Risarcimento danno non patrimoniale e danno esistenziale alle Sezioni Unite

La terza sezione della Corte di Cassazione sollecita l’intervento delle Sezioni Unite, ritenuto non più differibile, in ordine alle svariate tematiche del danno non patrimoniale (ed in particolare sulla categoria del danno esistenziale)

L’ordinanza di seguito riportata per esteso fa il punto sulle diverse posizioni che si fronteggiano, chiedendo conferma alle Sezioni Unite sulle seguenti conclusioni:

1) il danno patrimoniale è risarcibile ex art. 2043 c.c., quello non patrimoniale secondo il combinato disposto degli artt. 2043 + 2059 c.c.;

2) la categoria del danno patrimoniale si articola nelle due sotto-voci del lucro cessante e del danno emergente;

3) la categoria del danno non patrimoniale si articola a sua volta in un sottosistema composto dal danno biologico in senso stretto, dal danno esistenziale, dal danno morale soggettivo;

4) il danno biologico e il danno esistenziale hanno morfologia omogenea (entrambi integrano una lesione di fattispecie costituzionali, quella alla salute il primo, quelle costituite da “valori/interessi costituzionalmente protetti” il secondo) ma funzioni diversificate (anche per volontà del legislatore ordinario), con conseguenti differenze sul piano dei parametri valutativi delle poste risarcitorie;

5) in particolare, il danno esistenziale attiene alla sfera del fare a-reddituale del soggetto, e si sostanzia nella lesione di un precedente “sistema di vita”, durevolmente e seriamente modificato, nella sua essenza, in conseguenza dell’illecito;

6) il danno morale soggettivo si caratterizza, invece, per una diversa ontogenesi, restando circoscritto nella sfera interiore del sentire, mai destinata all’obbiettiva esteriorizzazione;

7) tanto il danno esistenziale quanto il danno morale soggettivo sono incondizionatamente risarcibili entro i limiti della riserva di legge di cui all’art. 2059 c.c.;

8) tanto il danno esistenziale quanto il danno morale soggettivo sono risarcibili anche oltre quei limiti se (e solo se) il comportamento del danneggiante abbia inciso su valori/interessi costituzionalmente tutelati (e il superamento del limite della riserva di legge vale tanto per l’una quanto per l’altra categoria di danno, come si legge testualmente nella sentenza 8828/2003 della S.C.);

9) tanto il danno esistenziale quanto il danno morale soggettivo sono risarcibili se (e solo se) di entrambi il danneggiato fornisca la prova (anche mediante allegazioni e presunzioni), non esistendo, nel nostro sottosistema civilistico, danni in re ipsa”.

. . . . . .

Corte di Cassazione, sezione terza civile

Ordinanza del 25 febbraio 2008 numero 4712

(presidente Preden, estensore Travaglino)



(…)

Fatto e Diritto

M. e M. G., insieme con S. F., ricorrono per la cassazione della sentenza con la quale la corte di appello di Roma, in parziale accoglimento della loro domanda giudiziale, aveva condannato E. Z. e la compagnia assicuratrice “N. T.” al risarcimento del danno biologico e morale da essi subito in conseguenza della morte – in un incidente stradale – del congiunto L. G..

Tra i motivi di censura mossi alla sentenza, la difesa dei ricorrenti ha sottoposto a questo collegio la questione della risarcibilità del cd. danno esistenziale di cui si opina, nella articolata illustrazione della relativa doglianza, una irriducibile disomogeneità morfologica rispetto alle categorie del danno morale soggettivo e del danno biologico – lamentandosene, nella specie, la omessa liquidazione in sede di giudizio di merito.

All’odierna udienza di discussione, il procuratore generale, nel rassegnare le proprie conclusioni, e nel sottolineare l’esistenza di un ormai irredimibile contrasto di giurisprudenza insorto in seno a questa stessa sezione sul tema del cd. “danno esistenziale”, ha preliminarmente chiesto che la causa venisse rimessa al Primo Presidente, per la eventuale assegnazione alle sezioni unite della Corte.

