Tar Lazio, la sentenza Speciale/D’Arrigo sul Comandante della Guardia di finanza



TAR Lazio, sez. II

Sentenza 15 dicembre 2007 numero 13361

(presidente Tosti, estensore Russo)



(…)

Fatto



Il dott. Roberto SPECIALE, ufficiale generale in s.p.e. dell’Esercito italiano, dichiara d’esser stato nominato, previa deliberazione del Consiglio dei ministri del 31 luglio 2003 a’sensi dell’art. 4, I c. della l. 23 aprile 1959 n. 189, in forza del DPR 16 ottobre 2003, debitamente registrato dalla Corte dei conti.

Il dott. SPECIALE rende altresì noto che, a seguito della nomina del Governo in esito alle elezioni per la XV legislatura repubblicana, questo non lo revocò a suo tempo. Pertanto, il suo incarico dirigenziale s’appalesa confermato a’sensi dell’art. 19, c. 8 del Dlg 30 marzo 2001 n. 165 (nel testo previgente alla novella recata dall’art. 2, c. 159 del DL 3 ottobre 2006 n. 256, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 novembre 2006 n. 286), a suo dire, fino alla naturale scadenza, ossia il compimento del suo 65° anno d’età, limite massimo ex lege di permanenza in servizio per i generali di Corpo d’armata della GDF. Nel frattempo, il sig. Ministro dell’economia e delle finanze delegò al Viceministro on.le prof. Vincenzo VISCO, tra l’altro, pure i propri poteri di direzione e vigilanza ex art. 1 della l. 189/1959 sulla GDF.

Il dott. SPECIALE fa presente pure che, durante l’estate 2006, insorsero alcuni screzi tra lui ed il Viceministro dell’economia in ordine al trasferimento di quattro ufficiali comandanti di reparti del Corpo in Lombardia, nell’ambito dell’avvicendamento di vari ufficiali di grado elevato nei vari Comandi regionali e provinciali.

Con decreto in data 1° giugno 2007 (pubblicato nella G.U. n. 142 del successivo giorno 21), il Ministro dell’economia e delle finanze ha avocato a sé i poteri dapprima delegati in materia di GDF. Riferisce al riguardo il ricorrente che il Ministro lo convocò per rivolgergli la richiesta di dimissioni dalle funzioni di Comandante generale del Corpo, offrendogli in cambio la nomina a consigliere della Corte dei conti. Con missiva personale rivolta al Ministro, il dott. SPECIALE ha declinato tale offerta, ma, nel frattempo, con DPR 1° giugno 2007, egli è stato sostituito nelle predette funzioni dal gen. c.a. Cosimo D’ARRIGO, senza che le relative ragioni siano state esplicitate nel medesimo provvedimento. Queste ultime son state poi rese note dal Ministro solo il successivo giorno 6 in un’audizione innanzi al Senato della Repubblica, nella cui allocuzione al ricorrente sono state contestate varie inadempienze nello svolgimento dell’incarico e, a suo dire, pure di slealtà.

In relazione a ciò, il dott. SPECIALE adisce allora questo Giudice, con il ricorso in epigrafe, impugnando, in una con il citato provvedimento, pure la deliberazione del Consiglio dei ministri adottata nella seduta del 1° giugno 2007, la proposta formulata dal Ministro dell’economia di concerto con il Ministro della difesa (di contenuto ignoto, richiamata nel DPR impugnato), la nota prot. n. 13297 del 2 giugno 2007, (con cui il Capo di gabinetto del Ministro dell’economia ha trasmesso detto DPR), la relazione di cui alla nota del Viceministro dell’economia prot. n. 5474 del 31 maggio 2007 (di contenuto ignoto, richiamata nel decreto 1° giugno 2007), nonché ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale, in particolare il documento politico presentato dal Ministro dell’economia e delle finanze nell’allocuzione del 6 giugno 2007.

