Sull’attivita’ di riscossione tributi dalla Spa concessionaria del servizio

Il rapporto di servizio sul quale si fonda la giurisdizione in
materia di responsabilità contabile sussiste ogni volta che si
sia in presenza di una relazione funzionale
tale da rendere il soggetto compartecipe dell’attività amministrativa
in quanto realizza un compito proprio di una pubblica amministrazione,
non rilevando in contrario la natura privatistica del soggetto stesso o
dello strumento contrattuale con il quale è stato costituito il
rapporto. E non
può dubitarsi che un tale rapporto di servizio intercorra tra l’Amministrazione finanziaria e la s.p.a. concessionaria
della riscossione dei tributi.

. . . . . .

Corte dei Conti, seconda sezione giurisdizionale centrale d’appello

Sentenza del 23 gennaio 2009 n. 28

(presidente Geraci, relatore Imperiali)

(…)

Diritto

1. L’eccezione sulla “giurisdizione” di questa Corte risulta infondata.

La giurisprudenza della Sezioni Unite della Cassazione ha da tempo chiarito che il “rapporto di servizio” sul quale si fonda la giurisdizione in materia di responsabilità di questa Corte sussiste ogni volta che si sia in presenza, come nella fattispecie, di una relazione funzionale tale da rendere il soggetto compartecipe dell’attività amministrativa in quanto realizza un compito proprio di una pubblica amministrazione, non rilevando in contrario la natura privatistica del soggetto stesso o dello strumento contrattuale con il quale è stato costituito il rapporto (Cass. SS.UU. n. 22513 del 2006, n. 3899 del 2004 etc.). E non può dubitarsi che un tale rapporto di servizio intercorresse appunto tra l’Amministrazione finanziaria e la Ge.Ri.Co. s.p.a., concessionario della riscossione dei tributi.

Ciò posto, deve anche escludersi che il Procuratore Regionale dovesse agire in giudizio solo dopo l’esaurimento del contenzioso amministrativo previsto dal D.P.R. n. 43 del 1988.

Poiché infatti la disciplina del servizio di riscossione del citato d.P.R. non contiene alcuna norma che deroghi alle regole generali in materia di responsabilità amministrativa, l’azione di competenza della Procura Regionale non è in alcun modo condizionata dalle determinazioni dell’Amministrazione danneggiata e in particolare dall’eventuale riconoscimento di un’apparente regolarità delle procedure.

2. Anche l’eccezione di prescrizione risulta infondata.

Per l’art. 1 comma 2 della legge n. 20 del 1994, “il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta”.

Orbene, richiamando la “regola generale recata dall’art. 2935 cod. civ., secondo cui la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”, le Sezioni Riunite di questa Corte hanno chiarito che ai fini della decorrenza della prescrizione dell’azione di responsabilità non è “sufficiente il compimento della condotta illecita”. Di decorrenza della prescrizione, infatti, può “parlarsi solo nel momento in cui la condotta contra ius abbia prodotto l’evento dannoso avente i caratteri della concretezza e dell’attualità” e cioè “solo con l’effettivo pagamento” (SS.RR. n. 5/QM del 2007).

Deve pertanto confermarsi che nella fattispecie il dies a quo della prescrizione dell’azione di responsabilità non può essere fissato in un momento anteriore a quello in cui furono definite “automaticamente le domande di rimborso e di discarico per inesigibilità” presentate dal concessionario in applicazione dell’art. 60 del d.lgs. n. 112 del 1999.

Inoltre, va considerato che la falsificazione dei verbali aveva determinato un “occultamento doloso” del danno, per cui la prescrizione dell’azione di responsabilità non potrebbe comunque decorrere, in applicazione del citato art. 1 comma 2 della legge n. 20 del 1994, da un momento anteriore alla “scoperta” del danno stesso, ovverosia dall’accertamento della falsità dei verbali in sede penale.

