Tar Lazio, la sentenza che annulla il piano regolatore generale del Comune di Roma

Il Tar Lazio ha annullato il nuovo Piano regolatore Generale del Comune di Roma.

E’ stato accolto un motivo di ricorso riguardante il procedimento di formazione ed
approvazione del piano, con il conseguente annullamento dell’intero piano approvato.

I Giudici romani in particolare hanno ritenuto fondata la dedotta violazione e  falsa applicazione dell’art. 66 bis della legge
regionale del Lazio n. 38/1999, aggiunto dall’art. 70 comma 7 L.R. n.
4/2006, perchè, nel procedimento di approvazione del piano,
sarebbe stato omessa la fase di cui al comma 5 della norma richiamata,
e precisamente l’approvazione, da parte del Consiglio, delle modifiche
apportate, diverse da quelle di adeguamento agli strumenti di
pianificazione di ambito regionale o statale.

. . . . .

TAR Lazio, III sezione

Sentenza del 19 marzo 2009 numero 2860

(presidente Tosti, relatore Lo Presti)

(…)

Fatto

Con il ricorso in epigrafe la Società Boadicea Property Services Co. Limited, premesso di essere proprietaria di un’area sita in Roma, via del Fontanile Arenato, distinta in catasto al foglio 419, particelle 870, 871, 251 e 252, e di avere impugnato con separato ricorso la destinazione urbanistica impressa a detta area con il nuovo piano regolatore adottato, impugna la delibera del Consiglio Comunale n. 18 del 12.2.2008 con la quale si è proceduto all’approvazione del piano mediante ratifica dell’accordo di pianificazione, ai sensi dell’art. 66 bis legge regionale n. 38/1999, sottoscritto dal Sindaco del Comune di Roma e dal Presidente della Regione Lazio.

L’impugnazione è estesa alla delibera della Giunta Regionale n. 80 dell’8 febbraio 2008 di ratifica dell’ accordo di pianificazione, all’accordo stesso ed agli ulteriori atti indicati in gravame, ivi comprese le determinazioni adottate dal Consiglio Comunale sulle osservazioni presentate avverso il Nuovo Piano Regolatore.

Con il ricorso si lamenta, in primo luogo, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 9 della legge n. 1150/1942, l’eccesso di potere per difetto di istruttoria, motivazione non pertinente e carenza dei presupposti.

Assume in proposito la ricorrente che sarebbero state violate le garanzie di partecipazione degli interessati al procedimento di formazione del piano regolatore e che l’Amministrazione non avrebbe adeguatamente motivato, nel respingerle, in ordine ai presupposti di fatto e di diritto posti a fondamento delle osservazioni proposte.

Con secondo motivo di censura la ricorrente denuncia poi la violazione del giudicato formatosi sulla sentenza di questo Tribunale n. 1103 del 1989, con la quale era stato annullato il provvedimento comunale di diniego del progetto edilizio prot. n. 164109/1986 presentato dai precedenti proprietari per la realizzazione di una struttura alberghiera, in quanto fondato su un vincolo a verde pubblico invece ritenuto decaduto.

Ritiene la ricorrente che l’amministrazione, dovendosi conformare al giudicato, all’atto della nuova pianificazione avrebbe dovuto tener conto della normativa urbanistica esistente al momento della notifica della sentenza.

Con terzo articolato motivo di gravame la ricorrente lamenta quindi la violazione e la falsa applicazione dell’art. 66 bis della legge regionale del Lazio n. 38/1999, aggiunto dall’art. 70 comma 7 L.R. n. 4/2006, assumendo che, nel procedimento di approvazione del piano, sarebbe stato omessa la fase di cui al comma 5 della norma richiamata, e precisamente l’approvazione, da parte del Consiglio, delle modifiche apportate, diverse da quelle di adeguamento agli strumenti di pianificazione di ambito regionale o statale.

