Ancora sulla riserva statale in materia di concorrenza nel mercato delle Telecomunicazioni


Telecomunicazioni e tutela della concorrenza

L’attività svolta dai centri di telefonia in sede fissa – phone center – è qualificabile come fornitura al pubblico di servizi di comunicazione elettronica.

Ora, la competenza statale in tema di comunicazioni elettroniche riguarda non solo la definizione delle tecnologie concernenti gli impianti che, unitariamente, costituiscono la rete delle infrastrutture di comunicazione elettronica, ma "l’intera serie delle infrastrutture relative alle reti ed i relativi servizi pubblici e privati che operano nel settore".

E’ vero che sono legittime le discipline regionali adottate nell’esercizio della potestà legislativa concorrente in materia di "governo del territorio", pur in presenza di normative poste dal legislatore statale in tema di protezione dall’inquinamento elettromagnetico e nello stesso Codice delle comunicazioni elettroniche, ma tale esercizio deve essere subordinato alla condizione che "i criteri localizzativi e gli standard urbanistici non siano tali da impedire od ostacolare ingiustificatamente l’insediamento degli impianti medesimi" o che l’esercizio del potere urbanistico non contraddica "l’unicità del procedimento autorizzativo e le collegate esigenze di semplificazione e di tempestività dei procedimenti".

Inoltre, la disciplina delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica deve salvaguardare il diritto di libertà di iniziativa economica ed il suo esercizio in regime di concorrenza, garantendo un accesso al mercato delle reti e servizi di comunicazione elettronica secondo criteri di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità.

Ne discende che viola la riserva esclusiva di competenza statale in materia di concorrenza, ex art. 117,
secondo comma, lettera e), della Costituzione, la previsione
legislativa regionale che prevede la necessità della pianificazione del
numero
degli esercizi commerciali e della individuazione delle aree che
possono essere destinate all’apertura di nuovi phone center, in quanto
introduce "un elemento di
rigidità che si traduce in una programmazione quantitativa dell’offerta
e nella imposizione di limiti quantitativi all’apertura di nuove
strutture commerciali nella regione".

. . . . . .

Corte Costituzionale

Sentenza del 30 gennaio 2009 numero 25

(presidente Flick, estensore De Siervo)

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 8 della legge della Regione Veneto 30 novembre 2007, n. 32 (Regolamentazione dell’attività dei centri di telefonia in sede fissa – phone center), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 2 febbraio 2008, depositato in cancelleria l’11 febbraio 2008 ed iscritto al n. 10 del registro ricorsi 2008.

(…)

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 2 febbraio 2008 e depositato il successivo 11 febbraio (iscritto al reg. ric. n. 10 del 2008), Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 della legge della Regione Veneto 30 novembre 2007, n. 32 (Regolamentazione dell’attività dei centri di telefonia in sede fissa – phone center), pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione Veneto 4 dicembre 2007, n. 104, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 41 della Costituzione.

La disposizione censurata prevede, al primo comma, che i Comuni debbano individuare «gli ambiti territoriali nei quali è ammessa la localizzazione dei centri di telefonia in sede fissa», nonché definire «la disciplina urbanistica cui è in ogni caso subordinato il loro insediamento». Il successivo secondo comma dispone che la predetta disciplina urbanistica debba essere stabilita «sulla base di criteri definiti dalla Giunta regionale entro 90 giorni dall’entrata in vigore» della presente legge. Il terzo comma, infine, stabilisce che nelle more della individuazione degli ambiti territoriali «e comunque non oltre il 1° gennaio 2010, non è consentita l’apertura di nuovi centri di telefonia in sede fissa».

Il ricorrente, sulla base della riconduzione della disposizione impugnata alla materia delle comunicazioni elettroniche, sostiene che la previsione di un sistema di limiti quantitativi per gli esercizi operanti nel settore contrasterebbe con la previsione di un regime libero nella fornitura di questi servizi configurato dall’art. 3 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche).