3. Risulta infondata anche l’eccezione di mancanza di prova del danno subito dall’Erario.

Come ha rilevato la Procura Generale, “la prova dell’inadempimento è stata pienamente conseguita attraverso il paziente e laborioso lavoro di controllo e raffronto sui registri cronologici tenuti da ciascun ufficiale della riscossione; sui registri delle presenze (sono state attestate attività di riscossione che sarebbero state compiute in giorni non consentiti, festivi, ovvero in giorni di assenza per ferie o malattia); mediante le indagini anagrafiche e patrimoniali; in esito alle ispezioni e agli interrogatori dei contribuenti compiuti dalla Guardia di Finanza. Accertamenti e controlli che sono stati anche supportati dalle rilevazioni statistiche sull’andamento del servizio di riscossione e che hanno denunciato, con elementi certi e concordanti, la materiale impossibilità di potere effettuare nei termini e nei tempi descritti nei documenti redatti dagli ufficiali della riscossione le operazioni attestate”.

4. L’affermazione poi che i verbali attestanti l’irreperibilità del debitore o l’esito negativo del pignoramento costituiscono comunque piena prova fino a querela di falso, non risulta convincente.

La Procura Generale ha infatti richiamato la sentenza del Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Venezia, che in applicazione dell’art. 444 c.p.p. ha condannato numerosi Ufficiali della riscossione della Ge.Ri.Co. s.p.a. per i reati di truffa e falsità ideologica, tenendo “nel debito conto i dati evidenziati dalla P.G. circa le sommarie informazioni rese da centinaia di contribuenti – i quali hanno dichiarato di non avere mai ricevuto il controllo dell’ufficiale della riscossione della GERICO s.p.a – ed i controlli incrociati delle giornate in cui gli imputati risultavano assenti dal lavoro con quelle nelle quali era stata posta in essere un’attività di riscossione. Da tali accertamenti di carattere analitico e deduttivo è risultata la falsità di migliaia di verbali di pignoramento negativo e di irreperibilità”. E ha per conseguenza disposto: “Ai sensi dell’art. 537 c.p.p. deve essere dichiarata la falsità dei predetti verbali, statuizione che consegue per legge indipendentemente dall’accordo delle parti. Infatti essa consegue, per così dire, automaticamente, ai reati di falso per cui è stata applicata la pena”.

In effetti, il giudizio penale conclusosi con la citata sentenza n. 638/02 riguardava, tra gli altri, gli ufficiali della riscossione V.A., A.D.F., A.D.R. e A.M.: non anche i sigg. A.F., E.C. e F.F., che pure avevano redatto verbali la cui falsità era stata accertata, senza possibilità di dubbi, dalla Guardia di Finanza.

Ma sul punto, va evidenziato come sia già stato ritenuto che il valore di un verbale in applicazione dell’art. 2700 c.c. non possa essere invocato per contrastare i risultati di accertamenti ufficiali – in questo caso gli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza – che abbiano evidenziato un ineliminabile contrasto con i fatti in precedenza attestati tale da rendere impossibile la loro contemporanea verità (C.d.S. V Sezione n.216 del 30.3.1994).

Inoltre e soprattutto, la giurisprudenza della Cassazione ha già chiarito, e proprio con riferimento alla falsità di verbali redatti da Ufficiali della riscossione (cfr. la sentenza della Sezione Lavoro 22.6.2002 n. 9147), che “l’efficacia probatoria tipica dell’atto pubblico, cioè ‘la piena prova, fino a querela di falso’, opera erga omnes, cioè non è limitata ai soggetti che hanno partecipato all’atto o che dal medesimo sono contemplati. Deve, però, considerarsi anche che il campo di incidenza, anche solo probatoria, dell’atto riguarda i rapporti e le situazioni giuridiche correlate all’oggetto e alle finalità del medesimo, elementi che sono alla base anche dell’attribuzione ai vari casi al pubblico ufficiale del potere di redigere un atto munito della pubblica fede (cfr. art. 2699 c.c.). E deve escludersi che appartenga all’ambito delle finalità dell’atto pubblico anche quella di influire sulla sfera giuridica personale del pubblico ufficiale autore dell’atto stesso, anche perché ciò determinerebbe una situazione di incompatibilità, non irrilevante ai fini della stessa validità dell’atto (cfr. art. 2701 c.c.).”.

In definitiva, non sembra che l’Ufficiale della riscossione e lo stesso concessionario per il quale il dipendente ha agito possano eccepire la normale efficacia probatoria di un verbale la cui falsità sia stata invece accertata, senza possibilità di dubbio, da approfondite indagini della Guardia di Finanza.

