Sul Terzo Mandato del sindaco di Veggiano

Il Consiglio di Stato ha dato infine ragione alla Prefettura di Padova nella vicenda che l’ha vista contrapposta al sindaco di Veggiano, al suo terzo mandato, nonostante il divieto contenuto nell’art. 51 del testo unico enti locali, n.267/2000.

I Giudici di Palazzo Spada danno atto che, secondo la Cassazione, “esigenze di coerenza e ragionevolezza impongono che tale fatto illegittimo riceva il medesimo trattamento riservato dalla legge ad ogni altro caso di ineleggibilità”.

L’azione popolare ex art. 70 TUEL sarebbe dunque il rimedio che consente, ove l’elezione venga convalidata, anche al Prefetto di intervenire.

E tuttavia, l’art. 19, comma 4, R.D. n. 383/1934 (non abrogato dall’art. 273 TUEL), in assenza di una specifica sanzione per l’ipotesi in esame, ben può essere applicato nella fattispecie, una volta che sia divenuta esecutiva la sentenza del giudice ordinario che ha accertato la violazione dell’art. 51, comma 2, TUEL, rappresentando tale violazione una “ragione” sufficiente che giustifica la nomina di un commissario prefettizio.

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Consiglio di Stato, VI sezione

Sentenza 9 ottobre 2007 numero 5309

(presidente Ruoppolo, estensore Romeo)

(…)

Diritto

1.- Il Collegio è chiamato a decidere se sia o meno legittimo il decreto del Prefetto di Padova, con il quale, ai sensi dell’art. 19, comma 4, del R. D. n. 383 del 1934, è stato disposto il commissariamento del Comune di Veggiano sino al rinnovo degli organi ordinari dell’ente con il turno elettorale dell’anno 2007, ed è stato nominato il Commissario prefettizio per l’esercizio delle funzioni del Consiglio comunale, del Sindaco e della Giunta del Comune di Veggiano.

2.- Prima di esaminare le eccezioni di inammissibilità dell’appello, formulate dai resistenti, è opportuno premettere che la vicenda è caratterizzata da una palese violazione della previsione di cui al comma 2 dell’art. 51 del D. Lgs. n. 267/2000, che dispone che il Sindaco e il presidente della provincia non sono “immediatamente” rieleggibili al terzo mandato consecutivo.

Di questa violazione di legge, è consapevole il Sindaco (dichiarato decaduto) del Comune di Veggiano, il quale ha dichiarato di volersi ricandidare alla carica di Sindaco “nonostante, come noto a tutti, l’art. 51, secondo comma, del D. Lgs. n. 267/2000 stabilisca una causa di ineleggibilità in tal senso” (si veda verbale del Consiglio comunale n. 28 del 2006 di convalida degli eletti e giuramento del Sindaco). La violazione di legge viene giustificata con una valutazione opinabile: “tale legge (è) ingiusta ed incostituzionale in quanto impedisce ai cittadini di scegliere liberamente il proprio sindaco, quand’anche ritenesse che questi abbia bene adempiuto al suo incarico”.

Il Consiglio comunale ha convalidato gli eletti ed ha condiviso la relazione del Sindaco eletto, con la quale (richiamato il principio costituzionale secondo cui il diritto di elettorato passivo è un diritto inviolabile – art. 2 della Cost. -, che può essere limitato, secondo il costante orientamento della Corte Costituzionale, solo in presenza di altri interessi di rango costituzionale, la cui tutela è “indispensabile”, e “in base alla regola della ragionevole proporzionalità di tale limitazione”) viene rappresentato che la giurisprudenza si è sempre espressa nel senso che il Consiglio comunale non può che convalidare l’elezione di un sindaco eletto al terzo mandato, perché, ai sensi dell’art. 41, comma 1, del TUEL, il Consiglio comunale deve esaminare, nella prima seduta, “la condizione degli eletti a norma del capo II Titolo III e dichiarare la ineleggibilità di essi quando sussista alcuna delle cause ivi previste, provvedendo secondo la procedura indicata dall’art. 69”, e la causa di ineleggibilità in questione è inserita nel capo I, titolo III del D. Lgs. n. 267/2000, e non può quindi essere rilevata dal Consiglio comunale in sede di convalida degli eletti. Il Sindaco, dichiarato decaduto, è inoltre convinto che “rimanga comunque impregiudicata la tutela di cui all’art. 70 D. Lgs. n. 267/2000”, che può essere attivata dai cittadini interessati o dal prefetto, e che egli “rimane Sindaco con pieni poteri sino a che non pervenga declaratoria di ineleggibilità ex art. 70 TUEL, con efficacia ex nunc, confermata in appello o passata in giudicato, ai sensi dell’art. 84, comma 3, del DPR n. 570 del 16.5.1960, come sostituito dall’art. 4 della legge n. 1147 del 23.12.1966, senza che possa essere imputata alcuna responsabilità in capo all’adottante”.

