La Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, ha depositato l’atteso parere sulla richiesta formulata dal sindaco del Comune di Varese, sull’applicazione della disciplina relativa al patto di stabilità interno per il 2009, con riferimento all’interpretazione dell’art. 77 bis, co. 8 del D.L. n.112, convertito in l.n. 133/2008 (come modificato dal co. 41, lettera c, dell’art. 2 della legge finanziaria per il 2009), concernente il computo o meno delle risorse provenienti dall’alienazione di beni immobili nella determinazione del saldo ai fini del raggiungimento degli obiettivi del patto di stabilità interno relativo all’esercizio 2009.
La Corte conclude nel senso che "i proventi delle alienazioni di pacchetti azionari e di beni immobili utilizzati per spese di investimento o per riduzione del debito non debbano essere conteggiati ai fini della base del calcolo relativa ai saldi del patto di stabilità esclusivamente per l’esercizio 2007".
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Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia
Delibera n.48/2009 del 2 marzo 2009
(presidente Mastropasqua, relatore Astegiano)
Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con il regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni; Vista la legge 21 marzo 1953, n. 161; Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20;
Vista la deliberazione delle Sezioni riunite della Corte dei conti n. 14/2000 del 16 giugno 2000, che ha approvato il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, modificata con le deliberazioni delle Sezioni riunite n. 2 del 3 luglio 2003 e n. 1 del 17 dicembre 2004;
Visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali; Vista la legge 5 giugno 2003, n. 131;
Vista la deliberazione n. 1/pareri/2004 del 3 novembre 2004 con la quale la Sezione ha stabilito i criteri sul procedimento e sulla formulazione dei pareri previsti dall’articolo 7, comma 8, della legge n. 131/2003;
Vista la nota dell’11 febbraio 2009 con la quale il Sindaco del Comune di Varese (VA) ha chiesto un parere in materia di contabilità pubblica; Vista l’ordinanza con la quale il Presidente ha convocato la Sezione per l’adunanza odierna per deliberare sulla richiesta proveniente dal Sindaco del Comune di Varese; Udito il relatore, Giancarlo Astegiano;
Premesso che:
Il Sindaco del Comune di Varese ha posto alla Sezione un quesito in ordine all’applicazione della disciplina relativa al Patto di stabilità interno per il 2009, con specifico riferimento all’interpretazione della norma contenuta nell’art. 77 bis, co. 8 del d.l. n. 112, conv. in l. n. 133 del 2008, come modificato dal co. 41, lett. c), dell’art. 2 della legge finanziaria per il 2009, inerente il computo o meno delle risorse provenienti dall’alienazione di beni immobili nella determinazione del saldo ai fini del raggiungimento degli obiettivi del Patto di stabilità interno relativo all’esercizio 2009.
Il richiedente ha precisato che l’ente ha predisposto lo schema di bilancio di previsione relativo all’esercizio 2009 e quello pluriennale indicando, fra gli stanziamenti di entrata, risorse derivanti dall’alienazione di beni immobili destinate a finanziare sia investimenti che la parziale estinzione di mutui preesistenti.
Il dubbio del Sindaco del Comune di Varese è originato dalla circostanza che la Circolare del Ministero dell’Economia n. 2 del 27 gennaio 2009 sembrerebbe affermare che dal calcolo del saldo relativo all’esercizio 2009, ai fini del rispetto del Patto di stabilità interno, debbano essere esclusi i proventi derivanti dalle alienazioni immobiliari se destinati alla copertura della spesa per investimenti o alla riduzione del debito.
Osserva che:
La richiesta di parere in esame è intesa ad avvalersi della facoltà prevista dalla norma contenuta nell’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131, la quale dispone che le Regioni, i Comuni, le Province e le Città metropolitane possono chiedere alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti “pareri in materia di contabilità pubblica”.
La funzione consultiva delle Sezioni regionali è inserita nel quadro delle competenze che la legge n. 131 del 2003, recante adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha attribuito alla Corte dei conti.
In relazione allo specifico quesito formulato dal Comune di Varese, la Sezione osserva quanto segue.
In merito all’ammissibilità della richiesta
Il primo punto da esaminare concerne la verifica dell’ambito delle funzioni attribuite alla Sezioni regionali della Corte dei conti dall’art. 7 comma ottavo, della legge 6 giugno 2003, n. 131, norma in forza della quale Regioni, Province e Comuni possono chiedere a dette Sezioni pareri in materia di contabilità pubblica nonché ulteriori forme di collaborazione ai fini della regolare gestione finanziaria e dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione amministrativa.
In proposito, questa Sezione ha precisato, in più occasioni, che la norma in esame, il cui contenuto risulta ancora poco approfondito sia dalla giurisprudenza contabile che dalla dottrina, consente alle amministrazioni regionali, provinciali e comunali, di rivolgere alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti due diverse tipologie di richieste (delibera n. 9, in data 12 marzo 2007).