5. Ciò posto, va rilevato che nessun dubbio sussiste sul fatto che il concessionario non ha affatto curato con la necessaria diligenza l’organizzazione e il funzionamento del servizio di riscossione, vigilando adeguatamente sull’attività dei dipendenti.

Infatti, solo una grave mancanza di controlli sull’operato degli Ufficiali della riscossione ha permesso la compilazione di verbali attestanti ricerche di contribuenti o di beni pignorabili mai effettuate, in numero giornaliero abnorme rispetto alle concrete possibilità o in giorni in cui gli ufficiali della riscossione erano assenti dal servizio.

Sul punto, nel rapporto del Nucleo Regionale di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza n. 23027 del 29.6.2000 viene tra l’altro chiarito: “la direzione della società, tramite i responsabili di sportello, spingeva gli ufficiali alle dipendenze ad espletare l’attività di riscossione in qualsiasi modo, purché fosse celere e formalmente corretta” (pag. 37); si lavorava “sottoorganico” e su chi non riusciva a completare l’enorme “mole di lavoro” affidata incombeva “il pericolo di un trasferimento ad altro incarico non gradito o in una zona indesiderata” (pag. 39); la Ge.Ri.Co. s.p.a. aveva “organizzato il proprio servizio di riscossione con la sola finalità di fingere un espletamento efficiente dei propri doveri assegnando agli ufficiali della riscossione un numero di cartelle esattoriali sproporzionato rispetto alle loro possibilità” (pag. 39).

Nello stesso rapporto, viene anche evidenziato che gli Ufficiali della riscossione non percepivano “alcun compenso per verbalizzazioni relative ad attività esecutiva che non abbia dato esito positivo né tanto meno potevano usufruire di rimborsi spese o diarie di qualsiasi genere in giornate di assenza dal lavoro”. Con “una attività di verbalizzazione così rapida ed apparentemente efficace”, il Concessionario poteva invece presentare “domanda di rimborso per inesigibilità rientrando in breve tempo in possesso delle quote precedentemente anticipate secondo il principio del non riscosso come riscosso, ovvero, per le quote non soggette al principio del non riscosso come riscosso, la celerità delle procedure esecutive a discapito della correttezza permetteva una notevole diminuzione del carico del lavoro a seguito della cancellazione per inesigibilità delle quote dal ruolo” (pag. 6).

In definitiva, appare indubbia la gravità della colpa del concessionario.

6. Con riferimento agli effetti della “definizione automatica delle domande di rimborso e di discarico” prevista dagli artt. 60 del d.lgs. n. 112 del 1999 e 79 della legge n. 342 del 2000, si rileva poi che la sentenza di questa Sezione n. 66 del 2008 ha affermato: “La definizione automatica prevista dall’art. 60 del decreto legislativo n.112 del 1999 non rappresenta una forma di sanatoria di situazioni irregolari; né, tanto meno, consente il riconoscimento di rimborsi o discarichi che, sulla base della normativa vigente, non potevano essere effettuati. In realtà, le disposizioni di cui trattasi hanno soltanto snellito le procedure pendenti e presuppongono l’effettiva inesigibilità delle quote da rimborsare o da scaricare; presupposto che, nella specie, mancava in quanto l’Amministrazione finanziaria, già con l’indagine ispettiva del 1997, aveva rilevato le innumerevoli irregolarità che hanno condotto alla declaratoria di falsità delle verbalizzazioni. E’ evidente, comunque, che in nulla rileva una <> di quote inesigibili, che è risultata fondata su false attestazioni di irreperibilità dei contribuenti e su false dichiarazioni di esito negativo di tentativi di pignoramento mai effettuati”.

Va aggiunto che, in ogni caso, nessuna disposizione stabilisce che la “definizione automatica” in questione poteva avere effetti non solo, eventualmente, nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, ma anche ai fini di un’ipotetica esclusione della responsabilità per danno davanti a questa Corte.

7. Con riferimento alla sanatoria prevista dalla legge n. 311 del 2004, ripetutamente richiamata nell’atto di appello e nella successiva memoria, va invece rilevato quanto segue.