Peraltro – prosegue il ricorrente – la denunciata disciplina contrasterebbe anche con l’art. 3 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248, che esonera lo svolgimento di attività commerciali, pur tra loro analoghe, dal rispetto di distanze minime obbligatorie.

Il censurato art. 8 avrebbe, dunque, introdotto nel sistema un elemento di rigidità tale da comportare una programmazione dell’offerta, attraverso l’imposizione di limiti quantitativi all’apertura di nuove strutture commerciali. Per la salvaguardia della concorrenza, l’ingresso di nuovi operatori non deve, invece, incontrare ostacoli e barriere di tipo normativo e amministrativo volti a predeterminare, con la pianificazione del numero degli esercizi commerciali e con l’individuazione delle relative aree, limiti all’accesso al mercato.

2. – Con atto depositato il 26 febbraio 2008, si è costituita in giudizio la Regione Veneto per sostenere l’infondatezza del ricorso.

2.1. – La difesa regionale sostiene, innanzitutto, che l’impugnata disposizione, basandosi esclusivamente su criteri ispirati alla protezione di interessi generali di carattere urbanistico riconducibili alla materia, di potestà concorrente, del governo del territorio, non violerebbe la competenza statale in ordine alla tutela della concorrenza: trattasi, invero, di interessi correlati all’esigenza di assicurare un adeguato livello di servizi per i consumatori, con particolare riferimento alla disponibilità di aree per parcheggi ed alla compatibilità con la viabilità urbana.

La resistente riconosce che una normativa locale difforme rispetto agli standard tecnici, stabiliti a livello nazionale, relativi alle caratteristiche degli impianti di comunicazione elettronica, sarebbe senz’altro illegittima, in quanto contrastante con i princìpi fondamentali sanciti dal legislatore statale, come si deduce dalla legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalla esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), e dal Codice delle comunicazioni elettroniche. Peraltro la competenza statale in tema di comunicazioni elettroniche riguarderebbe solo «la definizione delle tecnologie concernenti gli impianti che, unitariamente, costituiscono la rete delle infrastrutture di comunicazione elettronica».

Invece – osserva la resistente –, la disposizione censurata demanda alla disciplina urbanistica la definizione della «sostenibilità ambientale al fine di valorizzare la qualità sociale ed urbana degli interventi». Lungi dall’incidere sugli aspetti afferenti alle reti ed alla loro gestione, la contestata disciplina appare volta a fissare i criteri alla stregua dei quali i Comuni possono individuare ambiti funzionalmente idonei a favorire l’efficiente collocazione territoriale delle strutture in parola, in vista di una loro corretta accessibilità.

Del resto – insiste la resistente – la stessa Corte costituzionale avrebbe riconosciuto, con la sentenza n. 336 del 2005, la poliedricità del settore relativo alla installazione, localizzazione ed esercizio degli impianti di comunicazione elettronica, rispetto ai quali si atteggiano variamente la competenza legislativa dello Stato e quella delle Regioni. In questo ambito, spetta alle Regioni la disciplina relativa all’assetto del territorio, attraverso la configurazione di «ulteriori misure e prescrizioni dirette a ridurne il più possibile l’impatto negativo sul territorio, sempreché naturalmente i criteri localizzativi e gli standard urbanistici non siano tali da impedire od ostacolare ingiustificatamente l’insediamento degli impianti medesimi» (così la sentenza n. 307 del 2003).

2.2. – Inoltre, l’invocazione dell’art. 3 del decreto-legge n. 233 del 2006 sarebbe inconferente, posto che «la programmazione prevista dalla norma impugnata non riguarda il rispetto di distanze minime obbligatorie tra attività commerciali della medesima tipologia, né limiti riferiti a quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite ed è quindi completamente estraneo ad essa eventuali effetti di contingentamento del mercato».