Al riguardo, il ricorrente deduce in punto di diritto: A) – l’illegittimità della cessazione dal servizio, che non rientra in alcuna delle previsioni ex artt. 40, 44, 73 e 74 della l. 10 aprile 1954 n. 113, non è stata disposta in base al prescritto procedimento di garanzia e costituisce, ad onta del nomen juris usato dall’atto impugnato, una revoca ad nutum; B) – l’inesistenza d’una legittima causa di rimozione, specie dopo che il ricorrente era stato confermato a’sensi dell’art. 19, c. 8 del Dlg 165/2001 e, quindi, godeva del diritto alla prosecuzione del rapporto fino alla sua naturale scadenza; C) – l’assenza dell’atto introduttivo del procedimento di revoca e delle prescritte garanzie partecipative e di contraddittorio, nonché di qualsivoglia contestazione di addebiti, mentre le Amministrazioni intimate sono tenute a rispettare le specifiche garanzie che presiedono il rapporto d’impiego dei dirigenti generali e, se del caso, ad assumere scelte trasparenti e verificabili, per consentire la prosecuzione dell’attività gestoria in ossequio al precetto costituzionale d’imparzialità dell’azione amministrativa; D) – la natura effettivamente sanzionatoria di detta revoca implicita, non assistita dalle citate garanzie e giustificata dal Ministro solo ex post ed in una sede politica, come tale impropria ed inidonea a garantire un serio contraddittorio (indefettibile anche quando la ragione della revoca consista nell’incompatibilità alla prosecuzione d’un rapporto fiduciario), ferma, comunque, la necessità d’un procedimento di revoca distinto da quello di nomina del controinteressato; E) – la violazione dell’art. 3 della l. 7 agosto 1990 n. 241 e l’assenza d’ogni dimostrazione dell’urgenza del provvedere, i fatti in questione essendo risalenti e ben noti; F) – la violazione dell’art. 21-quinquies della l. 241/1990, l’omessa valutazione dell’interesse pubblico e l’assenza d’istruttoria; G) – l’eccesso di potere per contraddittorietà, per manifesta incongruenza ed illogicità e per sviamento. Resistono in giudizio le Amministrazioni intimate, che concludono per l’inammissibilità del ricorso in epigrafe e, nel merito, per l’infondatezza della pretesa attorea. S’è costituito nel presente giudizio pure il controinteressato gen. c.a. D’ ARRIGO, che eccepisce vari profili d’inammissibilità e d’infondatezza della domanda qui azionata.

Alla pubblica udienza del 7 novembre 2007, su conforme richiesta dei patroni di parte, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.



Diritto

1. – Viene all’esame del Collegio l’impugnazione, spiegata dal dott. Roberto SPECIALE, Comandante generale della Guardia di finanza, avverso il provvedimento 1° giugno 2007 —con cui egli è stato sostituito in dette funzioni dal gen. c.a. Cosimo D’ARRIGO—, e gli atti ed i documenti preparatori di siffatto provvedimento.

Ai fini d’una miglior comprensione delle vicende di causa, reputa opportuno il Collegio precisare che il dott. SPECIALE, già ufficiale generale in s.p. e. dell’Esercito italiano, era stato nominato Comandante generale della GDF in forza del DPR 16 ottobre 2003. In tali funzioni egli restò pur dopo la nomina del nuovo Governo in esito alle elezioni per la XV legislatura repubblicana, non essendo stato dichiarato cessato dal relativo incarico entro il tempo previsto dall’art. 19, c. 8 del Dlg 30 marzo 2001 n. 165, nel testo modificato dall’art. 3, c. 1, lett. i) della l. 15 luglio 2002 n. 145, previgente alla novella recata dall’art. 2, c. 159 del DL 3 ottobre 2006 n. 262 (convertito, con modificazioni, dalla l. 24 novembre 2006 n. 286).

A tal riguardo, deve il Collegio fin d’ora disattendere ogni eccezione delle parti resistenti sulla mancata conferma del ricorrente dopo l’insediamento del predetto Governo. È vero che vigeva ancora a quel tempo la regola introdotta dal citato art. 3, c. 1, lett. i) della l. 145/2002 —ossia quella per cui «… Gli incarichi di funzione dirigenziale di cui al comma 3 cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo…»—, ma non v’è stato alcun atto dichiarativo o fatto concludente, da parte delle Amministrazioni resistenti, tale da impedire la prosecuzione del rapporto di servizio del ricorrente, almeno fino all’emanazione dell’impugnato DPR. Anzi, dalla serena lettura degli atti prodromici a quest’ultimo —e, in particolare, dall’allocuzione del sig. Ministro dell’economia dinanzi al Senato della Repubblica il 6 giugno 2007 (per quel che può in questa sede rilevare) e dalle note di risposta della Presidenza del Consiglio dei ministri ai rilievi della Corte dei conti—,s’evince che le ragioni della risoluzione del rapporto, ad effetto costitutivo ex nunc, sono ben diverse da quelle, meramente dichiarative, sottese al citato art. 19, c. 8. Esse s’incentrano essenzialmente nell’esaurimento del rapporto di fiducia tra i vertici politici ed il ricorrente e nella di lui sopravvenuta incompatibilità ambientale, sì da sconsigliare, stanti i disagi anche all’interno del Corpo, un’ulteriore permanenza del gen. SPECIALE in un incarico fino a quel momento ritenuto da tutte le parti valido ed efficace. Sicché il richiamo alle norme in parola, oltre ad esser smentito per tabulas (cfr. la nota della Presidenza del Consiglio dei ministri in data 12 giugno 2007, a firma del Sottosegretario di Stato, Segretario del Consiglio dei ministri), appare più un argomento difensivo posto dall’Avvocatura erariale —la quale, poi, ribadisce le vicende caratterizzanti invece siffatta incompatibilità ambientale—, che una delle ragioni, foss’anche postergata rispetto all’impugnata statuizione, effettivamente prese in considerazione per decidere la sostituzione del ricorrente.