L’art. 1 comma 426 della legge n. 311 del 2004 stabilì: “In attesa della riforma organica del settore della riscossione, fermi restando i casi di responsabilità penale, i concessionari del servizio nazionale della riscossione ed i commissari governativi delegati provvisoriamente alla riscossione, di cui al decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, hanno la facoltà di sanare le irregolarità connesse all’esercizio degli obblighi del rapporto concessorio compiute fino alla data del 20 novembre 2004 dietro versamento della somma di 3 € per ciascun abitante residente negli ambiti territoriali ad essi affidati in concessione alla data del 1° gennaio 2004. L’importo dovuto è versato in tre rate, la prima pari al 40% del totale, da versare entro il 30 giugno 2005, e le altre due, ciascuna pari al 30 per cento del totale, da versare rispettivamente entro il 30 giugno 2006 e tra il 21 ed il 31 dicembre 2006. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze sono stabilite le modalità di applicazione delle disposizioni del presente comma””.

Successivamente:
– L’art. 4 del d.l. n. 35 del 2005 convertito nella legge n. 80 del 2005 sostituì, nell’art. 1 comma 426 della legge n. 311 del 2004, le parole da “irregolarità” a “2004” con “responsabilità amministrative derivanti dall’attività svolta fino al 20 novembre 2004”. E aggiunse un comma 426 bis: “Per effetto dell’esercizio della facoltà prevista dal comma 426, le irregolarità compiute nell’esercizio dell’attività di riscossione non determinano il diniego del diritto al rimborso o del discarico per inesigibilità delle quote iscritte a ruolo o delle definizioni automatiche delle stesse …”.
– L’art. 3 del d.l n. 203 del 2005 convertito nella legge n. 248 del 2005 spostò al 30.6.2005 il termine del 20.11.2004.
▫ Il regolamento sulle “modalità di applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 1, comma 426, della legge 30 dicembre 2004, n. 311”, approvato con decreto ministeriale n. 112 del 7.2.2006, affermò all’art. 1 che la sanatoria della legge n. 311 del 2004 “estingue la responsabilità amministrativa per le violazioni, anche se non ancora contestate, punite con le sanzioni previste dagli articoli da 103 a 109 e 111 del decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1988, n. 43, e dagli articoli da 47 a 53 del decreto legislativo 13 aprile 1999, compiute fino al 30 giugno 2005”.
– L’art. 35 comma 26 quater del d.l. n. 223 del 2006 convertito dalla legge n. 248 del 2006 stabilì: “Le disposizioni contenute nell’articolo 1, commi 426 e 426 bis, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, si interpretano nel senso che la sanatoria ivi prevista non produce effetti sulle responsabilità amministrative delle società concessionarie del servizio nazionale della riscossione o dei commissari governativi provvisoriamente delegati alla riscossione relative: a) ai provvedimenti sanzionatori e di diniego del diritto al rimborso o al discarico per inesigibilità per i quali, alla data del 30 giugno 2005, non era pendente un ricorso amministrativo o giurisdizionale; b) alle irregolarità consistenti in falsità di atti redatti dai dipendenti, se definitivamente dichiarata in sede penale prima della data di entrata in vigore della stessa legge n. 311 del 2004”.
– L’art. 1 comma 154 della legge n. 244 del 2007 stabilì che “per i tributi e le altre entrate di spettanza delle province e dei comuni le disposizioni contenute nell’articolo 1, commi 426 e 426 bis, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, si interpretano nel senso che la sanatoria produce esclusivamente effetti sulle responsabilità amministrative delle società concessionarie del servizio nazionale della riscossione o dei commissari governativi provvisoriamente delegati alla riscossione ai fini dell’applicazione delle sanzioni previste dagli articoli da 47 e 53 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, e successive modificazioni, costituendo comunque le violazioni di cui al comma 2 dell’articolo 19 del medesimo decreto legislativo n. 112 del 1999, e successive modificazioni, causa di perdita del diritto al discarico”.
– Infine, l’art. 41 del d.l. n. 248 del 2007, convertito dalla legge n. 31 del 2008, ha modificato la lettera b) dell’art. 35 comma 26 quater del d.l. n. 223 del 2006 convertito dalla legge n. 248 del 2006 sostituendo l’espressione “prima della entrata in vigore della stessa legge n. 311 del 2004” con le seguenti parole “prima della data del 1° gennaio 2005, con esclusione degli atti redatti dai dipendenti già soggetti alla specifica sorveglianza di cui all’art. 100, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1988, n. 43”.

