai fini delle soglie di cui all’articolo 28.”).
Si prevede la soppressione di una ipotesi di procedura negoziata senza bando, in particolare quella di cui all’articolo 57, comma 5, lettera b), limitatamente ai lavori (la cd. ripetizione di lavori analoghi).
Si tratta indubbiamente di innovazione sostanziale, che tuttavia appare fondata sul forte rischio di abusi cui la disposizione notoriamente si presta.
Tale ipotesi di procedura negoziata viene invece espressamente prevista per gli appalti relativi a beni culturali, mediante novella all’art. 204 del Codice degli appalti. (art. 2, comma 1, n. 25 dello schema).
Peraltro, nel disciplinare quest’ultima fattispecie, ne è stato ampliato l’ambito temporale rispetto al diritto comunitario. Difatti si prevede che il triennio decorra dall’ultimazione del lavoro dell’appalto iniziale. Secondo la direttiva, al contrario, la possibilità di procedura negoziata per lavori analoghi è ammessa entro tre anni dalla “conclusione” dell’originario appalto, e la giurisprudenza comunitaria ha chiarito che “conclusione” significa “stipulazione” del contratto, cioè momento dell’incontro della volontà delle parti, e non, invece, “ultimazione” del primo appalto.
Con questa seconda accezione si rischia di ampliare a dismisura la possibilità di procedura negoziata, in quanto il triennio decorrerebbe non da un momento certo (la stipulazione del primo contratto), ma da un momento incerto (la ultimazione dei lavori oggetto del primo appalto).
Afferma infatti la Corte di giustizia che “l’art. 7 n. 3 lett. e) della direttiva 93/37/Cee autorizza il ricorso alla procedura negoziata, senza pubblicazione preliminare di un bando di gara, per nuovi lavori consistenti nella ripetizione di opere simili affidate all’impresa aggiudicataria di un primo appalto; l’ultima frase di tale disposizione tuttavia precisa che si può ricorrere a questa procedura limitatamente «al triennio successivo alla conclusione dell’appalto iniziale»; alla luce di un confronto delle versioni linguistiche di tale disposizione, occorre intendere l’espressione «conclusione dell’appalto iniziale» nel senso della conclusione del contratto iniziale e non nel senso della conclusione dei lavori sui quali verte l’appalto” (C. giust. CE, 14 settembre 2004 C 358/2002).
Siffatta previsione appare pertanto in contrasto con il diritto comunitario.
5.3 Articolo 1, comma 1, n. 3 dello schema (all’articolo 58, al comma 1, alla fine, aggiungere il seguente periodo “Il ricorso al dialogo competitivo per lavori, ad esclusione dei lavori di cui alla parte II, titolo III, capo IV, è consentito previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, che viene reso entro trenta giorni dalla relativa richiesta. Per i lavori di cui alla parte II, titolo IV, capo II è altresì richiesto il parere del Consiglio superiore dei beni culturali. I citati pareri sono resi entro trenta giorni dalla richiesta.”).
Si prevede che il dialogo competitivo, per i lavori, ad esclusione dei lavori relativi a infrastrutture strategiche, è consentito previo parere del C.S.LL.PP.
Non è chiaro se si intende dire che il dialogo competitivo è escluso per le infrastrutture strategiche ed ammesso per gli altri lavori, previo parere, ovvero che il dialogo competitivo per i lavori richiede il parere del C.S.LL.PP. salvo nel caso delle infrastrutture strategiche, per le quali può farsi senza detto parere.
La portata della norma andrebbe pertanto chiarita con una formulazione più congrua, presumibilmente corrispondente alla seconda ipotesi. Nel qual caso, peraltro, l’Adunanza Generale esprime forti perplessità sulla esclusione del parere relativamente alle opere strategiche. Infatti il parere di un organo tecnico appare quando mai opportuno per le opere più importanti per l’economia del paese e quando l’amministrazione non abbia ancora maturato un disegno compiuto su come affrontare l’opera. Sicchè esigenze di speditezza non sembrano sufficienti a giustificare l’esclusione, anche in considerazione del breve termine previsto.
A proposito di quest’ultimo, vanno soppresse le parole “che viene reso entro trenta giorni dalla relativa richiesta”, che sono una mera ripetizione, atteso che già alla fine del nuovo periodo si afferma che “I citati pareri sono resi entro trenta giorni dalla richiesta”.
A tal proposito è opportuno aggiungere che, nel caso il parere non venga espresso nel termine suindicato, l’Amministrazione può comunque procedere. Sicchè all’espressione da ultimo indicata va aggiunto “decorso il quale l’Amministrazione può comunque procedere”.
5.4 Articolo 1, comma 1, n. 5 dello schema (all’articolo 110, dopo la parola “proporzionalità”, sono inserite le parole “con la procedura di cui all’articolo 91, comma 2).
