La Corte Costituzionale si pronuncia sulla natura della TIA: e’ un tributo

Con la sentenza riprodotta in calce il Giudice delle leggi ha posto fine alla vexata quaestio della natura della Tariffa di Igiene Ambientale. Secondo la Corte Costituzionale la natura tributaria della TIA dovrebbe desumersi in primo luogo dalla normativa che disciplina i prelievi e che si caratterizza per la doverosità della prestazione, per la mancanza di rapporto sinallagmatico tra parti e per il collegamento della prestazione alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante.

Come è noto sul punto non era possibile individuare un univoco orientamento della giurisprudenza di legittimità, anche se appariva maggioritario l’orientamento secondo cui la TIA avrebbe avuto natura tributaria. Secondo la Corte Costituzionale non sarebbe rilevante ai fini della determinazione della natura della TIA né la denominazione (l’art. 2 del dlgs. n. 546/1992 espressamente prevede che i tributi vadano individuati indipendentemente dal nomen iuris ad essi attribuito dalla legge), né la circostanza che essa possa essere riscossa mediante ruoli (l’art. 49 del dlgs. n. 22 del 1997 prevede che il ricorso a tale modalità di riscossione sia del tutto facoltativa per i Comuni).

Va, invece, effettuato un raffronto tra la disciplina della TIA e quella della TARSU sotto il profilo della struttura, della funzione e della disciplina complessiva della fattispecie dei prelievi.

Emerge chiaramente da tale raffronto l’esistenza di forti analogie tra i due pagamenti: la natura autoritativa (l’obbligo di pagamento non è legato alla effettiva fruizione del servizio di smaltimento, ma all’utilizzazione di superfici potenzialmente idonee a produrre rifiuti), la natura non sinallagmatica (la legge non attribuisce alcun rilievo alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore e utente del servizio), i criteri di commisurazione (che sia per la TARSU che per la TIA sono calcolati con riferimento alla potenziale produzione di rifiuti), la funzione di coprire i costi di smaltimento non solo dei rifiuti ‘interni’ (producibili dal singolo soggetto passivo), ma anche di quelli ‘esterni’ (rifiuti di qualunque tipo o provenienza che si trovino su strade e aree pubbliche), l’estraneità di ambedue i tributi all’ambito di applicazione dell’IVA (conseguente alla inesistenza di un nesso diretto tra il servizio e l’entità del prelievo, nel quale è incluso anche il costo di smaltimento dei rifiuti ‘esterni’).

Logico corollario è che le controversie riguardanti la TIA debbano essere attribuite alla cognizione delle Commissioni Tributarie.

Riportiamo qui di seguito il testo della sentenza.

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Corte Costituzionale

Sentenza n. 238 del 24 luglio 2009

(Presidente Amirante – Relatore Gallo) 

(…)

Considerato in diritto

1. – Il Giudice di pace di Catania (r.o. n. 445 del 2008) dubita della legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) – come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248 –, nella parte in cui dispone che «Appartengono alla giurisdizione tributaria […] le controversie relative alla debenza del canone […] per lo smaltimento di rifiuti urbani» e, quindi, della tariffa di igiene ambientale (TIA) prevista dall’art. 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/ CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio).

Il Giudice di pace rimettente afferma che la disposizione denunciata víola: a) l’art. 25, primo comma, della Costituzione; b) la VI disposizione transitoria della Costituzione; c) l’art. 102, secondo comma, Cost. In particolare, tale ultimo parametro sarebbe violato, perché la disposizione censurata, attribuendo alla cognizione delle commissioni tributarie le controversie concernenti la TIA, la quale non è qualificabile come “tributo”, comporterebbe «lo snaturamento della giurisdizione tributaria […], imprescindibilmente collegata alla natura tributaria del rapporto».

2. – La Commissione tributaria provinciale di Prato (r.o. n. 21 del 2009) dubita della legittimità costituzionale della medesima disposizione denunciata dal Giudice di pace di Catania.