2.3. – La difesa regionale allega, al fine di ulteriormente avvalorare il proprio apparato argomentativo, la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sez. Brescia (iscritta al reg. ord. n. 641 del 2007), che, pur avendo per oggetto alcune disposizioni della disciplina regionale dettata in materia di phone center (legge della Regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6), non verte sull’omologa disposizione di cui all’articolo 7 che, analogamente alla qui censurata previsione, assegna ai Comuni il compito di individuare gli ambiti territoriali nei quali è ammessa la localizzazione dei centri in oggetto.

2.4. – Con memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, la Regione Veneto ha ulteriormente ribadito «che la questione, così come prospettata dal Presidente del Consiglio dei ministri, è manifestamente infondata».

La difesa regionale sostiene che l’art. 8 della legge regionale n. 32 del 2007 limiterebbe il proprio ambito di operatività ai soli profili urbanistici, senza intaccare la competenza statale in tema di tutela della concorrenza e di ordinamento delle telecomunicazioni. Questa Corte avrebbe, comunque, più volte riconosciuto siffatte competenze anche nell’ambito delle telecomunicazioni (è richiamata la sentenza n. 307 del 2003). La stessa recente sentenza n. 350 del 2008, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale della legge della Regione Lombardia n. 6 del 2006, sarebbe inapplicabile, dal momento che la disposizione censurata «si limita a dettare l’obbligo per i Comuni di considerare la specifica tipologia dell’attività svolta nei phone center, configurando i criteri meramente urbanistici ai quali si dovranno modulare le norme tecniche locali».

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 della legge della Regione Veneto 30 novembre 2007, n. 32 (Regolamentazione dell’attività dei centri di telefonia in sede fissa – phone center), in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 41 della Costituzione.

Il ricorrente lamenta, innanzitutto, la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto la censurata disposizione, prevedendo la necessità della pianificazione del numero degli esercizi commerciali e della individuazione delle aree che possono essere destinate all’apertura di nuovi phone center, invaderebbe la competenza esclusiva del legislatore statale in materia di “tutela della concorrenza”, introducendo nel sistema «un elemento di rigidità che si traduce in una programmazione quantitativa dell’offerta e nella imposizione di limiti quantitativi all’apertura di nuove strutture commerciali nella regione».

Il ricorrente denuncia, altresì, la violazione dell’art. 41 Cost., giacché, contingentando il mercato e limitando l’apertura di nuovi phone center, la denunciata disposizione inciderebbe negativamente sulla libertà di iniziativa economica privata.

La difesa della resistente contesta la suesposta questione, sostenendo che l’impugnato art. 8 sarebbe espressione del legittimo esercizio della potestà legislativa regionale concorrente in materia di «governo del territorio», in quanto ispirata dall’esigenza di assicurare un adeguato livello di servizi per i consumatori, con particolare riferimento alla disponibilità di aree per parcheggi ed alla compatibilità con la viabilità urbana.

2.– Questa Corte, con la recente sentenza n. 350 del 2008, ha riconosciuto che l’attività svolta dai centri di telefonia in sede fissa è qualificabile, alla luce del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), come fornitura al pubblico di servizi di comunicazione elettronica (si vedano in particolare l’art. 25 e l’Allegato n. 9 del decreto legislativo n. 259 del 2003). Con la succitata sentenza, questa Corte ha precisato che la competenza statale in tema di comunicazioni elettroniche non riguarda solo «la definizione delle tecnologie concernenti gli impianti che, unitariamente, costituiscono la rete delle infrastrutture di comunicazione elettronica» (come asserisce la difesa regionale nel presente giudizio), ma l’intera serie delle infrastrutture relative alle reti ed i relativi servizi pubblici e privati che operano nel settore.

