La questione
La giurisprudenza non ha sin qui seguito orientamenti univoci in ordine alla sufficienza della istruttoria e della motivazione che l’Autorità urbanistica deve porre a base dei provvedimenti con cui reitera il vincolo preordinato all’esproprio, nonché in ordine all’esigenza di prevedere – nei medesimi atti – un indennizzo e i mezzi finanziari per attuare il vincolo.
L’adeguatezza della motivazione
L’Amministrazione dovrà tenere conto delle seguenti circostanze:
a) se la reiterazione riguardi o meno una pluralità di aree, nell’ambito della adozione di una variante generale o comunque riguardante una consistente parte del territorio comunale;
b) se la reiterazione riguardi soltanto una parte delle aree già incise dai vincoli decaduti, mentre per l’altra parte non è disposta la reiterazione, perché ulteriori terreni sono individuati per il rispetto degli standard;
c) se la reiterazione sia stata disposta per la prima volta sull’area in questione.
L’Adunanza Plenaria osserva:
“Quanto al profilo sub a), vanno distinti i casi in cui la reiterazione del vincolo riguardi un’area ben specificata (per realizzare una singola opera pubblica o per soddisfare i prescritti standard sui servizi pubblici o sul verde pubblico), da quelli in cui la reiterazione riguardi una pluralità di aree per una consistente parte del territorio comunale, a seguito della decadenza di uno strumento urbanistico generale che abbia disposto una molteplicità di vincoli preordinati all’esproprio (necessari per l’adeguamento degli standard, a seguito della realizzazione di ulteriori manufatti).
Infatti, quando sono reiterati ‘in blocco’ i vincoli decaduti già riguardanti una pluralità di aree, la sussistenza di un attuale specifico interesse pubblico risulta dalla perdurante constatata insufficienza delle aree destinate a standard (indispensabili per la vivibilità degli abitati), mentre l’assenza di un intento vessatorio si evince dalla parità di trattamento che hanno tutti i destinatari dei precedenti vincoli decaduti.
Quanto al profilo sub b), va rimarcato come una anomalia della funzione pubblica possa essere ravvisata quando, dopo la decadenza ‘in blocco’ dei vincoli complessivamente previsti dallo strumento urbanistico generale, l’Autorità ne reiteri solo alcuni, individuando altre aree per soddisfare gli standard, in assenza di una adeguata istruttoria o motivazione.
Tali scelte, infatti, devono fondarsi su una motivazione da cui emergano le relative ragioni di interesse pubblico, poiché avvantaggiano chi non è più coinvolto nelle determinazioni di reperimento degli standard, a scapito di chi lo diventa, pur non essendo stato destinatario di un precedente vincolo preordinato all’esproprio.
Quanto al profilo sub c), si deve tenere conto del fatto se il vincolo sia decaduto una o più volte.
In linea di principio, può ritenersi giustificato il richiamo alle originarie valutazioni, quando vi è una prima reiterazione, ma – quando il rinnovato vincolo sia a sua volta decaduto – l’Autorità urbanistica deve procedere con una ponderata valutazione degli interessi coinvolti, esponendo le ragioni – riguardanti il rispetto degli standard, le esigenze della spesa, specifici accadimenti riguardanti le precedenti fasi procedimentali – che inducano ad escludere profili di eccesso di potere e ad ammettere l’attuale sussistenza dell’interesse pubblico”.
La conferma della scelta dell’area
In assenza della individuazione di ulteriori aree da sottoporre al vincolo e per la soddisfazione (sia pure parziale) degli standard – rientra tra le regole di buona amministrazione che la scelta ricada ‘sugli stessi siti’ (così limitando l’impatto dei suoi effetti sugli attuali valori di mercato).
Il diritto all’indennizzo
Gli atti dei procedimenti di adozione e di approvazione di uno strumento urbanistico, contenente un vincolo preordinato all’esproprio, non devono prevedere la spettanza di un indennizzo, fermo restando il diritto del proprietario di ottenere – in presenza dei relativi presupposti – l’indennità commisurata all’entità del danno effettivamente prodotto.