Per il rimettente, la suddetta disposizione víola l’art. 102, secondo comma, Cost., perché attribuisce alla cognizione delle commissioni tributarie controversie che non hanno ad oggetto tributi e, pertanto, «si risolve nella creazione di un nuovo giudice speciale», vietata da tale parametro.

3. – L’identità della disposizione denunciata dai due giudici rimettenti e la parziale coincidenza sia delle censure prospettate, sia dei parametri costituzionali evocati, sia delle argomentazioni svolte nelle ordinanze di rimessione, rendono opportuna la riunione dei giudizi, al fine di esaminare e decidere congiuntamente le questioni.

4. – Le questioni sollevate dal Giudice di pace di Catania (r.o. n. 445 del 2008) sono manifestamente inammissibili.

4.1. – Con riferimento agli evocati art. 25, primo comma, Cost. e VI disposizione transitoria della Costituzione, il rimettente non indica le ragioni della denunciata illegittimità costituzionale. Da ciò consegue la manifesta inammissibilità di tali questioni.

4.2. – Con riferimento al parimenti evocato secondo comma dell’art. 102 Cost., il rimettente afferma che: a) il giudizio principale è stato instaurato ai sensi dell’art. 615 del codice di procedura civile, come opposizione al diritto del Comune di Catania di procedere alla riscossione coattiva del credito risultante da una cartella di pagamento notificata al debitore; b) tale credito riguarda «la tassa di smaltimento rifiuti solidi urbani, oggi tariffa di igiene ambientale (TIA), per gli anni 1997, 1998, 1999 e 2000».

4.2.1. – In relazione all’affermazione sub a) – secondo cui il giudizio principale è stato instaurato ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ. –, va rilevato che sia l’art. 72, comma 5, del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, con riferimento alla TARSU, sia l’art. 49, comma 15, del d.lgs. n. 22 del 1997, con riferimento alla TIA, fanno espresso rinvio, per la disciplina della riscossione di tali prelievi, al d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte su reddito). In particolare, l’art. 57, comma 1, alinea e lettera a), di detto decreto presidenziale stabilisce che «Non sono ammesse: […] a) le opposizioni regolate dall’art. 615 del codice di procedura civile, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni». Il rimettente, tuttavia, qualifica espressamente l’azione proposta dal contribuente non come opposizione agli atti esecutivi, ma come opposizione regolata dall’art. 615 cod. proc. civ., ed inoltre non precisa se essa abbia ad oggetto la pignorabilità dei beni. L’ordinanza, pertanto, è priva di motivazione sulle ragioni per le quali il Giudice di pace – nonostante il citato chiaro disposto dell’art. 57, comma 1, alinea e lettera a), del d.P.R. n. 602 del 1973 – ha ritenuto ammissibile, nella specie, detta opposizione. In difetto di tale motivazione, non appare evidente che il giudice a quo debba fare applicazione della disposizione denunciata e pertanto, non essendo stata dimostrata la rilevanza della sollevata questione, questa deve dichiararsi manifestamente inammissibile.

4.2.2. – Sempre in relazione all’affermazione sub a), va ulteriormente rilevato che l’art. 2, comma 1, secondo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992 stabilisce che «Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’art. 50 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica». Nell’ordinanza di rimessione viene riferito che il giudizio principale riguarda la fase della esecuzione forzata tributaria successiva alla notifica della cartella di pagamento, e cioè proprio la fase per la quale la citata disposizione prevede la giurisdizione del giudice ordinario. Dopo tale premessa, tuttavia, il rimettente non fornisce alcuna motivazione sulle ragioni per le quali, nella specie, egli ritiene sussistere – in contrasto con il sopra citato art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992 – la giurisdizione delle commissioni tributarie, in luogo di quella del giudice ordinario. Anche in questo caso, in difetto di siffatta motivazione, non appare evidente che il giudice debba fare applicazione della disposizione denunciata e pertanto, non essendo stata dimostrata – neppure sotto tale diverso profilo – la rilevanza della sollevata questione, questa deve dichiararsi manifestamente inammissibile.