La delibera n. 28 del 2006 chiarisce ancora che il cittadino che si candida con successo per la terza volta consecutiva alla carica di Sindaco, sebbene in violazione della previsione di cui all’art. 51, comma 2, del D. Lgs. n. 267/2000, può subire la sola declaratoria di decadenza ex nunc, a motivo della accertata ineleggibilità alla carica di sindaco a seguito dell’esercizio della tutela di cui all’art. 70 TUEL, senza alcuna imputazione di danno in capo al sindaco (C. Conti, sez. II, 27.01.1988, n. 11), e senza che gli atti posti in essere possano essere considerati improduttivi di effetti, in quanto “costituiscono espressione di un rapporto organico di fatto e sono dunque validi anche nei casi in cui non attengono a funzioni indifferibili (C. S., sez. I, 10.7.2000, n. 666)”, e ancora senza che possa essere sciolto il consiglio comunale che ha convalidato la elezione ai sensi dell’art. 141 TUEL (TAR Piemonte n. 296/2005).

3.- Nonostante la esplicita previsione della causa di ineleggibilità di cui all’art. 51, comma 2, del D. Lgs. n. 267/2000, della cui costituzionalità non è lecito dubitare perché “il divieto di cui si discute ha carattere solo temporaneo e non comprime illegittimamente il diritto di elettorato passivo” (Cass. Civ., sez. I, 20 maggio 2006, n. 11895), il divieto di elezione al terzo mandato consecutivo, privo di adeguata sanzione, rischia di essere praticamente eluso, dal momento che la declaratoria di decadenza (che rappresenta una possibile sanzione, nel caso l’elezione venga convalidata, come nella specie), conseguente all’azione ex art. 70 D. Lgs. n. 267/2000, ha efficacia ex nunc, il che non solo rende legittima la nomina del vicesindaco a suo tempo fatta dal Sindaco dichiarato decaduto (per una causa di ineleggibilità originaria e non rimuovibile), ma consente il subentro del vicesindaco medesimo ex art. 53 TUEL, con il risultato che questi, una volta subentrato, può nominare (come avvenuto nella specie) il sindaco decaduto quale componente esterno della Giunta, conferendogli una delega particolarmente ampia.

4.- Dopo avere sommariamente delineato il contesto in cui si è svolta l’azione amministrativa della Prefettura di Padova, la cui illegittimità ha statuito il primo giudice, possono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità del gravame in epigrafe, sollevate dagli appellati sotto il profilo che il ricorso non sarebbe stato correttamente notificato al Commissario prefettizio dr. Carlo De Rogatis presso il Comune di Veggiano, dove non svolge alcun incarico sin dalla ordinanza cautelare del TAR che ne ha sospeso la nomina, e non sarebbe stato notificato al sig. Mino Bonato, ricorrente in primo grado e non costituitosi nel presente giudizio.

Le eccezioni sono da disattendere: il Commissario prefettizio, sebbene la sua nomina sia stata sospesa, è rimasto (questo correttamente osserva l’Amministrazione) nella titolarità dell’incarico, e soprattutto la sua posizione processuale è quella di cointeressato all’appello e non di contraddittore necessario, per cui non era necessaria la notifica del gravame da parte dell’Amministrazione, interessata all’annullamento della sentenza impugnata; l’appello è stato notificato in otto copie presso lo studio nel quale gli otto appellati avevano eletto domicilio nel giudizio innanzi al TAR.

