La questione interpretativa sulle societa’ miste per la gestione dei servizi pubblici di rilevanza industriale

Il
Comune di Vittoria, assistito dagli avvocati Carmelo Giurdanella e
Angela Bruno, si è costituito innanzi alla Corte di
Giustizia
delle
Comunità Europee, innanzi alla quale pende la questione
interpretativa sollevata dal Tar Catania con l’ordinanza numero
164/08, pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 2
agosto scorso.
La
vicenda concerne la scelta
del socio privato da parte dell’Ato Idrico di Ragusa, per
l’affidamento in concessione della gestione del Servizio Idrico
Integrato, e vede anche coinvolti la provincia di  Ragusa ed i Comuni
di Acate, Chiaramonte Gulfi, Comiso, Giarratana, Ispica, Modica,
Monterosso Almo, Pozzallo, Ragusa, Santa Croce Camerina, Scicli.

Questo
il quesito sottoposto all’attenzione del Giudice comunitario:
“Se
è conforme al diritto comunitario, in particolare agli
obblighi di
trasparenza e libera concorrenza di cui agli articoli 43, 49 e 86
del Trattato, un modello di
società mista pubblico-privata
costituita
appositamente per l’espletamento di un determinato
servizio
pubblico di rilevanza industriale e con oggetto sociale
esclusivo,
che sia direttamente affidataria del servizio in
questione,
nella quale il socio privato con natura “industriale” ed
“operativa”,
sia selezionato mediante una procedura di evidenza
pubblica,
previa verifica sia dei requisiti finanziari e tecnici che di
quelli
propriamente operativi e gestionali riferiti al servizio da
svolgere
e alle prestazioni specifiche da fornire”

Di
seguito, si riporta la parte in diritto dell’ordinanza del Tar
Catania.

. . . . .

TAR Sicilia, Catania,
sezione III


Ordinanza di rimessione numero 164 del 2008


(presidente Salamone,
relatore Milana)


(…)

Ritenuto in fatto e
considerato in diritto quanto segue

Con Decreto Pres. Reg. sic. 16.05.2000 sono stati individuati gli
Ambiti Territoriali Ottimali ( di seguito denominati A.T.O. ) e con
successivo Decreto Pres. Reg. sic. 7.08.2001 sono state fissate le
modalità di costituzione. In attuazione del Decreto Pres.
Reg. sic. da ultimo richiamato in data 10.07.2002 veniva stipulata la
Convenzione di Cooperazione tra i Comuni iblei e la Provincia Regionale
di Ragusa che ha costituito l’A.T.O. idrico di Ragusa (
di   seguito  Autorit 
d’Ambito). Detta Convenzione è stata successivamente
aggiornata e modificata in data 7.06.2005.
 L’Assemblea   dei  
Sindaci   e  
del   Presidente   della Provincia
in data 20.12.2002 approvava  il Piano d’Ambito ( di seguito
p. d. A) e successivamente in data 26.03.2004 sceglieva la forma di
gestione del S.I.I. individuandola nella “società mista a
prevalente capitale pubblico” di cui all’art. 13 comma 5 lettera b) del
T.U. 267/2000 e s.m.i. In data 7.06.2005, la Conferenza dei Sindaci e
del Presidente della Provincia riapprovava con modifiche gli schemi di
atto costitutivo della  S.P.A.,  
dello   Statuto  della  
SpA.   e   della 
richiamata Convenzione di gestione che prevedeva all’art. l
l’affidamento diretto del servizio in via esclusiva alla costituenda
Società mista ( gestore del S.I.I.), mentre rimaneva
immutato il disciplinare di gara. Veniva stabilito, inoltre, un termine
(15 luglio 2005 ) entro il quale i Consigli comunali e provinciale
avrebbero dovuto adottare gli atti di competenza.

