La inderogabilita’ degli onorari minimi torna alla Corte di Giustizia

La permanenza nell’ordinamento nazionale degli artt. 4 e 5 del decreto ministeriale 8 aprile 2004, n. 127 in conformità agli artt. 57 e 58 del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, pone, in relazione alle norme degli artt. 81 e 10 (ex 85 e 5) del Trattato, il seguente serio problema interpretativo:

“Se l’inderogabilità degli onorari minimi e dei diritti stabiliti per le prestazioni dell’avvocato costituisca una misura di favore per gli appartenenti all’ordine professionale interessato, in difformità dagli artt. 81 e 10 (ex 85 e 5) del Trattato”;

“Se il divieto al giudice di non diminuire, nella liquidazione delle spese di causa, i limiti minimi previsti dalle singole voci della tabella, in applicazione dell’inderogabilità degli onorari minimi e dei diritti stabiliti per le prestazioni dell’avvocato si risolva in una misura di favore per gli appartenenti all’ordine professionale interessato, difformemente dai precetti degli artt. 81 e 10 del Trattato”;

“Se l’obbligo di motivazione comunque previsto per la diminuzione degli onorari in misura inferiore al minimo, contraddetto dalla prassi del giudice amministrativo di procedere alla liquidazione delle spese di causa sulla base di elementi eterogenei tratti dalle risultanze processuali e non dall’effettivo valore economico della controversia, non rappresenti una restrizione all’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, garantito dal 7° “considerando” della direttiva 16 febbraio 1998 n. 98/5/Ce”;

. . . . . .

Consiglio di Stato, V sezione

Ordinanza 31 maggio 2007 numero 2814

(presidente Iannotta, estensore Lamberti)

(…)

Diritto

1. Va rimessa questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia della Ce.

2. La richiesta delle spese di giudizio nel ricorso di primo grado, la liquidazione delle spese nella sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto e la richiesta in appello.

2.1. Con il ricorso in primo grado l’Ati ESAOTE ha chiesto: – la dichiarazione di nullità del contratto stipulato dalla ULSS n. 15 – Alta Padovana con la controinteressata Ati H.C.; il risarcimento del danno per la mancata aggiudicazione, corrispondente al valore del contratto stesso, superiore a € 6.200.000,00. Alla stregua di detto parametro, l’Ati Esaote ritiene per difetto la liquidazione degli onorari di giudizio fatta in sentenza.

2.1.1. Nel ricorso di primo grado, l’Ati ESAOTE ha concluso espressamente per la condanna della ULSS n. 15 – Alta Padovana e della controinteressata Ati H.C. all’integrale rifusione delle spese, degli onorari e delle competenze di lite della fase cautelare e del merito incluse le spese generali, l’imposta sul valore aggiunto e la cassa di previdenza degli avvocati.

2.2. La sentenza di primo grado del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto ha liquidato le spese, in applicazione del criterio della soccombenza a carico della sola USLL n. 15 determinandole nel complessivo l’importo di € 5.000,00 (cinquemila/00) in favore della parte vittoriosa oltre all’imposta sul valore aggiunto e cassa di previdenza avvocati senza tenere conto delle spese generali.

2.2.1. La sentenza non contiene alcuna spiegazione in ordine alla quantificazione delle spese di soccombenza misura inferiore al minimo previsto dalla tariffa degli onorari giudiziali.

2.3. Nell’appello incidentale, l’Ati ESAOTE impugna la sentenza di violazione della vigente tariffa professionale degli avvocati, approvata con il decreto ministeriale dell’8 aprile 2004, n. 127, nella parte in cui stabilisce che, nella quantificazione delle competenze, occorre avere riguardo al valore della controversia, da determinarsi nel rispetto delle regole dettate dal Codice di procedura civile per la competenza per valore.

2.3.1. L’Ati ESAOTE afferma che per lo scaglione di valore immediatamente precedente a quello per cui è lite (da € 2.582.300,01 a € 5.164.500,00), il minimo tariffario degli onorari va determinato in € 13.815,00 risultanti dalla sommatoria delle voci di cui ai numeri 22, 23, 24, 25 e 30 di cui alla tabella Allegato 1 approvata con il decreto ministeriale dell’8 aprile 2004, n. 127, sulla vigente tariffa professionale degli avvocati.

2.3.2. L’appellante ha, così, indicato le voci di tariffa che sarebbero state violate, come è richiesto dalla più recente giurisprudenza del giudice nazionale per consentire l’immediata individuazione della pretesa, senza che siano necessarie ulteriori indagini (Cassazione civile sez. III 11 gennaio 2006 n. 270).