I profili attinenti al pagamento dell’indennizzo non attengono, dunque, alla legittimità del procedimento, ma riguardano questioni di carattere patrimoniale (che
presuppongono la conclusione del procedimento di pianificazione), devolute alla cognizione della giurisdizione civile.
. . . . . . .
Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria
Sentenza del 24 maggio 2007 numero 7
(presidente Salvatore, estensore Maruotti)
(…)
Considerato in diritto
1. A seguito della decadenza – per decorso del quinquennio – dei vincoli preordinati all’esproprio (previsti dal piano regolatore di Roma, approvato in data 6 marzo 1979 dalla giunta della Regione Lazio), con la delibera n. 3622 del 4 giugno 1990 la giunta comunale di Roma ha adottato la variante generale al piano regolatore ed ha reiterato i vincoli preordinati all’esproprio, tra cui quelli incidenti sui terreni di proprietà dell’appellata, destinati a servizi e a verde pubblico (‘zona N’).
Con la sentenza n. 2237 del 1998, il TAR per il Lazio ha accolto il ricorso di primo grado della appellata ed ha annullato la delibera n. 3622 del 1990 nei limiti del suo interesse, ravvisando profili di eccesso di potere per inadeguata istruttoria ed insufficiente motivazione, nonché per la mancata previsione dei mezzi finanziari per attuare il vincolo.
Col gravame in esame, il Comune di Roma ha impugnato la sentenza del TAR, ha censurato le sue diverse rationes decidendi (richiamando i precedenti giurisprudenziali favorevoli alle proprie deduzioni) ed ha chiesto che, in sua riforma, il ricorso di primo grado sia respinto.
Nel corso del giudizio, si è costituita la s.r.l. San Feliciano (acquirente dei terreni in questione e succeduta nel giudizio ex art. 111 c.p.c.), la quale ha chiesto che il gravame sia dichiarato improcedibile, ovvero sia respinto perché infondato.
Con l’ordinanza n. 6633 del 2006, la Quarta Sezione ha ritenuto che “non possa ravvisarsi” l’improcedibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse ed ha rimesso all’esame dell’Adunanza Plenaria le ulteriori questioni controverse:
– sulla sufficienza della istruttoria e della motivazione che l’Autorità urbanistica deve porre a base dei provvedimenti con cui può esservi la reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio
– sull’esigenza o meno di prevedere – nei medesimi atti – un indennizzo e i mezzi finanziari per attuare il vincolo.
2. Così riassunte le vicende che hanno condotto alla presente fase del giudizio, vanno esaminate le eccezioni di improcedibilità dell’appello (per sopravvenuta carenza di interesse o per cessazione della materia del contendere), riproposta dalla società perché le aree in questione sono state comprese nel ‘tessuto di espansione novecentesca T1’, con la delibera del consiglio comunale n. 33 del 20 marzo 2003, che ha disposto una ulteriore adozione del piano regolatore.
3. Ritiene l’Adunanza Plenaria che l’eccezione sia inammissibile, nella parte in cui ha ancora una volta dedotto che sarebbe improcedibile l’appello per sopravvenuta carenza di interesse.
Infatti, l’ordinanza di rimessione si è limitata a rimettere all’esame dell’Adunanza Plenaria le questioni attinenti alla fondatezza del gravame e delle censure sollevate in
primo grado, dopo aver espressamente respinto la corrispondente eccezione di improcedibilità, formulata in quella fase del giudizio.
Sotto tale profilo, nella medesima ordinanza è rinvenibile una statuizione di decisione parziale, ancorché non ripetuta nel suo dispositivo (ciò che non incide sulla immutabilità della decisione: Ad. Plen., n. 2 del 2007, § 1), sicché sulla questione si è formato il giudicato.
Va invece respinta, perché infondata, l’eccezione volta alla declaratoria della cessazione della materia del contendere.