Il collegio ha provveduto in conformità, sulla base delle considerazioni che seguono.

l) E’ noto come, nella ampia motivazione delle sentenze di cui a Cass. nn. 8827 e 8828 del 2003, si sia consapevolmente evitato di attribuire autonomo rilievo semantico alla categoria del danno esistenziale (che pure è stato, nell’ultimo decennio, il vero protagonista, in dottrina e in giurisprudenza, del dibattito culturale sul contenuto ultimo del danno non patrimoniale, segnando profondamente alcuni itinerari del definitivo approdo al “nuovo” sistema risarcitorio di cui all’art. 2059 così come reinterpretato da quelle stesse sentenze)

2) In particolare, al folio 24 di entrambe le pronunce, si legge che “il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona”, per poi discorrersi, ancora “di una tutela riconosciuta al danno non patrimoniale nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica” (pare opportuno precisare, al riguardo, come la corte abbia utilizzato – del tutto consapevolmente i termini “valori / interessi” della persona, piuttosto che il sintagma “diritto soggettivo inviolabile”).

Riaffermata, poi, l’accezione di danno non patrimoniale in termini di vulnus ai valori inerenti alla persona, preciseranno ancora gli estensori di quelle pronunce che “non sembra proficuo ritagliare all’interno di tale generale categoria specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo: ciò che rileva, ai fini dell’ammissione al risarcimento, è l’ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona dal quale conseguano pregiudizi non suscettivi di valutazione economica”, per poi concludere (folio 38): “si risarciscono così danni diversi da quello biologico e da quello morale soggettivo, pur se anch’essi, come gli altri, di natura non patrimoniale, il che non impedisce che la valutazione equitativa di tutti i danni non patrimoniali possa anche essere unica, senza una distinzione bensì opportuna, ma non sempre indispensabile tra quanto va riconosciuto a titolo di danno morale soggettivo, quanto a titolo di risarcimento del danno biologico in senso stretto, se una lesione dell’integrità psico-fisica sia riscontrata, e quanto a titolo di ristoro dei pregiudizi ulteriori e diversi dalla mera sofferenza psichica”, e ciò perché (f. 43) “il danno biologico non è configurabile se manchi una lesione dell’integrità psico-fisica secondo i canoni fissati dalla scienza medica: in tal senso si è orientato il legislatore con gli artt. 13 del decreto legislativo 23.2.2000 e 5 e38 della legge 57/01, prevedendo che il danno biologico debba essere suscettibile di accertamento o valutazione medico-legale”.

3) La Corte costituzionale, dal suo canto, pochi mesi dopo la pubblicazione delle sentenze “gemelle” del 2003, menzionerà espressamente la nuova categoria di danno in un passaggio della sentenza n. 233, tributandogli, in seno al “nuovo” art. 2059 c.c., un espresso riconoscimento, anche semantico, al fianco del danno biologico e del danno morale subbiettivo, in un sistema risarcitorio dei danni ormai definitivamente riconosciuto come sistematicamente bipolare (danno patrimoniale / danno non patrimoniale) e sottosistemicamente pentapartito (lucro cessante/danno emergente, da un canto; danno morale subbiettivo/danno biologico in senso stretto/danno “derivante da lesione di altri interessi costituzionalmente protetti”, dall’altro).

Il giudice delle leggi, difatti, diversamente dalla Corte Suprema, discorre espressamente di un “danno, spesso definito in dottrina e in rango costituzionale inerenti alla persona diversi da quello all’integrità psichica e fisica della persona conseguente ad un accertamento medico, ex art. 32 della Costituzione”.

4) Articolati, approfonditi (e non sempre benevoli) furono i commenti riservati a questa sentenza dai molti commentatori specializzati (e non) nella materia dell’illecito civile.

In realtà, la trasformazione dell’art. 2059 (operata da questa stessa Corte e dalla Corte costituzionale) in un vero e proprio art. 2059 bis del codice civile era parso ai più indiscutibilmente funzionale, al di là di questioni ormai meramente terminologiche, all’individuazione di una terza (sotto) categoria di danno non patrimoniale, la cui esistenza e la cui autonomia appariva ormai poco seriamente contestabile, al di là degli apparenti ostacoli (in realtà, di carattere soltanto lessicale) posti dalla sentenza 8827 del 2003.

Alla luce delle (sostanzialmente) omogenee e (largamente) condivise posizioni assunte da entrambe le Corti, pareva (e pare ancor oggi) oltremodo difficile, se non impossibile, immaginare, nella (finalmente riattivata) dimensione bipolare del danno così come scolpita ai massimi livelli giudiziari, un totale ripudio della nuova categoria, una radicale e definitiva smentita alla stessa “esistenza” del danno esistenziale, pur correttamente circoscritto (e conseguentemente ricondotto) alle sole ipotesi di vulnera arrecati a valori/interessi costituzionalmente garantiti.