2.4. L’appellante sostiene, in particolare:

2.4.1. che il decreto ministeriale 8 aprile 2004, n. 127 sarebbe violato nella parte in cui stabilisce che, nella quantificazione delle competenze dovute per la soccombenza, occorre avere riguardo al valore della controversia, da determinare nel rispetto delle regole dettate dal Codice di procedura civile per la competenza per valore;

2.4.2. che la liquidazione degli onorari e delle spese di giudizio nella misura inferiore al minimo tariffario effettuata dai primi giudici è del tutto sproporzionata rispetto alla natura del giudizio e all’entità dell’attività dispiegata dal difensore;

2.4.3. che la quantificazione degli onorari e delle spese di giudizio operata in primo grado è del tutto priva di giustificazione;

2.4.4. che gli onorari e le spese di giudizio devono essere riliquidate ed incrementate quantomeno nei limiti della tariffa vigente.

2.5. Con il terzo motivo dell’appello incidentale, l’Ati ESAOTE contesta che il giudice, nel determinare le spese di soccombenza, possa liquidare una somma inferiore al minimo tariffario risultante dagli importi delle singole voci della tabella allegata alla tariffa nazionale forense.

2.5.1. Connessa alla precedente è la contestazione che il giudice sia obbligato a determinare le spese di soccombenza in relazione al solo valore della lite e non possa prendere in considerazione altri indici, quali il carattere delle questioni in causa, liquidando le spese in misura forfetaria;

2.5.2 Ancora connessa alla precedente, è la questione della motivazione sulle spese che il primo giudice avrebbe liquidato le spese in maniera forfetaria, in mancanza della nota spese depositata agli atti dalle parti del giudizio.
2.5.3. Nell’inderogabilità della tabella e dei criteri contenuti nel decreto ministeriale sulla tariffa delle prestazioni professionali, da cui muovono le contestazioni dell’appellante, il Collegio ravvisa la possibile violazione dei criteri contenuti negli artt. 5 e 85 (divenuti artt. 10 e 81) del Trattato Ce, alla stregua dei quali va confrontata la possibilità degli ordini professionali di introdurre minimi tariffari inderogabili anche per il giudice nonché la compatibilità della normativa nazionale che lo consenta. Le questioni, per la loro serietà, impongono la rimessione degli atti alla Corte di Giustizia Ce.

3. La normativa nazionale

3.1 La normativa nazionale di riferimento è costituita dagli artt. 82 e 91 del Codice di procedura civile, dal regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578 (convertito in legge 22 gennaio 1934, n. 36), sull’ordinamento della professione di avvocato e procuratore e dall’articolo unico della legge 7 novembre 1957, n. 1051.

3.1.1 In relazione agli artt. 5 e 85 (divenuti artt. 10 e 81) del Trattato, viene in specifica considerazione il decreto ministeriale 8 aprile 2004, n. 127, recante determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati per le prestazioni giudiziali, in materia civile, amministrativa, tributaria, penale e stragiudiziali (G.U.R.I. 27 maggio 2004, n. 123).

3.2. Del Codice di procedura civile, l’art. 82 prevede che le parti stanno normalmente in giudizio con il ministero o l’assistenza di un difensore. L’art. 91 stabilisce che il giudice, con la sentenza che chiude il processo, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese in favore dell’altra parte e nel liquida l’ammontare insieme agli onorari di difesa.

3.3. Ai sensi dell’art. 60 del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito in legge 22 gennaio 1934, n. 36, sull’ordinamento della professione di avvocato, la liquidazione degli onorari è fatta dall’autorità giudiziaria in base ai criteri stabiliti dall’art. 57, tenuto conto della gravità e del numero delle questioni trattate. La liquidazione deve restare entro i limiti massimi e minimi fissati dall’art. 58. Tuttavia, in casi di eccezionale importanza, in relazione alla specialità delle controversie e quando il valore intrinseco della prestazione lo giustifichi, il giudice può oltrepassare il limite massimo. Inversamente, egli può, quando la causa risulti di facile trattazione, attribuire l’onorario in misura inferiore al minimo. In entrambi i casi, la decisione del giudice deve essere motivata.

3.3.1. Secondo l’art. 57 del citato regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, al Consiglio Nazionale Forense spetta di stabilire i criteri per la determinazione degli onorari e delle indennità dovute agli avvocati in materia penale e stragiudiziale. Secondo l’art. 58, i criteri fanno riferimento al valore delle controversie ed al grado dell’autorità chiamata a conoscerne, entro i limiti di un massimo e di un minimo che devono essere fissati per ogni atto o serie di atti.

3.3.2. Ai sensi dell’art. unico della legge 7 novembre 1957, n. 1051, spetta al Consiglio nazionale forense determinare gli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati per prestazioni giudiziali in materia civile e relative agli onorari e alle indennità in materia penale e stragiudiziale. I relativi criteri vengono stabiliti con cadenza biennale, ai sensi dell’art. 1 della legge 3 agosto 1949, n. 536.