Da un lato, possono domandare l’intervento della magistratura contabile al fine di ottenere forme di “collaborazione”, non specificate dalla legge, dirette ad assicurare la regolare gestione finanziaria dell’ente ovvero l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa.
Dall’altro, possono richiedere pareri in materia di contabilità pubblica.
La funzione consultiva, che nei primi anni di applicazione della legge è stata la principale forma di collaborazione attivata dalle amministrazioni locali, non esaurisce quindi la possibilità di intervento delle Sezioni regionali della Corte dei conti, in seguito a specifiche richieste degli enti territoriali.
Anzi, in base alla formulazione della norma non sembrerebbe neppure essere la principale forma di collaborazione poiché nella prima parte del comma ottavo dell’art. 7 è chiaramente specificato che gli enti territoriali possono domandare alle Sezioni regionali della magistratura contabile “ulteriori forme di collaborazione”, con l’unico limite della finalizzazione alla regolare gestione finanziaria dell’ente e dello svolgimento della azione amministrativa secondo i parametri dell’efficienza e dell’efficacia.
L’intensificarsi dell’uso degli strumenti collaborativi innanzi indicati richiede ulteriori approfondimenti sulla natura e sull’ambito della funzione indirizzati al suo corretto esercizio che la Sezione, recentemente, ha illustrato in modo approfondito (delibera n. 36 in data 11 febbraio 2009) e che è opportuno riprendere in questa sede.
In proposito va considerato che l’attribuzione della funzione consultiva alle Sezioni Regionali della Corte dei conti si situa nell’ambito dell’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale n. 3/2001 che ha radicalmente modificato il titolo V, della parte seconda della Costituzione.
In conseguenza della equiordinazione degli enti territoriali allo Stato (art. 114), e della necessaria abrogazione di ogni forma di controllo amministrativo esterno sulle Regioni (art. 124), sulle Province e sui Comuni (art. 130), il legislatore ha inteso permettere agli enti territoriali di avvalersi della collaborazione della Corte dei conti, organo magistratuale che opera quale garante imparziale nell’interesse dello Stato comunità (Corte cost. 12 – 27 gennaio 1995, n. 29), e, dopo la citata riforma costituzionale, di tutti gli enti che costituiscono la Repubblica (Corte cost. 11 ottobre – 9 novembre 2005, n. 417)
Le nuove attribuzioni conferite alla Corte dei conti appaiono così finalizzate ad individuare un organo neutrale che in materia di coordinamento della finanza pubblica interagisce tra i vari livelli di governo della Repubblica a tutela delle istanze e prerogative di ciascuno di essi in una materia quale quella della finanza pubblica che, all’evidenza, condiziona l’esercizio di tutte le funzioni pubbliche.
Contemporaneamente, le modalità di esercizio del controllo e le ulteriori attribuzioni intestate alla Corte di conti intendono esaltare la natura collaborativa della funzione, propedeutica allo svolgimento dell’attività degli enti territoriali secondo il principio di legalità e soprattutto di legalità finanziaria.
In proposito, questa Sezione ha più volte posto in luce che la nozione di legalità riferita alla attività della pubblica amministrazione si è andata approfondendo ed arricchendo, investendo l’esercizio del potere conferito all’amministrazione non solo al rispetto delle disposizioni normative ma anche alla sua rispondenza ai principi di buona amministrazione canonizzati nell’art. 97 della Costituzione. Anzi, quest’ultimo aspetto del principio di legalità va assumendo sempre maggior rilievo, dal momento che la pubblica amministrazione, ed in particolar modo gli enti territoriali, assicurano ai cittadini servizi pubblici, il cui livello delimita le loro condizioni di vita. Ne consegue l’esigenza di assicurare il rispetto del principio di legalità, come sopra inteso, sia preventivamente in sede del processo decisionale degli amministratori dell’ente sia in sede di verifica dell’attività attraverso i controlli interni ed il controllo esterno collaborativo.
La funzione di cui al comma ottavo dell’art. 7 della legge n. 131/2003 si connota così come facoltà conferita agli amministratori di Regioni, Comuni e Province di avvalersi di un organo neutrale e professionalmente qualificato per acquisire elementi necessari ad assicurare la legalità della loro attività amministrativa.
I pareri e le altre forme di collaborazione si inseriscono nei procedimenti amministrativi degli enti territoriali consentendo, nelle tematiche in relazione alle quali la collaborazione viene esercitata, scelte adeguate e ponderate nello svolgimento dei poteri che appartengono agli amministratori pubblici, restando peraltro esclusa qualsiasi forma di cogestione o coamministrazione con l’organo di controllo esterno.
Alla luce delle esposte considerazioni va delimitato l’ambito di legittimazione soggettiva ed oggettiva degli enti ad attivare le forme di collaborazione.