La novella estende ai concorsi di progettazione sotto soglia le procedure di cui all’art. 91, comma 2.
Si deve osservare che l’art. 91, comma 2, rinvia a sua volta alle procedure di cui all’art. 57 comma 6, stabilendo che l’invito è rivolto ad almeno cinque soggetti.
Per evitare rinvii a catena, la norma va riformulata come segue: “secondo la procedura prevista dall’articolo 57, comma 6; l’invito è rivolto ad almeno cinque soggetti, se sussistono in tale numero aspiranti idonei”.
5.5 Art. 1, comma 1, n. 7 dello schema (all’articolo 143, dopo il comma 7, è aggiunto il seguente comma: 7-bis. “Il piano economico-finanziario può prevedere un prezzo di restituzione dell’opera al concedente, per la quota non ammortizzata nel periodo di gestione”).
Nella disciplina attuale delle concessioni di lavori pubblici, si prevede solo che il piano economico finanziario debba indicare l’eventuale valore residuo non ammortizzato.
La modifica incide indubbiamente sulla sostanza dell’istituto, riducendo sensibilmente il rischio del concessionario, già avvantaggiato dalla eliminazione dei limiti alla integrazione del prezzo e alla durata del contratto.
In tale contesto essa appare poco coerente con i principi comunitari della materia.
Sotto il profilo interno, poi, la previsione di un prezzo di restituzione può mascherare una integrazione iniziale (“prezzo”) per le quali non vi siano le necessarie disponibilità finanziarie. Ciò può indurre ad avviare opere senza una reale copertura, con gli effetti distorsivi ben noti e che la legge 109 ha cercato a suo tempo di scongiurare (opere non finite, aumento dell’indebitamento).
Pertanto in ordine a tale modifica si esprime parere negativo.
5.6 Articolo 1, comma 1, n. 8, lett. d) dello schema (all’articolo 253: d) dopo il comma 1-ter, sono inseriti i seguenti commi: “1-quater. Per i contratti relativi a lavori, servizi e forniture nei settori ordinari e speciali, le disposizioni dell’articolo 58 si applicano alle procedure i cui bandi o avvisi siano pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del regolamento di cui all’articolo 5. 1-quinquies. Per gli appalti di lavori pubblici di qualsiasi importo, nei settori ordinari, le disposizioni degli articoli 3, comma 7, e 53, commi 2 e 3 si applicano alle procedure i cui bandi siano pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del regolamento di cui all’articolo”.
Le proposte modifiche incidono sul differimento dell’entrata in vigore di alcune disposizioni del Codice.
In particolare, viene ulteriormente differita, rispetto alla data del 1° agosto 2007, stabilita dal primo decreto legislativo correttivo, l’entrata in vigore del dialogo competitivo (sia nei settori ordinari che nei settori speciali, e per tutti i tipi di appalti), nonché della liberalizzazione dell’appalto – concorso e dell’appalto integrato (per i lavori pubblici nei settori ordinari).
Entrambi gli istituti si applicheranno alle procedure i cui bandi o avvisi siano successivi all’entrata in vigore del regolamento generale di cui all’art. 5 del Codice.
Tale differimento non è giustificato sul piano tecnico poichè -sia l’art. 58 (dialogo competitivo) sia gli artt. 3, comma 7, e 53, commi 2 e 3 (appalto concorso e appalto integrato), sono norme self executing che non rinviano, per la loro operatività, al regolamento.
5.7 Art. 2, comma 1, n. 4 (all’articolo 32, comma 1, alla lettera g), le parole “gara bandita ed effettuata dal promotore” sono sostituite con le parole “gara bandita ed effettuata dall’amministrazione che rilascia il permesso di costruire”).
La modifica chiarisce, correttamente, che la gara va bandita non dal promotore, ma dall’amministrazione che rilascia il permesso di costruire. Si suggerisce una ulteriore modifica, dopo le parole “sulla base della progettazione presentata”, inserire le parole “dal promotore”. Il testo verrebbe come segue:
32, comma 1, lett. g) “lavori pubblici da realizzarsi da parte dei soggetti privati, titolari di permesso di costruire, che assumono in via diretta l’esecuzione delle opere di urbanizzazione a scomputo totale o parziale del contribuito previsto per il rilascio del permesso, ai sensi dell’articolo 16, comma 2, decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 e dell’articolo 28, comma 5 della legge 17 agosto 1942, n. 1150. L’amministrazione che rilascia il permesso di costruire può prevedere che, in relazione alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, il titolare del permesso di costruire assuma la veste di promotore, presentando all’amministrazione medesima, entro novanta giorni dal rilascio del permesso di costruire, la progettazione preliminare delle opere. All’esito della gara bandita ed effettuata dall’amministrazione che rilascia il permesso di costruire sulla base della progettazione presentata dal promotore, il promotore può esercitare, purché espressamente previsto nel bando di gara, diritto di prelazione nei confronti dell’aggiudicatario, entro quindici giorni dalla aggiudicazione, corrispondendo all’aggiudicatario il 3% del valore dell’appalto aggiudicato”.