Con gli ulteriori motivi di ricorso, articolati in via solo subordinata, viene infine contestata la violazione degli artt. 9 e 10 della legge n. 1150/1942, considerato che le modifiche introdotte dalla Conferenza di Copianificazione non rientrerebbero tra quelle apportabili d’ufficio al piano in sede di approvazione, nonché la violazione dei principi di semplificazione e buon andamento dell’attività amministrativa, considerata l’eccessiva complessità del piano e gli ingiustificati aggravi procedimentali pregiudizievoli degli interessi dei privati proprietari.

Si è costituito in giudizio il Comune di Roma, deducendo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse in capo alla ricorrente; nel merito ha chiesto il rigetto di tutte le censure siccome infondate.

Alla pubblica udienza del giorno 3 dicembre 2008 la causa veniva trattenuta per la decisione e veniva decisa dal Collegio alla successiva camera di consiglio del 28 gennaio 2009.

Diritto

1. Preliminarmente occorre prendere in esame l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dalla difesa del Comune di Roma.

Si assume che il ricorso sarebbe inammissibile per carenza di interesse, considerata la mancata impugnazione del P.T.P.R. adottato che, per l’area di proprietà della ricorrente, con disciplina urbanistica sovraordinata rispetto a quella dello stesso piano regolatore generale, vieta qualsiasi nuova edificazione, qualificandola come paesaggio agrario di rilevante valore.

Sotto ulteriore profilo, poi, si deduce l’inammissibilità del ricorso sempre per difetto di interesse, considerato che la ricorrente non avrebbe esplicitato l’interesse concreto ed attuale all’annullamento dell’approvazione del piano né avrebbe indicato in quale misura le modifiche alla disciplina urbanistica introdotte in sede di approvazione abbiano inciso sull’area di sua proprietà.

I rilievi non possono essere condivisi dal Collegio.

Va osservato in primo luogo che la mancata impugnazione del piano territoriale adottato ( il P.T.P.R. del 2007 non è ancora stato approvato e la ricorrente dichiara di avere presentato osservazioni sulle quali la Regione deve ancora controdedurre) non preclude agli interessati la possibilità di impugnazione dell’atto al momento della sua approvazione, potendo in genere, com’è noto, gli atti di adozione e di approvazione degli strumenti di pianificazione essere impugnati autonomamente e indistintamente, senza che la mancata impugnazione del primo implichi decadenza dal diritto di impugnare il piano approvato; men che mai, dunque, la mancata impugnazione di un piano soltanto adottato e non ancora approvato, sia pure sovraordinato rispetto al piano regolatore, potrebbe lasciare ipotizzare un difetto di interesse all’impugnazione del piano regolatore medesimo.

In secondo luogo, l’interesse all’impugnazione di un piano urbanistico non è riferibile esclusivamente all’immediato vantaggio conseguibile sul piano della destinazione urbanistica dell’area di proprietà del ricorrente per effetto dell’annullamento in parte qua dell’atto impugnato, potendosi fondare l’interesse al ricorso anche sul vantaggio indiretto ed eventuale ipotizzabile a seguito della rinnovazione della procedura conseguente all’annullamento dell’intero atto di pianificazione urbanistica.

In simile prospettiva, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, è sufficiente a fondare un interesse a ricorrere avverso un atto di pianificazione urbanistica anche il solo interesse strumentale all’annullamento in vista dei possibili ed auspicati vantaggi desumibili dal rinnovo della procedura (cfr.. fra le tante, Cons. Stato V, 15.11.2001 n. 5839), specie ove con il ricorso si facciano valere vizi di legittimità della procedura di formazione dell’atto tali da implicarne il possibile integrale annullamento.

Le questioni di inammissibilità del ricorso sono quindi da ritenersi infondate e vanno respinte in quanto comunque, con il terzo motivo di gravame, si introduce un vizio di legittimità idoneo ad implicare un annullamento con conseguente rinnovazione della procedura.