Quanto all’individuazione dell’organo legittimato a inoltrare le richieste di parere dei Comuni, occorre premettere che la Sezione delle Autonomie della Corte dei conti, con documento approvato nell’adunanza del 27 aprile 2004, ha fissato principi e modalità di esercizio dell’attività consultiva, al fine di garantire l’uniformità di indirizzo in materia, limitando l’ammissibilità delle richieste, sul piano soggettivo, agli organi rappresentativi degli Enti (nel caso del Comune, il Sindaco o, nel caso di atti di normazione, il Consiglio comunale). Inoltre si è ritenuto che la mancata costituzione del Consiglio delle Autonomie Locali non costituisca elemento ostativo all’ammissibilità della richiesta, poiché l’art. 7, comma ottavo, della legge n. 131/2003 usa la locuzione “di norma”, non precludendo, quindi, in linea di principio, la richiesta diretta da parte degli enti.
In tal senso, questa Sezione, con deliberazione n. 1 in data 4 novembre 2004, ha già precisato che “non essendo ancora costituito in Lombardia il Consiglio delle autonomie, previsto dall’art. 7 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che modifica l’art. 123 della Costituzione, i Comuni possono, nel frattempo, chiedere direttamente i pareri alla Sezione regionale”.
Limiti alla legittimazione oggettiva vanno invece stabiliti solo in negativo. In proposito va infatti posto in luce che la nozione di “contabilità pubblica” deve essere intesa nella ampia accezione che emerge anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di giurisdizione della Corte dei conti ed investe così tutte le ipotesi di spendita di denaro pubblico oltre che tutte le materie di bilanci pubblici, di procedimenti di entrata e di spesa, di contrattualistica che tradizionalmente e pacificamente rientrano nella nozione. D’altro canto la norma in discussione non fissa alcun limite alle richieste di altre forme di collaborazione.
In negativo, senza peraltro voler esaurire la casistica, va posta in luce la inammissibilità di richieste interferenti con altre funzioni intestate alla Corte ed in particolare con l’attività giurisdizionale; richieste che si risolvono in scelte gestionali, come si è detto di esclusiva competenza degli amministratori degli enti; richieste che attengono a giudizi in corso; richieste che riguardano attività già svolte, dal momento che i pareri sono propedeutici all’esercizio dei poteri intestati agli amministratori e non possono essere utilizzati per asseverare o contestare provvedimenti già adottati.
In conclusione: la richiesta di parere in esame è ammissibile e può essere esaminata nel merito.
Il quesito posto dal Sindaco del Comune di Varese
Il richiedente ha posto alla Sezione un quesito in ordine all’applicazione della disciplina relativa al Patto di stabilità interno per il 2009, con specifico riferimento all’interpretazione della norma contenuta nell’art. 77 bis, co. 8 del d.l. n. 112, conv. in l. n. 133 del 2008, come modificato dal co. 41, lett. c), dell’art. 2 della legge finanziaria per il 2009, inerente il computo o meno delle risorse provenienti dall’alienazione di beni immobili nella determinazione del saldo ai fini del raggiungimento degli obiettivi del Patto di stabilità interno relativo all’esercizio 2009.
Il Sindaco del Comune di Varese ha precisato che l’ente ha predisposto lo schema di bilancio di previsione relativo all’esercizio 2009 e quello pluriennale indicando, fra gli stanziamenti di entrata, risorse derivanti dall’alienazione di beni immobili destinate a finanziare sia investimenti che la riduzione di mutui preesistenti.
Il dubbio del Sindaco del Comune di Varese è originato dalla circostanza che la Circolare del Ministero dell’Economia n. 2 del 27 gennaio 2009 sembrerebbe affermare che ai fini del rispetto del Patto di stabilità interno, debbano essere esclusi i proventi derivanti dalle alienazioni immobiliari se destinati alla copertura della spesa per investimenti o alla riduzione del debito sia dal calcolo dei saldi dell’anno di riferimento (2007) che dell’anno di gestione del bilancio (2009).
Il quesito riveste particolare importanza poiché pone alcuni significativi interrogativi in ordine alla disciplina del Patto di stabilità interno, e, in particolare, al calcolo dei saldi che gli enti sono tenuti a rispettare, in relazione alla possibile esclusione di alcune specifiche risorse destinate ad investimenti e riduzione del debito.
Preliminarmente, occorre rilevare che la Sezione si è occupata in numerose occasioni della disciplina del Patto di stabilità interno e, da ultimo, anche di alcuni dei problemi posti dalla nuova regolamentazione introdotta per l’esercizio 2009 (delibera n. 2, in data 22 gennaio 2009 e delibera n. 26, in data 10 febbraio 2009).