4.2.3. – Infine, con l’affermazione sub b), il rimettente dichiara, ad un tempo, che il credito per il quale si procede alla riscossione coattiva riguarda solo la TARSU e che quest’ultimo prelievo, della cui natura tributaria egli non dubita, è stato successivamente sostituito dalla TIA, della cui natura tributaria, invece, dubita. La circostanza che le cartelle di pagamento poste a base dell’esecuzione forzata attengono esclusivamente alla TARSU, e non alla TIA, rende non rilevante la sollevata questione, la quale ha ad oggetto la norma, non applicabile nel giudizio a quo, con cui sono attribuite alla giurisdizione delle commissioni tributarie le controversie in materia di TIA. Di qui la manifesta inammissibilità, anche sotto tale profilo, della questione.

5. – La difesa erariale ha eccepito la manifesta inammissibilità della questione sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Prato (r.o. n. 21 del 2009), affermando che l’ordinanza di rimessione, non avendo esposto i fatti di causa ed indicato i termini della controversia, è priva di motivazione sulla rilevanza.

L’eccezione non è fondata. Contrariamente a quanto dedotto dall’Avvocatura generale dello Stato, infatti, il rimettente ha chiaramente precisato che il giudizio principale ha ad oggetto l’impugnazione di «avvisi di pagamento […] relativi alla TIA (tariffa igiene ambientale) per gli anni 2007 e 2008, concernente l’immobile ove ha sede l’impresa individuale» del soggetto sottoposto a prelievo. Ciò è sufficiente ad evidenziare la rilevanza della questione, perché, per affermare la propria giurisdizione, il giudice a quo deve fare applicazione proprio della disposizione denunciata.

6. – Nel merito, la questione prospettata dalla Commissione tributaria provinciale di Prato non è fondata, perché il giudice rimettente muove dall’erroneo presupposto interpretativo che la TIA ha natura di corrispettivo privatistico di prestazioni contrattuali e non di tributo. Dall’erroneità di tale presupposto consegue la non fondatezza del prospettato dubbio di legittimità costituzionale.

6.1. – Al riguardo, per precisare il thema decidendum, appare opportuno procedere ad una sintetica ricostruzione delle linee essenziali del complesso quadro normativo in cui si inserisce la disposizione denunciata.

L’evoluzione normativa in materia, per quanto qui interessa, è scandita da quattro diversi principali interventi legislativi.