Come si vede, l’evoluzione normativa – che ha visto tra l’altro ben due interpretazioni autentiche – è stata complessa e farraginosa.

8. Orbene, una consolidata giurisprudenza della Prima Sezione Centrale d’Appello di questa Corte (sentenze n. 322 del 2007, n. 79 del 2008, n. 138 del 2008, n. 207 del 2008, n. 241 del 2008 etc.) ha sostenuto che le “responsabilità amministrative” cui fa riferimento l’attuale testo dell’art. 1 comma 426 della legge n. 311 del 2004 vanno identificate nelle sole “responsabilità” per le violazioni menzionate prima dagli artt. 103-109 e 111 del d.P.R. n. 43 del 1988 e poi dagli artt. 47-53 del d.lgs. n. 112 del 1999.

Si tratta in sostanza delle sanzioni amministrative pecuniarie a carico dei concessionari previste per l’omissione alle prescritte scadenze dei riversamenti agli enti creditori (art. 47 del d.lgs. n. 112 del 1999), per il ritardo nella restituzione di somme dichiarate indebite (art. 48 del d.lgs. cit.), per il ritardo nei riversamenti dal concessionario delegato al concessionario delegante (art. 49), per l’affidamento di notificazioni o atti esecutivi a personale non autorizzato (art. 50), per l’omessa o irregolare tenuta del registro cronologico (art. 51), per il ritardo, l’omissione o l’irregolarità nella comunicazione dei dati della riscossione (art. 52), “per le violazioni delle disposizioni del presente decreto, diverse da quelle previste dagli articoli da 47 e 52” (art. 53).

E’ un orientamento, questo della Prima Sezione, che appare condivisibile, sia pure con qualche precisazione.

In effetti, è indubbio che un regolamento ministeriale, la cui efficacia risulta peraltro sospesa dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio con ordinanza n. 3769 del 28.6.2006 (citata dalle sentenze della Sezione Giurisdizionale per il Veneto n. 702 e n. 951 del 2008), non avrebbe mai potuto operare una qualsiasi (pretesa) “correzione” di una disposizione di legge, l’art. 1 comma 426 della legge n. 311 del 2004 modificato dal d.l. n. 35 del 2005 convertito nella legge n. 80 del 2005, di cui doveva solo stabilire le “modalità di applicazione”.

Sennonché, successivamente è intervenuto l’art. 1 comma 154 della legge n. 248 del 2007 che ha formulato un’interpretazione della sanatoria in questione che richiama quella già prevista dal regolamento e limita, come si è detto, l’ambito delle sanatoria stessa alle sanzioni previste dagli artt. 47-53 del d.lgs. n. 112 del 1999.

Si tratta di un’interpretazione che ha tratto verosimilmente occasione dalle difficoltà in cui sarebbero trovate alcune amministrazioni locali nell’assicurare i prescritti equilibri dei propri conti qualora non avessero potuto più contare, per effetto della sanatoria, su rilevanti residui attivi.

Ma è un’interpretazione che vale necessariamente per tutti i tributi: comunali e provinciali ma anche statali. E’ infatti evidente che un’unica disposizione di legge non può essere “interpretata” a volte in un modo e a volte in un altro.

Successivamente, l’art. 41 del d.l. n. 248 del 2007 convertito dalla legge n. 31 del 2008 non solo non ha espressamente abrogato la disposizione interpretativa appena emanata con la legge finanziaria per il 2008, ma non appare nemmeno con essa incompatibile. Un agevole coordinamento delle due disposizioni richiede infatti solamente che per effetto della sanatoria le sanzioni pecuniarie previste dal d.lgs. n. 112 del 1999 (ma solo quelle) non si applichino nemmeno nel caso in cui le irregolarità siano connesse alla redazione di atti falsi da parte dei dipendenti del concessionario.

Ed è appena il caso di rilevare che la ricostruzione appena esposta appare coerente con i principi costituzionali, mentre una diversa interpretazione porrebbe seri dubbi di costituzionalità con riferimento a varie disposizioni della legge fondamentale (artt. 3, 24, 81, 103).

In definitiva, la Gest Line (ora Equitalia s.p.a.), pur avendo aderito alla sanatoria prevista dalla legge n. 311 del 2004, resta responsabile davanti a questa Corte per il risarcimento dei danni conseguenti agli illeciti dei suoi dipendenti.