3.4. L’insieme delle anzidette disposizioni rinvia alla tariffa professionale per le prestazioni giudiziali in materia civile e nelle materie equiparate e alla tabella allegata sugli onorari ed i diritti dovuti all’avvocato.

3.5. La tariffa professionale forense attualmente in vigore (e di cui si assume la violazione nel motivo d’appello in esame) è quella deliberata dal Consiglio nazionale forense in data 20 settembre 2002, approvata con decreto ministeriale 8 aprile 2004 n. 127.

3.5.1. L’art. 4 comma 1 del decreto ministeriale 8 aprile 2004 n. 127 dispone l’inderogabilità delle tariffe minime stabilite per gli onorari degli avvocati.

3.5.2. Secondo i criteri generali fissati dall’art. 5 commi 1 e 2, gli onorari a carico del soccombente sono liquidati tenuto conto del valore e della natura della controversia, dell’importanza e del numero delle questioni trattate, del grado dell’autorità adita, con speciale riguardo all’attività svolta dall’avvocato dinanzi al giudice. Nelle cause di particolare importanza per le questioni giuridiche trattate la liquidazione può arrivare sino al doppio dei massimi stabiliti.

3.5.3. Secondo l’art. 4 comma 2, i limiti minimo e massimo -anche oltre il raddoppio- indicati nella tabella possono essere superati nel solo caso di manifesta sproporzione, in relazione alle circostanze del caso, fra la prestazione e l’onorario previsto dalla tabella, su conforme parere del competente Consiglio dell’ordine e purché la parte che vi abbia interesse esibisca il parere del competente Consiglio dell’ordine.

3.6. Secondo gli artt. 4 e 5 del decreto ministeriale, dunque, il giudice, nel liquidare i diritti e gli onorari dell’avvocato,
di regola:

– non deve scendere al di sotto del minimo stabilito dalle singole voci della tabella;

– deve mantenersi fra il minimo e il massimo, tenuto contro del valore della controversia, delle questioni trattate e dell’attività dell’avvocato;

– può oltrepassare i limiti massimi sino al doppio nelle cause particolarmente importanti per le questioni giuridiche;
eccezionalmente:

– può scendere al di sotto dei minimi indicati nelle tabelle e superare il massimo, anche oltre il raddoppio:

– se vi sia manifesta sproporzione fra la prestazione e l’onorario previsto dalla tabella, in relazione alle circostanze del caso;

– se la parte che vi abbia interesse esibisca il parere del competente Consiglio dell’ordine.

3.7. E’ evidente la discrasia fra i criteri del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578 e quelli del decreto ministeriale 8 aprile 2004 n. 127:

– il minimo e il massimo degli onorari sono limiti entro i quali la liquidazione deve essere contenuta nel primo (art. 60, co. 4), i minimi degli onorari costituiscono limiti invalicabili (inderogabili) nel secondo (art. 4, co. 1);

– i casi in cui è consentito al giudice di liquidare le spese di causa al di sopra dei limiti massimi e al di sotto dei limiti minimi (rispettivamente il pregio intrinseco delle questioni per eccezionalità e importanza e la facile trattazione della causa) sono liberamente apprezzabili dal giudice nel primo (art. 60, co. 5), sono rigidamente vincolati alla manifesta sproporzione risultante dalle tabelle fra le prestazioni dell’avvocato e l’onorario in relazione alle particolari circostanze del caso nel secondo (art. 4, co. 2);

– il giudice ha la facoltà discrezionale di superare sia i limiti minimi che quelli massimi della tabella nel primo (art. 60, co. 5), può superare solo i limiti massimi, ma non quelli minimi nel secondo (art. 5, co. 2;

– la motivazione della sentenza è più specifica per il superamento dei limiti massimi (l’eccezionale importanza in relazione alla specialità della controversia e al pregio intrinseco dell’opera), meno specifica per il superamento dei limiti minimi (facile trattazione della causa) nel primo (art. 60, co. 5), è rigidamente ancorata alle tabelle -rispetto alle quali va valutata la manifesta sproporzione fra le prestazioni e l’onorario- ed è condizionata al parere del consiglio dell’ordine, in ambedue le ipotesi, nel secondo.

4. Le affermazioni della Corte di Giustizia nella sentenza 19 febbraio 2002, nel procedimento C-35/99

4.1. La questione interpretativa si pone con riferimento alle affermazioni di codesta Corte di Giustizia [sentenza 19 febbraio 2002, nel procedimento C-35/99] secondo le quali gli artt. 5 e 85 del Trattato CE (divenuti artt. 10 e 81) non ostano all’adozione, da parte di uno stato membro di una misura legislativa o regolamentare che approvi, sulla base di un progetto stabilito da un ordine professionale forense, una tariffa che fissa dei minimi e dei massimi per gli onorari dei membri dell’ordine, qualora tale misura statale sia adottata nell’ambito di un procedimento come quello previsto dal regio decreto 27 novembre 1933, n. 1578.