5) Gli sforzi ermeneutici di tutti gli operatori del diritto avrebbero, allora, potuto più proficuamente volgersi a nuovi e più fecondi approdi, prefigurati in nuce dalle sentenze del 2003, e costituiti:

a) dall’analitica identificazione di una tavola di “valori/interessi” costituzionalmente protetti suscettibili di risarcimento;

b) dal (l’altrettanto rigorosa) individuazione di regole probatorie il più possibile certe, funzionali alla legittima predicabilità di un diritto al risarcimento del danno esistenziale inteso come vulnus al fare a-reddituale del soggetto da lesione “costituzionale”;

c) nella (non agevole) determinazione di criteri non arbitrari (e comunque equitativi) di quantificazione complessiva di quel danno.

6) si è viceversa assistito, in dottrina e in giurisprudenza, ad ulteriori ripiegamenti, a reiterati (e non di rado preconcetti) arroccamenti su posizioni nuovamente contrapposte (talvolta in modo del tutto acritico, tanto da evocare l’idea kantiana di giudizio analitico a priori), quasi che il danno esistenziale, novella categoria metagiuridica di pensiero, dovesse corrispondere all’idea che ciascuno degli interpreti del pianeta dell’illecito civile si era comunque formato “a priori”, piuttosto che rappresentare il terreno di coltura e di analisi, sul piano positivo (e sulla base dell’esistente, del de iure condito, del diritto vivente), di una nuova categoria di danno del terzo millennio.

7) Sono così andate fronteggiandosi, negli ultimi anni, due contrapposte scuole di pensiero, definite, rispettivamente, “esistenzialista e “antiesistenzialista”.

Tralasciando l’analisi (che in questa sede risulterebbe un fuor d’opera) delle singole posizioni dottrinarie, si è assistito al fiorire, da un canto, di un primo filone di giurisprudenza esistenzialista, che interpreta il danno esistenziale, di volta in volta (sull’onda di una copiosa giurisprudenza di merito, il più delle volte di equità), come categoria aperta anche ai disagi, ai turbamenti psichici e agli stress, talvolta spingendosi altresì ad individuare nella lesione della serenità personale e nella violazione in sé di un bene costituzionalmente tutelato (ad esempio, la personalità, l’immagine, la reputazione, l’autostima) la prova dell’esistenza del danno in esame.

Sia la I sezione di questa stessa corte, sia la sezione lavoro (rispettivamente, con le sentenze 9009/2001 e 7713/2000) ricondurranno, difatti, il danno esistenziale a “tutte le compromissioni delle attività realizzatrici della persona umana (impedimenti alla serenità familiare, al godimento di un ambiente salubre e di una situazione di benessere, al sereno svolgimento della propria vita lavorativa)”: al pari dei pregiudizi alla salute, i pregiudizi attinenti alla dimensione esistenziale, comprensivi dei “disagi e turbamenti di tipo soggettivo”, non potevano ritenersi privi di tutela risarcitoria sulla scorta della “lettura costituzionalmente orientata del sistema della responsabilità civile”.

Secondo tale impostazione sposata da questa stessa corte, dunque, ancor prima del 2003 – la categoria del danno esistenziale rendeva risarcibile (naturalmente, ex art. 2043 c. c., ratione temporis) ogni pregiudizio, anche solo soggettivo, che riguardasse la sfera della persona e derivasse dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante: “l’art. 2043 c.c., correlato agli artt. 2 e ss. Cost., va così necessariamente esteso fino a ricomprendere il risarcimento non solo dei danni in senso stretto patrimoniali, ma di tutti i danni che almeno potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della persona umana” (così, testualmente, la sentenza 77l3/2000).

Unico limite posto, sotto il profilo naturalistico, ai pregiudizi risarcibili a titolo di danno esistenziale era costituito dalla rilevanza del “mero patema di animo interno” siccome distinto dai disagi e turbamenti di tipo soggettivo: il danno esistenziale si poneva quindi, in tale prospettiva, come una sorta di “danno morale civilistico, sempre di più ispirato al modello del francese “dommage moral” (e in molte sentenze della giurisprudenza di merito l’apertura della categoria del danno esistenziale a disagi, stress e perturbamenti risulterà ancora più evidente) .