10. Con riferimento alla quantificazione del danno da parte del primo giudice, la Procura Generale ha evidenziato che “il mero calcolo aritmetico della miriade di falsità rilevate attraverso il riscontro dei fantasiosi cronologici, ovvero la mera proiezione statistica sulla percentuale dei falsi emersa” dal campione “esplorato dalla Guardia di Finanza (circa mille posizioni di pignoramenti negativi con l’accertamento di ben 377 esecuzioni nella realtà mai eseguite – oltre il 30% del totale), avrebbe portato la pretesa risarcitoria a cifre di molto, molto, superiori a quelle fatte valere in questo processo”.

Invece, la Procura regionale “si è limitata a contestare i soli importi emersi da verbali redatti in giornate sicuramente non lavorate (giorni festivi, assenza dal lavoro dell’ufficiale di riscossione per malattia, congedo od altre cause) nonché quei soli verbali accertati come falsi dal campione interrogato ed indagato dalla Guardia di Finanza”; “ha stralciato dalle originarie contestazioni gran parte delle partite per le quali, comunque, anche a prescindere dalla loro falsità, è stata fornita una qualche giustificazione”; si è basata sui dati degli “stessi tabulati forniti dal concessionario, il quale quando è stato in grado di contestare le singole partite, lo ha fatto” ed è stato ampiamente “seguito”.

Inoltre, la Procura Generale ha sottolineato che il danno contestato in realtà “si compone di tre distinte partite: la prima riguarda il tributo che avrebbe dovuto essere esatto e che, invece, per inadempimento dell’esattore, non lo è stato; la seconda partita riguarda (art. 60/bis del d.lgs. 112/1999) il 50% delle spese delle procedure esecutive infruttuose di cui all’art. 61, comma 4, del d.P.R. 43/1988, spese realmente non sostenute; la terza partita, il compenso ex art. 61, comma 3, lett. d), compenso, ovviamente non spettante per la mancanza della prestazione”. E la lamentata “incertezza sulla effettiva riscuotibilità delle somme” riguarderebbe evidentemente solo la prima delle tre partite di danno.

Si tratta di considerazioni solo in parte condivisibili.

Poiché infatti il Procuratore Regionale veneto si era limitato appunto a contestare solo alcune specifiche partite di danno, il giudizio resta limitato alla valutazione di questi danni e non rileva pertanto l’affermazione che l’Amministrazione finanziaria ha comunque subito un pregiudizio complessivo molto maggiore.

Inoltre, va rilevato che l’appellante ha motivatamente lamentato, richiamando copiosa documentazione, l’inesigibilità di un ulteriore “importo di lire 3.695.026.869”. E ha inoltre contestato il calcolo di un’incidenza della morosità pari appena al 25%: le percentuali di riscossione coattiva dei tributi dovuti sono infatti in genere inferiori al 75% dell’importo dei tributi stessi.

Tutto ciò considerato, una più prudente valutazione del danno causato all’Amministrazione finanziaria dagli Ufficiali della riscossione chiamati in giudizio dalla Procura Regionale veneta, necessariamente equitativa in applicazione dell’art. 1226 c.c., induce a ridurre la condanna della società a un terzo dell’importo quantificato nella sentenza impugnata: € 1.465.384.

11. Della pertinenza a enti diversi dallo Stato di una quota dei tributi in questione, peraltro non precisata dall’appellante, l’Amministrazione finanziaria terrà poi conto una volta eseguita la presente sentenza.

12. L’esito del presente grado solo parzialmente favorevole all’appellante induce a compensare le spese del giudizio d’appello.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Seconda Giurisdizionale Centrale d’appello, accoglie parzialmente l’appello proposto dalla Ge.Ri.Co. s.p.a. (poi Gest Line s.p.a. e ora Equitalia Polis s.p.a.), avverso la sentenza della Sezione Giurisdizionale per la Regione Veneto n. 485 del 26.6.2002 e per l’effetto la condanna, in riforma della sentenza impugnata, al pagamento di € 1.465.384,00 (unmilionequattrocento sessantacinquemilatrecentottantaquattro/00), con rivalutazione e interessi secondo i criteri indicati dalla Sezione veneta. Spese del giudizio d’appello compensate.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15.1.2009. Depositata in Segreteria il 23 gennaio 2009.

Redazione

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