Più in generale, questa Corte ha affermato che «le disposizioni del suddetto Codice intervengono in molteplici ambiti materiali, diversamente tra loro caratterizzati in relazione al riparto di competenza legislativa fra Stato e Regioni: sono, infatti, rinvenibili in questo settore titoli di competenza esclusiva statale (“ordinamento civile”, “coordinamento informativo statistico ed informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale”, “tutela della concorrenza”), e titoli di competenza legislativa ripartita (“tutela della salute”, “ordinamento della comunicazione”, “governo del territorio”). Vengono, infine in rilievo anche materie di competenza legislativa residuale delle Regioni, quali, in particolare, l’“industria” ed il “commercio”)» (così le sentenze n. 350 del 2008 e n. 336 del 2005).

Inoltre, fin dalla sentenza n. 336 del 2005 questa Corte ha riconosciuto che il Codice delle comunicazioni elettroniche, al fine di adeguarsi alla normativa comunitaria, ha inteso perseguire «un vasto processo di liberalizzazione delle reti e dei servizi nei settori convergenti delle telecomunicazioni, dei media e delle tecnologie dell’informazione (…) secondo le linee di un ampio disegno europeo tendente ad investire l’intera area dei servizi pubblici».

Fra i principi fondamentali espressamente enunciati dall’art. 3 del Codice, in questa sede assumono particolare rilevanza quello secondo il quale sono garantiti «i diritti inderogabili di libertà delle persone nell’uso dei mezzi di comunicazione elettronica, nonché il diritto di iniziativa economica ed il suo esercizio in regime di concorrenza, nel settore delle comunicazioni elettroniche», e quello secondo cui «la fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica, che è di preminente interesse generale, è libera». Ed è rilevante che, proprio a proposito di questi principi, la citata sentenza n. 350 del 2008 sottolinei come sia «evidente che disposizioni del genere sono espressione della competenza esclusiva dello Stato in tema di “tutela della concorrenza” e di “ordinamento civile”, prima ancora di costituire principi fondamentali in tema di “ordinamento della comunicazione”».

Coerentemente con questo assetto, l’art. 25 del Codice prevede che i fornitori di servizi di comunicazione elettronica debbano semplicemente ottenere una autorizzazione generale da parte del Ministero delle comunicazioni, secondo il modello della denuncia di inizio attività. L’impresa pertanto è abilitata ad iniziare immediatamente la propria attività, salva la possibilità per il Ministero, che verifica l’esistenza dei presupposti e requisiti richiesti, di vietare motivatamente la prosecuzione dell’attività entro il termine perentorio di sessanta giorni.

Senza dubbio il legislatore, sia statale che regionale, è legittimato a porre limiti alle attività in oggetto: il terzo comma dello stesso art. 3 del Codice contempla «limitazioni derivanti da esigenze della difesa e della sicurezza dello Stato, della protezione civile, della salute pubblica e della tutela dell’ambiente e della riservatezza e protezione dei dati personali, poste da specifiche disposizioni di legge o da disposizioni regolamentari di attuazione». Appare, inoltre, evidente che possono essere fissati anche ulteriori limiti come quelli – tra gli altri – connessi al regime giuridico dei beni ovvero a normative attinenti al governo del territorio. Trattasi, infatti, di limiti diversi da quelli espressi dalla specifica legislazione sulle comunicazioni elettroniche e dei quali lo stesso legislatore statale tiene conto richiedendo, ai fini dello svolgimento dell’attività, il necessario «rispetto delle condizioni che possono essere imposte alle imprese in virtù di altre normative non di settore» (così il succitato Allegato n. 9).

3.– La questione è fondata.

Il censurato art. 8 reca esclusivamente disposizioni di tipo urbanistico in relazione ai centri di telefonia in sede fissa.