In connessione con la modifica proposta relativa alle opere di urbanizzazione di importo “sopra soglia”, l’Adunanza Generale giudica opportuno richiamare la questione interpretativa che si pone riguardo al comma 8 dell’articolo 122, concernente il procedimento di esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria di importo “sotto soglia”.
In tale comma si dispone che a queste opere non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 32, comma 1, lettera g), quando “correlate al singolo intervento edilizio assentito”, potendo in tale caso essere realizzate direttamente, sempre a scomputo dei contributi dovuti, dai titolari del permesso di costruire.
La questione interpretativa riguarda il significato della locuzione “correlate al singolo intervento edilizio assentito”.
Se, infatti, essa è intesa in senso letterale, cioè riferita ad opere di urbanizzazione primaria strumentali soltanto al singolo edificio, la fattispecie è difficilmente rinvenibile in fatto, risultando obbiettivamente difficile che vi siano opere di urbanizzazione primaria di tale natura, con la conseguenza di una incerta e assai difficile applicabilità della norma, pure volta a facilitare la diretta e più rapida realizzazione di opere essenziali, come quelle di urbanizzazione primaria, quando di minore importo.
Nell’articolo 122, comma 8, d’altro lato, la fattispecie risulta definita in modo diverso da quella di cui nell’articolo 32, comma 1, lettera g), poiché in questa ci si riferisce ai “titolari del permesso di costruire” mentre, nella norma in esame, tale locuzione non è riprodotta e ci si riferisce non al “permesso di costruire” ma allo “intervento edilizio”, richiamando, inoltre, la più ampia nozione di “assenso” invece di quella di “permesso”, ciò che, considerata anche l’ampiezza delle “Definizioni di interventi edilizi” di cui all’articolo 3 del d.lgs. n. 380 del 2001 (comprendenti, con gli “interventi di urbanizzazione primaria”, anche quelli di “ristrutturazione urbanistica” individuati come “quelli rivolti a sostituire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi…”), può far dedurre che le opere sotto soglia siano rapportabili anche ad un intervento edilizio maggiore di quello riferibile ad un solo edificio oggetto di singolo permesso di costruire quando il “singolo intervento edilizio assentito” si configuri come intervento complesso ma unitario, afferente, cioè, ad una fattispecie più ampia di quella del solo edificio in quanto distinto da unitaria funzionalità per il profilo edilizio-urbanistico.
In questo quadro, alla luce delle dette incertezze e difficoltà poste dalla locuzione normativa in esame, si prospetta all’Amministrazione la valutazione dell’opportunità di un intervento correttivo, ipotizzabile sia nella espunzione della locuzione dal testo ovvero in una sua integrazione idonea a precisare la fattispecie.
In questa seconda ipotesi, e viste le suesposte considerazioni sulla configurabilità dell’intervento edilizio “singolo” quale “unitario”, o meglio, unificato dalla singola funzionalità per il profilo edilizio-urbanistico, l’integrazione (fermo il verificato importo sotto soglia dell’intervento) potrebbe definirsi aggiungendo, dopo la parola “assentito”, le seguenti: “anche attuativo di un lotto funzionale di piani urbanistici esecutivi”.
5.8 Articolo 2, comma 1, n. 6, lett. b) e n. 7, lett. a). (a) il comma 3 è soppresso; b) il comma 5 e sostituito dal seguente: “i consorzi stabili, sono tenuti ad indicare, in sede di offerta, per quale consorzi anche il consorzio concorre; a questi ultimi è fatto divieto di partecipare, in qualsiasi altra forma, alla medesima gara; in caso di violazione sono esclusi dalla gara sia il consorzio e sia il consorziato;in caso di inosservanza di tale divieto si applica l’articolo 353 del codice penale. E vietata la partecipazione a più di un consorzio stabile”;
Si tratta di disposizioni che coordinano meglio gli attuali art. 36, comma 5 e art. 37, comma 7, del Codice.
Infatti per i consorzi stabili, disciplinati dall’art. 36, il divieto di partecipazione alla medesima gara del consorziato a titolo personale e quale partecipante al consorzio, anziché essere affermato nell’art. 36, per mero refuso era affermato nell’art. 37. La novella ricolloca la norma nella sede più congrua.
Si deve tuttavia segnalare che l’art. 36, comma 5, che riguarda i consorzi stabili, per l’inosservanza del divieto richiama l’art. 353 c.p.