2. Con il primo motivo di ricorso viene in sostanza contestata la sufficienza motivazionale delle determinazioni adottate sulle osservazioni presentate dalla ricorrente al piano adottato, lamentandosi un acritico recepimento delle controdeduzioni del Comune in sede di approvazione del piano, con conseguente frustrazione dell’apporto collaborativo del privato che ha partecipato al procedimento.

La censura è infondata.

Le controdeduzioni del Comune danno atto in maniera adeguata delle ragioni per le quali le osservazioni non siano state ritenute meritevoli di positiva valutazione, in base ad un apprezzamento di carattere squisitamente tecnico discrezionale sulla natura dell’area e sulla sua caratterizzazione urbanistica, suscettibile di sindacato soltanto entro i consueti limiti del giudizio di legittimità (sindacato estrinseco di logicità e ragionevolezza e sindacato intrinseco debole).

In sede di approvazione, poi, la Conferenza di Copianificazione ha proceduto in maniera articolata e complessiva anche attraverso la valorizzazione degli elementi di valutazione acquisiti in sede di disamina delle osservazioni, cosicché non sembra ipotizzabile alcun vizio motivazionale nel recepimento e nella conferma, in sede di accordo di pianificazione approvato, delle controdeduzioni del Comune rispetto alle osservazioni presentate dall’odierna ricorrente.

3. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso con il quale si lamenta la violazione del giudicato formatosi sulla sentenza di questa Sezione n. 1103 del 1989 con la quale venne annullato il diniego di concessione edilizia per l’esecuzione di un progetto edilizio presentato dai danti causa della ricorrente.

L’annullamento di un diniego di concessione infatti, se per un verso impone all’Amministrazione di provvedere al riesame del progetto alla stregua della disciplina urbanistica vigente al momento della notificazione della sentenza, per altro verso non può certo ritenersi limitativo del potere generale di pianificazione urbanistica e, quindi, preclusivo della possibilità dell’Autorità competente di normare diversamente la disciplina del territorio in cui ricade l’area interessata dal progetto edilizio denegato.

4. Con il successivo motivo di ricorso viene poi introdotto un vizio di legittimità riguardante il procedimento di formazione ed approvazione del piano, implicante quindi una domanda di annullamento dell’intero piano approvato.

Si deduce, in particolare, che nel procedimento di copianificazione, regolato dalle disposizioni di cui all’art. 66 bis L.R. 38/99, sarebbe mancato un segmento procedimentale, previsto dal 5° comma dello stesso articolo, relativo all’approvazione da parte del Consiglio Comunale delle modifiche apportate dalla conferenza di copianificazione rispetto al piano adottato.

Per esaminare il merito della doglianza occorre prendere le mosse dalla considerazione del dato normativo.

L’art. 66 bis della legge regionale del Lazio n. 38 del 1999 introduce disposizioni transitorie per la formazione e l’approvazione dello strumento urbanistico generale del Comune di Roma, prevedendo, in un’ottica di semplificazione procedimentale e di snellimento delle attività preordinate all’approvazione del piano regolatore, evidentemente complesse in ragione della dimensione territoriale, demografica e sociale della Capitale, una disciplina speciale di formazione ed approvazione dello strumento, nelle more dell’approvazione del PTPG.

La specialità della disciplina riguarda la fase successiva all’adozione del piano, e della deliberazione di controdeduzioni alle osservazioni pervenute, fino all’approvazione del piano adottato, prevedendo la possibilità di conclusione, su iniziativa del Sindaco, di un accordo di pianificazione all’esito dei lavori della Conferenza di copianificazione convocata dallo stesso Sindaco, d’intesa col Presidente della Regione, e costituita da dirigenti delle strutture tecniche competenti del Comune, della Regione e della Provincia.

Compito della Conferenza è, fra l’altro, quello di stabilire le eventuali modifiche necessarie a seguito dell’accoglimento di osservazioni presentate da privati (allo scopo di garantire la razionalità e l’omogeneità dell’intera disciplina urbanistica introdotta col piano adottato) nonché quello di individuare possibili adeguamenti necessari al fine di conformare il piano adottato alle previsioni di strumenti di pianificazione territoriali e di settore, di ambito regionale o statale.