Infatti, la delibera del consiglio comunale n. 33 del 2003 non ha rimosso con effetti ex tunc gli effetti dell’atto impugnato in primo grado, perché emessa nell’esercizio dei consueti poteri di pianificazione, con effetti ex nunc sulle posizioni degli interessati.
Del resto, la società non ha dichiarato che è venuto meno il suo interesse ad avvalersi degli effetti della sentenza di primo grado, favorevole alla sua dante causa, e neppure ha dichiarato di rinunciare alla domanda di risarcimento del danno, proponibile – in linea di principio – ove si formasse il giudicato di annullamento dell’atto impugnato in primo grado.
4. Nel passare all’esame delle questioni controverse tra le parti, osserva preliminarmente l’Adunanza Plenaria che – dopo la proposizione del ricorso di primo grado – vi sono state significative novità giurisprudenziali e normative, dovute anche al complesso contenzioso che ha riguardato la legittimità della delibera impugnata in primo grado.
Tale delibera è stata a suo tempo impugnata da una pluralità di proprietari con distinti ricorsi (ciascuno nei limiti del proprio interesse), i cui terreni sono stati sottoposti a un reiterato vincolo preordinato all’esproprio.
Come è stato anche evidenziato nell’ordinanza di rimessione, nei giudizi di appello:
– le controversie si sono dapprima concluse con la reiezione delle censure analoghe a quelle dedotte nel primo grado del presente giudizio;
– sono state poi sollevate alcune questioni di costituzionalità (con l’ordinanza di questa Adunanza Plenaria n. 20 del 1996), che hanno condotto alla sentenza della Corte Costituzionale n. 179 del 1999;
– in considerazione dei principi affermati dalla Corte Costituzionale con questa sentenza, si è ribadito che – in sede di reiterazione dei vincoli preordinati all’esproprio – non occorre una motivazione specifica sulle relative ragioni, quando si tratti del reperimento di aree per il soddisfacimento degli standard (v. la decisione di questa Adunanza Plenaria n. 24 del 1999, cui si è riferita la prevalente successiva giurisprudenza);
– in alcuni casi (puntualmente indicati nella ordinanza di rimessione), la Sezione Quarta ha assunto una posizione parzialmente divergente ed ha affermato la necessità di una motivazione sul ‘preminente interesse pubblico attuale, comparato con l’interesse del privato, e sull’impossibilità di soluzioni alternative’, ovvero sulla ‘effettiva’ previsione dell’indennizzo, ovvero ancora sulle ‘ragioni che hanno determinato la decadenza del vincolo’.
5. Ancora preliminarmente, osserva l’Adunanza Plenaria che il quadro normativo ora si caratterizza per una espressa ed unitaria disciplina del procedimento volto alla espropriazione per pubblica utilità, al cui interno si inserisce la fase della apposizione del vincolo preordinato all’esproprio (ovvero quella della sua reiterazione, a seguito della sua scadenza).
Con il testo unico approvato col d.P.R. n. 327 del 2001 (come successivamente modificato), il conditor iuris:
– sul piano procedimentale e sostanziale, ha abrogato (con l’art. 58, comma 1, n. 96) l’art. 2 della legge n. 1187 del 1968, da cui la giurisprudenza traeva la regola della decadenza del vincolo preordinato all’esproprio per il decorso del termine di cinque anni dalla sua imposizione, e (con l’art. 9, commi 3 e 4) ha esplicitato con una diversa terminologia la regola della durata quinquennale, disciplinando espressamente gli istituti della decadenza e della reiterazione;
– per quanto riguarda l’indennità, con l’art. 39 ha fissato alcune regole riguardanti l’an e il quantum, nonché il procedimento avente ad un tempo natura di presupposto processuale per la proponibilità della domanda e la funzione di determinare gli elementi rilevanti per la fattispecie.
Di tale normativa non può ovviamente tenersi formalmente conto, con riferimento alla fattispecie in esame, giacché essa è entrata in vigore dopo la data di emanazione del provvedimento impugnato in primo grado.
Tuttavia, ai principi desumibili dal medesimo testo unico n. 327 del 2001 va riconosciuto un valore ricognitivo di quelli fondanti il quadro normativo vigente alla data della delibera n. 3622 del 1990.