Successivamente veniva diramato, previa modifica,  
un nuovo bando di gara   per la selezione
dell’imprenditore, socio privato di minoranza,al 
quale  affidare  l’attivit 
operativa  del  S.I.I.  e l’esecuzione dei
lavori connessi ” intendendosi per essi, i lavori previsti nel Piano
Operativo Triennale approvato nella conferenza dei Sindaci del
15.12.2003 ovvero nella offerta migliorativa presentata … al punto 8
dell’art. 1 del disciplinare di gara veniva previsto che “Le opere da
realizzare sono quelli rientranti nel P.O.T., così come
modificato e/o integrato dall’offerta, nonché nel
successivo  progetto   conoscenza 
previsto  nel 
p.d.A.”      Si
prevedeva,   nel medesimo punto 8 che “per
l’affidamento dei lavori non eseguiti direttamente dal socio privato si
dovrà fare ricorso alle procedure di evidenza pubblica
previste per legge”.
In appendice al disciplinare di gara ( art. 17) veniva indicato il
contenuto minimo obbligatorio dei patti parasociali e tra questi
assumono rilevanza in questa sede la previsione di cui alla lettera f
“nell’eventualità che, nell’esercizio delle proprie
prerogative, i competenti organi deliberassero di collocare in Borsa
una parte delle azioni possedute dal socio pubblico, riconoscimento al
socio di minoranza del 50% della plusvalenza rispetto al valore
nominale conseguita col collocamento in borsa al netto degli oneri
fiscali”.

Alla  gara partecipavano  tre 
raggruppamenti  di  imprese  con
capogruppo   mandataria  
Saceccav   Depurazioni  
Sacede   SpA, Acoset SpA e Aqualia SpA. Insediata la
Commissione di gara, quest’ultima escludeva il R.T.I. AQUALIA SpA ed
ammetteva gli altri. Successivamente, il R.d.P. invitava le ditte
rimaste in gara a dichiarare se persisteva il loro interesse. Dava
riscontro positivo Acoset SpA. L’Autorità d’Ambito a tal
punto, anzicchè procedere alla presa d’atto
dell’aggiudicazione e alla costituzione della società mista
di gestione per l’immediato avvio del servizio e la fruizione dei fondi
comunitari,  nella  seduta  del 
26  febbraio  2007,  paventando
l’illegittimità della procedura espletata
per   contrasto col diritto
comunitario,   ha  
deliberato   “…l’avvio  
del   procedimento   di
annullamento della procedura di scelta del contraente di cui alle
superiori premesse, fermo restando che la determinazione
sarà successiva  e  
conseguente   alle 
valutazioni   e   determinazioni
previste dal successivo punto 3; Di dare mandato al Responsabile del
procedimento di comunicare tempestivamente ai soggetti interessati allo
svolgimento e definizione della procedura di
gara     per la scelta del socio
privato contraente l’avvio del procedimento inteso alla adozione
dell’atto e di assegnare il termine di 15 giorni per l’esercizio delle
facoltà partecipative di cui all’articolo 7 e ss.

Della legge 7 agosto 1990 n. 241; Di dare, altresì, mandato
al responsabile del procedimento, una volta acquisiti gli atti ed i
documenti di cui alle facoltà partecipative esercitate dai
privati interessati, di sottoporre gli stessi e gli atti della esperita
istruttoria procedimentale alla valutatone e determinazione dei
competenti Consigli Comunali e Provinciali degli Enti facenti parte
dell’ATO Idrico, nel termine di giorni 20 dalla richiesta, secondo
schema di deliberazione all’uopo predisposto dalla conferenza dei
Sindaci e del Presidente della Provincia.. .”. La Segreteria Tecnico
Operativa dell’ATO quindi, con nota del 28 febbraio 2007 ha comunicato
alla società ACOSET l’avvio del procedimento di annullamento
assegnandole un termine per l’esercizio delle facoltà
partecipative di cui all’articolo 7 della legge 241/90 .
La società ACOSET quindi, ha partecipato al procedimento
trasmettendo le proprie controdeduzioni con nota del 26 marzo
successivo.

