L’Unione delle Camere Penali risponde positivamente, e lo mette per iscritto in una missiva appena inviata alla Commissione Affari Costituzionali del Senato.
Questi le ragioni evidenziate dall’associazione degli avvocati penalisti:
1) Eccessiva genericita’ dei motivi imperativi di pubblica sicurezza.
L’articolo 13 della Costituzione legittima l’adozione di provvedimenti provvisori, limitativi della liberta’ personale, da parte dell’autorita’ di pubblica sicurezza, soltanto in casi eccezionali di necessita’ ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge.
2) La rilevanza del comportamento del familiare.
Non potrebbero darsi limitazioni della liberta’ personale in ragione di comportamenti tenuti da soggetti diversi dal destinatario del provvedimento di allontanamento
3) Potere di limitazione della liberta’ personale (l’accompagnamento alla frontiera) senza vaglio giurisdizionale.
Le ipotesi di accompagnamento immediato previste dai commi 8 e 9 dell’art. 20, da parte delle autorita’ di pubblica sicurezza, si porrebbero in violazione dell’art. 13 della Costituzione
4) Irragionevolezza della attribuzione della competenza penale al Giudice di Pace
Il giudice di pace -questa la tesi- nasce come organo di composizione bonaria di conflitti fra privati e non nelle controversie tra la pubblica autorita’ e i privati.
Di seguito, il testo integrale del documento, pubblicato sul sito dell’Unione delle Camere Penali (http://www.camerepenali.it/).
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Roma, 6 novembre 2007
Onorevole Commissione Affari Costituzionali
del Senato della Repubblica
Oggetto: Osservazioni circa la conformità ai principi costituzionali della normativa introdotta con D.L. 1 novembre 2007 n.181 in materia di allontanamento dei cittadini comunitari dal territorio dello stato.
Al di là di ogni giudizio circa l’opportunità politica e la ragionevolezza delle norme contenute nel D.L. 1 novembre 2007 n.181, modificativo del D.lgs. n.30 del 6 febbraio 2007, l’Unione Camere Penali Italiane intende sottoporre all’esame della Commissione Affari Costituzionali taluni profili di illegittimità costituzionale presenti nella normativa.
1) La genericità dei “motivi imperativi di pubblica sicurezza”
I “motivi imperativi di pubblica sicurezza” che legittimano l’immediata esecuzione da parte del Questore del provvedimento di allontanamento adottato dal Prefetto sono così definiti: “quando il cittadino dell’Unione o un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, abbia tenuto comportamenti che compromettono la tutela della dignità umana e dei diritto fondamentali della persona ovvero l’incolumità pubblica, rendendo la sua permanenza sul territorio nazionale incompatibile con l’ordinaria convivenza” (art. 20 comma 7 ter D.Lgs. n.30/2007 come modificato dall’art. 1, lett.e) del D.L. n.181/2007).
L’assoluta genericità di tali motivi e la discrezionalità (ai limiti dell’arbitrio) insiti nella formula normativa si pongono in palese contrasto con la previsione dell’art. 13 comma 3 della Costituzione, che legittima l’adozione di provvedimenti provvisori, limitativi della libertà personale, da parte dell’autorità di pubblica sicurezza soltanto “in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge”.
Il principio costituzionale di tassatività, introdotto proprio in ragione della eccezionalità dell’attribuzione all’autorità di pubblica sicurezza di siffatti poteri, impone certamente che le ipotesi legittimanti un simile eccezionale potere siano normativamente definite in maniera specifica, dettagliata, ed ancorata a parametri certi. Così è per esempio nelle ipotesi già regolate dal D. Lgs. n.286/1998 all’art. 13 comma 2, laddove l’esercizio in via provvisoria di poteri limitativi della libertà personale è vincolato alla ricorrenza di fattispecie precisamente determinate e oggettivamente verificabili.
2) La rilevanza del comportamento del “familiare”
Fra i “motivi imperativi di pubblica sicurezza” che legittimano l’immediata esecuzione del provvedimento di allontanamento il decreto legge attribuisce rilevanza ai “comportamenti” tenuti dal “familiare” del soggetto destinatario del provvedimento (art. 20 comma 7 ter D.Lgs. n.30/2007 come modificato dall’art. 1, lett.e) del D.L. n.181/2007).
Una simile previsione viola apertamente il principio di “personalità” legittimante ogni compressione del bene primario della libertà personale, talchè non possono darsi limitazioni di essa in ragione di comportamenti tenuti da soggetti diversi dal destinatario del provvedimento di allontanamento.