5.- Passando al merito, il ricorso è fondato.

Giova ripetere che il divieto di elezione alla carica di Sindaco al terzo mandato consecutivo (art. 51, comma 2, del D. Lgs. n. 267/2000) è sfornito di sanzione specifica, e che la Corte di Cassazione, chiamata a decidere quale possa essere la sanzione per “un fatto illegittimo per valutazione legale”, si è espressa nel senso che esigenze di “coerenza e ragionevolezza” impongono di concludere che tale fatto illegittimo “riceve il medesimo trattamento riservato dalla legge ad ogni altro caso di ineleggibilità, sia esso parimenti originario ovvero sopravvenuto, come previsti al capo 2 del titolo 3, e quindi comporta per il candidato eletto nonostante il divieto la decadenza dalla carica che rappresenta istituto strutturato come ordinario e generale strumento di rimozione di posizioni non conformi a legge” (Corte Cass., sez. I, n. 11895/2006).

L’azione popolare di cui all’art. 70 TUEL è il rimedio che consente, ove l’elezione venga convalidata, anche al Prefetto di garantire la legalità, e di evitare che – in nome del principio secondo cui l’ineleggibilità si pone come eccezione alla regola del diritto all’elettorato passivo (art. 51 cost.), le cui limitazioni devono essere tipizzate dalla legge con determinatezza – l’elezione del sindaco al terzo mandato, sebbene contraria alla legge, possa risultare sanata a motivo di “un vuoto normativo” che non prevede sanzione specifica per la violazione del divieto.

Il sistema è, quindi, monco, perché non prevede una sanzione per “un fatto illegittimo”, che solo in via di interpretazione si è ritenuto “ragionevole e coerente” individuare nella declaratoria di decadenza ex art. 70 TUEL. La soluzione interpretativa non sembra però pienamente adeguata alla realtà fattuale, dal momento che parifica la causa originaria a quelle sopravvenute di ineleggibilità (come se la prima dovesse impedire, al pari delle seconde, il conflitto di interessi nell’esercizio della carica), con il risultato di obliterare la ratio della particolare causa di ineleggibilità, che è quella di assicurare, oltre che il ricambio nel governo dell’ente locale, la genuinità della competizione elettorale.

L’accertamento della causa di ineleggibilità, originaria e non rimuovibile, in un momento successivo alle elezioni, specie se svolte in Comuni (come nella specie) con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti, ove “non è consentito il c. d. voto disgiunto, per cui l’elezione dei consiglieri comunali si caratterizza per uno stretto legame con l’elezione del Sindaco, che si riflette nel riparto di seggi con premio di maggioranza per le liste collegate al Sindaco” (ord. n. 2119/2007 di questa Sezione del Consiglio di Stato), denuncia l’incongruenza di un sistema che consente a un cittadino di alterare la competizione elettorale, candidandosi a sindaco in deliberata e consapevole violazione della norma che ne prevede la ineleggibilità (in questo senso, Corte Cost., sent. n. 84/2006), e di svolgere altresì parte del mandato sino a quando (e se) interverrà la sentenza esecutiva che ne dichiara la decadenza.

La evidenziata ratio della causa di ineleggibilità introduce il tema affrontato dal TAR, e risolto nel senso favorevole agli appellati, i quali hanno dedotto l’illegittimità del commissariamento disposto dal Prefetto di Padova ai sensi dell’art. 19, comma 4, del R. D. n. 383/1934, “poiché tale norma e il sottostante potere non è applicabile all’ipotesi di decadenza del Sindaco, per la quale esiste una specifica disciplina costituita dall’art. 53, comma 1, del D. Lgs. n. 267/2000 alla cui stregua ”. In definitiva, l’illegittimità del commissariamento prefettizio della amministrazione comunale trova – secondo il TAR – conferma nel disposto di cui al punto 3 dell’art. 141 TUEL, che esclude i casi previsti dal numero 1 lett. b) del comma 1 dello stesso art. 141, da quelli per i quali è ammesso il decreto di scioglimento e la nomina di un commissario, con la conseguenza che il vice sindaco è legittimato a surrogare il sindaco nell’esercizio delle funzioni.