8) Sul versante opposto, insieme con altrettanto numerose decisioni di merito, due pronunce di questa sezione, di segno radicalmente opposto rispetto a quelle poc’ anzi ricordate, risulteranno espressamente contrarie alla figura del danno esistenziale: secondo Cass. 15449 del 2002 e, soprattutto, Cass. 15022 del 2005, i principi applicabili al tema del danno non patrimoniale dovevano ritenersi quelli secondo cui:

a) mentre per il risarcimento del danno patrimoniale il riferimento al “danno ingiusto” comporta una atipicità dell’illecito ex art. 2043, come ribadito dal Cass. ss. uu. 500/1999 in tema di risarcibilità degli interessi legittimi, eguale principio di atipicità non può essere affermato in tema di danno non patrimoniale risarcibile;

b) la lettura costituzionale dell’art. 2059 limita oggi il risarcimento dei danni non patrimoniali ai casi previsti dalla legge ed a quelli di lesioni di specifici valori costituzionalmente garantiti della persona;

c) di conseguenza, appare illegittimo ogni riferimento ad una generica categoria di danno esistenziale nella quale far confluire fattispecie non previste dalla norma e non necessitate dall’interpretazione costituzionale dell’art. 2059 c.c. perché questo comporterebbe la atipicità anche del danno non patrimoniale;

d) quanto, poi, al risarcimento del danno da uccisione del congiunto per la definitiva perdita del rapporto parentale, questo sarebbe legittimo perché il relativo interesse si concreta nell’interesse alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia, alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell’ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29, 30 Cost.: essa si colloca nell’area del danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 e si distingue sia dall’interesse al bene “salute” (protetto dall’art. 32 e tutelato attraverso il risarcimento del danno biologico) sia dall’interesse all’integrità morale {protetto dall’art. 2 della Costituzione e tutelato attraverso il risarcimento del danno morale soggettivo).

9) Nell’ottica dell’adozione di una posizione per così dire “intermedia” (pur non discorrendo espressamente di danno esistenziale), merita ancora menzione la pronuncia di cui a Cass. 6732/2005, secondo la quale la lesione di diritti inviolabili o fondamentali e di interessi giuridici protetti perché inerenti a beni della vita o essenziali per la comunità, come l’habitat, l’inquinamento, l’ambiente di lavoro, comporta una eterogeneità di situazioni che rendono difficile una classificazione categoriale generale, ma, ciò nonostante, la lesione della reputazione dell’imprenditore derivante dall’illegittimo protesto, in quanto incidente su valori fondamentali della persona, determina un danno non patrimoniale che risulta risarcibile ai sensi dell’art. 2059 anche in assenza dell’accertamento di un fatto reato.

10) La nuova architettura dell’illecito così come disegnata nel 2003 troverà, peraltro, una ulteriore,

autorevole conferma nella sentenza delle stesse sezioni unite di questa Corte suprema del marzo 2006: sia pur in relazione ad una specifica e peculiare vicenda come quella del demansionamento e della dequalificazione di un lavoratore subordinato, si affermerà, difatti, verbis apertis (e in una linea di ideale continuità con le pronunce del 2003) benché a livello di obiter dictum che “il danno non patrimoniale all’identità professionale sul luogo di lavoro, all’immagine o alla vita di relazione o comunque alla lesione del diritto fondamentale del lavoratore alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro è tutelato dagli artt. 1 e 2 della Costituzione”; si specificherà, in relazione a tale vicenda di danno, che esso consiste in ogni pregiudizio che l’illecito (datoriale) provoca sul fare a-reddituale del soggetto, alterando le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, sconvolgendo la sua quotidianità e privandolo di occasioni per la espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno”; si aggiungerà ancora che “peraltro, il danno esistenziale si fonda sulla natura non meramente emotiva e interiore propria del cd. danno morale, ma oggettivamente accertabile del pregiudizio”, per concludere, avuto riferimento al profilo probatorio in relazione al quale era insorto il contrasto di giurisprudenza, che “non è sufficiente la prova della dequalificazione dell’isolamento e della forzata in operatività … ma è necessaria quella di tutto ciò che concretamente ha inciso in senso negativo nella sfera del lavoratore”, con la sola differenza, rispetto al danno biologico, che, “mentre questo non può prescindere dall’accertamento medico legale, quello esistenziale può essere verificato mediante la prova testimoniale, documentale o presuntiva che dimostri, nel processo, i concreti cambiamenti che l’illecito ha apportato in senso peggiorativo della qualità della vita del danneggiato: non meri dolori, ma scelte di vita diverse”.