Ai sensi della comma 4 della norma citata, in esito ai lavori della conferenza, che debbono comunque concludersi entro sessanta giorni dalla convocazione, i partecipanti alla conferenza stessa convengono uno schema di accordo con allegata relazione tecnica recante dettagliate ed univoche indicazioni sulle eventuali modifiche, integrazioni ed adeguamenti da apportare al piano adottato.

Il comma 5 stabilisce poi che, qualora lo schema di accordo così formato, preveda, rispetto al piano adottato dal Comune, modifiche differenti dagli adeguamenti di cui al comma 3 ( e cioè i meri adeguamenti necessari al fine di conformare il piano adottato alle previsioni di strumenti di pianificazione territoriali e di settore, di ambito regionale o statale) esso venga trasmesso al Consiglio Comunale, affinché questo possa pronunciarsi su dette modifiche entro trenta giorni dal ricevimento dello schema stesso.

Una volta formato lo schema di accordo, e ottenuta la pronuncia favorevole del Consiglio Comunale per l’ipotesi di introduzione di modifiche al piano adottato diverse da quelle di cui comma 3, la norma prevede la stipulazione dell’accordo di copianificazione fra Sindaco e Presidente della Regione, sentito il Presidente della Provincia, che recepisce e conferma lo schema precedentemente formato.

L’accordo stipulato è quindi soggetto a ratifica, entro trenta giorni a pena di decadenza, da parte della Giunta Regionale e del Consiglio Comunale.

Contestualmente alla ratifica dell’accordo, il Consiglio Comunale approva definitivamente il piano adottato, senza potere introdurre ulteriori modifiche o adeguamenti diversi da quelli previsti dall’accordo di pianificazione.

Ciò premesso, quel che emerge in maniera inequivoca dall’esame degli atti di causa è che lo schema di accordo formato dalla Conferenza, pur recando modifiche al piano adottato, non è stato poi rimesso al Consiglio comunale affinchè questo potesse adottare la pronuncia prevista dal 5° comma della norma, avendo le Autorità competenti immediatamente proceduto alla sottoscrizione, in data 6.2.2008, dell’accordo di pianificazione secondo quanto previsto dal comma 6; sottoscrizione seguita dall’assunzione della delibera n. 18 del 12 febbraio 2008 da parte del Consiglio Comunale di ratifica dell’accordo e contestuale approvazione del piano adottato.

Come emerge dal preambolo della citata delibera n. 18 del 12.2.2008, è stato infatti ritenuto che le modifiche introdotte con lo schema di accordo, e di cui alla allegata relazione tecnica costituente parte integrante dell’accordo medesimo, non rientrassero nel tipo di quelle per cui il comma 5 del citato art. 66 bis prevede la necessaria pronuncia di recepimento da parte del Consiglio Comunale come momento prodromico indefettibile rispetto alla successiva stipulazione dell’accordo e alla sua ratifica.

Ciò in quanto, anche alla luce dell’intepretazione fornita in giudizio dalla difesa del Comune di Roma, la Conferenza si sarebbe limitata a svolgere un’attività di coordinamento e risistemazione del piano adottato a seguito delle modifiche introdotte con la delibera di controdeduzioni, senza quindi adottare essa stessa modifiche innovative sostanziali delle N.T.A., mentre le uniche innovazioni autonomamente introdotte dalla Conferenza stessa , peraltro non oggetto di specifica censura, si sarebbero risolte in mere correzioni di errori o prese d’atto, tali da non implicare la necessità di una nuova pronuncia da parte del Consiglio Comunale.

La tesi appare poco convincente.