3) La mancanza di ogni vaglio giurisdizionale nelle ipotesi previste dai commi 8 e 9 dell’art. 20 del D.Lgs. n.30/2007
I commi 8 e 9 dell’art. 20 prevedono che qualora il destinatario di un provvedimento di allontanamento rientri nel territorio nazionale sia “nuovamente allontanato con provvedimento immediato”; quando il medesimo si trattenga nel territorio dello stato oltre il termine portato dalla intimazione, il questore disponga “l’esecuzione immediata del provvedimento di allontanamento dell’interessato dal territorio nazionale”.
In entrambe le ipotesi l’immediata esecuzione del provvedimento di allontanamento, esercitabile tramite l’accompagnamento coattivo alla frontiera, non è presidiata da alcun controllo giurisdizionale.
Si darà dunque l’ipotesi di soggetto che, colpito da un provvedimento di allontanamento con termine per adempiere (privo dunque di qualsivoglia garanzia di giurisdizionalità), venga poi nuovamente rintracciato sul territorio nazionale e dunque accompagnato coattivamente alla frontiera, senza che, neppure in questo caso, sia attivato un controllo giurisdizionale.
Sul punto è noto l’orientamento della Corte Costituzionale, la quale, pronunciatasi più volte (fra le tante si vedano Corte Cost. n.151 del 2001 e n.222 del 2004) in materia di legittimità costituzionale del D. Lgs. 286/1998, ha ritenuto che il provvedimento di accompagnamento alla frontiera investa la libertà personale e pertanto richieda la piena operatività del controllo giurisdizionale previsto dall’art. 13 Cost.. In conseguenza di tali pronunce lo stesso legislatore è intervenuto sul testo sopra citato, modificandolo nel senso di subordinare al pieno controllo giurisdizionale l’esecutività del provvedimento di accompagnamento.
Consapevole di tale necessità la nuova normativa contempla, mediante il richiamo all’art. 13 comma 5 bis del D.Lgs. n.286/1998, il ricorso al procedimento di convalida ivi previsto, ma si limita a rendere operativa tale previsione nelle sole ipotesi previste dal comma 7 bis dell’art.20.
Le ipotesi di accompagnamento immediato previste dai commi 8 e 9 dell’art. 20 restano dunque prive di controllo giurisdizionale ed introducono pertanto in capo alla autorità di pubblica sicurezza un potere di compressione della libertà personale (l’accompagnamento alla frontiera) in aperta violazione del dettato dell’art. 13, comma 3, della Costituzione.
4) La irragionevolezza della attribuzione della competenza al Giudice di Pace, contemplata dall’art. 20, comma 7 bis, come modificato dall’art. 1 lett. e) del D.L. 181/2007
Se è vero che il “giudice di pace” è “autorità giudiziaria” e dunque astrattamente soddisfa i requisiti previsti dal dettato costituzionale, non vi è dubbio che l’attribuzione a tale organo giudiziario dei poteri di convalida del provvedimento immediatamente limitativo della libertà personale sia scelta assolutamente “irragionevole” (come già lo era quella operata con l’art. 1 della Legge 12.11.2004 n.271, modificativa del D. Lgs. n.286/1998) alla luce delle finalità sottostanti l’istituzione del giudice di pace e l’attribuzione ad esso di competenza in materia penale, nonché dei limiti posti dalla normativa ai poteri sanzionatori esercitabili da tale organo di giustizia.
Sotto il primo profilo non può sottacersi come il giudice di pace nasca come organo di composizione bonaria di conflitti fra privati e tale caratteristica conservi anche laddove ad esso sia consentito l’esercizio di poteri giurisdizionali in materia penale. Un simile funzione, che permea il ruolo di tale organo giudiziario (si consideri al riguardo non soltanto che dinanzi al Giudice di Pace il legislatore ha previsto come obbligatorio il tentativo di conciliazione, ma che tutti i delitti oggetto della competenza per materia del G.d.P. sono caratterizzati dalla procedibilità a querela), si connota di un carattere di assoluta eterogeneità rispetto a quella attribuita ad esso dal Decreto Legge, la quale si esplica nell’ambito di una categoria di controversie insorgenti tra la pubblica autorità nell’esercizio di funzioni pubblicistiche ed i privati, all’interno delle quali viene in rilievo la categoria potere pubblico-soggezione e le cui situazioni non sono nella disponibilità delle parti.
Ed irragionevole appare una simile attribuzione di competenza, destinata a legittimare l’immediato allontanamento dal territorio nazionale con il necessario conseguente esercizio di poteri di coercizione della persona, laddove si abbia a mente che al giudice di pace, nell’ambito della normativa che ne delinea le funzioni in materia penale, non è consentito infliggere sanzioni che comportino un immediato potere di coazione fisica sulla persona.
Con deferenza
Il Presidente
Oreste Dominioni