Infatti, come ha diffusamente esposto l’Adunanza Generale di questo Consiglio (che ha recepito la relazione illustrativa, sottoposta al suo esame, delle disposizioni poi approvate col d.P.R. n. 327 del 2001), il testo unico si è ispirato ad un tempo al criterio della tabula rasa (disciplinando un unico modello procedimentale, per la reductio ad unum del sistema) e a quello – indispensabile per ravvisare il rispetto della delega legislativa – della esplicitazione dei principi desumibili dal precedente complesso quadro normativo (caratterizzato dalla coesistenza di regulae iuris derivanti da leggi, regolamenti e da sentenze interpretative o di incostituzionalità della Corte Costituzionale).
Ciò comporta che, per l’esame dei quesiti formulati dall’ordinanza di rimessione, ben può essere valutata la coerenza delle relative soluzioni con i principi ora esplicitamente accolti nell’ordinamento, peraltro già enucleabili dal precedente tessuto normativo.
6. Nel passare all’esame delle censure dell’appello, va innanzitutto rilevato che la sentenza gravata ha annullato in parte qua la delibera n. 3622 del 1990 per distinti profili di eccesso di potere, poiché sarebbero mancate una adeguata istruttoria ed una sufficiente motivazione, in quanto la reiterazione del vincolo non sarebbe stata preceduta da ‘accertamenti puntuali e circostanziati’ sullo stato dei luoghi e sarebbe stata basata ‘unicamente su valutazioni di carattere generale’, senza una specifica ‘individuazione del soddisfacimento dell’interesse pubblico’.
Avverso tali statuizioni, l’appellante Comune di Roma ha richiamato i principi affermati da precedenti decisioni di questo Consiglio sulla legittimità della medesima delibera n. 3622 del 1990 ed ha dedotto che la delibera si è basata:
a) su una motivazione immune dai dedotti profili di eccesso di potere, poiché essa ha indicato il perdurare dell’interesse pubblico già posto a base dell’originario vincolo preordinato all’esproprio e nel frattempo decaduto, in assenza della necessità di prendere in considerazione la singola posizione della originaria ricorrente;
b) su una idonea istruttoria, poiché la giunta ha indicato le vicende che hanno preceduto la reiterazione, evidenziando l’insufficienza degli standard prescritti per le aree destinate a servizi pubblici e a verde pubblico, neppure integralmente soddisfatti con quelli reiterati con la medesima delibera.
7. Ritiene l’Adunanza Plenaria che tali censure siano fondate e vadano accolte, perché la gravata sentenza – pur avendo correttamente affermato la necessità di una adeguata motivazione degli atti di reiterazione dei vincoli preordinati all’esproprio – ha ravvisato profili di eccesso di potere che in realtà non sembrano sussistenti.
7.1. Già con la decisione della Sez. IV n. 159 del 1994 (resa in un giudizio avente per oggetto la stessa delibera n. 3622 del 1990), tale principio della necessità della motivazione (poi espressamente disposto dall’art. 9, comma 4, del d.P.R. n. 327 del 2001) è stato affermato dalla giurisprudenza quale temperamento dell’altro
principio (di cui non va esaminata l’attualità in questa sede) per il quale un atto di pianificazione generale – tranne i casi di incidenza su posizioni consolidate da giudicati o da convenzioni di lottizzazione – non ha bisogno di una motivazione ulteriore rispetto a quella che si esprime con i criteri posti a sua base.
In base a tale temperamento, poiché l’art. 2 della legge n. 1187 del 1968 aveva previsto la decadenza del vincolo preordinato all’esproprio per il decorso del
quinquennio in assenza della dichiarazione della pubblica utilità, si è ammesso che l’esercizio del potere di reiterazione del vincolo possa essere esercitato solo sulla base di una idonea istruttoria e di una adeguata motivazione che faccia escludere un contenuto vessatorio o comunque ingiusto dei relativi atti, occorrendo l’effettiva cura di un pubblico interesse.