Il TAR e gli appellati danno una lettura dell’art. 53, dell’art. 141 e dello stesso art. 70 TUEL, che è senz’altro coerente dal punto di vista formale, se si muove dal presupposto che la sola norma di chiusura del sistema è rappresentata dal menzionato art. 70, il cui rimedio può essere azionato, con gli stessi effetti (declaratoria di decadenza ex nunc), anche nel caso di ineleggibilità originaria e non rimuovibile, cioè in presenza della violazione del divieto (privo di sanzione) di elezione al terzo mandato consecutivo.

A questo proposito, l’Avvocatura dello Stato sviluppa, tra l’altro, una tesi che, muovendo dalla ratio del divieto al terzo mandato consecutivo, tende ad assimilare l’ineleggibilità derivante dal divieto del terzo mandato consecutivo alle ipotesi di incandidabilità, a motivo del suo carattere originario e non rimuovibile (in questo senso si sarebbe espressa anche la Corte Costituzionale, che a volte definisce ipotesi speciali di ineleggibilità le ipotesi di incandidabilità). Ciò, al fine di sostenere non solo il carattere retroattivo della dichiarazione di ineleggibilità per la violazione del terzo mandato consecutivo, che risale al momento della candidatura, ma soprattutto la inadeguatezza della sanzione della declaratoria di ineleggibilità ex nunc, che dovrebbe essere sostituita da quella più appropriata, rinvenibile nell’art. 58, comma 4, TUEL, che sanziona con la nullità “l’eventuale elezione o nomina di coloro che si trovano nelle condizioni di cui al comma 1”, che specifica “le cause ostative alla candidatura”.

La tesi – come riconosce la stessa Avvocatura dello Stato – non è conferente con la fattispecie in esame, caratterizzata dall’utilizzo del potere di cui all’art. 19, comma 4, del R.D. n. 383/1934, e il suo esame sarebbe stato possibile se l’Amministrazione si fosse determinata ad agire nell’immediatezza delle elezioni (prima dell’azione popolare ex art. 70 TUEL), a seguito della convalida delle stesse con la menzionata delibera n. 28 del 2006, con la quale – come detto – il Consiglio comunale, aderendo alla lettura “restrittiva” dell’art. 41 proposta dal sindaco dichiarato decaduto, ha di fatto sanato l’elezione dello stesso sindaco al terzo mandato consecutivo, sebbene contra legem.

La tesi pare comunque apprezzabile per la coerenza con cui analizza (nei suoi molteplici effetti) la radicale diversità del caso di ineleggibilità originario e non rimovibile rispetto a quello sopravvenuto, della quale diversità la giurisprudenza del giudice ordinario, impegnata ad assicurare “la portata precettiva del divieto di elezione alla carica di sindaco al terzo mandato consecutivo”, non si è ancora occupata.

Alla incongruenza di un sistema che riserva (per via di interpretazione giurisprudenziale) a questa particolare causa di ineleggibilità il medesimo trattamento delle altre ipotesi di ineleggibilità, ha, però, ovviato nella specie l’Amministrazione, la quale ha fatto ricorso al potere di cui all’art. 19, comma 4, del R. D. n. 383/1934: il Prefetto “invia appositi Commissari presso le amministrazioni degli enti locali territoriali e istituzionali, per compiere in caso di ritardo o di omissione da parte degli organi ordinari, previamente e tempestivamente invitati a provvedere, atti obbligatori per legge o per reggerle, per il periodo di tempo strettamente necessario, qualora non possano, per qualsiasi ragione, funzionare”.