Per gli stessi motivi, non vale allora invocare, come fanno le resistenti nella memoria del 26 ottobre 2007, l’art. 2, c. 161 del DL 262/2006, in virtù del quale, in sede di prima applicazione dell’art. 19, c. 8 del Dlg 165/ 2001, come modificato ed integrato dai precedenti commi 159 e 160, gli incarichi ivi previsti, conferiti prima del 17 maggio 2006, cessano ove non confermati entro sessanta giorni dalla data d’entrata in vigore del medesimo decreto n. 262. Ma tale termine è ampiamente trascorso, senza che vi sia stato il minimo accenno all’intervenuta decadenza ope legis del ricorrente dal suo incarico.

Sono insorti, tuttavia, screzi tra il ricorrente ed il Viceministro dell’economia, delegato all’esercizio dei poteri di direzione e vigilanza, ex art. 1 della l. 23 aprile 1959 n. 189, sulla GDF. La questione, che praticamente ha manifestato l’incompatibilità tra il ricorrente e l’organo di direzione politica sul Corpo, è stata risolta, anzitutto, mercé la riassunzione di tali poteri delegati in capo al Ministro dell’economia, giusta DM 1° giugno 2007, pubblicato nella G.U. n. 142 del successivo giorno 21.

In secondo luogo, è intervenuto, nei confronti dello stesso gen. SPECIALE, l’impugnato decreto, che prende le mosse sia da tali vicende, sia da un complesso di pretese inadempienze di questi nella conduzione dell’incarico. Il provvedimento ha anzitutto richiamato le disposizioni in tema di stato giuridico degli ufficiali delle Forze armate e della GDF (Dlg 19 marzo 2001 n. 69) e sull’ordinamento del Corpo (l. 189/1959). Quindi, «… Ritenuto sussistere le ragioni di massima urgenza per procedere, sulla base delle considerazioni esposte nella proposta formulata dal Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della difesa, in data 1° giugno 2007, alla nomina del Generale Cosimo D’Arrigo a Comandante Generale del Corpo della Guardia di Finanza, in sostituzione del Generale Roberto Speciale… decreta: Art. 1. – 1. – Il Generale C.A. Cosimo D’Arrigo è nominato Comandante Generale del Corpo della Guardia di Finanza a decorrere dalla data odierna, in sostituzione del Generale Roberto Speciale…».

2.1. – Questo essendo, per sommi capi, il dato fattuale su cui si muove l’ impugnazione, può adesso il Collegio passare all’esame di tutte le eccezioni preliminari di rito e merito, sollevate in varia guisa dalle parti resistenti e che vanno disattese, perché non fondate.

2.2. – Andando per ordine, non ha pregio la tesi dell’inammissibilità del ricorso in epigrafe per omessa impugnazione della nomina del controinteressato. Ad una lettura pacifica della statuizione gravata, essa si manifesta sì a guisa di preposizione del gen. D’ARRIGO quale nuovo Comandante generale della GDF, ma anche in espressa sostituzione del ricorrente. Con ciò essa presuppone, stante l’impossibilità di conferire siffatta funzione se non ad uno e ad un solo soggetto individuato a’sensi dell’art. 4, I c. della l. 189/1959, una vicenda di rimozione del ricorrente dal medesimo incarico.

Poiché, però, quest’ultima non promana né da un qualsivoglia altro atto ad effetto costitutivo, precedente o coevo, né è stata assunta quale mera dichiarazione d’una vicenda automaticamente estintiva del rapporto con il ricorrente, allora essa è contenuta in forma implicitamente presupposta nel medesimo DPR impugnato.

La ragione è evidente: il provvedimento impugnato è l’unico e laconico atto d’una procedura di somma urgenza, adottato in esito ad una sequela di proposte e deliberazioni tutte assunte nella medesima giornata del 1° giugno 2007, iniziata con la rapida convocazione del ricorrente da parte del Ministro dell’economia e conclusasi con l’emanazione del decreto impugnato. Tutto ciò s’evince, oltre che dalla ricostruzione degli eventi offerta nel presente giudizio, dagli scritti difensivi e dai documenti depositati dalle Amministrazioni resistenti, dalla breve premessa del DPR impugnato. Ciò ha formato oggetto di rilievo da parte della Corte dei conti e della relativa risposta da parte del Ministero dell’economia, formulata sulla scorta della nota prot. n. USG/0002567 del 12 giugno 2007, da cui appunto evincesi che «… detta revoca del Gen. C.A. Roberto Speciale dall’incarico di Comandante generale della Guardia di Finanza è contenuta, in via implicita, nell’atto in esame… Considerata l’unicità del vertice, la “sostituzione” non può che implicare la “revoca” del Comandante generale in carica, vista l’assoluta incompatibilità di effetti tra la nuova nomina e la permanenza del precedente titolare…».