4.1.1. Appare al Collegio che la sentenza citata abbia considerato il procedimento, ma non i vincoli che per la liquidazione degli onorari di soccombenza in misura inferiore al minimo tabellare, risultano, nel decreto ministeriale 8 aprile 2004 n. 127, molto più restrittivi di quelli posti dal regio decreto legge 27 novembre 1938 n. 1578 e determinano la pratica impossibilità del giudice di liquidare gli onorari in misura inferiore al minimo. Ne deriverebbe il contrasto del decreto ministeriale con gli artt. 5 e 85 del Trattato o, addirittura il contrasto dello stesso regio decreto legge con il Trattato, laddove si ritenga che esso consenta all’ordine professionale di introdurre le sopra dette limitazioni.

4.2. Presupposto della sentenza 19 febbraio 2002, C-35/99 è che quello del Consiglio Nazionale Forense (C.N.F.) sia soltanto un progetto di tariffa, privo di forza vincolante e subordinato all’approvazione da parte del Ministro, assistito da due organi pubblici (CIP e Consiglio di Stato) e titolare del potere di emendare il progetto elaborato dal C.N.F.

4.3. Queste conclusioni sono però suscettibili di venire meno quando il decreto ministeriale sia la pedissequa approvazione del progetto di tariffa del Consiglio Nazionale Forense e contenga disposizioni cogenti per le parti e per il giudice: il Consiglio Nazionale Forense eserciterebbe in questo caso una vera e propria potestà normativa contrastante non solo con la gerarchia nazionale delle fonti ma anche con le disposizioni comunitarie qualora siano compromessi interessi meritevoli di tutela a livello comunitario.

4.4. Il dubbio di conformità della disciplina interna rispetto agli artt. 5 e 85 (ora 10 e 81) del Trattato resta rilevante anche sotto l’aspetto della possibilità di delegare ad operatori privati le decisioni in materia d’intervento sul settore economico, ravvisata nei confronti del regio decreto legge 27 novembre 1938 n. 1578 in favore del Consiglio Nazionale Forense.

4.5. Oggetto di esame della sentenza 19 febbraio 2002, C-35/99, era la tabella delle spese e degli onorari approvata con la deliberazione del Consiglio Nazionale Forense del 12 giugno 1993 e il pedissequo decreto ministeriale 5 ottobre 1994, n. 585.

4.6. Il decreto ministeriale 8 aprile 2004 n. 127, di approvazione della delibera del Consiglio Nazionale Forense del 20 settembre 2002, ha seguito la medesima procedura del decreto ministeriale 5 ottobre 1994, n. 585. Ha adeguato i minimi e massimi di tariffa per gli onorari senza introdurre altra novità di rilievo ai fini della presente causa.

4.5. Salvo gli aumenti della tabella, la normativa di riferimento è quindi rimasta inalterata rispetto a quella già esaminata da codesta Corte di Giustizia, in relazione alla questione interpretativa già decisa.

5. L’applicazione delle spese da parte del giudice nazionale

5.1. La giurisprudenza nazionale riconduce la determinazione delle spese di soccombenza all’esercizio del potere discrezionale del giudice, che, se contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede motivazione specifica e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità, se non quando l’interessato specifichi le singole voci della tariffa, che assume essere state violate (Cass., sez. II, 22 giugno 2004, n. 11583; sez. II, 23 maggio 2002, n. 7527; sez. lav., 12 novembre 2001, n. 14011; sez. II, 3 aprile 1999, n. 3267; sez. III, 6 aprile 1995, n. 4025; sez. I, 19 ottobre 1993, n. 10350).

5.1.1. Secondo la Corte di Cassazione, le tariffe minime possono, in particolare, essere derogate ma non disapplicate del tutto in considerazione della natura semplice o ripetitiva di alcuni affari, poiché la cosiddetta standardizzazione della pratiche, così come il carattere routinario delle medesime, possono incidere sulla determinazione dei compensi tra il minimo e il massimo delle tariffe (Cass., sez. lav., 6 marzo 1999, n. 1912).

5.2. Anche secondo il Giudice amministrativo, la statuizione del giudice sulle spese del grado di giudizio è espressione di un amplissimo potere discrezionale, così che essa è in realtà sindacabile solo se la condanna sia stata posta a carico di una parte non soccombente ovvero quando risulti manifestamente irrazionale ovvero in contrasto con la normativa riguardante le tariffe professionali (Cons. Stato, V, 22 giugno 2004, n. 4359; IV, 22 giugno 2004, n. 4471; VI, 17 febbraio 2004, n. 642; IV, 4 febbraio 2003, n. 569).