Il precetto deve essere letto (come correttamente osserva la Avvocatura dello Stato) alla luce del disposto di cui all’art. 14, comma 1 e 2, del D. Lgs. n. 300 del 1999, il quale attribuisce, tra l’altro, al Ministero dell’Interno “le funzioni ed i compiti spettanti allo Stato in materia di: garanzia della regolare costituzione degli organi elettivi degli enti locali e del loro funzionamento”.

Sia gli appellati sia lo stesso TAR dubitano della sopravvivenza del menzionato art. 19, comma 4, del R. D. n. 383/1934 nel nostro ordinamento, a motivo della incompatibilità del potere di commissariamento dell’ente locale da parte del Prefetto con “l’attuale ordinamento costituzionale, repubblicano e democratico (si veda anche la legge costituzionale n. 3/2001), che garantisce particolare autonomia agli enti locali quali i comuni”, e anche a motivo del suo contrasto con l’art. 141 TUEL, che prevede ipotesi tipizzate e specifiche nelle quali è possibile il commissariamento degli enti locali.

Il dubbio è infondato, dal momento che la copertura costituzionale generale, che la giurisprudenza ha rinvenuto, per le forme di ingerenza statale nell’autonomia delle amministrazioni locali (sostitutive e sanzionatorie – repressive), nel disposto dell’art. 117 comma 2 lett. p) della Costituzione, che attribuisce alla legislazione esclusiva statale la materia legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città Metropolitane” (cfr. C.S., sez. VI, n. 1264/2007), non può considerarsi limitata alle sole ipotesi di commissariamento, previste dal TUEL. La materia “organi di governo” deve, infatti, ritenersi comprensiva sia della disciplina della costituzione e del funzionamento di questi organi sia della disciplina degli interventi (anche sanzionatori), propri della funzione di vigilanza sugli enti locali da parte del Ministero dell’Interno ovvero della Prefettura, quale sua articolazione periferica. Tra gli interventi possibili vi è quello riconducibile al potere di commissariamento ex art. 19, comma 4, R. D. n. 383/1934, destinato ad operare in situazioni diverse da quelle disciplinate dall’art. 141 TUEL, le quali non esauriscono tutte le ipotesi nelle quali si materializza la funzione “di garanzia della regolare costituzione degli organi elettivi”. Al potere di commissariamento disciplinato dall’art. 141 TUEL per le ipotesi in esso previste, si aggiunge, quindi, il generale potere di commissariamento ex art. 19, comma, 4 R.D. n. 383/1934, che può essere esercitato “qualora, per qualsiasi ragione, le amministrazioni degli enti locali non possano funzionare”.

É proprio questa norma di chiusura che garantisce un efficace controllo di legalità, che la procedura ex art. 70 TUEL (letto unitamente agli artt. 53 e 141 TUEL) non assicura pienamente, dal momento che, in caso di declaratoria di decadenza ex nunc, dovuta a una causa di ineleggibilità originaria e non rimuovibile, consente la sopravvivenza degli organi elettivi (sulla cui costituzione irregolare non possono sussistere dubbi), sino alla elezione del nuovo consiglio e del nuovo sindaco, con il subentro del vicesindaco nella reggenza dell’ente.

Sotto questo profilo, pare legittima l’azione amministrativa del Prefetto di Padova, che, senza alcuna contraddittorietà con precedenti orientamenti del medesimo Prefetto (provvedimento del 31.1.2007) ovvero con altri orientamenti di carattere generale del Ministero dell’Interno (circolare del 26.1.2007), ha intrapreso un percorso diverso da quello segnato dagli artt. 53 e 141 TUEL nel caso di declaratoria di decadenza ex nunc del sindaco per violazione del divieto di elezione al terzo mandato consecutivo. La permanenza del Consiglio e della Giunta (costituiti a seguito di una competizione elettorale “non genuina”) in regime di prorogatio sino alle nuove elezioni, e la sostituzione del sindaco con il vicesindaco, ai sensi dell’art. 53 TUEL, non rappresentano una adeguata risposta ad una situazione di chiara, consapevole illegalità, rappresentata dalla violazione del divieto di elezione al terzo mandato.