Pertanto, il gravame investe in modo unitario e complessivo tutta la statuizione in sé, così come tali Amministrazioni hanno ritenuto, per loro scelta, di confezionarla.

Scolora allora ogni considerazione sull’effetto viziante, piuttosto che caducante, dell’eventuale annullamento della rimozione del ricorrente, rispetto alla nomina del controinteressato, che sarebbe frutto di un’autonoma ponderazione di interessi e non la conseguenza ineluttabile della revoca stessa.

Invero, tale tesi, in sé perfettamente condivisibile, ha senso solo in uno scenario, qual è appunto quello descritto nella recente giurisprudenza (cfr., sulla differenza tra i due tipi d’effetto, Cons. St., VI, 23 ottobre 2007 n. 5559), in cui sussiste la sequenza procedimentale di revoca espressa e di nomina altrettanto manifesta, maxime nel caso di due provvedimenti distinti e collegati tra loro nell’ordinario rapporto di presupposizione, di cui il secondo fa sorgere un’autonoma posizione di controinteresse in capo ad un soggetto altro. In tal caso, ben può il Giudice adito procedere allo scrutinio sulla natura di quest’ ultima e, quindi, verificare se l’annullamento dell’atto (recte, della volizione) presupposto implichi il necessario travolgimento (p.es., dell’aggiudicazione rispetto all’ annullamento del bando di gara: Cons. St., V, 8 agosto 2005 n. 4207), oppure solo un vizio di quello successivo (p.es., della nomina medio tempore effettuata su una sede farmaceutica rispetto all’annullamento della decadenza dalla stessa: cfr. Cons. St., IV, 31 maggio 2007 n. 2792). Nella specie, tutto ciò è mancato, in quanto l’impugnato DPR reca solo la nomina del controinteressato in sostituzione del ricorrente e dà contezza unicamente dell’urgenza del provvedere, non certo del motivo della rimozione. Questa complessa, ma unitaria ed inscindibile volizione ha formato oggetto dell’altrettanto unica impugnazione in esame.

2.3. – Neppure convince l’eccezione d’inammissibilità del ricorso basata sulla qualificazione del provvedimento come atto politico, non impugnabile in base all’art. 31 del RD 26 giugno 1924 n. 1034.

Dubita invero il Collegio, sulla scorta dell’insegnamento del Supremo Consesso (cfr., da ultimo, Cons. St., V, 23 gennaio 2007 n. 209) che la disposizione citata possa sopravvivere sic et simpliciter nell’ordinamento positivo, come delineato dagli artt. 24 e 113 Cost. Infatti, il principio di tutela giurisdizionale contro gli atti della P.A. ha portata generale e riguarda tutte le Amministrazioni, sicché le sue eventuali deroghe devono trovare il loro supporto in norme costituzionalmente orientate. È peraltro jus receptum (cfr. Cons. St., IV, 29 febbraio 1996 n. 217; id., 12 marzo 2001 n. 1397) che l’atto politico deve presentare due requisiti: l’uno di carattere soggettivo, in quanto deve trattarsi di atto emanato dal Governo o, comunque, dall’autorità cui compete la funzione d’indirizzo politico e di direzione al massimo livello dei pubblici poteri; l’ altro di carattere oggettivo, in quanto deve trattarsi d’un atto o d’un procedimento emanato nell’esercizio del potere politico, non già di un’attività meramente amministrativa. Non sono quindi, per i loro caratteri intrinseci, soggetti a controllo giurisdizionale solo gli atti con cui si realizzano scelte di specifico rilievo costituzionale e politico, ossia quelli che non si possono qualificare o non sono identificabili come amministrativi e in ordine ai quali l’intervento di questo Giudice determinerebbe un’interferenza del potere giudiziario nell’ambito di altri poteri.

È parimenti consolidato l’avviso del Supremo Consesso (cfr., per tutti, Cons. St., IV, 13 marzo 1999 n. 260; id., 22 marzo 2005 n. 1198; id., 31 marzo 2005 n. 1391), da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, secondo cui gli atti preordinati alla provvista di personale dello Stato ai massimi livelli sono atti d’alta amministrazione e non d’indirizzo politico e, come tali, soggiacciono comunque al sindacato giurisdizionale, secondo le regole proprie del giudizio di legittimità. Al riguardo, i parametri di legittimità di tali atti, cui si deve rapportare l’azione amministrativa, sono quelli direttamente identificabili negli art. 97 e 113 Cost., oltre che nella disciplina di rango ordinario contenuta nella l. 7 agosto 1990 n. 241. Da tanto discende che, per un verso, l’esigenza sostanziale che i soggetti prescelti siano effettivamente di qualificazione professionale adeguata al grado, alla complessità e alla delicatezza delle funzioni inerenti all’ufficio; e, per altro verso, l’esigenza formale che dagli atti del procedimento emergano i criteri seguiti dalla P.A. ai fini della scelta o, comunque, le ragioni che la giustifichino, sì da consentirne la puntuale verifica anche in sede giurisdizionale.