5.2.1. Da parte del Giudice amministrativo, la manifesta irrazionalità nella determinazione delle spese per contrasto con la normativa riguardante la tariffa professionale è stata, in particolare, affermata per la condanna della parte soccombente al pagamento di somme palesemente esorbitanti e pertanto nel caso in cui fossero stati superati i limiti massimi della tariffa professionale (Cons. Stato, IV, 30 dicembre 2003, n. 9175; VI, 18 aprile 2003, n. 2086; IV, 4 marzo 2003, n. 1196; IV, 4 febbraio 2003, n. 537; VI, 22 maggio 1998, n. 820).

5.2.2. Non esistono, invece, precedenti giurisprudenziali per le ipotesi in cui, il giudice, pur pronunziando sulle spese e sugli onorari, abbia determinato gli oneri di soccombenza in misura anche sensibilmente inferiore ai minimi tariffari stabiliti dalle voci della tabella. La giurisprudenza amministrativa ritiene, infatti, che la statuizione sulle spese e sugli onorari del giudizio costituisca espressione di un suo ampio potere discrezionale (Cons. Stato, VI, 27 agosto 2002, n. 4301) ed esercizio di potestà insindacabile perché basata su regole d’equità e convenienza, come tale insindacabile (Cons. Stato, V, 15 febbraio 2001, n. 779).

5.3. Nella prassi delle sentenze del giudice amministrativo, la discrezionalità è stata sempre intesa nel senso della impossibilità di sindacare la determinazione degli onorari di avvocato anche quando non fosse contenuta tra il minimo ed il massimo della tariffa professionale e non abbisognevole di motivazione se inferiore al minimo.

5.3.1. Sull’assunto che la propria potestà discrezionale di determinare le spese sia talmente ampia da essere di fatto insindacabile, il Giudice amministrativo ha tradizionalmente proceduto alla liquidazione delle spese e degli onorari in misura forfetaria, senza osservare i limiti minimi della tariffa professionale, sebbene in applicazione di criteri di equità neppure espressamente riportati nella sentenza.

5.3.2. Più che dal raffronto fra la tariffa professionale e il valore economico della causa, i criteri di liquidazione delle spese e degli onorari sono stati implicitamente rinvenuti in circostanze eterogenee, intrinseche all’intero giudizio, variabili di volta in volta, quali la maggiore o minore complessità delle questioni, l’applicazione di precetti giurisprudenziali consolidati, la natura del diritto di cui si chiede l’affermazione, il comportamento tenuto dall’amministrazione nel concreto.

5.4. Si può, conclusivamente affermare che, nella giurisprudenza del Giudice amministrativo, la pressi consolidata è nel senso di liquidare le spese di soccombenza e gli onorari di avvocato:

– senza operare alcun raffronto fra la tariffa professionale e l’effettivo valore della causa

– in misura forfetaria e complessiva;

– in misura quasi sempre inferiore al minimo della tariffa professionale;

– senza motivare espressamente i criteri seguiti;

– in applicazione di criteri rinvenibili in concreto dalla natura e dal carattere delle questioni esaminate nella sentenza;

5.5. Alla prassi sopra riferita, instauratasi nei giudizi innanzi al giudice amministrativo, si è adeguata anche la prassi consolidata degli avvocati di non allegare la nota degli onorari e delle spese con riferimento alle singole voci della tabella come anche prevede l’art. 59 co. 2 del regio decreto legge 27 novembre 1993, n. 1578, nella consapevolezza che la tassazione delle spese e dell’onorario è effettuata in base agli atti di causa. La sanzione prevista dall’art. 59, co. 4 è oramai del tutto desueta..

6. L’applicazione del Trattato alle professioni forensi, e la giurisprudenza in tema di tariffe della professione.

6.1. Degli articoli 5 e 85 (ora 10 e 81) del Trattato istitutivo della Comunità europea, il primo vieta, perché incompatibili con il mercato comune, gli accordi tra imprese, le decisioni e le pratiche concordate consistenti, tra l’altro, nel fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione, ad eccezione di quelli che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico. Il secondo obbliga gli Stati membri ad adottare tutte le misure per assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dal Trattato ovvero determinati dagli atti delle istituzioni della Comunità, a facilitare quest’ultima nell’adempimento dei propri compiti e ad astenersi da qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione degli scopi del Trattato.

6.2. Nella corrente interpretazione, il Trattato vieta di delegare ad operatori privati la responsabilità di adottare decisioni d’intervento in materia economica come è l’elaborazione di un progetto di tariffa per le prestazioni, salvo che la tariffa redatta conservi comunque il carattere di normativa statale a tutela anche dell’interesse generale e degli interessi delle imprese degli altri settori o degli utenti dei servizi di cui trattasi [Corte di giustizia Ce, sentenza 19 febbraio 2002, n. 309, causa C-309/99; sentenza 19 febbraio 2002, causa C-35/99 e giurisprudenza ivi citata].