Peraltro, sino ad oggi non aveva avuto modo di occuparsi della specifica questione posta dal Sindaco del Comune di Varese e, pertanto, è necessario procedere, sia pure in modo sintetico, alla ricostruzione del quadro normativo di riferimento all’interno del quale deve essere inquadrata, poi, la problematica sollevata dal richiedente.
Sempre in via preliminare, la Sezione ribadisce quanto già precisato in numerose occasioni: le considerazioni svolte in questo parere hanno carattere generale e, come tali, possono essere condivise o meno dal Comune di Varese che in sede di predisposizione del bilancio di previsione per il 2009 e pluriennale potrà tenere conto delle argomentazioni unicamente ed esclusivamente se riterrà di condividerle facendole proprie. La funzione consultiva affidata alle Sezioni regionali della Corte dei conti, infatti, non è diretta ad individuare la soluzione concreta di specifici problemi degli enti territoriali, ma a fornire indicazioni in ordine all’interpretazione ed alle modalità di applicazione degli istituti di carattere generale della contabilità pubblica, dirette a fornire ausilio agli amministratori pubblici nello svolgimento della loro attività.
1) Gli enti territoriali che concorrono a costituire la Repubblica sono tenuti ad osservare il Patto di stabilità interno, così come disciplinato dalle leggi finanziarie statali.
L’osservanza dei vincoli di spesa o finanziari imposti all’interno di questa disciplina deve essere stabilita sin dall’individuazione degli interventi contenuti nel bilancio preventivo, anche se l’effettivo scostamento è accertabile solo al termine dell’esercizio, come questa Sezione ha avuto modo di precisare sin dalla delibera n. 10 del 13 ottobre 2006.
Infatti, se anche è vero che non sempre gli interventi contenuti nel bilancio vengono eseguiti integralmente, il vincolo del rispetto degli obiettivi previsti dal Patto di stabilità deve informare il documento di previsione che deve indicare sia le aspettative dell’ente in ordine alle entrate in modo chiaro e veridico e, conseguentemente, gli interventi che, in base alle risorse ed ai vincoli esistenti, potranno essere effettuati (da ultimo, sul punto: parere n. 2, in data 22 gennaio 2009).
Peraltro, da ultimo, nella manovra finanziaria per il 2009 questa conclusione è stata ripresa nuovamente, prevedendo che “il bilancio di previsione degli enti locali….deve essere approvato iscrivendo le previsioni di entrata e di spesa di parte corrente in misura tale che unitamente alle previsioni dei flussi di cassa di entrata e spesa in contro capitale, al netto delle riscossioni e delle concessioni di crediti, sia garantito il rispetto delle regole che disciplinano il patto medesimo” (art. 77 bis, co. 12, del d.l. n. 112, conv. in l. n. 33 del 2008).
2) La disciplina del Patto di stabilità interno è stata caratterizzata, sin da quando è stata introdotta con la legge finanziaria per il 1999, da una forte instabilità poiché quasi ogni anno le regole che gli enti sono tenuti ad applicare vengono modificate o integrate, al fine di rispondere, a seconda dei casi, ad esigenze strutturali o, anche soltanto contingenti.
Come questa Sezione ha messo in rilievo in più occasioni, una disciplina, quale quella del Patto, che pone rigidi limiti all’autonomia operativa degli enti territoriali dovrebbe essere concordata fra lo Stato e gli stessi destinatari e, soprattutto, dovrebbe essere caratterizzata da una elevata stabilità al fine di permettere ai Comuni ed alle Province di programmare adeguatamente i loro interventi, sia in relazione alle attività ordinarie che a quelle di realizzazione di opere pubbliche che richiedono, ovviamente, la possibilità di operare in un contesto temporale che oltrepassa l’ordinaria gestione annuale (sul punto, da ultimo: parere n. 26, in data 10 febbraio 2009).
3) I continui cambiamenti e, in particolare, il passaggio dal criterio dei tetti di spesa a quello del doppio saldo riferito a spese correnti e alle spese per investimenti, prima, e del saldo misto, poi, (calcolo della spesa corrente in termini di competenza e di quella in conto capitale in termini di flussi di cassa), ha comportato, per alcuni enti, anche in relazione alla base di riferimento che viene presa in considerazione, seri problemi connessi al raggiungimento di obiettivi molto difficili, se non impossibili, a causa della dinamica della spesa avviata negli anni precedenti.
La situazione è resa ulteriormente complessa dalla circostanza che il legislatore, con la manovra finanziaria per il 2009, ha reintrodotto specifiche limitazioni amministrative per gli enti che non rispettano le previsioni del Patto di stabilità interno che, nell’esercizio successivo, non possono procedere all’assunzione di nuovo personale, ricorrere all’indebitamento per finanziare i nuovi investimenti e debbono ridurre specifiche spese (art. 76, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. in l. 6 agosto 2008, n. 133).