Non sfugge certo al Collegio che le nomine degli organi di vertice delle Amministrazioni, centrali o locali, si configurano come provvedimenti assunti in base a criteri eminentemente fiduciari (arg. ex Cons. St., IV, 25 maggio 2005 n. 2706), basati sulla valutazione della coerenza delle capacità e delle attitudini del prescelto a dar seguito, fermo, ovviamente, il precetto ex art. 98, I c., Cost. cui sono soggetti tutti i pubblici impiegati, agli indirizzi indicati dal corpo politico.

Tuttavia, anche in questo caso pare al Collegio che il richiamo all’atto politico insindacabile, perlomeno da parte delle Amministrazioni resistenti, sia un argomento difensionale e non un dato assunto, se non a base, perlomeno a giustificazione dell’atto impugnato. Invero, la nota della Presidenza del Consiglio dei ministri, di risposta ai rilievi della Corte dei conti, afferma di non trattarsi d’un «… riferimento del decreto ad un mero rapporto fiduciario, risolvibile ad nutum, dal proponente, ma di condizioni oggettive di contrasto…, tali da non rendere possibile il rapporto interorganico tra Ministro… e Comandante generale…».

Ma pur ad accedere alla tesi difensiva, è noto che il singolo provvedimento di nomina, comportando una scelta nell’ambito d’una categoria di determinati soggetti in possesso di titoli specifici, deve esporre le ragioni che hanno condotto alla scelta d’uno d’essi ed è, per sua natura, sottoposto alla verifica di congruità, secondo i principi d’imparzialità, proporzionalità ed adeguatezza, propria dei giudizi di legittimità di questo Giudice. Per vero, una scelta effettuata intuitu personae non vuol dire certo volizione arbitraria o, peggio, insindacabile e, anzi, il rapporto fiduciario, di per sé solo, non è affatto idoneo a superare ogn’altra valutazione. Infatti, è opinione ferma quella per cui la P.A. procedente deve dare idonea contezza dell’avvenuta valutazione del possesso dei prescritti requisiti in capo al prescelto, sì che si possa dimostrare la ragionevolezza della scelta effettuata. Soccorre al riguardo l’autorevole e ben noto arresto del Supremo Consesso (cfr. Cons. St., IV, 10 luglio 2007 n. 3893), per il quale, pur se la deliberazione per il conferimento dell’ufficio di Primo Presidente della Suprema Corte di cassazione, prima carica giudiziaria della Repubblica (e, agli occhi del Collegio, certo d’importanza non inferiore alla nomina del Comandante della GDF), abbia natura giuridica d’atto d’alta amministrazione, non per ciò solo è sottratta al sindacato giurisdizionale di legittimità e, più in generale, alla garanzia di tutela prevista nei confronti di tutti gli atti della P.A. a’sensi degli art. 24 e 113 Cost.

La ragione è chiara: per quanto la P.A., soprattutto in occasione della nomina di così alte cariche pubbliche, eserciti un elevatissimo potere discrezionale -che non s’esaurisce nel mero riscontro dei requisiti prescritti dalla legge in capo ai candidati, ma implica articolate, delicate e talvolta addirittura sfumate valutazioni sulla stessa personalità di costoro-, ciò limita e attenua, ma non esclude il sindacato giurisdizionale sull’esercizio di siffatta discrezionalità, specie con riferimento al riscontro dell’ esistenza dei presupposti, alla congruità della motivazione ed alla sussistenza del nesso logico di conseguenzialità fra presupposti e conclusione.

2.4. – Infine, non può esser condivisa l’eccezione di difetto dell’interesse qui azionato, per aver il ricorrente, collocato in ausiliaria a’sensi dell’art. 3, c. 1 del Dlg 30 aprile 1997 n. 165, offerto la propria disponibilità per il suo impiego ex art. 1, c. 1 del Dlg 30 dicembre 1997 n. 498 presso la P.A. d’appartenenza o altra Amministrazione nell’ambito del Comune o della provincia di residenza, con contestuale fruizione della relativa indennità.

L’inequivoco disposto del citato art. 3, c. 1, configura il collocamento in ausiliaria del ricorrente come un mero fatto giuridico, strettamente correlato alla sola sua cessazione del servizio per raggiunti limiti d’età, corrispondente, per i generali di corpo d’armata dell’E.I. al compimento del 62° anno. Nessuna acquiescenza può, allora, riconoscersi in capo al ricorrente, giacché siffatto collocamento è un automatismo ex lege, che si verifica per il sol fatto d’una cessazione dal servizio a sua volta indipendente da ogni volontà ed il cui provvedimento ha efficacia solo dichiarativa. Del pari, la fruizione dell’indennità ex art. 3, c. 4 è solo subordinata alla disponibilità del personale militare in ausiliaria all’impiego presso la propria o altra P.A., ma anch’essa trova il proprio presupposto esclusivo nella cessazione dal servizio. Infine, la dichiarazione ex art. 1, c. 1 del Dlg 498/ 1997 è necessitata, affinché, il militare interessato, transitato in ausiliaria, possa appartenere alla relativa categoria.