6.3. Gli avvocati svolgono un’attività economica diretta ad offrire beni o servizi su un determinato mercato e, pertanto, costituiscono imprese ai sensi degli art. 81, 82 e 86 del Trattato (sentenza 16 giugno 1987, c. 118/85. Gli avvocati offrono, dietro corrispettivo, servizi di assistenza legale consistenti nella predisposizione di pareri, di contratti o di altri atti nonché nella rappresentanza e nella difesa in giudizio. Essi assumono, inoltre, i rischi finanziari relativi all’esercizio di tali attività poiché, in caso di squilibrio tra le spese e le entrate, l’avvocato deve sopportare direttamente l’onere dei disavanzi [Corte di giustizia Ce, sentenze 19 febbraio 2002, causa C-309/99; 23 aprile 1991, causa C-41/90; 16 novembre 1995, causa C-244/94; 11 dicembre 1997, causa C-55/96]

6.4. Proprio sullo specifico presupposto dell’equiparazione fra attività della professione di avvocato e attività d’impresa e con precipuo riguardo alla tariffa professionale forense, codesta Corte di giustizia [nella sentenza citata del 19 febbraio 2002, causa C-35/99] ha stabilito che gli artt. 10 e 81 del Trattato Ce non ostano all’adozione da parte di uno Stato membro di una misura legislativa o regolamentare che approvi, sulla base di un progetto stabilito da un ordine professionale forense, una tariffa che fissa dei minimi e dei massimi per gli onorari dei membri dell’ordine [quella approvata con il previgente decreto ministeriale 5 ottobre 1994, n. 585], qualora tale misura statale sia adottata nell’ambito di un procedimento come quello previsto dal regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578.

7. La determinazione delle tariffe professionali secondo la giurisprudenza comunitaria.

7.1. Con riferimento agli artt. 5 e 85 (ora 10 e 81), è stato affermato il contrasto con il Trattato del comportamento dello Stato italiano nell’adottare e mantenere in vigore una legge che, nel conferire il relativo potere deliberativo, impone al Consiglio nazionale degli spedizionieri doganali (CNSD) l’adozione di una decisione d’associazione di imprese, consistente nel fissare una tariffa obbligatoria per tutti gli spedizionieri doganali [Corte di Giustizia Ce, Sez. V, 18 giugno 1998, causa C-35/96]. E ciò in quanto i relativi componenti sono designati dalla categoria professionale di riferimento e pertanto non sono tenuti a prendere in considerazione l’interesse generale e l’interesse delle imprese degli altri settori.

7.2. In altro precedente, codesta Corte ha ritenuto compatibile con la disciplina comunitaria sulla concorrenza la fissazione di tariffe obbligatorie per determinati servizi [tariffe dei trasporti su strada] in quanto tale operazione era demandata a commissioni tariffarie, i cui membri, sebbene scelti dall’amministrazione su proposta delle categorie professionali interessate, non erano rappresentanti di queste ultime ma esperti indipendenti e in grado di garantire che le tariffe fossero stabilite in funzione di interessi generali [Corte di Giustizia Ce, Sez. V, 17 novembre 1993, causa C-185/91].

7.3. In altro precedente ancora, riferito all’ordine professionale degli architetti, codesta Corte di Giustizia ha stabilito che gli artt. 10 e 81 (già 5 e 85) del Trattato non ostano ad una normativa nazionale in virtù della quale i liberi professionisti possano stabilire liberamente l’importo degli onorari relativi a talune prestazioni da essi effettuate e che imponga al giudice adito di conformarsi al parere emesso da un’associazione professionale per quanto riguarda la liquidazione dell’importo di detti onorari, in quanto tale parere perde il suo carattere vincolante quando il debitore avvia un procedimento in contraddittorio [Corte di giustizia Ce, sez. V, sentenza 29 novembre 1991, causa C-221/99].

8. L’incongruenza con il Trattato dell’inderogabilità dei minimi tariffari per il giudice.

8.1. Con precipuo riferimento ai limiti minimi e massimi fissati dalla tabella delle spese e degli onorari allegata al decreto ministeriale 5 ottobre 1994, n. 585, sostanzialmente riedito nel decreto ministeriale 8 aprile 2004 n. 127, la sentenza 19 febbraio 2002 [procedimento C-35/99] ne afferma la conformità agli artt. 81 e 10 (ex 85 e 5) del Trattato, in considerazione della potestà degli organi giudiziari prevista dall’art. 60 del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578 di effettuare la liquidazione degli onorari in base ai criteri stabiliti dall’art. 57, tenuto conto della gravità e del numero di questioni trattate e di derogare agli anzidetti criteri, in talune circostanze eccezionali, con una decisione debitamente motivata.