Invece l’art. 37, comma 7, che prevede l’identico divieto per i consorzi fra società cooperative, non richiama l’art. 353 c.p.
Si tratta di refuso che però comporta una disparità di trattamento sotto il profilo del regime penale.
Sicché: o il richiamo dell’art. 353 c.p. viene soppresso nell’art. 36, comma 5 (potendo anche apparire superfluo, stante l’autonoma operatività dell’art. 353 c.p.), o viene effettuato anche nell’art. 37, comma 7.
Il richiamo all’art. 353 c.p. può avere una sua utilità per obbligare la stazione appaltante a trasmettere gli atti alla competente procura della Repubblica, in caso di inosservanza del divieto, per le valutazioni di competenza.
5.9 Articolo 2, comma 1, n. 9 dello schema (all’articolo 55, comma 6, dopo le parole “Alle procedure ristrette” sono soppresse le seguenti parole: “per l’affidamento di lavori pubblici”).
La norma ora vigente dispone che alle procedure ristrette per l’affidamento di lavori pubblici sono invitati tutti i soggetti che ne fanno richiesta, salvo quanto previsto dall’art. 62 e dall’art. 177.
Tale previsione mutua la disciplina della c.d. legge Merloni, che trasforma sostanzialmente la procedura ristretta in procedura aperta, in quanto vanno invitate tutte le imprese che ne fanno richiesta e non solo quelle scelte dalla stazione appaltante (come è per il diritto comunitario).
L’art. 62 del Codice consente però la procedura ristretta comunitaria (con scelta delle imprese rimessa alla stazione appaltante) negli appalti di servizi e forniture di qualunque importo, e negli appalti di lavori di importo superiore a quaranta milioni di euro.
Inoltre l’art. 177 consente la procedura ristretta comunitaria (con scelta delle imprese rimessa alla stazione appaltante) per le infrastrutture strategiche.
La proposta modifica, che sopprime nell’art. 55, comma 6, le parole “per l’affidamento di lavori pubblici”, è dunque fonte di equivoci.
Se lo scopo è quello, di restringere la discrezionalità delle stazioni appaltanti nelle procedure ristrette anche per servizi e forniture, allora occorre operare non solo sull’art. 55, comma 6, ma anche sull’art. 62 del Codice.
In tal caso, peraltro, si pone il problema del superamento dei limiti dell’intervento correttivo, essendo evidente il carattere sostanziale della modifica.
5.10 Articolo 2, comma 1, n. 15 (all’articolo 118, apportare le seguenti modificazioni: a) al comma 1 sostituire le parole “sono tenuti a seguire” con le seguenti: “sono tenuti ad eseguire”; b)all’inizio del comma 11 sono inserite le parole “Per i lavori”).
L’art. 118 del Codice disciplina il subappalto, mutuando l’art. 18, l. n. 55/1990, che a suo tempo fu dettato per i lavori e fu in prosieguo espressamente richiamato per i servizi, le forniture, nonché i settori speciali.
L’art. 118, comma 11, considera subappalto ai fini della normativa antimafia le forniture con posa in opera e i noli a caldo.
Con la novella, si vuole precisare che tanto vale solo per i lavori, e non anche per servizi e forniture. Tale restrizione – che è indubbiamente sostanziale – potrebbe essere in contrasto con le finalità della disciplina antimafia, pertanto esige di ulteriore riflessione da parte dell’Amministrazione circa l’effettiva necessità della modifica.
5.11 Art. 3, comma 1, n. 1 dello schema (all’articolo 5, comma 5, lettera g), dopo le parole “requisiti soggettivi” sono inserite le parole “compresa la regolarità contributiva attestata dal documento unico, di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto legge 25 settembre 2002, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 novembre 2002, n. 266”).
La novella inserisce nell’art. 5, co. 5, del Codice, tra le materie oggetto del regolamento, e in particolare tra i requisiti soggettivi, la regolarità contributiva attestata nel d.u.r.c.
Va segnalato che la previsione sembra superflua, o comunque necessita di un coordinamento con l’art. 38, co. 3, primo periodo, secondo inciso, che già si occupa del d.u.r.c. e della sua rilevanza ai fini dell’affidamento ed esecuzione dell’appalto. Non si comprende, pertanto, come il regolamento possa disciplinare la regolarità contributiva attestata nel d.u.r.c. in modo difforme da quanto prescrive la citata previsione.
5.12 Art. 3, comma 1, n. 2 dello schema (all’articolo 5, comma 5, dopo la lettera s) è inserita la seguente lettera: “s-bis) tutela dei diritti dei lavoratori)”.
Inserisce nell’art. 5, comma 5, del Codice, tra le materie oggetto del regolamento, la “tutela dei diritti dei lavoratori”.