La Conferenza dei Sindaci e del Presidente della Provincia Regionale di
Ragusa infine, ha proceduto in merito all’annullamento della procedura
di gara per la selezione del socio privato di minoranza della
costituenda società mista e, con verbale  del 2
ottobre 2007 numero 9, ha disposto l’annullamento della 
procedura di gara in questione e adottato quale forma di gestione del
servizio idrico quella del consorzio di cui all’articolo
31,     comma 8, del testo unico di
cui al decreto legislativo 267/00 (autorizzando il Presidente della
Provincia ed il RUP e Dirigente Responsabile  della 
S.T.O.  a porre  in  essere 
gli  atti  ed i comportamenti conseguenti alle
determinazioni di cui sopra).
Infine, con nota del 9 ottobre successivo, è stato
comunicato alla società ACOSET l’intervenuto annullamento
della procedura di gara.

Con il ricorso in epigrafe la ACOSET ha chiesto l’annullamento dei
provvedimenti indicati in epigrafe, e,con domanda cautelare ha chiesto
a   questo  
TAR   la  
sospensione   interinale  
degli   atti impugnati.
Avverso i provvedimenti impugnati la ricorrente ha proposto vari motivi
di ricorso formulando articolate censure  di violazione di
legge   sotto  
vari   profili,  
eccesso   di   potere, carenza di
istruttoria, incompetenza dell’organo deliberante.

In particolare  la  deducente  rileva
che  gli  atti  avversati  si
fonderebbero sul presupposto,secondo la prospettazione della deducente
erroneo, che le modalità di aggiudicazione del servizio de
quo(per la durata di trenta anni) sarebbero difformi dalla normativa
Comunitaria.

Rileva la ricorrente che nel caso concreto, sussisterebbero tutte le
condizioni individuate in ambito comunitario e nazionale, per la
compatibilita’ del   modello  
della   societ  
mista   col   diritto comunitario e
ciò in armonia con il parere del Consiglio di Stato n. 456
del 2007 che sulla questione si è così
pronunciato “… può affermarsi che il modello della
“società a capitale misto pubblico privato” esiste – come
distinto dall’in house – nell’ordinamento nazionale, sia nella
disposizione generale dell’alt. 113 t.u.e.l. che in varie disposizioni
speciali (come quella per il SIAN nel caso di specie). D’altro
canto, però, tale disciplina è in evoluzione, sia
de iure condito (art. 1, comma 2, e art. 32 del d.lgs. n. 163 del 2006;
art. 13 del d.l. n. 223 del 2006) che de iure condendo (AS n. 772),
poiché continua a suscitare perplessità la piena
compatibilita’ di tale modello con il sistema comunitario, alla stregua
della recente e rapida evoluzione
giurisprudenziale    e stante l’assenza di
decisioni specifiche sul punto. La Sezione – nei limiti del quesito in
esame – ritiene possibile affermare che tale compatibilita’ possa
essere rinvenuta, alla stregua dei principi espressi, direttamente o
indirettamente, dalla Corte di giustizia, quantomeno in un caso: quello
in cui – avendo riguardo alla sostanza dei rapporti giuridico-economici
tra soggetto pubblico e privato e nel rispetto di specifiche
condizioni, di cui si dirà infra, al punto 8.3 – non si
possa configurare un “affidamento diretto” alla società
mista ma piuttosto un “affidamento con procedura di evidenza pubblica”
dell’attività “operativa” della società mista al
partner privato, tramite la stessa gara volta alla individuazione di
quest’ultimo.  In altri termini, in questo caso, indicato di
regola come quello del “socio di lavoro”, “socio industriale” o “socio
operativo” (come contrapposti al “socio finanziario”), questo Consiglio
di Stato ritiene che l’attività che si ritiene “affidata”
(senza gara) alla società mista sia, nella sostanza, da
ritenere affidata (con gara) al partner privato scelto con una
procedura di evidenza pubblica che abbia ad oggetto, al tempo stesso,
anche l’attribuzione dei suoi compiti operativi e quella della
qualità di socio. La peculiarità rispetto alle
ordinarie procedure di affidamento sembra allora – rinvenirsi, in
questo caso, non tanto nell’assenza di una procedura di evidenza
pubblica (che, come si è detto, esiste e opera uno specifico
riferimento all’attività da svolgere) quanto nel tipo di
controllo dell’amministrazione appaltante sul privato esecutore: non
più l’ordinario “controllo esterno” dell’amministrazione,
secondo i canoni usuali della vigilanza del committente, ma un
più pregnante “controllo interno” del socio pubblico,
laddove esso si giustifichi in ragione di particolari esigenze di
interesse pubblico (che nell’ordinamento italiano sono comunque
individuate dalla legge)….”.