Innanzi tutto occorre chiarire che, come emerge espressamente dalla relazione tecnica che costituisce parte integrante dello schema di accordo di pianificazione, la verifica effettuata, sulla conformità del piano adottato rispetto agli strumenti sovraordinati, ha evidenziato la piena compatibilità del nuovo piano regolatore con i piani suddetti, cosicché non è stato necessario, in fase di formazione dell’accordo di pianificazione, intervenire con l’introduzione di modifiche imposte dall’esigenza di conformazione del piano con la normativa urbanistica sovraordinata.

Ne consegue che – già per ciò stesso – tutte le modifiche introdotte con lo schema di accordo di pianificazione in parola, proprio perché diverse da quelle che si risolvano in meri adeguamenti di conformazione del piano adottato ai piani sovraordinati, in base al combinato disposto del comma 5 e del comma 3 dell’art. 66 bis citato, avrebbero implicato la necessità di una nuova pronuncia del Consiglio Comunale prodromica rispetto alla sottoscrizione dell’accordo ed alla sua ratifica con contestuale approvazione del piano adottato (il comma 3 richiamato prevede infatti che “nella conferenza vengono, in ogni caso, individuati gli adeguamenti necessari al fine di conformare il piano adottato alle previsioni di strumenti di pianificazione territoriali e di settore, di ambito regionale o statale” mentre il successivo comma 5 stabilisce che “qualora lo schema di accordo di cui al comma 4 preveda, rispetto al piano adottato dal Comune, modifiche differenti dagli adeguamenti di cui al comma 3, sulle medesime si pronuncia il consiglio comunale entro trenta giorni dal ricevimento dello schema stesso”).

La ratio della scelta normativa appare evidente.

In disparte le modifiche, sostanzialmente vincolate, in quanto imposte dalla necessità di conformare il piano adottato a disposizioni cogenti desumibili dai piani sovraordinati, che, proprio perché tendenzialmente non implicanti alcun apprezzamento di carattere tecnico discrezionale, possono essere adottate direttamente dalla Conferenza, ogni altro intervento di carattere modificativo o innovativo rispetto al piano adottato dal Consiglio Comunale anche a seguito della deliberazione sulle controdeduzioni, può essere solo proposto dalla Conferenza, operante come organo con valenza meramente istruttoria e non deliberativa, e deve pertanto essere recepito o confermato dallo stesso Consiglio Comunale con l’apposita pronuncia prevista dal comma 5 della disposizione richiamata.

Del resto, l’attività rimessa alla competenza della Conferenza di copianificazione, e che costituisce oggetto dello schema di accordo, al di là della descrizione che se ne voglia fornire, in termini di maggiore o minore rilevanza contenutistica ed effettuale, è tipizzata dalla norma stessa che la prevede.

L’organo infatti, oltre a verificare l’acquisizione dei pareri e dei nulla osta di altre amministrazioni prescritti dalla legislazione vigente, è chiamato, in esito all’esame del piano adottato, a verificare l’introduzione delle modifiche di cui all’art. 10 comma 2 della legge n. 1150/1942, come modificato dall’art. 3 della legge n. 765/1967.

Dette modifiche sono proprio quelle che non comportino sostanziali innovazioni, tali cioè da mutare le caratteristiche essenziali del piano stesso ed i criteri di impostazione, le modifiche conseguenti all’accoglimento di osservazioni presentate al piano ed accettate con deliberazione del Consiglio Comunale, nonché quelle che siano indispensabili per assicurare le finalità nella norma stessa puntualmente indicate.

Modifiche che, mentre nel sistema generale della normativa statale, sono collocate nella fase dell’approvazione del piano, nella disciplina speciale introdotta dalla norma regionale in parola sono anticipate alla fase precedente all’approvazione (attesa la complessità della materia e la conseguente necessità di rimetterne la previa configurazione ad un organismo tecnico di tipo conferenziale con finalità di snellimento e celerità della conclusione del procedimento); e proprio per questo ricadono nella competenza deliberativa del Consiglio Comunale, con la sola eccezione di quelle di cui al comma 3, introdotte per esigenze di conformazione del piano a quelli sovraordinati.