3. – Passando, quindi, al merito della questione controversa, il ricorso in epigrafe s’appalesa sì fondato ed è meritevole d’accoglimento, con i limiti e le considerazioni qui di seguito indicati.

4. – Esaminando i motivi di gravame nell’ordine in cui essi son stati proposti dal ricorrente, non si può certo condividerne l’ assunto, secondo cui la fattispecie in esame sia riconducibile ad una vicenda estintiva del servizio permanente effettivo, come tale soggetta alle invocate regole ex artt. 40, 44, 73 e 74 della l. 10 aprile 1954 n. 113, come sarebbe in effetti se si trattasse d’un ufficiale generale delle Forze armate.

Non nega il Collegio che, alla luce della documentazione versata in atti, taluni aspetti della rimozione del ricorrente potrebbero configurare, giusta quanto le Amministrazioni resistenti gli hanno addebitato, sia una sua non idoneità agli uffici del grado, sia la necessità del suo allontanamento d’autorità da questi ultimi.

A ben vedere, però, l’impugnato decreto solleva il ricorrente non dal servizio in sé, bensì dal solo incarico di vertice della GDF, incarico cui un ufficiale con il grado di generale di corpo d’armata perviene non per ordinaria progressione di carriera, ma per specifica nomina ad hoc.

Il procedimento di rimozione sotteso al decreto impugnato, in realtà, trova le sue regole precipue, ossia correlate alla particolare funzione inerente all’incarico de quo, solo nell’art. 4 della l. 189/1959, nonché nelle norme generali ex l. 241/1990 sul procedimento amministrativo, senza bisogno di contaminazioni con quelle ex l. 113/1954, rivolte ai militari non in posizione di vertice.

Restano così assorbite le doglianze di cui al quarto motivo, che in parte replicano o sviluppano le questioni testé accennate sulla l. 113/1954 ed in parte già formano oggetto del terzo motivo.

Diversa è la conclusione cui deve invece pervenire il Collegio sul secondo motivo, che si appalesa fondato, atteso che la connotazione della vicenda nei suoi aspetti procedimentali, più che nella formulazione del provvedimento, evidenzia un palese sviamento di potere. Invero è mancata, a monte del provvedimento, la statuizione della revoca del ricorrente, ancorché tanto necessaria, da far concludere le Amministrazioni resistenti (p.es., nella nota di risposta ai rilievi del Giudice del controllo) per un provvedimento implicito. È ben vero che siffatta revoca ben risulta dal complesso degli atti endoprocedimentali e dall’ impugnata statuizione; così come appare chiaro che la revoca e la nomina, pur se ontologicamente e funzionalmente diverse, sono state unificate, più che nel provvedimento, nelle intenzioni del provvedere. Tuttavia, proprio tale forzata reductio ad unum di due collegate, ma distinte realtà giuridiche, s’appalesa il sintomo evidente sia dell’assenza della corretta, precisa e motivata statuizione presupposta, sia dello scopo di raggiungere il risultato della rimozione del ricorrente attraverso non le procedure acconce, bensì il fatto compiuto della nomina del controinteressato.

Ed in ciò va individuata la sostanza del vizio rilevato, rifluita nel provvedimento impugnato.

5. – Pure da accogliere è il terzo mezzo di gravame, con cui il ricorrente si duole della violazione dell’art. 7 della l. 241/1990 (omesso avviso d’ avvio del procedimento di revoca), nonché del giusto procedimento e del principio del contraddittorio.

A tal riguardo, è ben consapevole il Collegio, che l’ intera vicenda relativa all’emanazione dell’impugnato atto, evidentemente improntata a somma urgenza, s’è concentrata nell’arco della giornata del 1° giugno 2007. Da tale qualificazione del procedimento dovrebbe discendere, anche secondo la prospettazione difensiva delle Amministrazioni resistenti, l’ inapplicabilità nella specie dell’art. 7 della l. 241/1990 (arg. ex Cons. St., V, 21 giugno 2007 n. 3431).

Nondimeno, in punto di fatto, non è controverso tra le parti che il ricorrente, lo stesso giorno 1° giugno, è stato convocato dal sig. Ministro dell’economia appunto per informarlo della sua imminente sostituzione e, se del caso, della sua nomina a Consigliere della Corte dei conti.