Il richiamato parere, afferma la ricorrente, esprimerebbe
perplessità solo nella ipotesi in cui si controverta di
“società miste aperte” nelle quali il socio non viene scelto
per finalità “definite” ma come partner privato di una
società “generalistica”. Sarebbe evidente come tale ipotesi
non è configuratale nella dedotta fattispecie.

Rileva inoltre la ricorrente che, in assenza di specifiche pronunce
della Corte di Giustizia sull’incompatibilità col diritto
comunitario del modello di società mista di cui all’articolo
113, quinto comma, lettera b) del decreto legislativo 267/2000, ed anzi
di indicazioni di segno opposto della Commissione e del Parlamento
Europeo, l’ordinamento nazionale registra, in aggiunta alle puntuali
decisioni del Consiglio di Stato numero 272/2005 e 3672/2005 e al
parere della Sezione Consultiva 458/2007, ulteriori orientamenti
giurisprudenziali che confermano la legittimità degli
affidamenti a società mista ai sensi dell’articolo 113,
comma 5, lettera b) del decreto legislativo 267/00.

Sul punto, nota la deducente, è stato recentemente, statuito
che “…la compatibilita’ con il sistema comunitario dell’istituto
della “società mista” può essere rinvenuta, alla
stregua dei principi espressi, direttamente o indirettamente, dalla
Corte di giustizia, quantomeno in un caso: quello in cui – avendo
riguardo alla sostanza dei rapporti giuridico-economici tra soggetto
pubblico e privato e nel rispetto di specifiche condizioni, (…)- non
si possa configurare un “affidamento diretto” alla società
mista ma piuttosto un “affidamento con procedura di evidenza pubblica”
dell’attività “operativa” della società mista al
partner privato, tramite la stessa gara volta alla individuazione di
quest’ultimo. Occorre quindi che il socio privato sia identificabile
quale “socio di lavoro” o socio industriale, assumendo in altri
termini, e per un periodo limitato, un ruolo meramente operativo e non
anche finanziario. Così posta la problematica relativa
all’istituto in esame, il ricorso alla “società mista”
risulta allora compatibile con le previsioni comunitarie (quantomeno)
nel caso in cui questa non costituisca, in sostanza, la beneficiaria di
un affidamento diretto, ma la modalità organizzativa con la
quale l’Amministrazione controlla l’affidamento disposto, con gara, al
“socio operativo” della società … ed ancora, che “… la
lettera dell’alt. 113, comma 5, lettera b) del d lgv, n. 267/2000, come
introdotto dall’art. 14 del d. lgv. n. 269/2003, autorizza
l’affidamento diretto di servizi pubblici locali a favore di
“società a capitale misto pubblico privato nelle quali il
socio privato venga scelto attraverso l’espletamento di gare
con  procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia
di  rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di
concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle
autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari
specifiche”. Sicché l’affidamento, a favore di una
società a partecipazione prevalente pubblica, al cui
capitale partecipano soci privati (nel caso di specie, nella misura del
22,76% ciascuno) che sono stati scelti con procedura ad evidenza
pubblica è legittimo, ricorrendo tutte le condizioni
stabilite dalla norma citata….”.

Da ciò conseguirebbe, ad avviso della deducente, che il
modello della società mista disciplinato dall’articolo 113,
comma 5, lettera b) del decreto legislativo 267/2000 è
pienamente compatibile col diritto  comunitario 
ed  assolutamente  legittimo;ed  altrettanto
legittimamente, possono farvi ricorso gli enti locali per la gestione
del servizio idrico (con l’ulteriore conseguenza, che tale norma
è stata erroneamente disapplicata dai comuni della provincia
con gli atti   impugnati,  
che   sono  
per   tale  
ragione   assolutamente illegittimi).

