Sull’autocertificazione risultata non veritiera in altra gara

L’amministrazione appaltante ha il potere – dovere di disattendere l’autocertificazione che è risultata non veritiera in altra gara ?



Con questa interessante sentenza, il Consiglio di Stato precisa come l’autocertificazione non abbia una funzione certificatoria, ma di allegazione di affermazioni circa fatti o stati di cui si sia domandata la dimostrazione. In altre parole, l’autocertificazione non costituisce certezze pubbliche, ma, in un’ottica di semplificazione, attenua l’onere dimostrativo del privato.

Stante tale premessa, la stazione appaltante può sempre verificare la veridicità dell’autocertificazione prodotta in gara e la conoscenza della sua non veridicità acquisita in una gara rileva anche rispetto ad altra gara.

Nel caso sottoposto al vaglio del Consiglio di Stato, l’amministrazione, una volta acquisita la conoscenza della non veridicità dell’autocertificazione con cui un’impresa aveva dichiarato in una gara di possedere il requisito della regolarità contributiva, aveva il dovere di procedere alla rilevazione dell’assenza del suddetto requisito, anche in una diversa gara, superando in tal modo il contenuto dell’autocertificazione dalla stessa prodotta.

Di seguito, il testo della sentenza

. . . . .

Consiglio di Stato, Sez. V

Sentenza numero 1608 del 14 aprile 2008



(presidente ed estensore Severini)

(…)

Diritto

L’appello è infondato e va respinto e la sentenza di primo grado va confermata.

La gara in questione afferiva ai lavori di manutenzione straordinaria della Grande Viabilità nei Municipi da XI a XX del Comune di Roma.

Questa gara era parallela ad un’altra riguardante i Municipi da I a X, in un quadro complessivo di appalto frazionato con evidenti riguardi ai fini della soglia comunitaria. Entrambe erano state bandite per un medesimo oggetto con due contestuali delibere della Giunta Comunale di Roma (le delibere 6 aprile 2005 nn. 168 e 169). In quell’altra sede di gara era stata accertata la carenza dei requisiti di regolarità contributiva della mandante Costruzioni Conglomerati ed Affini e perciò l’esclusione dell’ATI C.E.S.I. di D’Attanasio Bruno & C. con Costruzioni Conglomerati ed Affini. L’omessa parallela esclusione di quest’ultima anche dalla gara in oggetto – per quanto non ne fosse aggiudicataria (tale infatti era risultata la alla Soc. Cicchetti Remo & Figlio) – ha cagionato un diverso calcolo della soglia di anomalia e dunque dell’aggiudicazione: tale per cui, se invece si fosse diversamente proceduto, automaticamente la gara sarebbe stata aggiudicata alla Preneste Appalti s.r.l..

Il tema su cui la sentenza di primo grado si è incentrata e sul quale poggia l’appello del Comune di Roma, è se l’amministrazione appaltante avesse o meno il potere-dovere di disattendere l’autocertificazione, rivelatasi non veritiera nell’altra gara, anche nella gara qui in esame, malgrado in questa sede – a differenza di quella – l’autocertificazione non fosse stata sottoposta (per sorteggio) al vaglio critico e dunque non fosse risultata immediatamente non veritiera.

La Sezione ritiene che correttamente abbia deciso nel primo senso il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio.

La questione va affrontata ponendo attenzione alla ragione e alla natura della dichiarazione sostitutiva circa la regolarità contributiva, nella specie domandata da bando e presentata dalla ditta risultatane esclusa nell’altra gara.

Una concezione formalistica ed esclusiva dell’autocertificazione, per cui la conoscenza della sua non veridicità acquisita dall’Amministrazione in una gara non spiegherebbe effetti di sorta anche in un’altra gara, parallela e di simile oggetto, violerebbe sia elementari canoni di logica (un medesimo soggetto non può non sapere ciò che ufficialmente sa in una sede contestuale), sia il principio costituzionale di buon andamento della attività amministrativa, che esige che l’Amministrazione si avvalga dei mezzi di conoscenza di cui già dispone e non ne neghi senza ragione la capacità dimostrativa.