Questa Corte ha riconosciuto la legittimità di discipline regionali adottate nell’esercizio della potestà legislativa concorrente in materia di «governo del territorio», pur in presenza di normative poste dal legislatore statale in tema di protezione dall’inquinamento elettromagnetico e nello stesso Codice delle comunicazioni elettroniche (per tutte si vedano le sentenze n. 336 del 2005 e n. 307 del 2003). Il legittimo esercizio della potestà legislativa regionale in questi ambiti è stato, peraltro, subordinato alla condizione che «i criteri localizzativi e gli standard urbanistici non siano tali da impedire od ostacolare ingiustificatamente l’insediamento degli impianti medesimi» (così la sentenza n. 307 del 2003) o che l’esercizio del potere urbanistico non contraddica «l’unicità del procedimento autorizzativo e le collegate esigenze di semplificazione e di tempestività dei procedimenti» (così la sentenza n. 350 del 2008).

Inoltre, l’art. 4, comma 1, lettera c), del Codice delle comunicazioni elettroniche dispone che «la disciplina delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica» debba salvaguardare il diritto di «libertà di iniziativa economica ed il suo esercizio in regime di concorrenza, garantendo un accesso al mercato delle reti e servizi di comunicazione elettronica secondo criteri di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità».

La censurata disposizione, nel circoscrivere la localizzazione dei soli centri di telefonia fissa ad ambiti territoriali preventivamente individuati e, soprattutto, nel subordinare l’apertura dei nuovi esercizi alla previa adozione di una specifica normativa urbanistica, risulta quindi eccessiva. In particolare, la previsione della necessità che tale specifica disciplina sia compatibile con le altre funzioni urbane e con la viabilità di accesso, nonché la richiesta di disponibilità di parcheggi appaiono più consone a grandi esercizi commerciali che comportino un rilevante afflusso di veicoli e persone, piuttosto che ai centri di telefonia fissa, di norma di dimensioni ridotti e con un accesso di persone limitato.

È evidente che tale disciplina urbanistica, non giustificata in relazione alla natura e alle caratteristiche dell’attività in questione, influenza direttamente l’accesso degli operatori economici ad un determinato mercato e pone barriere all’ingresso tali da alterare la concorrenza tra soggetti imprenditoriali.

L’impugnato art. 8 determina, dunque, un’ingiustificata compressione dell’assetto concorrenziale del mercato della comunicazione come disciplinato dal legislatore statale, invadendo una competenza spettante a quest’ultimo, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale (v., tra le altre, le sentenze n. 63, n. 51 e n. 1 del 2008; n. 431, n. 430 e n. 401 del 2007; n. 80 del 2006; n. 272 e n. 14 del 2004).

Né può negarsi che subordinare «in ogni caso» l’insediamento dei centri di telefonia in sede fissa alle speciali scelte urbanistiche di cui al censurato art. 8 comporti una palese contraddizione con le esigenze di semplificazione rese evidenti dalla disciplina del procedimento dettata dall’art. 25 del predetto Codice. Questo contrasto è reso tanto più evidente dalla prescrizione, al terzo comma dell’art. 8, che, in attesa delle speciali nuove disposizioni urbanistiche dei Comuni, si abbia un periodo di sospensione nell’apertura di nuovi centri di telefonia (seppure non oltre la fine del 2009).

Deve pertanto essere dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge della Regione Veneto 30 novembre 2007, n. 32, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.

4.– Resta assorbita la residua censura.

P.Q.M.

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge della Regione Veneto 30 novembre 2007, n. 32 (Regolamentazione dell’attività dei centri di telefonia in sede fissa – phone center).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 gennaio 2009. Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2009.

Redazione

Lo studio legale Giurdanella & Partners dedica, tutti i giorni, una piccola parte del proprio tempo all'aggiornamento del sito web della rivista. E' un'attività iniziata quasi per gioco agli albori di internet e che non cessa mai di entusiasmarci. E' anche l'occasione per restituire alla rete una parte di tutto quello che essa ci ha dato in questi anni. I giovani bravi sono sempre i benvenuti nel nostro studio legale. Per uno stage o per iniziare la pratica professionale presso lo studio, scriveteci o mandate il vostro cv a segreteria@giurdanella.it