La previsione appare troppo ampia e generica ed è possibile fonte di equivoci e confusione, in quanto la tutela pubblicistica dei lavoratori nei cantieri edili è materia già disciplinata da norme primarie e secondarie di derivazione comunitaria ampiamente articolate.
Inoltre la tutela “dei diritti” dei lavoratori, attiene al contratto civilistico di lavoro subordinato, e non sembra opportuno delegificare tale materia.
Giova inoltre ricordare che l’art. 36 bis della legge 4 agosto 2006, n. 248, ipotizza un futuro testo unico in tema di sicurezza e salute dei lavoratori. Né va tralasciato che nella scorsa legislatura il relativo progetto di codificazione ebbe il parere sfavorevole di questo Consesso, trattandosi di materia che, per certi aspetti, rientra nella legislazione concorrente di Stato e Regioni; e nelle materie di legislazione concorrente, come è noto lo Stato non ha più competenza regolamentare.
Dunque il regolamento relativo agli appalti pubblici non è la sede appropriata per una disciplina di così ampio respiro che secondo lo stesso legislatore necessita di una raccolta in uno specifico testo unico, se non addirittura in un vero e proprio Codice.
Giova sottolineare che non è in discussione la filosofia ispiratrice delle modifiche in materia di sicurezza e tutela del lavoro, e che anzi la rilevata inadeguatezza dello strumento prescelto intende appunto sottolineare la dignità che meritano i diritti dei lavoratori.
5.13 Art. 3, comma 1, n. 3 dello schema (all’articolo 7, comma 3, le parole “dei Ministeri interessati” sono sostituite dalle parole “del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e degli altri Ministeri interessati”).
La novella incide sull’art. 7, comma 3, laddove la norma prevede la collaborazione tra Osservatorio e Ministeri interessati, dando una posizione differenziata al Ministero del lavoro e della previdenza sociale rispetto agli altri Ministeri interessati. Essa non ha un contenuto innovativo.
5.14 Art. 3, comma 1, n. 6, lett. a) dello schema (all’articolo 40, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, dopo il terzo periodo, sono aggiunti i seguenti periodi: “Le SOA nell’esercizio dell’attività di attestazione per gli esecutori di lavori pubblici svolgono funzioni di natura pubblicistica. Le attestazioni dalle stesse rilasciate costituiscono atto pubblico a fini penali. Prima del rilascio delle attestazioni, le SOA verificano tutti i requisiti dell’impresa richiedente”).
La novella incide sulla natura dell’attività delle SOA esplicitando che si tratta di attività di natura pubblicistica e che le attestazioni sono “atto pubblico a fini penali”.
Si suggerisce di sopprimere l’inciso “a fini penali”, di modo che la norma risulti così formulata: “Le SOA nell’esercizio dell’attività di attestazione per gli esecutori di lavori pubblici svolgono funzioni di natura pubblicistica. Le attestazioni dalle stesse rilasciate costituiscono atto pubblico”.
In tal modo, rimarrebbe chiaro, in coerenza con la previsione che le SOA esercitano una funzione pubblicistica, che le attestazioni sono atto pubblico a tutti gli effetti, e non solo a quelli penali.
Ciò del resto, non farebbe che confermare l’attuale quadro giurisprudenziale. Allo stato, infatti, le attestazioni si inseriscono in un rapporto pubblicistico, con conseguente impugnabilità davanti al g.a., e ciò in coerenza con il rapporto tra SOA e Autorità di vigilanza e con la possibilità per l’Autorità di annullare le attestazioni SOA.
6- Appare opportuno, infine, segnalare taluni refusi ed errori materiali rinvenibili nel Codice, che andrebbero eliminati.
Essi sono:
1) articolo 5, co. 9, il rinvio corretto non è al co. 7 ma al co. 8 del medesimo articolo;
2) articolo 241, comma 6, sostituire le parole “in aggiunta ai casi di astensione previsti dal codice di procedura civile” con le parole “in aggiunta ai casi di ricusazione degli arbitri previsti dall’articolo 815 del codice di procedura civile”;
3) articolo 243, comma 4, sostituire le parole “per i motivi previsti dall’art. 51 del codice di procedura civile” con le parole “per i motivi previsti dall’articolo 815 del codice di procedura civile”.
L’alternativa possibile potrebbe essere: “per i motivi previsti dall’articolo 241, comma 6”.
Il testo attuale dell’art. 241, comma 6, parla di “astensione” degli arbitri, facendo evidente riferimento alla disciplina dell’arbitrato nel c.p.c. anteriore alla novella del d.lgs. n. 40 del 2006; tuttavia con tale novella non è più prevista l’astensione, ma solo la ricusazione degli arbitri (art. 815). E’ opportuno adeguare la norma del Codice;
4) articolo 253, comma 3, alla fine sono aggiunte le parole “nei limiti di compatibilità con il presente codice”.