Infatti, “l’Amministrazione deve indicare la ragione che la induce a scegliere nuovamente proprio l’area sulla quale la precedente scelta si era appuntata: la reiterazione del vincolo espropriativo, sic et simpliciter, non è dunque consentita, dovendo l’Amministrazione evidenziare l’attualità dell’interesse pubblico da soddisfare, in quanto si va ad incidere sulla sfera giuridica di un proprietario che già per un quinquennio è stato titolare di un bene suscettibile di dichiarazione di pubblica utilità e successivamente di esproprio” (Sez. IV, dec. n. 159 del 1994, cit., § 11).
7.2. Quanto alla adeguatezza della motivazione, l’Adunanza Plenaria ritiene che essa vada valutata tenendo conto, tra le altre, delle seguenti circostanze:
a) se la reiterazione riguardi o meno una pluralità di aree, nell’ambito della adozione di una variante generale o comunque riguardante una consistente parte del territorio comunale;
b) se la reiterazione riguardi soltanto una parte delle aree già incise dai vincoli decaduti, mentre per l’altra parte non è disposta la reiterazione, perché ulteriori terreni sono individuati per il rispetto degli standard;
c) se la reiterazione sia stata disposta per la prima volta sull’area in questione.
Tali circostanze rilevano nel loro complesso, perché gli atti inoppugnabili che impongono i vincoli preordinati all’esproprio incidono sui valori di mercato delle aree prese in considerazione.
Quanto al profilo sub a), vanno distinti i casi in cui la reiterazione del vincolo riguardi un’area ben specificata (per realizzare una singola opera pubblica o per soddisfare i prescritti standard sui servizi pubblici o sul verde pubblico), da quelli in cui la reiterazione riguardi una pluralità di aree per una consistente parte del territorio comunale, a seguito della decadenza di uno strumento urbanistico generale che abbia disposto una molteplicità di vincoli preordinati all’esproprio (necessari per l’adeguamento degli standard, a seguito della realizzazione di ulteriori manufatti).
Infatti, quando sono reiterati ‘in blocco’ i vincoli decaduti già riguardanti una pluralità di aree, la sussistenza di un attuale specifico interesse pubblico risulta dalla perdurante constatata insufficienza delle aree destinate a standard (indispensabili per la vivibilità degli abitati), mentre l’assenza di un intento vessatorio si evince dalla parità di trattamento che hanno tutti i destinatari dei precedenti vincoli decaduti.
Quanto al profilo sub b), va rimarcato come una anomalia della funzione pubblica possa essere ravvisata quando, dopo la decadenza ‘in blocco’ dei vincoli complessivamente previsti dallo strumento urbanistico generale, l’Autorità ne reiteri solo alcuni, individuando altre aree per soddisfare gli standard, in assenza di una adeguata istruttoria o motivazione.
Tali scelte, infatti, devono fondarsi su una motivazione da cui emergano le relative ragioni di interesse pubblico, poiché avvantaggiano chi non è più coinvolto nelle determinazioni di reperimento degli standard, a scapito di chi lo diventa, pur non essendo stato destinatario di un precedente vincolo preordinato all’esproprio.
Quanto al profilo sub c), si deve tenere conto del fatto se il vincolo sia decaduto una o più volte.
In linea di principio, può ritenersi giustificato il richiamo alle originarie valutazioni, quando vi è una prima reiterazione, ma – quando il rinnovato vincolo sia a sua volta decaduto – l’Autorità urbanistica deve procedere con una ponderata valutazione degli interessi coinvolti, esponendo le ragioni – riguardanti il rispetto degli standard, le esigenze della spesa, specifici accadimenti riguardanti le precedenti fasi procedimentali – che inducano ad escludere profili di eccesso di potere e ad ammettere l’attuale sussistenza dell’interesse pubblico.