Sicché, ed anche quest’aspetto è riconosciuto in sede difensiva dalle Amministrazioni stesse, queste ultime non hanno proceduto secondo le regole dell’urgenza proprie dell’art. 7, c. 1 della l. 241/1990, ma hanno accordato al ricorrente, nonostante che le vicende sottese alla di lui revoca si sviluppassero da svariati mesi, solo un, per vero, assai breve tempo per il contraddittorio procedimentale. Ora, è jus receptum (cfr., per tutti, Cons. St., V, 10 gennaio 2007 n. 36) che l’art. 7 della l. 241/1990 esprime un principio generale dell’ordinamento giuridico e, quindi, le limitazioni alla sua osservanza vanno intese in modo rigoroso e restrittivo e le interpretazioni che ne escludono l’applicazione devono esser, di conseguenza, ritenute illegittime se non sorrette da specifiche norme d’eccezione. Né va sottaciuto come l’avviso d’avvio del procedimento deve permettere al destinatario della statuizione conclusiva un tempo, calibrato certo sulle pari esigenze di celerità ed efficienza dell’azione amministrativa, ma non simbolico o minimale, affinché questi possa effettivamente partecipare e, se del caso, contraddire gli assunti e i dati della P.A. procedente. E ciò s’appalesa nella specie ancor più significativo, se si considera che, come evincesi da una pluralità di indizi concordanti, al ricorrente si sono indirizzate critiche relative sia all’insoddisfacente conduzione dell’ufficio, sia al deterioramento progressivo ed irreparabile del rapporto fiduciario con la dirigenza politica. Poiché tali responsabilità erano, ad avviso delle Amministrazioni resistenti, precise ed evidenti, a più forte ragione avrebbero dovuto trovare ingresso, anche senza particolari solennità formali e con l’acconcia pubblicità del caso, in un documento atto a provocare un serio contraddittorio con il ricorrente e con tutte le idonee garanzie del procedimento, solo in esito al quale esse avrebbero avuto argomenti e forza giuridica per giustificare la contestata rimozione.

6. – Condividendo poi gli argomenti di cui al quinto motivo, non convince neppure la tesi della celerità, indicate dalle Amministrazioni intimate nel decreto e nei documenti collaterali.

Certo, la celerità del provvedere è un aspetto intrinseco del buon andamento dell’azione amministrativa, ma lo sono pure le predette garanzie procedimentali, onde il loro sacrificio è possibile solo in casi realmente eccezionali o necessitati.

In altri termini, le Amministrazioni resistenti, partendo dalla senz’altro corretta considerazione che la somma urgenza fa aggio sulle formalità partecipative, hanno ritenuto di soprassedervi o di ridurle ad un minimo praticamente istantaneo (il colloquio tra il Ministro ed il ricorrente), di fatto irrilevante (nella misura in cui non v’è stato né contraddittorio, né motivazione a confutazione del diverso avviso del ricorrente) e superfluo (posto che la statuizione sostitutiva era già predisposta).

Tuttavia, le ragioni della somma urgenza sono state giustificate non subito e nel corpo dell’impugnato decreto, che non ne fa menzione, bensì in nuce in sede di nota del Viceministro del 1° giugno 2007 (l’insostenibilità della situazione al vertice del Corpo; il conflitto esplicito tra autorità politica e Comandante generale; il fatto che tanto «… può determinare incertezza e confusione nel Corpo, il quale deve invece poter operare in tutta tranquillità …») e nella risposta del 12 giugno 2007 ai rilievi del Giudice del controllo. A ben vedere, però, siffatte ragioni sono o appena accennate, o riguardano vicende risalenti o già esistenti da alcuni mesi, oppure si riferiscono a questioni d’imprescindibile continuità funzionale della GDF, ossia d’un Corpo di polizia ad ordinamento militare fortemente gerarchizzato e con funzioni altamente diversificate per oggetto e nel territorio. Per il Corpo potrebbero certo essere necessaria la diuturna presenza del Comandante generale e nociva ogni prolungata soluzione di continuità nella preposizione al relativo ufficio, le cui esigenze, però, non sono così e sempre assolute da non permettere, neppure per qualche giorno, altre scelte, se del caso meglio ponderate e motivate. Sfugge allora al Collegio la ragione per cui, a fronte dello strumento garantista offerto dall’art. 7, della l. 241/1990 e delle opportunità che l’organizzazione complessa del Corpo (p.es., con l’ufficio del Comandante in seconda) può offrire per far fronte alle esigenze di funzionamento interinale, le Amministrazioni resistenti abbiano scelto, pur avendo a disposizione una gamma di soluzioni provvisorie possibili, solo quella più compressiva delle parimenti rilevanti esigenze di giusto e partecipato procedimento verso il ricorrente.