Inoltre dall’analisi dei problemi incontrati dagli enti in relazione alla modifica dei criteri di calcolo degli obiettivi del Patto, la Sezione ha tratto la conclusione che fosse riscontrabile “una profonda contraddizione del meccanismo che regola attualmente, sia in relazione all’esercizio 2008 che a quello 2009, il Patto di stabilità interno” e che la stessa non potesse essere risolta in sede interpretativa o applicativa, potendo unicamente essere eliminata dal legislatore nell’ambito di un intervento di “manutenzione” diretto a modificare il criterio di calcolo della spesa per investimenti, in relazione alla specifica circostanza che la contabilità degli enti territoriali è ancora imperniata sul criterio della competenza che, inevitabilmente, nel caso di questa tipologia di spesa, comporta che lo spazio temporale fra fase dell’impegno e fase della effettiva erogazione può essere assai ampio (parere n. 2, in data 22 gennaio 2009).
Peraltro occorre mettere in luce che, in parallelo, la nuova disciplina contiene anche meccanismi premiali di tipo finanziario per gli enti che rispettano i vincoli posti dal Patto.
4) Nell’ambito della manovra di finanza pubblica avviata nell’estate del 2008, il legislatore ha modificato nuovamente, come si è già accennato, la disciplina del Patto di stabilità interno (art. 77 bis, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. in l. 6 agosto 2008, n. 133) e, successivamente, con la legge finanziaria per il 2009, ha introdotto ulteriori modifiche, alcune delle quali hanno riguardato aspetti della disciplina varata pochi mesi prima (art. 2, commi 41, 42, e 48 della legge 22 dicembre 2008, n. 203). In particolare, accogliendo parzialmente i rilievi critici in ordine alle distorsioni che poteva comportare il criterio della competenza mista in relazione alla cassa degli investimenti, ha previsto alcune attenuazioni, escludendo dal conteggio della base di riferimento relativa al 2007 le risorse derivanti dalla cessione di azioni o quote di società operanti nel settore dei servizi pubblici locali, quelle derivanti dalla cessione di dividendi determinati da operazioni straordinarie qualora quotate in mercati regolamentati, nonché le risorse derivanti dalla vendita di patrimonio immobiliare purchè destinate alla realizzazione di investimenti o alla riduzione del debito (art. 2, co. 41, lett. c) della legge n. 203 del 2008, che ha sostituito il co. 8 del d.l. 112, conv. in l. n. 133 del 2008).
Dall’intervento normativo richiamato sopra sembra emergere che il legislatore negli ultimi mesi ha cercato di porre rimedio ad alcuni degli inconvenienti che l’applicazione della disciplina del Patto aveva manifestato e che erano stati ripetutamente segnalati dagli enti territoriali e dalle organizzazioni rappresentative degli stessi.
Ad una prima lettura, la disposizione in esame sembrerebbe permettere, infatti, un ampliamento della possibilità di effettuare investimenti o di ridurre il debito, a seguito della modifica del saldo, utilizzando le risorse di natura straordinaria derivanti dalla vendita del patrimonio immobiliare dell’ente.
Tuttavia, come ricorda il Sindaco del Comune di Varese nella richiesta di parere all’esame della Sezione, è stata prospettata, autorevolmente, una diversa lettura della possibilità in esame, ritenendosi che ai fini del Patto di stabilità interno, le risorse derivanti dalle alienazioni immobiliari se finalizzate alla copertura della spesa per investimenti o alla riduzione del debito dovrebbero essere escluse anche dal calcolo del saldo relativo all’esercizio 2009 (circolare n. 2, in data 27 gennaio 2009, del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato).
5) La possibilità che esista un dubbio in ordine all’ interpretazione ed applicazione della norma che disciplina una materia così delicata, sia per le ripercussioni sulla gestione dell’ente che per il rispetto degli obblighi di finanza pubblica, impone un analitico esame ed una ricostruzione interpretativa che tenga conto del significato della disposizione, anche in relazione agli obiettivi che il legislatore ha inteso raggiungere con la sua introduzione.
L’art. 77 bis del d.l. n. 112, conv. in l. n. 133 del 2008, come si è detto, ha integrato e, in parte modificato, la precedente normativa relativa al Patto di stabilità interno applicabile alle Province ed ai Comuni.
Con specifico riferimento al quesito posto dal Sindaco del Comune di Varese, il legislatore, al comma 8 dell’articolo in questione, ha previsto che le risorse derivanti dalla cessione di azioni o quote di società operanti nel settore dei servizi pubblici locali e quelle “derivanti dalla vendita del patrimonio immobiliare non sono conteggiate ai fini dei saldi utili per il rispetto del patto di stabilità interno se destinate alla realizzazione di investimenti infrastrutturali o alla riduzione del debito”.