L’art. 19, comma 4, R.D. n. 383/1934 (non abrogato dall’art. 273 TUEL), in assenza di una specifica sanzione per l’ipotesi in esame, ben può, quindi, essere applicato nella fattispecie, una volta che sia divenuta esecutiva la sentenza del giudice ordinario che ha accertato la violazione dell’art. 51, comma 2, TUEL, rappresentando tale violazione una “ragione” sufficiente che giustifica la nomina di un commissario prefettizio.

Di tale “ragione” è stato dato atto nel provvedimento impugnato, nelle cui premesse si fa riferimento alla vicenda che ha preceduto la nomina del commissario prefettizio, e significativamente alla violazione del divieto di elezione alla carica di sindaco del sig. Tommasini per il terzo mandato consecutivo, e alla sentenza della Corte di Appello di Venezia (esecutiva ai sensi dell’art. 84, comma 3, del D.P.R. n. 57/1960, come sostituito dall’art. 4 della legge n. 1147/1966), che ha dichiarato la decadenza ex nunc del sindaco per “mancanza dei requisiti di legge ai fini dell’eleggibilità a Sindaco”, nonché alla necessità che si eviti “il protrarsi della condizione di illegalità in cui attualmente versa l’amministrazione comunale”.

È vero che il Prefetto di Padova ha svolto ulteriori considerazioni (criticate dagli appellanti e non condivise dal TAR), quali quelle relative alla efficacia ex tunc della declaratoria di decadenza pronunciata dalla Corte di Appello di Venezia (espressamente esclusa da questa, in adesione alla giurisprudenza citata della Corte di Cassazione), e all’effetto caducante in via automatica, conseguente alla “accertata assenza di presupposto legittimante la carica di sindaco”.

Ma, nella fattispecie, queste considerazioni sono ultronee al fine di giustificare la nomina del commissario, giacché, per questa, è sufficiente il richiamo alla declaratoria di decadenza (non importa con quale effetto, ex nunc o ex tunc, e se ancora non passata in giudicato), pronunciata dalla Corte di Appello per un fatto originario illegittimo e non rimovibile, (che avrebbe dovuto essere rilevato già in sede di convalida degli eletti), la cui acclarata presenza ha inquinato la competizione elettorale, con ogni conseguenza in tema di costituzione regolare degli organi elettivi.

Due ultime considerazioni in relazione al dedotto vizio di illegittimità sopravvenuta del decreto impugnato, perché sarebbe divenuto “irraggiungibile il fine per cui era stato adottato” (“rinnovo degli organi dell’ente in occasione dell’imminente turno elettorale dell’anno 2007”), perché il Comune di Veggiano non è stato inserito nella lista dei Comuni che saranno rinnovati nella tornata elettorale del 27-28 maggio 2007, e all’ulteriore vizio di omessa comunicazione dell’avvio del procedimento.

Ambedue le censure sono infondate: la prima, perché la legittimità del decreto impugnato si misura in relazione al potere che ne legittima l’adozione (art. 19, comma 4, del R. D. n. 383/1934), e non al “fine” per cui lo stesso è stato emanato, fine che comunque era possibile alla data del 21 febbraio 2007, essendosi verificate, entro la data del 24 febbraio 2007, le condizioni per il rinnovo degli organi comunali (art. 2 della legge 7.6.1991, n. 182), in quanto la sentenza esecutiva della Corte di Appello di declaratoria della decadenza è del 18 gennaio 2007; la seconda, perché il potere di commissariamento è stato nella specie attivato a seguito della declaratoria di decadenza per la presenza di una accertata causa di ineleggibilità originaria e non rimuovibile, sicché non è dato intravedere quale contenuto diverso avrebbe potuto avere il decreto impugnato alla luce degli “apporti” che gli interessati avrebbero potuto fornire in sede procedimentale.

L’appello va, pertanto, accolto, e, in riforma della sentenza impugnata, va dichiarato infondato il ricorso di primo grado.
Le spese e gli onorari di giudizio possono essere compensati.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie l’appello in epigrafe, e, in riforma della sentenza impugnata, dichiara infondato il ricorso di primo grado. Spese compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Redazione

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