L’art. 253, comma 3, ultimo periodo, fa salva la vigenza del capitolato generale di opere pubbliche, fino al nuovo capitolato generale. Ma tale salvezza deve avvenire solo nei limiti di compatibilità con il Codice , atteso che il capitolato contiene numerose disposizioni che sono incompatibili con il nuovo Codice. Sicchè onde evitare equivoci è opportuno chiarirlo con norma espressa;
5) nell’intero Codice la parola abbreviata “art.” è sostituita dalla parola “articolo”. Si segnala che in sede di pubblicazione del Codice nella G.U. ,in talune norme del Codice la parola “articolo” è stata sostituita dalla parola “art.”, il che non è conforme ai criteri di redazione dei testi normativi;
6) articolo 176, comma 12, correggere il richiamo all’articolo 2410 del codice civile, che diventa articolo 2412 ;
7) articolo 155, comma 4, aggiungere dopo le parole non risulta aggiudicatario una virgola;
8) va, infine, ripristinato l’indice. Esso costituisce uno strumento quasi indispensabile per tutti gli operatori del settore.
7- L’Adunanza Generale ritiene che il decreto correttivo costituisca un utilissimo strumento per coordinare le norme sopravvenute all’approvazione del Codice, inserendole nel corpo normativo di base ed evitando l’inconveniente delle norme “estravaganti”, cui lo stesso Codice aveva inteso rimediare.
Tanto più che è in corso di adozione da parte del Governo il piano per la semplificazione e la qualità della regolazione, a proposito del quale il presidente del Consiglio dei Ministri, con nota dell’11 aprile 2006, ha raccomandato, ai fini dell’esercizio della semplificazione normativa, l’utilizzo in via prioritaria, tra l’altro, dei decreti correttivi di deleghe già esercitate.
I provvedimenti legislativi che hanno direttamente o indirettamente inciso sul Codice vengono di seguito elencati e sulle disposizioni singole vengono svolte talune considerazioni.
Il decreto legge 4 luglio del 2006, n. 233,convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248 incide indirettamente sulle materie del Codice degli appalti, tramite:
a) la disciplina delle società in house;
b) l’abolizione dei minimi tariffari, anche per le tariffe relative alla progettazione di opere pubbliche;
c) la disciplina dei compensi degli arbitri.
Su ciascune delle indicate discipline valgono le considerazioni che seguono.
7.1 In merito ai lavori, servizi e forniture realizzati in house da pubbliche amministrazioni, non si ritiene di dover fare osservazioni, poiché, pur nella convinzione che la sede più naturale per disciplinarli sia proprio il Codice, lo stato di fluidità della materia e la variabilità dei profili oggettivi e soggettivi consigliano di rinviare la codificazione.
7.2 La previsione, per gli appalti di progettazione, della non ribassabilità degli oneri di progettazione esecutiva e della non ribassabilità dei minimi tariffari al di sotto del 20%, consente invece all’Adunanza Generale talune considerazioni di natura tecnica.
Al riguardo, anteriormente al decreto legge si desumeva dal Codice la inderogabilità dei minimi e la inammissibilità di giustificazioni in relazione a ribassi superiori a quelli consentiti.
La questione si pone in termini diversi dopo l’entrata in vigore del decreto legge citato, il cui art. 2 abroga tutte le disposizioni legislative e regolamentari relative alle attività libero professionali e intellettuali che sanciscano l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime. Inoltre viene aggiunto che nelle procedure ad evidenza pubblica le stazioni appaltanti possono utilizzare le tariffe, ove motivatamente ritenute adeguate, quale criterio o base di riferimento per la determinazione dei compensi per attività professionali.
Ne consegue la tacita abrogazione:
– della previsione del Codice che vieta il ribasso d’asta in relazione agli oneri di progettazione esecutiva (art. 53, comma 3, ultimo periodo);
– della disciplina sulla inderogabilità dei minimi tariffari (art. 92, comma 2, ultimi due periodi; art. 92, comma 4);
– della disciplina che stabilisce il limite del 20% per il ribasso in materia di progettazione (art. 4, comma 12 bis, d.l. l. n. 65 del 1989).
E’ dunque opportuno prevedere un’abrogazione espressa di tali disposizioni.
La norma abrogativa dovrebbe essere la seguente:
“L’articolo 53, comma 3, ultimo periodo, l’articolo 92, comma 2, ultimi due periodi, l’art. 92, comma 4, del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 16, e l’articolo 4, comma 12 bis, d.l. 2 marzo 1989, n. 65, convertito nella legge 26 aprile 1989, n. 155 si intendono abrogati con effetto dalla data di entrata in vigore dell’articolo 2 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248”.