Tuttavia, pochi mesi dopo, la disposizione è stata rivista in sede di legge finanziaria e, nella parte che qui interessa, è stata riformulata nei termini che seguono: “le risorse relative alla vendita del patrimonio immobiliare non sono conteggiate nella base assunta a riferimento nel 2007 per l’individuazione degli obiettivi e dei saldi utili per il rispetto del patto di stabilità interno, se destinate alla realizzazione di investimenti o alla riduzione del debito” (art. 2, co. 41, lett. c.l. 203 del 2008).
Come accennato sopra, in relazione a questa norma è stato prospettato che “Tale esclusione deve essere applicata sia al saldo finanziario preso a base di riferimento (anno 2007) che al saldo degli anni di gestione del Patto (2009 – 2011)” poiché, in caso contrario, la sola esclusione dal saldo preso a riferimento (anno 2007) comporterebbe un peggioramento dei saldi di finanza pubblica, in conseguenza del ridimensionamento degli obiettivi e in assenza di una adeguata “compensazione finanziaria”, non prevista dal legislatore al momento dell’approvazione della norma. Escludendo dai saldi utili le entrate da alienazione la norma comporterebbe effetti finanziari neutri poiché “i benefici di alcuni enti locali sarebbero compensati dagli svantaggi degli altri” (Circolare n. 2 del 27 gennaio 2009, del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato).
La conclusione interpretativa sopra riportata sembra diretta a contenere le potenzialità della disposizione normativa poiché, di fatto, neutralizza gli effetti finanziari delle dismissioni immobiliari che, ai fini della verifica del rispetto del Patto di stabilità, dovrebbero essere esclusi sia dal calcolo del saldo di riferimento (anno 2007) che del saldo obiettivo (triennio 2009 – 2011).
Detta conclusione, peraltro, è stata confermata dal Ministro per i Rapporti con il Parlamento che, alla Camera dei Deputati, in sede di question time, rispondendo ad una domanda specifica, ha asserito che l’interpretazione sarebbe necessaria conseguenza del fatto che l’esclusione delle entrate da alienazione solo dal saldo di riferimento del 2007 e non anche dal saldo obiettivo del 2009 comporterebbe maggiori oneri per la finanza pubblica pari a 1,7 miliardi di euro, importo “non compatibile con la finanza pubblica” (seduta del 12 febbraio 2009).
Considerato il tenore della richiesta proveniente dal Sindaco di Varese, è necessario verificare se la conclusione da ultimo prospettata sia condivisibile in relazione al contenuto della disposizione interpretata e della intenzione che il legislatore ha perseguito con questa specifica modifica alla disciplina relativa al Patto di stabilità interno.
Al riguardo è bene chiarire che la disciplina relativa al Patto di stabilità interno presenta un duplice riflesso: uno specifico, sull’attività di ciascun ente che deve essere indirizzata al rispetto del vincolo finanziario e l’altro, generale, considerato che l’insieme delle manovre correttive adottate da tutti gli enti locali deve essere tale da consentire il raggiungimento di uno specifico risultato finanziario, considerato quale contributo di comparto ai fini del rispetto dei saldi finanziari che rientrano nei vincoli che la Repubblica, nel suo insieme, è tenuta ad osservare in relazione al Patto di stabilità e crescita.
6) Considerata la natura delle norme ed i conseguenti vincoli all’attività di ogni ente è opportuno iniziare l’esame dall’incidenza specifica sull’attività degli enti territoriali.
Nell’ambito dell’approvazione della manovra finanziaria per il 2009, al fine di accogliere le richieste provenienti dagli enti territoriali dirette ad ottenere una maggior libertà di intervento per poter realizzare investimenti, utili sia alle collettività locali che, in generale, alla ripresa economica, il legislatore, come si è visto, ha modificato la disciplina del Patto di stabilità interno, prevedendo la possibilità di escludere dal conteggio le risorse derivanti dalla cessione di particolari pacchetti azionari e dalla dismissione del patrimonio immobiliare.
La norma era giustificata anche dalla circostanza che, in numerosi casi, gli enti territoriali disponevano di risorse che rimanevano inutilizzate per non violare i parametri di riferimento del Patto di stabilità interno.
Dalla norma in questione si desume che il legislatore non ha inteso esentare, in via generale, gli enti territoriali dal rispetto dei saldi del Patto ma ha previsto che gli interventi effettuati utilizzando risorse particolari (proventi da cessione di particolari pacchetti azionari e beni immobili) potessero essere effettuati al di fuori del rispetto dei saldi.
E’ indubbio che, in questo modo, possa realizzarsi una variazione complessiva della manovra, sia dell’intero comparto degli enti locali che di quella che ciascun ente può porre in essere, ma l’ampliamento degli interventi è riconducibile all’utilizzo di risorse specifiche di tipo patrimoniale che, di fatto, non sembrano incidere negativamente sulla situazione finanziaria, né di comparto né degli enti interessati.