8.1.1. La conclusione di codesta Corte di Giustizia considera però le sole disposizioni del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578 che non contiene alcuna norma sull’inderogabilità del minimo tariffario e prevede, all’art. 60 co. 5, la facoltà del giudice di scendere al di sotto dei limiti minimi della tabella, nelle ipotesi di facile trattazione della controversia.

8.1.2. La sentenza non sembrerebbe aver considerato l’inderogabilità dei limiti minimi contenuta nel comma 1 dell’art. 4 del decreto ministeriale 8 aprile 2004, n. 127 e l’obbligo del giudice di acquisire il parere del consiglio dell’ordine e di motivare espressamente sulla manifesta sproporzione, in relazione alle circostanze del caso, fra la prestazione e l’onorario previsto dalla tabella.

8.1.3. Rispetto a quella del regio decreto legge, il decreto ministeriale ribalta completamente la disciplina del superamento dei limiti tabellari, specie con riferimento ai limiti minimi.

– nell’uno il superamento del limite minimo è una facoltà ordinaria del giudice, sia pure soggetta a motivazione mentre nell’altro è oggetto di divieto espresso;

– nell’uno l’eccezionalità che giustifica il superamento del limite massimo è ristretta a casi particolarmente importanti, da motivare per la specialità e il pregio intrinseco dell’opera mentre nell’altro l’eccezionalità che giustifica la condanna sino al doppio del massimo è da motivare con il più ampio ed elastico parametro delle questioni giuridiche trattate;

– nell’uno il giudice trae dagli atti di causa la prova del superamento in eccesso e in difetto dei minimi tabellari mentre nell’altro può trarre la prova per liquidare gli onorari di soccombenza sino al doppio di quelli previsti.

8.1.4. Il solo caso in cui, nel decreto ministeriale è consentito al giudice di diminuire i minimi tabellari è quello -parificato dall’art. 4, co. 2 al raddoppio dei massimi tabellari- della manifesta espropriazione fra le prestazioni dell’avvocato e l’onorario previsto, da documentare con l’espresso parere del consiglio dell’ordine.

8.1.5. Secondo il decreto ministeriale, dunque, il giudice non può mai trarre dai soli atti di causa la prova per diminuire in minimi tabellari a carico del soccombente, ma deve farne uso per contraddire il parere del consiglio dell’ordine ove l’interessato lo esibisca in giudizio.

8.2. Oltre ai presupposti della sentenza 19 febbraio 2002 C-35/99, risultano contraddetti quelli della sentenza 29 novembre 1991, C-221/99, nella quale codesta Corte di giustizia ritiene determinante, ai fini della conformità al Trattato del potere delle associazioni professionali private di determinare gli onorari dei loro iscritti, la possibilità di sottoporre alla valutazione discrezionale del giudice le liquidazioni degli onorari dei professionisti.

8.2.1. E’ infatti, difficilmente immaginabile una posizione di terzietà dei consigli dell’ordine nel valutare l’opera prestata dai loro appartenenti al fine di emettere il parere richiesto dall’art. 4, co. 2 del decreto ministeriale 8 aprile 2004, n. 127, specie quando dalla sua emanazione derivi la diminuzione dei minimi indicati nella tabella. I componenti dei consigli dell’ordine sono infatti eletti nell’ambito della categoria professionale di riferimento.

8.3. Del resto, anche i componenti del Consiglio Nazionale Forense, cui è demandato di fissare la tariffa degli onorari e delle spese di lite, sono designati dalla categoria professionale di riferimento e pertanto non sono tenuti a prendere in considerazione l’interesse generale e l’interesse delle imprese degli altri settori. Né di tali interessi sono efficaci portatori gli altri soggetti coinvolti, la cui partecipazione al procedimento di approvazione da parte del Ministro è stata ritenuta determinante nella valutazione di conformità agli artt. 81 e 10 (ex 85 e 5) del Trattato [Corte di Giustizia 19 febbraio 2002 causa C-35/99].

8.3.1. Le competenze del CIP sono infatti, ristrette alla congruità delle tariffe rispetto al livello generale dei prezzi e la cognizione del Consiglio di Stato è limitata alla conformità dei provvedimenti alla legge e non all’equilibrio generale del mercato.