Pertanto   la 
ricorrente   chiede  
al   Collegio  
di   sottoporre   la problematica
al vaglio della Corte   di Giustizia della
Comunità Europea la questione della compatibilita’ con le
direttive Europee.
Le Amministrazioni resistenti, costituite in giudizio, rilevano che,
nel caso di specie,come risulta dagli atti di gara e dal bando ,la
stazione appaltante ha scelto come forma del gestione del servizio
idrico   lo schema   della ”
società mista a prevalente capitale pubblico” di
cui all’ari. 113 comma 5 lett. b del T.U. 267/2000 e successive
modifiche.

La citata disposizione  
del     D.Lgs. n. 267 del 2000 (nel
testo sostituito dall’ari. 35 della L. n. 448 del 2001 e modificato dal
comma 1 dell’ari. 14 del D.L. n. 269 del 2003, convertito in legge, con
modificazioni, dall’art. 1 della L. n. 326 del 2003) ammette che non si
proceda a gara pubblica e si affidi direttamente la gestione di servizi
pubblici locali a “società a capitale
interamente     pubblico a
condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale
esercitino sulla società un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la
parte più importante della propria attività con
l’ente o gli enti pubblici che la controllano”.

La citata disposizione trae origine dalla necessità
dell’ordinamento interno di conformarsi ai principi comunitari in
materia, come è dimostrato dalla circostanza che essa
consegue ad una procedura d’infrazione ovviata nei confronti della
Repubblica italiana – cfr. la procedura d’infrazione della Commissione
1999/2184 ex art. 226 del trattato, avviata con lettera n.
SG-2000-D/108243 dell’8 novembre 2000, con cui la Commissione ha messo
in mora l’Italia ritenendo che le modalità di affidamento
dei servizi pubblici locali, previste dall’ari. 22 della legge 8 giugno
1990 n. 142, in particolare alla lett. e), fossero in contrasto con
l’art. 11 paragrafo della direttiva 92/50 e con l’art. 20 della
direttiva 93/38 nonché con i principi di trasparenza, di
parità di trattamento e la successiva nota 26 giugno 2002
della L. 28 dicembre 2001 n. 448, nella quale si riscontravano
disposizioni non conformi ai principi di diritto comunitario.

Il bando ed il disciplinare tecnico allegato alla convenzione di
gestione , poi, oltre alla scelta del contraente prevedeva che lo
stesso aggiudicatario, socio di minoranza , avrebbe ricevuto V
affidamento diretto del servizio e l’esecuzione dei lavori.
Però, in base alla normativa europea gli affidamenti di
opere e servizi, in via diretta e senza gara,  sono consentiti
secondo quanto asserito dalla resistente solo a condizione che gli
stessi avvengano “in house”, ossia in favore di società a
partecipazione pubblica totalitaria,le quali realizzino la parte
più importante della propria attività con l’ente
pubblico che le controlla e sulle quali quest’ultimo eserciti un
controllo analogo a quello esercitato sui propri apparati burocratici
.11 giudice comunitario ,invece, escluderebbe,ad avviso
dell’Amministrazione resistente, che il richiesto “controllo analogo”
possa sussistere in presenza di una partecipazione, anche minoritaria,
di un’impresa privata al capitale della società pubblica
affidataria.