Si tratta, quindi, di una disposizione che sembrerebbe essere stata introdotta nell’ordinamento per incentivare l’utilizzo di risorse proprie degli enti per la realizzazione di finalità di interesse, sia per le singole collettività che per l’insieme degli enti che compongono la Repubblica: nuovi investimenti e riduzione del debito.
Sembra palese l’intenzione del legislatore di ampliare le possibilità di intervento degli enti territoriali al di fuori dei limiti del Patto di stabilità interno, tanto più che le risorse utilizzate non creano nuovo indebitamento.
7) Come si è detto, la norma introdotta nella manovra estiva non indicava l’anno in relazione al quale doveva essere effettuata l’esclusione, mentre la modifica contenuta nella legge finanziaria precisa che “le risorse relative alla vendita del patrimonio immobiliare non sono conteggiate nella base assunta a riferimento nel 2007 per l’individuazione degli obiettivi e dei saldi utili …”.
Le possibili incertezze interpretative dovute alla formulazione originaria sembrano fugate dal tenore letterale della disposizione attualmente vigente, laddove, da un lato, precisa in modo esplicito che l’esclusione dal conteggio è riferita alla base assunta a riferimento nel 2007 per l’individuazione degli obiettivi e dei saldi e, dall’altro, non contiene alcun riferimento all’esclusione dal saldo obiettivo per il triennio 2009 – 2011.
Il riferimento al solo anno 2007 induce l’interprete a ritenere che il legislatore abbia inteso differenziare la situazione del calcolo del saldo di riferimento da quella relativa al saldo obiettivo, prevedendo un diverso regime che, peraltro, consente, in concreto, l’utilizzo delle risorse, al di fuori del Patto.
Infatti, la doppia esclusione che, peraltro, come si è visto, è stata prospettata, finirebbe col neutralizzare gli effetti della norma limitata a casuali compensazioni interne al comparto, poiché solamente escludendo l’entrata dalla base di calcolo e non dall’obiettivo si facilita il raggiungimento di quest’ultimo per tutti gli enti che, in concreto intendono utilizzare queste risorse.
Le preoccupazioni relative al rispetto dei saldi di finanza pubblica debbono essere considerate sempre con estrema attenzione e l’interpretazione delle norme deve confrontarsi, in ogni caso, con questo parametro.
Tuttavia, orientare l’interpretazione facendo esclusivo riferimento al maggiore onere che, nel caso contrario, ricadrebbe sulla finanza pubblica sembra improprio, considerata la formulazione della disposizione. Infatti, il Patto di stabilità interno è stato modellato in relazione all’obiettivo di comparto attribuito agli enti territoriali e, con una specifica norma è stata attribuita agli stessi la facoltà di non considerare alcune risorse ai fini del rispetto del vincolo. A questo proposito non si deve dimenticare che si tratta di risorse “vere” perchè derivano dall’utilizzo dei beni che concorrono a costituire il patrimonio degli enti interessati che, a seguito, della vendita non risulta deprezzato perchè i proventi debbono essere destinati ad investimento o riduzione del debito.
8) In ogni caso, per completezza ed allo scopo di accertare nel modo più ragionevole lo scopo perseguito dal legislatore occorre esaminare, nei limiti del possibile, quale sia l’incidenza della norma in questione in relazione ai saldi di finanza pubblica.
La verifica non si presenta agevole poiché il risultato che, in concreto, il comparto degli enti territoriali raggiungerà nel 2009 potrà essere considerato solo a consuntivo e sarà dato dalla sommatoria di tutti i saldi del comparto.
E’ evidente che in sede previsionale non può che farsi riferimento ad una corretta ed uniforme applicazione delle regole stabilite in linea generale.
In relazione al triennio 2009-2011 la disciplina, come si è visto, è stata posta dal d.l. n. 112, come convertito nella l. n. 133 che ha indicato sia l’obiettivo di miglioramento che le modalità per raggiungerlo.
Il legislatore, all’art. 77 del provvedimento normativo in questione, ha previsto che il settore locale concorra al risultato globale con un saldo positivo fra entrate e spese per 1650 milioni di euro nel 2009, 2.900 milioni di euro nel 2010 e 5.140 milioni di euro nel 2011.
Al fine di consentire il raggiungimento del saldo in questione al successivo art. 77 bis, ha definito le regole applicative che ciascun ente è tenuto ad osservare e, in particolare, deciso di assumere quale parametro di riferimento il saldo di ogni ente nell’anno 2007, aggiustato da specifiche percentuali di correzione (art. 77, bis, co.3 e segg. d.l. n. 112).
L’insieme dei risultati degli enti dovrebbe permettere il raggiungimento dell’obiettivo di comparto.
La norma contenuta nel co. 8 dell’art. 77 bis, relativa al mancato conteggio “ai fini dei saldi utili per il rispetto del Patto di stabilità interno”, della cessione dei pacchetti azionari e di beni immobili si inserisce quale eccezione alla regola generale di inclusione nella sommatoria di riferimento di ogni entrata.