Giova osservare che tale posizione è stata espressa anche dall’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici con numerosi e convincenti argomenti (determinazione n. 4/2007).
7.3 L’Adunanza Generale,in merito al compenso degli arbitri negli arbitrati relativi a pubblici appalti, pure ritiene di dover svolgere delle considerazioni di natura tecnica.
L’art. 24 del d.l. n. 223 del 2006, convertito nella legge n. 248 del 2006, per il compenso degli arbitri rinvia alla tariffa forense di cui al d.m. del 2004, stabilendo che tale tariffa si applica a tutti gli arbitrati, anche previsti da leggi speciali, ivi compresi gli arbitri che non sono avvocati.
Secondo l’interpretazione letterale e secondo il principio della successione temporale delle leggi , se ne dovrebbe desumere che la nuova previsione si applica anche agli arbitrati in materia di pubblici appalti, così superando il Codice, che invece per tutti gli arbitrati in materia di pubblici appalti (lavori, servizi, forniture) – sia secondo il c.p.c. sia secondo il rito della camera arbitrale – applica il d.m. del 2000, n. 398, che, come è noto, prevede compensi inferiori.
Si suggerisce pertanto una modifica chiarificatrice nel Codice:
All’articolo 241, comma 12, tra il primo e il secondo periodo inserire il seguente:
“Si applica l’articolo 24 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248”.
All’articolo 243, comma 5, infine inserire il seguente periodo: <”Si applica l’articolo 24 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248”. Nel caso in cui invece si ritenesse di escludere gli appalti pubblici dalla riforma, occorrerebbe volgere in negativo le medesime proposizioni. 7.4 – La legge 24 novembre del 2006, n. 286, di conversione del d.l. 3 ottobre del 2006, n. 262, ha inserito ex novo, l’ articolo 2, di cui alcuni commi incidono in materie del Codice. Il comma 85, nel novellare l’art. 11, comma 5, l. 23 dicembre del 1992, n. 498, ha aumentato di due membri i componenti dell’Autorità di vigilanza. L’ultimo periodo dell’art. 11, comma 5, lett. f), così dispone: “La composizione del consiglio dell’Autorità è aumentata di due membri con oneri a carico del suo bilancio. Il presidente dell’Autorità è scelto fra i componenti del consiglio”. Tale aumento è in vigore dal 29 novembre 2006, data di entrata in vigore della l. n. 286 del 2006, che ha inserito tale norma. La parte finale della disposizione (“Il presidente dell’Autorità è scelto tra i componenti del consiglio”) va coordinata con quella che si trova nel Codice, secondo cui “l’Autorità sceglie il presidente tra i propri componenti”. Non sembra che la diversa formulazione comporti che la scelta del Presidente debba avvenire a cura di un organo esterno o comunque diverso dal collegio dei componenti dell’Autorità, in quanto se il legislatore avesse voluto disporre in tal senso, avrebbe dovuto indicare anche l’autorità da cui far derivare la nomina e disciplinare il relativo procedimento. Peraltro, la concreta applicazione della norma, che è nel frattempo intervenuta, è stata proprio nel senso di individuare nel collegio dei componenti dell’Autorità l’organo deputato ad eleggere il presidente. Si suggerisce pertanto di abrogare l’intera disposizione e di inserire il solo aumento dei componenti nel comma 2 dell’art. 6 del Codice, sostituendo la parola “cinque” con la parola “sette”. 7.5 La legge finanziaria per il 2007 (legge 27 dicembre del 2006, n. 296) introduce innovazioni, che incidono in via diretta o indiretta sulla disciplina contenuta nel Codice. In via diretta, vengono novellate alcune disposizioni; in via indiretta vengono introdotti nuovi istituti o fattispecie, ai quali trova in parte applicazione il Codice. Vengono novellati gli artt. 86 e 87 in materia di valutazione del costo del lavoro e del rispetto degli obblighi di sicurezza in sede di valutazione delle offerte anomale (art. 1, comma 909). Viene novellato l’art. 163, comma 1, del Codice (art. 1, comma 1020). Vengono poi dettate numerose norme che incidono sulla materia del Codice, ma senza novellarle. Siffatta tecnica normativa appare discutibile, in quanto più correttamente si sarebbe dovuto novellare il Codice anziché lasciare norme sparse ed extravaganti, oltretutto non in una legge di settore, ma in una legge finanziaria. In sede di correttivo si può rimediare, inserendo nel Codice le novità della finanziaria 7.5.1 In particolare per quanto riguarda la capacità tecnica e professionale dei prestatori di servizi (art. 42 Codice appalti), l’Adunanza Generale ritiene di dover fare le osservazione che seguono. In proposito, l’art. 1, comma 914, della finanziaria 2007 dispone che al