Rileva l’Amministrazione resistente che Corte di Giustizia CE, sez.I,
11/1/2005 n. C-26/03, ha stabilito che “Nell’ipotesi in cui
un’amministrazione aggiudicatrice intenda concludere un contratto a
titolo oneroso relativo a servizi rientranti nell’ambito di
applicazione ratione materiae della direttiva 92/50 con una
società da essa giuridicamente distinta, nella quale la
detta amministrazione detiene una partecipazione insieme con una o
più imprese private, le procedure di affidamento degli
appalti pubblici previste dalla citata direttiva debbono sempre essere
applicate.” Pertanto secondo la Corte “la partecipazione, anche
minoritaria, di un’impresa privata al capitale di una
società alla quale partecipi anche l’amministrazione
aggiudicatrice in questione, esclude in ogni caso che tale
amministrazione possa esercitare sulla detta società un
controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi.
“[…]!’attribuzione di un appalto pubblico ad una società
mista pubblico-privata senza far appello alla concorrenza
pregiudicherebbe l’obiettivo di una concorrenza libera e non falsata ed
il principio della parità di trattamento degli interessati
contemplato dalla direttive 92/50, in particolare nella misura in cui
una procedura siffatta offrirebbe ad un’impresa privata presente nel
capitale della detta società un vantaggio rispetto ai suoi
concorrenti. “In ordine al concetto di ” controllo analogo ” la Corte
di giustizia ha chiarito che esso deve essere inteso come un rapporto
equivalente ad una relazione di subordinazione gerarchica:
ciò, in particolare, si verifica quando sussiste un
controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico
sull’ente affidatario del servizio, affinchè quest’ultimo
possa essere considerato una longa manus dell’amministrazione
aggiudicatrice.

Tale situazione non può verificarsi rispetto alla
società con partecipazione privata minoritaria e spesso non
si verifica anche rispetto a società con capitale
totalitario. La giurisprudenza ,pertanto ,ha ritenuto che il sistema di
affidamento diretto alla società mista (sia pure dopo scelta
tramite procedura ad evidenza del socio privato) concreterebbe nella
sostanza un affidamento in house al di fuori dei requisiti richiesti
dal diritto comunitario in quanto la detenzione da parte di un’impresa
privata di quote nella società aggiudicataria comporta la
presunzione che l’autorità aggiudicatrice non possa
esercitare su tale società “un controllo analogo a quello da
essa esercitato sui propri servizi” Detta esigenza sarebbe ancor
più avvertita nella fattispecie, rileva la resistente,
atteso che la durata del servizio de quo è determinato, per
convenzione, in trenta anni (termine che accentuerebbe
l’aleatorietà di un rapporto contrattuale riconducibile
all’appalto di
servizi).      

Ad avviso del Collegio la questione di legittimità
comunitaria dell’appalto de quo, sollevata dalla ricorrente
è rilevante.

Invero, la soluzione di essa non appare chiaramente desumibile dalla
giurisprudenza Comunitaria, né, inoltre, i dubbi prospettati
dalle parti,con particolare riguardo alla ricorrente, si appalesano, ad
una sommaria delibazione, né infondati né
irragionevoli.

Appare, dunque,opportuno rimettere la questione alla Corte di giustizia
delle Comunità Europea nei seguenti termini:

“Se è conforme al diritto comunitario, in particolare agli
obblighi di trasparenza e libera concorrenza di cui agli articoli 43,
49 e 86 del  Trattato,  un modello 
di  società mista pubblico-privata costituita
appositamente per l’espletamento di un determinato servizio pubblico di
rilevanza industriale e con oggetto sociale esclusivo, che sia
direttamente affidataria del servizio in questione, nella quale il
socio privato con natura “industriale” ed “operativa”, sia selezionato
mediante una procedura di evidenza pubblica, previa verifica sia dei
requisiti finanziari e tecnici che di quelli propriamente operativi e
gestionali riferiti al servizio da svolgere e alle prestazioni
specifiche da fornire”.

P.Q.M.

II Tribunale amministrativo regionale della Sicilia -Sezione staccata
di Catania Terza Sezione rimette alla Corte di Giustizia Delle
Comunità Europee il quesito indicato in motivazione.
Sospende la decisione sulla domanda cautelare in epigrafe sino alla
pubblicazione della decisione della Corte sul predetto quesito. La
presente ordinanza sarà eseguita dalla Amministrazione ed
è depositata presso la Segreteria che provvederà
a darne comunicazione alle parti ed alla trasmissione alla Corte di
Giustizia delle Comunità Europee e curerà gli
altri adempimenti di rito.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del 13
marzo 2008.

Depositata in Segreteria il 22 aprile 2008

Redazione

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