11) All’indomani di questa pronuncia, autorevoli (benché non unanimi) voci di dottrina rilevarono la necessità di convenire, anche solo in parte, con chi aveva sempre sostenuto che la giurisprudenza di legittimità, non intendendo mai negare cittadinanza ad una certa “area” ricoperta dal danno esistenziale, aveva inteso ridefinirla sistematicamente, accogliendone un’ idea di “danno relazionale” alla salute anche in mancanza del suo presupposto ex lege, e cioè di una lesione accertata sul piano medico legale, in un anelito di ridefinizione del danno alla salute complessivamente inteso in termini sempre più omogenei rispetto a quelli affermati dall’organizzazione mondiale della sanità, e cioè di “uno stato di completo benessere psico-fisico inteso non soltanto come assenza di malattia”.

12) L’armonia dell’iter ricostruttivo della fattispecie così come ipotizzato dalle sezioni unite nel marzo 2006 si dissolve bruscamente per effetto di due successive sentenze di questa stessa sezione (Cass. 17.7.2006 n. 15760; Casso 9.11. 2006 n. 23918), fortemente idiosincratiche, già sul piano strettamente lessicale, rispetto al sintagma “danno esistenziale”.

A mente della seconda delle due pronunce ora citata, difatti, ai fini dell’art. 2059, non può farsi riferimento ad una generica categoria di “danno esistenziale”, poiché attraverso questa via si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità, sia pur attraverso l’individuazione dell’apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale.

Per meglio intendere la portata del principio di tipicità del danno non patrimoniale predicato in sentenza, è necessario esaminarne ulteriormente la parte motiva, ove si legge che, “mentre per il risarcimento del danno patrimoniale, con il solo riferimento al danno ingiusto, la clausola generale e primaria dell’art. 2043 c. c. comporta un’atipicità dell’illecito, come esattamente affermato a seguito degli arresti della S.C. nn. 500 e 501 del 1999, eguale principio di atipicità non può essere affermato in tema di danno non patrimoniale risarcibile.

Infatti la struttura dell’art. 2059 c.c. limita il risarcimento del danno non patrimoniale ai soli casi previsti dalla legge”.

Ulteriore precisazione operata dalla sentenza in discorso, quella secondo cui, nella comprensibile esigenza di “non contraddizione” con il dictum delle sezioni unite, il danno esistenziale sarebbe confinato entro la circoscritta dimensione del rapporto contrattuale, tale essendo stata la fattispecie in concreto portata all’attenzione delle sezioni unite della corte e risolta con la sentenza del marzo 2006.

Sarebbe, pertanto, identificabile un danno esistenziale da rapporto contrattuale – quale quello di lavoro, che ripete la sua ragion d’essere dall’art. 2087 – e un danno da illecito extracontrattuale non definibile come “esistenziale”, perché “ai fini dell’art. 2059 non può farsi riferimento ad una generica categoria di danno esistenziale dagli incerti e non definiti confini …”

13) Da ascriversi, ancora, all’orientamento anti-esistenzialista post 2003, le sentenze della stessa III sezione civile nn. 23918 del 2006, 9510 e 9514 del 2007, 14846 del 2007 (quest’ultima resa in tema di danno da uccisione dell’animale di affezione).

Nell’ambito del filone “esistenzialista” troveranno viceversa spazio le pronunce 13546/2006 e 2311/2007, in un crescendo di sempre più marcata antinomia di posizioni che hanno indotto una recente e fortemente critica dottrina a rilevare come, addirittura, “accada che relatore di una sentenza dove trova conferma il danno esistenziale nella forma di perdita della capacità di avere rapporti sessuali per conseguita impotentia coeundi” sia addirittura “lo stesso magistrato che, soltanto qualche mese prima si era espresso negativamente sulla figura del danno esistenziale”.