Al tempo stesso, una siffatta concezione trasformerebbe indebitamente l’”autocertificazione” (cioè la dichiarazione sostitutiva di certificazioni, come meglio si esprime l’art. 46 (L-R) d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445) da mezzo di speditezza ed alleggerimento dell’attività istruttoria, cioè di semplificazione delle formalità del rapporto (per cui è il dichiarante ad attestare direttamente ciò che in principio dovrebbe attestare tramite onerose produzioni documentali), a mezzo di prova legale a garanzia del solo dichiarante, tale per cui quanto egli attesa non può essere superato se non nei casi stabiliti, con corrispondente irragionevole assunzione doverosa di rischio circa la mendacia della dichiarazione a carico della pubblica amministrazione per ciò che non attiene la modesta aliquota di sorteggiati da verificare; e con corrispondente esenzione del dichiarante dalla responsabilità, vale a dire dalla causa medesima su cui poggia l’istituto dell’autocertificazione.

Vale a tal fine rammentare che, nell’impianto delle norme che la hanno introdotta, la possibilità di procedere sulla base di dichiarazioni sostitutive esalta e non attenua la responsabilità del dichiarante quando gli consente di attenuare le incombenze istruttorie pubbliche.

In realtà, la dichiarazione sostitutiva di certificazioni ha una funzione non certificatoria, ma solo di allegazione infraprocedimentale di affermazioni circa fatti o stati di cui si domanda la dimostrazione.

L’amministrazione, al di là dei controlli a campione, è tenuta a verificarla ogniqualvolta sorgono fondati dubbi sulla veridicità del dichiarato (art. 71 (L-R) d.P.R. n. 445 del 2000) e una volta che sia comunque, anche aliunde, entrata nella certezza della non veridicità, ha il dovere di trarne senz’altro le conseguenze.

L’autocertificazione infatti non costituisce certezze pubbliche, ma solo attenua, e precariamente, all’interno del singolo procedimento, l’onere delle dimostrazioni che il privato sarebbe tenuto ad offrire tramite documenti pubblici. In ragione di questa stretta finalità semplificatoria, il suo contenuto resta sempre necessariamente esposto alla prova contraria.

In questo quadro, il patrimonio conoscitivo dell’amministrazione, anche altrove formato, non soffre restrizioni o preclusioni nell’utilizzazione per effetto dell’autonomia dei procedimenti amministrativi: la sua utilizzazione anche in procedimenti doversi è resa anzi doverosa dal principio generale di buona amministrazione. Del fatto che questo patrimonio, comunque formato, resti dominante sulle allegazioni private è indice, prima ancora del dovere di controllo, la regola espressa nell’art. 18, comma 2, l. n. 241 del 1990, secondo cui, quando l’amministrazione già è in possesso di documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, li acquisisce d’ufficio al procedimento che sta trattando, senza che ciò debba esserle domandato dall’interessato (v. anche art. 43 (L-R) d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445). Quel principio di autonomia del singolo procedimento, in effetti, non può non essere rapportato alla considerazione dell’identità del soggetto procedente, e dunque dalla non frazionabilità delle sue conoscenze comunque acquisite e documentate, specie quando, come in questo caso, vi sia identità di oggetto e palese connessione tra i due procedimenti di gara.

Correttamente, a questo riguardo, il giudice di prime cure rileva che l’autocertificazione costituisce non un mezzo di garanzia del dichiarante (tale per cui quanto egli attesa non può essere superato se non nei casi stabiliti), ma un semplice mezzo di speditezza dell’attività amministrativa, cioè di semplificazione procedimentale inerente alle formalità del rapporto, per cui il suo contenuto resta sempre e comunque esposto alla verifica ad opera della destinataria amministrazione: verifica che avviene indifferentemente o con i metodi previsti del sorteggio, o per altra causa, come la presente, senza che sia coperta, seppure solo in parte, da una qualche riserva metodologica di acclaramento. La modesta aliquota di sorteggiati da verificare (di cui all’art. 10, comma 1-quater, l. 11 febbraio 1994, n. 109) indica solo il dovere dell’Amministrazione di procedere al vaglio su un campione minimo causale, ma non una limitazione al potere di vaglio stesso. Il fondamento di questa permeabilità non lede alcuna forma posta a garanzia dell’interessato (mettendo qui in disparte ogni considerazione sull’interesse dell’appaltante Comune di Roma, piuttosto che dell’aggiudicataria, a sollevare un siffatto argomento).

Rileva infatti il Collegio che la partecipazione dell’interessato nel procedimento amministrativo, a differenza di quanto è prescritto nei processi, non si esprime come parità dialettica di condizioni nella formazione della conoscenza ai fini della decisione, ma come semplice opportunità di contraddittorio informato e che non sussiste una limitazione all’utilizzabilità del dato in altri procedimenti amministrativi.