7.3. I sopra indicati profili sono particolarmente rilevanti nel presente giudizio, perché la contestata delibera n. 3622 del 1990 ha riguardato una consistente parte del territorio del Comune di Roma, ha reiterato ‘in blocco’ i vincoli preordinati all’esproprio (imposti con il piano approvato dalla giunta regionale in data 6 marzo 1979) ed ha disposto la reiterazione per la prima volta, senza comportare alcuna discriminazione (neppure ipotizzata nel ricorso di primo grado).
Dalla sua motivazione e dalla relazione da essa richiamata, si evincono con chiarezza e precisione gli accertamenti effettuati e le finalità di interesse pubblico che la delibera ha inteso perseguire:
– la relazione ha evidenziato che il piano regolatore approvato nel 1979 era stato per lo più eseguito per la sola parte che consentiva l’edificazione privata, ma non anche per la parte che prevedeva le infrastrutture, i servizi, le opere pubbliche, i parcheggi;
– la delibera ha rilevato che, per questa ragione, risultava l’esigenza di soddisfare gli standard con aree aventi una complessiva superficie addirittura superiore a quella complessivamente determinata nel piano approvato nel 1979 (così evidenziando l’esigenza di porre in essere le prescritte misure volte allo sviluppo ordinato e armonico del territorio, per evitare irreversibili e definitivi stravolgimenti del territorio, in quanto tali estremamente difficili da rimuovere);
– la relazione e la delibera hanno ribadito l’attualità degli interessi pubblici coinvolti, operando un chiaro richiamo alle valutazioni poste a base dello strumento urbanistico approvato nel 1979 (e fatte proprie dalla giunta comunale), sicché neppure era necessario un ulteriore ed analitico esame delle specifiche ragioni che avevano condotto alla imposizione dei singoli vincoli;
– la stessa delibera ha sottolineato che ‘necessariamente’ le aree sottoposte alla reiterazione dei vincoli dovessero essere quelle già individuate dal medesimo piano approvato nel 1979.
Quest’ultima circostanza, specificamente posta a base del Comune a fondamento delle proprie determinazioni, di per sé non è stata smentita nel corso del giudizio, risultando pacifico che vi sia la corrispondenza tra l’area di proprietà dell’appellata, presa in considerazione nella delibera n. 3622 del 1990, e quella già oggetto del vincolo previsto nel piano regolatore del 1979 (così come non è in discussione tale corrispondenza per le aree degli altri proprietari cui si è rivolta la delibera n. 3622 del 1990).
7.4. L’adeguatezza della istruttoria e della motivazione – anche nella parte in cui la delibera ha rimarcato la scelta delle medesime aree già in precedenza vincolate – risulta altresì da considerazioni attinenti alle complesse vicende che hanno caratterizzato la stessa venuta ad esistenza della nozione di vincolo preordinato all’esproprio, nonché le problematiche connesse alla sua decadenza.
Circa la nozione di vincolo preordinato all’esproprio, già la sopra richiamata relazione illustrativa dell’Adunanza Generale, di data 29 marzo 2001, ha evidenziato come essa abbia acquistato rilevanza giuridica con la sentenza della Corte Costituzionale n. 55 del 1968 e con l’attuativo art. 2 della legge n. 1187 del 1968.
Circa le connesse problematiche, vanno richiamate le notevoli incertezze interpretative derivate dalle proroghe legislative del termine di cinque anni fissato dallo stesso art. 2, proroghe che fecero sorgere dispute (superate solo con le decisioni n. 7 e n. 10 del 1984 di questa Adunanza Plenaria) sulla sua natura di norma a regime e sulla disciplina urbanistica applicabile a seguito della decadenza.
Sulla base del quadro normativo desumibile dalla richiamata sentenza della Corte Costituzionale n. 55 del 1968, dall’art. 2 della legge n. 1187 del 1968 e dai principi affermati da questa Adunanza Plenaria, non può non tenersi conto del fatto che il piano regolatore approvato nel 1979 – divenuto inoppugnabile – aveva contribuito a determinare i valori di mercato anche dei terreni sottoposti ai vincoli preordinati all’esproprio, poi decaduti.