9. L’inutilità dell’inderogabilità dei minimi tariffari.

9.1. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato [Provvedimento n. 6601 (I220) Consigli nazionali dei ragionieri e periti commerciali e dei dottori commercialisti Adunanza del 26 novembre 1998] ha negato che la fissazione delle tariffe minime sia un’attività funzionale alla tutela della qualità delle prestazioni, richiamando l’avviso della Commissione delle Comunità Europee secondo cui la fissazione di prezzi minimi è “inutile ed inefficace” ai fini della qualità dei servizi, in quanto la fissazione collettiva dei prezzi minimi non impedisce affatto che prestazioni di qualità inferiore siano fornite impunemente purché i prezzi restino superiori al minimo e in ogni caso la qualità delle prestazioni degli iscritti agli ordini è già ampiamente garantita dalle condizioni di accesso e di esercizio delle professioni e rilevando che “non è possibile ritenere che un soggetto economico […] sottratto alla concorrenza sul prezzo e quindi in grado di ottenere una remunerazione minima garantita, possa risultare incentivato a migliorare la qualità del servizio”.

9.2. Va poi considerato che il 7° “considerando” della direttiva 16 febbraio 1998 n. 98/5/Ce [G.U.E.14 marzo 1998 n. 77] volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, non ha disciplinato le situazioni giuridiche puramente interne degli Stati e lasciato impregiudicate le norme nazionali dell’ordinamento professionale, salvo quando ciò risulti indispensabile per consentire di conseguire pienamente i suoi scopi. Che la direttiva non abbia leso in alcun modo la disciplina nazionale relativa all’accesso alla professione di avvocato e al suo esercizio con il titolo professionale dello Stato membro ospitante, comporta inevitabilmente l’allineamento professionale verso ordinamenti nei quali è più facile l’accesso alle professioni, con inevitabili riflessi sui minimi tariffari. E’ infatti presumibile una situazione di vantaggio per ordinamenti in cui sia più facile accedere alla professione e sia più difficile liquidare onorari inferiori al minimo, a svantaggio di altri ordinamenti in cui, a parità di condizioni di accesso, la liquidazione degli onorari sia ancorata al reale oggetto della contestazione e all’opera effettivamente prestata.

9.3. Va, infine, rilevato che l’abrogazione ad opera dell’art. 2 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248, di tutte le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime, ha comportato la legittimità, se redatti in forma scritta, dei patti fra gli avvocati e i loro clienti (cd. patti in deroga ai minimi sinora vietati dall’art. 24 legge 794/1942).

9.4. L’espansione dell’autonomia privata nella materia degli accordi tra avvocato e cliente conseguente alla riscrittura dell’art. 2233 c.c. giusta l’art. 2, comma 2-bis, del decreto legge in esame rafforza l’incongruenza dell’assunto secondo cui l’inderogabilità dei limiti minimi, non più sottratta al potere dispositivo delle parti, sia tuttora operante a carico del giudice.

10. I quesiti

Dall’insieme dei suindicati presupposti, la permanenza nell’ordinamento nazionale degli artt. 4 e 5 del decreto ministeriale 8 aprile 2004, n. 127 in conformità agli artt. 57 e 58 del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, pone, in relazione alle norme degli artt. 81 e 10 (ex 85 e 5) del Trattato, il seguente serio problema interpretativo:

“Se l’inderogabilità degli onorari minimi e dei diritti stabiliti per le prestazioni dell’avvocato costituisca una misura di favore per gli appartenenti all’ordine professionale interessato, in difformità dagli artt. 81 e 10 (ex 85 e 5) del Trattato”;

“Se il divieto al giudice di non diminuire, nella liquidazione delle spese di causa, i limiti minimi previsti dalle singole voci della tabella, in applicazione dell’inderogabilità degli onorari minimi e dei diritti stabiliti per le prestazioni dell’avvocato si risolva in una misura di favore per gli appartenenti all’ordine professionale interessato, difformemente dai precetti degli artt. 81 e 10 del Trattato”;

“Se l’obbligo di motivazione comunque previsto per la diminuzione degli onorari in misura inferiore al minimo, contraddetto dalla prassi del giudice amministrativo di procedere alla liquidazione delle spese di causa sulla base di elementi eterogenei tratti dalle risultanze processuali e non dall’effettivo valore economico della controversia, non rappresenti una restrizione all’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, garantito dal 7° “considerando” della direttiva 16 febbraio 1998 n. 98/5/Ce”;

Ogni altra questione riservata, compresa la pronuncia sulle spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, non definitivamente pronunciando sul ricorso in appello indicato in epigrafe, ritenutane la rilevanza e la serietà, rimette, ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE, alla Corte di Giustizia delle Comunità europee le questioni pregiudiziali indicate in motivazione , in relazione alle norme degli artt. 81 e 10 del trattato:

Sospende il processo in corso fino alla definizione del giudizio sulle questioni pregiudiziali.

Riserva ogni altra pronuncia, anche relativamente alle spese, all’esito dell’ordinanza di rimessione.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso addì 13 gennaio 2006

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il 31/05/07
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
P. IL DIRIGENTE
Livia Patroni Griffi

Redazione

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