Tanto è vero che ai sensi del comma 8 dell’art.. 66 bis più volte citato, con l’atto di approvazione del piano non possono più essere introdotte modifiche di sorta, ad eccezione soltanto di quelle necessarie a conformare il piano adottato ai contenuti dell’accordo di pianificazione.

E proprio di questo tipo sono le modifiche previste con la relazione tecnica allegata allo schema di accordo formato dalla Conferenza indetta dal Sindaco del Comune di Roma.

Come per esempio si legge alla pag. 47 della relazione , a seguito dell’accoglimento delle osservazioni in numero piuttosto rilevante, è stato necessario intervenire sul testo del piano adottato, modificato dalle controdeduzioni, ovviamente senza mutamento delle caratteristiche essenziali del PRG e dei suoi criteri di impostazione, allo scopo di porre rimedio a discordanze e trattamenti ingiustificatamente differenziati, per garantire, fra l’altro, la coerenza di tutte le determinazioni adottate rispetto alle innovazioni specifiche introdotte con le controdeduzioni.

Quindi non si è trattato di attività di mero recepimento delle modifiche direttamente e casualmente connesse all’accoglimento delle osservazioni, e sulle quali la volontà dell’organo consiliare avrebbe potuto ritenersi già formata con la delibera di deliberazione sulle osservazioni e controdeduzioni; bensì di un’attività ulteriore di revisione, risistemazione ed adattamento del piano adottato, conseguente e logicamente successiva alle modifiche di mero recepimento delle osservazioni, in relazione alla quale la Conferenza ha, per legge, un potere solo di proposta e non certo un potere deliberativo.

Le modificazioni introdotte sono del resto in maniera assai puntuale descritte al punto 3.5.2 della relazione tecnica richiamata ed evidenziano, appunto, un contenuto ed una portata effettuale ben diversa rispetto al mero recepimento delle osservazioni, riguardando anche parti del piano non direttamente interessate dalla delibera di accoglimento delle osservazioni dei privati.

Ora – si ribadisce – ha poco senso interrogarsi sulla rilevanza dell’impatto innovativo delle modifiche proposte e qualificarlo come particolarmente importante (come fa parte ricorrente) o del tutto marginale (coma fa parte resistente); l’impatto è quello proprio degli atti che la legge riconduce alla competenza della conferenza e che si collocano nella fase successiva alla delibera sulle controdeduzioni , realizzando una integrazione del piano complessivamente adottato che rimanda ad una indefettibile successiva pronuncia di conferma da parte del Consiglio Comunale.

Non può essere quindi legittimo, argomentando dal fatto che le modifiche non intaccano l’assetto complessivo del piano e i suoi criteri di impostazione e qualificando l’attività della Conferenza come di mero coordinamento o “ricucitura” del piano a seguito delle controdeduzioni, arrivare a ritenere possibile una sottoscrizione dell’accordo senza che le predette modifiche siano state recepite e confermate dal Consiglio Comunale.

Ciò in quanto il dettato normativo del comma 5 dell’art. 66 è chiaro e non poteva che riferirsi ad interventi integrativi o innovativi proprio dello stesso tipo di quelli concretamente ipotizzati dalla Conferenza che, come visto, per legge ha una competenza tipicamente riferita all’adozione di modifiche di siffatta portata ed effetto.

La diversa interpretazione prospettata dal Comune di Roma, poi, finirebbe con l’attribuire ad un organo istruttorio, formato da funzionari tecnici e con finalità di mera semplificazione procedimentale, poteri deliberativi non espressamente previsti dalla legge e contrari al principio di legalità delle competenze, ( secondo il quale invece, nel nostro ordinamento il potere di adozione del piano regolatore generale è del Consiglio comunale); e implicherebbe, comunque, una lettura della norma regionale distonica e irrazionale rispetto agli indici interpretativi desumibili dalla normativa statale ( lo stesso art. 10 comma 4 della legge n. 1150/1942 prevede che le modifiche introdotte in sede di approvazione, sebbene non particolarmente innovative, debbano essere sottoposte all’esame del Consiglio Comunale, con la sola eccezione di quelle di mero recepimento delle osservazioni al piano).