Come si è visto sopra, la dizione originaria della norma che non conteneva alcun riferimento né all’anno di individuazione della base di calcolo (2007) né a quello dell’obiettivo finale (2009) poteva lasciare pensare che quella specifica risorsa fosse da considerare esclusa dall’uno e dall’altro riferimento.
Una simile conclusione, al fine di evitare un’incidenza negativa sul saldo di competenza del 2009, avrebbe richiesto, comunque, che l’ammontare delle cessioni complessivamente effettuabili nel 2009 fosse rapportabile a quello del 2007 ed avrebbe comportato, però, una conseguenza di sistema piuttosto problematica.
Infatti, la differente incidenza del mancato conteggio delle risorse nei due anni potrebbe incidere su soggetti diversi risultando evidente che non necessariamente gli enti che hanno effettuato dismissioni nel 2007 potranno decidere di effettuare dismissioni nel 2009 e viceversa.
Peraltro se questa interpretazione è idonea al mantenimento di un equilibrio di comparto, semprechè vengano effettuate dismissioni non conteggiabili nei saldi 2009 in misura proporzionale a quelle effettuate nel 2007, è evidente che introduce una discriminazione negativa sulla concreta situazione finanziaria degli enti interessati, a seconda che abbiano effettuato cessioni nel 2007 o intendano procedere in questo senso nel 2009.
Occorre sottolineare che con la finanziaria per il 2009, il legislatore non ha modificato il saldo di comparto per gli enti locali, ma, come si è visto, è intervenuto sul solo comma 8° al fine di inserire la precisazione “non sono conteggiate nella base assunta a riferimento nel 2007 per l’individuazione degli obiettivi e dei saldi utili per il rispetto del patto di stabilità interno”.
Sembrerebbe, quindi, che il Parlamento, anche per venire incontro alle richieste delle associazioni rappresentative degli enti territoriali, abbia inteso eliminare la possibile distorsione limitando l’esclusione unicamente in relazione alla base di calcolo relativa all’anno 2007.
La mancata modifica del saldo di comparto potrebbe giustificarsi con riferimento alla circostanza che detto saldo sia stato calcolato, sin dall’origine, in relazione alla esclusione delle sole dismissioni effettuate nel 2007, ovvero che viene consentita tacitamente una modifica negativa del saldo, in conseguenza dell’esclusione delle cessioni effettuate nel 2007 dalla base di calcolo.
E’ indubbio che accogliere l’una o l’altra delle conclusioni presenta conseguenze diverse sui saldi di finanza pubblica.
Tuttavia, la norma del co. 8 dell’art. 77 bis. del d.l. n. 112 non può che essere interpretata secondo le indicazioni svolte sopra, nel senso che i proventi delle dismissioni debbano essere esclusi solo dalla base di calcolo relativa all’anno 2007.
9) In ogni caso occorre rimarcare che la formulazione della norma, anche in relazione alle complessive disposizioni di finanza pubblica che regolano il Patto di stabilità interno, potrebbe giustificare più letture, come, di fatto, si è verificato.
Tuttavia, lo scopo perseguito dal legislatore, la genesi della norma e la sua formulazione letterale, così come risultante dalla modifica introdotta con la finanziaria per il 2009, inducono a ritenere che il comma ottavo dell’art. 77 bis preveda l’esclusione delle risorse derivanti dalla cessione di beni immobili solamente in relazione al calcolo della base assunta a riferimento nel 2007 per il calcolo degli obiettivi e dei saldi utili.
Trattandosi di questione di assoluto rilievo che incide non solo in sede di predisposizione e gestione dei bilanci degli enti territoriali ma anche sulla verifica del rispetto del Patto di stabilità interno, l’inosservanza del quale comporta gravi limitazioni amministrative e sanzioni nei confronti degli enti e degli amministratori, appare necessario raggiungere, eventualmente anche mediante un intervento del Parlamento, una posizione condivisa in modo da fugare ogni dubbio e permettere agli enti territoriali di adottare tempestivamente e con piena cognizione del quadro normativo le scelte amministrative e gestionali di loro competenza; scelte, peraltro, particolarmente impegnative attenendo all’uso e destinazione di patrimonio pubblico.
10) Conclusivamente, la Sezione interpreta la norma di cui all’art. 77 bis comma ottavo del D.L 112/2008, convertito nella legge 133/2008, nel senso che i proventi delle alienazioni di pacchetti azionari e di beni immobili utilizzati per spese di investimento o per riduzione del debito non debbano essere conteggiati ai fini della base del calcolo relativa ai saldi del patto di stabilità esclusivamente per l’esercizio 2007.
P.Q.M.
Nelle considerazioni esposte è il parere della Sezione.
Nell’Adunanza del 24 febbraio 2009. Depositata in Segreteria il 2 marzo 2009