14) La dottrina non ha poi mancato di osservare come, a mente del capo III, titolo X, D.lgs. 209/2005 (cd. “codice delle assicurazioni”), il combinato disposto degli artt. 137 (danno patrimoniale) e 138/139 (danno biologico) potrebbe addirittura indurre a ritenere legittimamente risarcibili soltanto tali voci di danno, dovendosi per volontà dello stesso legislatore identificare ormai l’intero danno non patrimoniale con il danno biologico, così abbandonando la triplice configurazione prospettata nel 2003.

Le attuali posizioni giurisprudenziali (e ancor più dottrinarie), caratterizzate da forti momenti di contrasto (e da non poca confusione) sugli aspetti morfologici e funzionali del danno non patrimoniale postula, dunque, un nuovo e non più rinviabile intervento delle sezioni unite di questa corte, intervento, d’altronde, sempre più intensamente auspicato in tutti gli ambienti (forensi, dottrinari, giurisprudenziali) degli attuali operatori del diritto, onde fornire definitiva risposta ai molteplici quesiti che il tema del danno non patrimoniale tuttora pone, e che possono così sintetizzarsi:

1) Rispetto alla tripartizione delle categorie del danno non patrimoniale operata dalla corte costituzionale nel 2003, è lecito ed attuale discorrere, a fianco del danno morale soggettivo e del danno biologico, di un danno esistenziale, con esso intendendosi il danno derivante dalla lesione di valori / interessi costituzionalmente garantiti, e consistente nella lesione al fare a-reddituale del soggetto, diverso sia dal danno biologico (cui imprescindibile presupposto resta l’accertamento di una lesione medicalmente accertabile) sia dal danno morale soggettivo (che attiene alla sfera dell’intimo sentire)?

2) I caratteri morfologici del danno “esistenziale” così rettamente inteso consistono nella gravità dell’offesa del diritto costituzionalmente protetto (come pur postulato da autorevole dottrina), ovvero nella gravità e durevolezza delle conseguenze dannose scaturenti dal comportamento illecito ?

3) Va dato seguito alla teoria che distingue tra una presunta “atipicità dell’illecito patrimoniale” rispetto ad una presunta “tipicità del danno non patrimoniale” (Cass. 15022/2005, secondo la quale, come si è già avuto modo di ricordare in precedenza, mentre per il risarcimento del danno patrimoniale, con il solo riferimento al danno ingiusto, la clausola generale e primaria dell’art. 2043 c. c. comporta un’atipicità dell’illecito, eguale principio di atipicità non può essere affermato in tema di danno non patrimoniale risarcibile che sarebbe, dunque, tipico in quanto la struttura dell’art. 2059 c. c. limita il risarcimento del danno non patrimoniale ai soli casi previsti dalla legge”), o va piuttosto precisato che quello della atipicità dell’illecito di cui alla Generalklausel dell’art. 2043 è concetto riferibile all’evento di danno, inteso (secondo la migliore dottrina che si occupa dell’argomento fin dagli anni 60) come lesione di una situazione soggettiva giuridicamente tutelata, e giammai come conseguenza dannosa dell’illecito, sì che il parallelismo con la (pretesa, ma non dimostrata) “tipicità del danno non patrimoniale” parrebbe confondere,anche rispetto a tale ultima fattispecie, il concetto di evento di danno con quello di conseguenza dannosa dell’evento ?

4) Deve, ancora, darsi seguito all’orientamento, espresso da Cass. n. 23918 del novembre 2006, secondo il quale il dicturn di cui alla sentenza a sezioni unite di questa corte del precedente mese di marzo doveva intendersi limitato, quanto al riconosciuto danno esistenziale, al solo ambito contrattuale, ovvero affermarsi il più generale principio secondo cui il danno esistenziale trova cittadinanza e concreta applicazione tanto nel campo dell’illecito contrattuale quanto in quello del torto aquiliano?

5) A quale tavola di valori/interessi costituzionalmente garantita pare corretto riferirsi, oggi, per fondare una legittima richiesta risarcitoria a titolo di danno esistenziale?