Quanto poi all’intervenuta ratifica da parte del Consiglio Comunale, dell’accordo sottoscritto, prevista dal comma 6 dell’art. 66 bis, è da escludere che essa possa avere determinato un effetto di convalida di vizi di legittimità che si allochino nelle fasi procedimentali pregresse.

In proposito occorre precisare che, mentre l’intervento del Consiglio Comunale previsto dal 5° comma si colloca ancora nella fase di formazione dell’accordo, precedendone la stessa sottoscrizione, come estrinsecazione di un potere di natura sostanzialmente deliberativa del Consiglio, la ratifica di cui al sesto comma riguarda invece l’accordo già sottoscritto, non evoca l’esercizio di un potere ancora deliberativo, essendo piuttosto finalizzata soltanto al recepimento del contenuto dell’accordo in un atto formale proprio dell’organo competente a provvedere; le determinazioni contenutistiche dell’accordo di pianificazione, cioè, con la ratifica assumono una veste formale di deliberazione consiliare con la quale rimane definitivamente e compiutamente delineato il piano regolatore adottato, perché si possa da ultimo procederne all’approvazione in conformità alle modifiche ed agli adeguamenti introdotti con l’accordo.

Non si tratta quindi di una ratifica, qualificabile alla stregua di un provvedimento di secondo grado, con funzione di sanatoria di vizi del provvedimento di primo grado, atteggiandosi piuttosto detta “ratifica” come atto formale conclusivo del procedimento di primo grado di formazione del piano adottato.

Più in generale, peraltro, la ratifica in senso tecnico è l’atto di sanatoria del vizio di incompetenza relativa da parte dell’autorità competente (la quale fa proprio l’atto adottato da una diversa autorità incompetente): fattispecie affatto differente da quella in esame nella quale il vizio di legittimità rilevato è riferibile ad un’omessa pronuncia da parte del medesimo organo chiamato ad operare la ratifica.

Né potrebbe , nella previsione di cui al sesto comma della norma in parola, ravvisarsi un’attività assimilabile alla convalida, considerato che la convalida è un atto, anch’esso di secondo grado, con valore di convalescenza rispetto ad un atto di primo grado invalido, emanato dalla stessa autorità, considerato che, nella specie, l’invalidità è invece riferibile proprio ad una omessa pronuncia da parte dell’autorità competente.

Né dalla delibera di ratifica del 12.2.2008 emerge in alcun modo una volontà dell’organo di provvedere in funzione di sanatoria di uno specifico vizio di legittimità rilevato, non potendosi quindi, neanche sotto tale profilo, ipotizzare un’efficacia di detto intervento in funzione di convalescenza di vizi relativi alla fase precedente del procedimento.

5. Gli ulteriori motivi di ricorso, formulati in via subordinata rispetto al precedente, possono essere ritenuti assorbiti.

6. Conclusivamente il ricorso va accolto e, in ragione della portata del vizio di legittimità rilevato, va disposto l’annullamento richiesto limitatamente alla delibera del Consiglio Comunale n. 18 del 12.2.2008, alla delibera della Giunta Regionale n. 80 dell’8.2.2008 e dell’accordo di pianificazione sottoscritto in data 6.2.2008; vanno invece rigettate le diverse censure proposte avverso gli ulteriori atti impugnati e indicati in epigrafe.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese fra le parti in considerazione della natura della controversia e della complessità dei motivi di censura.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione II, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 6276.08, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati nei limiti di quanto indicato in parte motiva.

Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa. Così deciso in Roma, nelle camere di consiglio del 3 dicembre 2008 e 28 gennaio 2009.

Redazione

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