fine di assicurare la massima estensione dei principi comunitari e delle regole di concorrenza negli appalti di servizi o di servizi pubblici locali, la stazione appaltante considera, in ogni caso, rispettati i requisiti tecnici prescritti anche ove la disponibilità dei mezzi tecnici necessari ed idonei all’espletamento del servizio è assicurata mediante contratti di locazione finanziaria con soggetti terzi. Invero, se non ci fosse stata la disciplina specifica recata dalla finanziaria, la fattispecie ivi contemplata sarebbe stata ammessa nei limiti di cui all’art. 49, Codice (avvalimento di terzo soggetto per la prova dei requisiti di carattere tecnico). In ogni caso è opportuno inserirla nel Codice. Tuttavia, per evitare che la innovazione possa essere intesa come deroga all’art. 49 del Codice, in ordine sia alla prova del contratto di locazione finanziaria sia, soprattutto, alle cautele antimafia che vanno adottate in tema di pubblici affidamenti, sarebbe anche necessario richiamare tali disposizioni. Più correttamente, la disciplina in commento avrebbe potuto essere introdotta nell’art. 42 (che disciplina i requisiti di capacità per i prestatori di servizi) con la seguente formula: “1. All’articolo 42 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, dopo il comma 4 è inserito il seguente: 4 bis. La stazione appaltante considera, in ogni caso, rispettati i requisiti tecnici prescritti anche ove la disponibilità dei mezzi tecnici necessari ed idonei all’espletamento del servizio sia assicurata mediante contratti di locazione finanziaria con soggetti terzi, a condizione che nei confronti del locatore finanziario siano rispettate le condizioni e requisiti di cui agli articoli 49 e 118. 2. L’articolo 1, comma 914, della legge 27 dicembre del 2006, n. 296, è abrogato”. 7.5.2 Anche per quanto riguarda, l’esecuzione con qualsiasi mezzo nell’appalto di lavori e la locazione finanziaria (artt. 3 e 53, Codice), l’Adunanza Generale ritiene di dover svolgere le considerazioni che seguono. Secondo l’art. 3, comma 7, l’appalto pubblico di lavori comprende anche l’esecuzione di un’opera conforme alle esigenze del committente, con qualsiasi mezzo, e la lata definizione è idonea a ricomprendere anche il leasing finanziario. Si suggerisce quindi di inserire nel Codice – in un eventuale nuovo Capo della Parte II, Titolo III – la disciplina della locazione finanziaria per i lavori, espungendola dall’ambito della l. n. 296 del 2007. 7.6- La legge n. 717 del 1949 per l’arte negli edifici pubblici, di recente rivitalizzata dal d.m. 23 marzo del 2006, in G.U. 29 gennaio 2007, suggerisce le considerazioni che seguono. Sarebbe opportuno inserire il contenuto di tale legge all’interno del Codice, con conseguente abrogazione della stessa e di tutte le leggi successive che la richiamano in tutto o in parte. Andrebbe inoltre coordinata la norma della legge del 1949, secondo cui “I progetti relativi agli edifici pubblici dovranno contenere l’indicazione di massima di dette opere d’arte e il computo del relativo importo” con i livelli della progettazione stabiliti dal Codice, e dunque specificato se la indicazione delle opere d’arte e relativo computo di importo vanno indicati nel progetto preliminare, definitivo o esecutivo. La disciplina potrebbe essere inserita nella parte II, titolo III (disposizioni ulteriori per i lavori pubblici), in un apposito, nuovo capo dedicato all’arte negli edifici pubblici. 8.- Pendono nei confronti dell’Italia alcune questioni di legittimità comunitaria del diritto italiano dei pubblici appalti, in ordine alle quali è prevedibile un esito di condanna dell’Italia. Più esattamente, la causa C-412/04 Commissione delle Comunita europee contro Repubblica Italiana, dove l’Avvocato generale, nel presentare le propri conclusioni, ha proposto alla Corte di Giustizia la declaratoria d’inadempimento dell’Italia, laddove ha adottato gli articoli 37 ter e 37 quater, nonché gli articoli 27, comma 2 e 28, comma 4 della legge 11 febbraio del 1994 n. 109. Pertanto valuti l’Amministrazione se sia il caso di emendare i corrispondenti articoli del Codice ove non tengano conto dei rilievi fatti in sede comunitaria, al fine di arrestare la procedura di infrazione. Ciò vale in particolare per la prelazione in favore del promotore, nel “project financing” confermata nell’articolo 154 del Codice (che è comunque una sede impropria), prelazione che anche sul piano sostanziale è inopportuna perché rende poco appetibile la partecipazione alla gara e rischia così di sottrarre di fatto alla concorrenza questo importante istituto. P.Q.M.
Nei sensi sopra esposti è il parere dell’Adunanza Generale.