A parte la struttura bilaterale e non trilaterale del procedimento amministrativo rispetto al processo, qui la finalità non è un accertamento di giustizia, ma la miglior cura concreta di interessi pubblici e questo implica, di principio, la libertà istruttoria, la quale non è ristretta né condizionata, ma semmai solo agevolata dall’apporto dimostrativo dell’interessato. Perciò, da un lato, nel singolo procedimento non può razionalmente sussistere alcuna limitazione legale alla verifica di questo apporto; da un altro lato, tra procedimenti, non vale il principio dell’incomunicabilità reciproca delle conoscenze acquisite nel contraddittorio delle diverse sequenze, ma all’opposto quello della circolazione e dello scambio dei dati e delle informazioni.

Questi principi ben collocavano l’Amministrazione nella condizione di, in rispetto alla buona amministrazione e alla parità di condizioni tra i concorrenti, dover dichiarare d’ufficio, anche in autotutela, l’assenza del requisito della regolarità contributiva della mandante Costruzioni Conglomerati ed Affini dell’ATI C.E.S.I., che era stato accertato per la gara riguardante i Municipi da I a X (in smentita dell’autocertificazione) anche nella gara riguardante i Municipi da XI a XX; dal che vi derivava senz’altro l’esclusione della stessa ATI C.E.S.I. di D’Attanasio Bruno & C. con Costruzioni Conglomerati ed Affini dalla gara (posto che il bando prevedeva che “i concorrenti dovranno essere in regola con i versamenti contributivi e previdenziali a favore del personale dipendente, da dimostrarsi, a pena di esclusione con le modalità del disciplinare di gara”, ovvero mediante “autocertificazione attestante il possesso del requisito di regolarità contributiva che dovrà essere effettuata utilizzando esclusivamente il fac simile (modello definito dagli enti previdenziali) allegato al disciplinare di gara”) e, per conseguenza ulteriore, il diverso calcolo della anomalia, con ogni automatica conseguenza circa la diversa individuazione della ditta aggiudicataria, così come sostenuto dall’appellata.

La circostanza, dunque, che l’autocertificazione presentata in questa gara dalla stessa ATI non fosse stata smentita dai controlli a campione dell’Amministrazione, era irrilevante di fronte a siffatta conoscenza altrimenti acquisita.

A parte la sanzione formalmente prevista dalla lex specialis, è del resto acquisito che l’omesso assolvimento degli obblighi di versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali a favore della mano d’opera occupata causa l’esclusione dalla gara perché indica l’incapacità o, quanto meno, la difficoltà economico-finanziaria dell’impresa concorrente (Cons. Stato, V, 8 febbraio 2005, n. 341).

Questa situazione inabilitante alla partecipazione, anche se non si trattava dell’aggiudicataria, metteva l’Amministrazione – come bene ha valutato il primo giudice – nella condizione, una volta acquisita la conoscenza della non veridicità dell’autocertificazione, di doverosamente procedere alla rilevazione dell’assenza del requisito della regolarità contributiva della stessa ATI C.E.S.I,. anche nella gara qui al vaglio e dunque di superare in tal modo, eventualmente anche per la via dell’autotutela, il contenuto dell’autocertificazione dalla stessa prodotta: sia per detto effetto inabilitante, finalizzato alla corretta applicazione dell’aggiudicazione automatica a seguito del calcolo dell’anomalia e alla garanzia della parità fra i concorrenti sia in prevenzione del risarcimento dei danni dei controinteressati. Non vi era di ostacolo la posizione dell’impresa esclusa, avendo la stessa dato causa all’esclusione mediante l’autocertificazione non veritiera.

Corretta è dunque la considerazione, specifica in relazione alla vicenda oggetto della controversia, che l’Amministrazione non trovava ostacoli al corretto esplicarsi della sua azione, anche in autotutela, né nell’urgenza dell’opera, né nella posizione dell’impresa esclusa, che aveva dato luogo alla non corretta autocertificazione, né nella posizione della seconda controinteressata, posta la natura provvisoria dell’aggiudicazione a suo favore. E che anzi la prospettiva del debito risarcitorio le imponeva un siffatto comportamento.

Non solo l’aggiudicazione è dunque invalida, ma anche gli altri atti impugnati: e correttamente ha deciso il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio cin la sentenza qui gravata.

Il ricorso va perciò respinto.

Il soccombente Comune di Roma, appellante, va condannato alla rifusione delle spese processuali dell’appellata Preneste Appalti s.r.l., che si liquidano in € 5.000 (cinquemila).

P.Q.M.



Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello e conferma la sentenza impugnata del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio. Condanna il Comune di Roma alla rifusione delle spese processuali della appellata Preneste Appalti s.r.l., che si liquidano in € 5.000 (cinquemila).

Redazione

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