Risulta del tutto logica, dunque, la considerazione posta a base della delibera n. 3622 del 1990, secondo cui – in assenza della individuazione di ulteriori aree da sottoporre al vincolo e per la soddisfazione (sia pure parziale) degli standard – ‘necessariamente’ la scelta doveva ricadere ‘sugli stessi siti’ (così limitando l’impatto i suoi effetti sui valori di mercato).
La delibera si è così pure uniformata ad una regola di buona amministrazione, in quanto volta a minimizzare l’impatto sul mercato delle scelte di pianificazione.
Le considerazioni che precedono sono del resto conformi ai principi desumibili dal testo unico n. 327 del 2001.
Esso – ispirato anche al principio della valorizzazione della partecipazione degli interessati – all’art. 11 ha previsto che la reiterazione di un vincolo preordinato all’esproprio, finalizzato ad uno specifico intervento, debba essere preceduto dall’avviso di avvio del procedimento, con connesso onere di una motivazione specifica, perché si va ad incidere su una posizione determinata.
Quando invece si tratti di una qualsiasi altra reiterazione dei vincoli preordinati all’esproprio, anche se disposti ‘in blocco’ o per una consistente parte del territorio comunale, pur se non è richiesto l’avviso di avvio del procedimento (per il richiamo operato dall’art. 9, comma 6, alle disposizioni sulla adozione e sulla approvazione degli strumenti urbanistici), rilevano i principi previsti dall’art. 9, comma 4, che attribuisce rilievo decisivo alle ‘esigenze di soddisfacimento degli standard’ (in connessione all’art. 9 del testo unico sull’edilizia, approvato col d.P.R. n. 380 del 2001).
8. Quanto precede evidenzia che la delibera impugnata in primo grado ha tenuto adeguatamente conto del quadro normativo e dei principi riguardanti l’adeguatezza dell’istruttoria e la congruità della motivazione, desumibili anche dalla sua relazione di accompagnamento e dagli atti da essa richiamati.
9. Si deve pertanto passare all’esame della fondatezza della censura di primo grado, secondo cui la delibera n. 3622 del 1990 doveva contenere una specifica
‘previsione finanziaria’ sulla attuazione del contestato vincolo preordinato all’esproprio.
9.1. La gravata sentenza, nell’accogliere la corrispondente censura di primo grado, si è limitata a richiamare l’ordinanza della Sez. IV di questo Consiglio n. 411 del 1995, che sottopose all’esame dell’Adunanza Plenaria la questione della sussistenza o meno del potere di reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio, in assenza della spettanza di un indennizzo.
Ad avviso dell’appellante, in assenza di norme che imponessero la previsione finanziaria, i ragionevoli tempi di esecuzione dell’atto e le esigenze di tutela del proprietario sarebbero salvaguardati dalla disciplina sulla durata di cinque anni del vincolo preordinato all’esproprio.
Nel corso della presente fase del giudizio, le parti hanno diffusamente commentato le vicende successive alla proposizione di tale questione, richiamando l’ordinanza di questa Adunanza Plenaria n. 20 del 1996 (di rimessione della questione alla Corte Costituzionale), la sentenza della Corte Costituzionale n. 179 del 1999 e la decisione di questa Adunanza Plenaria n. 24 del 1999, conclusiva di quel giudizio.
9.2. Ritiene l’Adunanza Plenaria che anche sotto tale profilo vada accolto l’appello del Comune di Roma.
Nel quadro normativo rilevante alla data di emanazione del provvedimento impugnato in primo grado, nessuna disposizione imponeva all’Autorità urbanistica di raccordare le proprie previsioni urbanistiche con quelle di carattere contabile.
Tale raccordo, come sottolineato dalla già citata relazione dell’Adunanza Generale del 29 marzo 2001, al § 6.2., è stato per la prima volta disposto con l’art. 14 della legge n. 109 del 1994 (e successive modificazioni), attributiva del rilievo al bilancio preventivo dell’Amministrazione, al programma triennale e all’elenco annuale dei lavori, per razionalizzare le spese ed evitare l’episodicità delle scelte (anche in considerazione delle posizioni giuridiche coinvolte negli atti di pianificazione).