Non si vede perchè, pur avendo già predisposto i documenti per poter contestare al ricorrente gli addebiti relativi sia ai fatti d’eventuale inidoneità all’ufficio, sia alle vicende d’incompatibilità ambientale —tanto da esser contenute nell’allegato alla nota del Viceministro in data 1° giugno 2007—, non abbiano ritenuto d’introdurlo, se non in un’istruttoria in contraddittorio, perlomeno nel corpo dell’impugnato atto, privo di qualsiasi riferimento al riguardo, ai fini d’una più efficace e trasparente cura di quel pubblico interesse che ne ha determinato l’emanazione. Al riguardo, mentre il decreto sorvola del tutto sull’incompatibilità de qua, di essa fanno ampio cenno la predetta nota e la risposta ai rilievi del Giudice del controllo. Che, però, di essa, come rettamente afferma il ricorrente, le Amministrazioni avrebbero dovuto dare seria contezza nella formulazione del provvedimento non par dubbio, sia per l’obbligo generale di motivazione anche dei provvedimenti d’alta amministrazione, sia per giustificare la sussistenza, reale e non enfatica o strumentale, delle vicende d’incompatibilità. Soccorre sul punto l’orientamento (cfr. Cons. St., IV, 10 luglio 2007 n. 3892) che, ai fini della legittimità d’un provvedimento che interviene per risolvere una situazione d’incompatibilità ambientale, reputa necessaria, ma anche sufficiente, una congrua motivazione circa la sussistenza del nesso di correlazione tra detta situazione ed il comportamento del funzionario, lesivo del prestigio dell’ufficio e tale da poter essere risolta solo con il suo allontanamento dal posto, indipendentemente da ogn’altra responsabilità.

7.1. – Non ha pregio invece e va rigettato il sesto motivo, laddove il ricorrente invoca la violazione dell’art. 21-quinquies della l. 241/1990, in quanto il DPR impugnato è un provvedimento non già d’autotutela in esito ad un procedimento amministrativo di secondo grado, ma s’appalesa, sia pur nel suo in parte stringato, in parte immotivato contenuto, a guisa di risoluzione del rapporto di servizio.

7.2. – Circa il settimo motivo, non nega il Collegio che prima facie un sintomo serio d’eccesso di potere per contraddittorietà si possa dedurre dal fatto che le Amministrazioni resistenti dapprima propongono il ricorrente per la nomina ad un altissimo ufficio giudiziario e appena dopo lo rimuovono dall’incarico fino a quel momento ricoperto per ragioni di seria, se non grave inidoneità al posto. La nomina del ricorrente a Consigliere della Corte dei conti, però, non è avvenuta anche per indisponibilità di questi, sicché non mette conto parlarne.

È inoltre indubbio che ove si verifichi e si dimostri una situazione d’incompatibilità ambientale, la cessazione del rapporto con il dirigente si determina indipendentemente dall’accertamento di specifiche responsabilità, che può avvenire in altra e separata sede dal procedimento di trasferimento o di rimozione.

7.3. – Il ricorso deve essere quindi accolto per le ragioni in precedenza precisate con annullamento dell’atto impugnato.

Da tanto discende il diritto del ricorrente di percepire le differenze retributive tra il trattamento economico onnicomprensivo goduto per la carica dalla quale è stato illegittimamente rimosso e quanto successivamente ricevuto ad altro titolo.

7.4. – In ordine, infine, all’invocato risarcimento per il danno all’immagine provocato al ricorrente dal decreto annullato alcune precisazioni sono doverose.

Com’è noto, tutta la vicenda relativa all’allontanamento del ricorrente dall’ufficio di Comandante generale della GDF ha avuto una vasta eco sugli organi d’informazione, che ha finito per ingenerare nel pubblico il giudizio sì politico, ma anche assai pubblicizzato, di disistima nell’attività da lui svolta, se non, addirittura, di scorrettezza verso l’ufficio stesso e le Istituzioni. Specialmente dopo l’allocuzione del Ministro dell’economia davanti al Senato della Repubblica, tale atto politico, in sé insindacabile da questo Giudice, costituisce pur sempre un fatto materialmente accaduto e non manifestamente irrilevante nella formazione un giudizio negativo sul ricorrente. Non sfugge tuttavia al Collegio che, come la sua revoca ha avuto una notevole risonanza mediatica nell’opinione pubblica, altrettanto possa accadere, in senso favorevole al ricorrente, con la presente sentenza, con ogni probabilità destinata ad avere pari richiamo.

A fronte, quindi, della domanda risarcitoria de qua, il Collegio ritiene che questa resta assorbita dalla risonanza della presente sentenza che annulla la rimozione del ricorrente dall’ufficio e dall’effetto immediatamente ripristinatorio dello status quo ante, così neutralizzando il danno subito.

8. – In definitiva, il ricorso in epigrafe va accolto per le ragioni fin qui esaminate. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.



il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. 2°, accoglie il ricorso n. 6695/2007 in epigrafe e per l’effetto annulla, per quanto di ragione e nei sensi di cui in motivazione, il decreto del Presidente della Repubblica 1° giugno 2007, meglio indicato in premessa e registrato dalla Corte dei conti il successivo giorno 13.

Condanna il Ministero delle Finanze al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese di giudizio liquidate in complessivi €. 6.000,00 (seimila/00).  Ordina all’Autorità amministrativa d’eseguire la presente sentenza.

Redazione

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