In particolare, un danno che non abbia riscontro nell’accertamento medico, ma incida tuttavia nella sfera del diritto alla salute inteso in una ben più ampia accezione (come pur postulato e predicato in sede sovranazionale) di “stato di completo benessere psico-fisico” può dirsi o meno risarcibile sotto una autonoma voce di danno esistenziale da lesione del diritto alla salute di tipo non biologico dacché non fondato su lesione medicalmente accertabile ? (la questione trova una sua possibile, concreta applicazione, tra le altre, nella vicenda dell’uccisione dell’animale di affezione, di cui sopra si è dato cenno) ;

6) Quali sono i criteri risarcitori cui ancorare l’eventuale liquidazione di questo tertium genus di danno onde evitare illegittime duplicazioni di poste risarcitorie?

Possono all’uopo soccorrere, in parte qua (come accade per il danno morale soggettivo) le tabelle utilizzate per la liquidazione del danno biologico, ovvero è necessario provvedere all’elaborazione di nuove ed autonome tabelle?

7) Quid iuris, ancora, in ordine a quella peculiare categoria di danno cd. “tanatologico” (o da morte immediata), la cui risarcibilità è stata costantemente esclusa dalla giurisprudenza tanto costituzionale quanto di legittimità, ma che pare aver ricevuto un primo, espresso riconoscimento, sia pur a livello di mero obiter dictum, con la sentenza n. 15760 del 2006 della III sezione di questa corte?

8) Quali sono, in concreto, gli oneri probatori e gli oneri di allegazione posti a carico del danneggiato che, in giudizio, invochi il risarcimento del danno esistenziale (il problema si è posto in tutta la sua rilevanza in fattispecie quali quella dell’uccisione di un figlio minore: la relativa domanda risarcitoria è stata, difatti, negata, con riferimento al caso di specie, da Cass. 20987/2007, proprio in relazione ad una vicenda di uccisione di una giovanissima figlia, per insufficiente allegazione e prova, da parte dei genitori/attori, della relativa situazione di danno, diversa da quella relativa al danno morale soggettivo e da quella psicofisica di danno biologico)”.

Le sezioni unite sono altresì chiamate a dare conferma (o, eventualmente, a precisare o modificare), sulla base della propria stessa giurisprudenza, in ordine ad alcune ulteriori proposizioni, che possono così sintetizzarsi:

1) il danno patrimoniale è risarcibile ex art. 2043 c.c., quello non patrimoniale secondo il combinato disposto degli artt. 2043 + 2059 c.c.;

2) la categoria del danno patrimoniale si articola nelle due sotto-voci del lucro cessante e del danno emergente;

3) la categoria del danno non patrimoniale si articola a sua volta in un sottosistema composto dal danno biologico in senso stretto, dal danno esistenziale, dal danno morale soggettivo;

4) il danno biologico e il danno esistenziale hanno morfologia omogenea (entrambi integrano una lesione di fattispecie costituzionali, quella alla salute il primo, quelle costituite da “valori/interessi costituzionalmente protetti” il secondo) ma funzioni diversificate (anche per volontà del legislatore ordinario), con conseguenti differenze sul piano dei parametri valutativi delle poste risarcitorie;

5) in particolare, il danno esistenziale attiene alla sfera del fare a-reddituale del soggetto, e si sostanzia nella lesione di un precedente “sistema di vita”, durevolmente e seriamente modificato, nella sua essenza, in conseguenza dell’illecito;

6) il danno morale soggettivo si caratterizza, invece, per una diversa ontogenesi, restando circoscritto nella sfera interiore del sentire, mai destinata all’obbiettiva esteriorizzazione;

7) tanto il danno esistenziale quanto il danno morale soggettivo sono incondizionatamente risarcibili entro i limiti della riserva di legge di cui all’art. 2059 c.c.;

8) tanto il danno esistenziale quanto il danno morale soggettivo sono risarcibili anche oltre quei limiti se (e solo se) il comportamento del danneggiante abbia inciso su valori/interessi costituzionalmente tutelati (e il superamento del limite della riserva di legge vale tanto per l’una quanto per l’altra categoria di danno, come si legge testualmente nella sentenza 8828/2003 della S.C.);

9) tanto il danno esistenziale quanto il danno morale soggettivo sono risarcibili se (e solo se) di entrambi il danneggiato fornisca la prova (anche mediante allegazioni e presunzioni), non esistendo, nel nostro sottosistema civilistico, danni in re ipsa”.



P.Q.M.

La Corte rimette gli atti del procedimento al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite.

Così deciso in Roma, li 19.12.2007

DEPOSITATO IN C.ANCELLERIA

Oggi 25 FEB. 2008

Redazione

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