Peraltro, il medesimo art. 14 – come si evinceva dai suoi commi 8 e 9 – neppure subordinava il potere di pianificazione alla previa compilazione dell’elenco annuale dei lavori, ma – al contrario – lasciava ferme le prescrizioni sulla emanazione degli ‘strumenti urbanistici vigenti o adottati’, con la regola per cui a questi strumenti doveva risultare la conformità dei progetti di lavori e l’elenco annuale dei lavori, approvato contestualmente al bilancio preventivo.
Ciò comporta l’accoglimento del motivo d’appello, secondo il quale la delibera impugnata in primo grado non doveva essere preceduta dall’approvazione di un ‘piano finanziario’.
10. La fondatezza dell’appello del Comune comporta l’esame della censura contenuta a pag. 6 del ricorso di primo grado (richiamata dalla società succeduta all’appellata a pag. 9 della sua memoria di data 31 maggio 2006, secondo cui la reiterazione del vincolo poteva avere luogo solo ‘a fronte di un indennizzo’.
Al riguardo, la medesima società ha rilevato che tale principio – oltre ad essere desumibile dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 575 del 1989 – è stato affermato dalla successiva sentenza della Corte n. 179 del 1999.
11. Ritiene la Sezione che tale censura vada respinta.
Il principio della spettanza di un indennizzo al proprietario nel caso di reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio – introdotto nell’ordinamento con la sentenza della Corte Costituzionale n. 179 del 1999 e rilevante sul piano sostanziale per l’appellata per i suoi effetti ex tunc – non rileva per la verifica della legittimità del provvedimento di primo grado, che ha disposto la reiterazione.
Infatti, dai principi sul raccordo tra la pianificazione urbanistica e le previsioni del bilancio emerge che in sede di adozione di una variante allo strumento urbanistico – volta all’imposizione del vincolo preordinato all’esproprio – l’amministrazione non può impegnare somme di cui non è certa la spettanza in ordine all’an e al quantum, sia perché potrebbe non seguire l’approvazione regionale, sia perché la quantificazione richiede complessi accertamenti su elementi di fatto che solo il proprietario può rappresentare al termine del procedimento di pianificazione (Sez. IV, dec. n. 7863 del 2006).
I profili attinenti al pagamento dell’indennizzo non attengono, dunque, alla legittimità del procedimento, ma riguardano questioni di carattere patrimoniale (che presuppongono la conclusione del procedimento di pianificazione), devolute alla cognizione della giurisdizione civile.
Tale principio è stato ora esplicitato dall’art. 39, comma 1, del testo unico sugli espropri, approvato col d.P.R. n. 327 del 2001, il quale ha previsto che – a seguito della reiterazione – il proprietario possa attivare un procedimento amministrativo nel corso del quale egli ha l’onere di provare “l’entità del danno effettivamente prodotto”, quale presupposto processuale necessario per poter agire innanzi alla corte d’appello.
Nel quadro normativo vigente, dunque, continua a sussistere il principio per il quale gli atti dei procedimenti di adozione e di approvazione di uno strumento urbanistico, contenente un vincolo preordinato all’esproprio, non devono prevedere la spettanza di un indennizzo, fermo restando il diritto del proprietario di ottenere – in presenza dei relativi presupposti – l’indennità commisurata all’entità del danno effettivamente prodotto.
12. Per le ragioni che precedono, l’appello del Comune di Roma va accolto, mentre va respinta la censura assorbita in primo grado e riproposta dall’avente causa
dell’appellata.
Pertanto, in riforma della sentenza gravata n. 2237 del 1996, va respinto il ricorso di primo grado n. 417 del 1991.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria) accoglie l’appello n.r. Ad. Plen. 26 del 2006 (n.r. Sez. IV. 609 del 1998), proposto dal Comune di Roma, e – in riforma della sentenza del TAR per il Lazio n. 2237 del 1996 – respinge il ricorso di primo grado n. 417 del 1991. Compensa tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio. Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità amministrativa.