6.1.1. – Il regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175 (Testo unico per la finanza locale), prevedeva, originariamente, la corresponsione al Comune di un «corrispettivo per il servizio di ritiro e trasporto delle immondizie domestiche» ed attribuiva natura privatistica al rapporto tra utente e servizio comunale. Tale configurazione sinallagmatica del rapporto è stata, però, radicalmente mutata – con un primo significativo intervento del legislatore – dall’art. 10 della legge 20 marzo 1941, n. 366 (Raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani), il quale ha attribuito ai Comuni la facoltà di istituire una «tassa» per la raccolta ed il trasporto delle immondizie e dei rifiuti ordinari (interni ed esterni), ponendo tale prelievo a carico dei soggetti occupanti i fabbricati posti nelle zone in cui si svolge (in regime di privativa comunale) il servizio di raccolta. L’art. 21 del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 (Attuazione delle direttive CEE numero 75/442 relativa ai rifiuti, numero 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e numero 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi), ha poi sostituito (a decorrere dal 1° gennaio 1984, come successivamente stabilito dall’art. 25 del decreto-legge 28 febbraio 1983, n. 55, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 1983, n. 131) l’intera sezione II (artt. da 268 a 278) del capo XVIII (Proventi di servizi municipalizzati) del titolo III (Entrate comunali e provinciali) del suddetto r.d. n. 1175 del 1931. Con tale normativa e, in particolare, con la nuova formulazione dell’art. 268 del testo unico, il legislatore ha esteso e reso obbligatorie sia l’effettuazione dei vari servizi relativi allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani «interni», sia l’applicazione della «tassa» (che il comma 2 dell’art. 20 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 786, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1982, n. 786, aveva già reso obbligatoria, con effetto dal 1° gennaio 1982, per i Comuni che avevano istituito il servizio) a carico di chiunque occupi o conduca locali, a qualunque uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui sono istituiti i servizi, ovvero aree adibite a campeggi, a distributori di carburante, a sala da ballo all’aperto, nonché a qualsiasi altra area scoperta ad uso privato e non costituente accessorio o pertinenza dei suddetti locali tassabili. In particolare, il legislatore, nel ridisciplinare il suddetto prelievo comunale, ha individuato nel «costo di erogazione del servizio» il limite massimo di gettito, «al netto delle entrate derivanti dal recupero e dal riciclaggio dei rifiuti sotto forma di materiali o energia»; e ciò in coerenza con la denominazione di «tassa» (art. 268, citato). Nella medesima prospettiva della natura pubblicistica del prelievo, l’art. 9 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 1989, n. 144, ha previsto, con effetto dal 1° gennaio 1989, che mediante la «tassa» venissero coperti (in tutto o in parte) anche i costi dei servizi di smaltimento (cioè di «conferimento, raccolta, spazzamento, cernita, trasporto, trattamento, ammasso, deposito, discarica sul suolo e nel suolo») non solo dei rifiuti «interni», ma anche di quelli «di qualunque natura e provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche o soggette ad uso pubblico» (cosiddetti “esterni”) e che fossero tenuti al pagamento (sia pure in misura ridotta) anche gli occupanti di case coloniche e “case sparse” non ubicate nella zona di raccolta dei rifiuti. L’art. 8 dello stesso decreto-legge ha ribadito la qualificazione di «tassa» del prelievo, inserendo tale denominazione anche nella rubrica della citata sezione II del regio decreto.

6.1.2. – Un secondo essenziale intervento legislativo è costituito dal decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 (Revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell’art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale), efficace a decorrere dal 1° gennaio 1994, il quale – in attuazione del comma 4 dell’art. 4 della legge di delegazione 23 ottobre 1992, n. 421 – ha stabilito, all’art. 58, che, in relazione all’istituzione ed all’attivazione del servizio relativo allo «smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni, svolto in regime di privativa» nelle zone del territorio comunale, i Comuni «debbono istituire una tassa annuale» (usualmente denominata “TARSU”), da applicarsi «in base a tariffa», secondo appositi regolamenti comunali, a copertura (dal cinquanta al cento per cento ovvero, per gli enti locali per i quali sussistono i presupposti dello stato di dissesto, dal settanta al cento per cento) del costo del servizio stesso, nel rispetto delle prescrizioni e dei criteri specificati negli artt. da 59 a 81 del medesimo decreto legislativo. Diversamente dal precedente regime, il prelievo non riguarda lo smaltimento dei rifiuti “esterni” ed il richiamo ai rifiuti solidi urbani «equiparati» (ai sensi dell’art. 60 del decreto legislativo) a quelli «interni» – richiamo originariamente contenuto nel comma 1 del citato art. 58 del d.lgs. n. 507 del 1993 – è stato soppresso dalla lettera a) del comma 3 dell’art. 39 della legge 22 febbraio 1994, n. 146 (articolo che ha abrogato anche l’art. 60 del suddetto decreto legislativo). Solo con l’introduzione del comma 3-bis dell’art. 61 del d.lgs. n. 507 del 1993, ad opera dall’art. 3, comma 68, lettera b), della legge 28 dicembre 1995, n. 549, hanno acquistato rilevanza anche per la TARSU i rifiuti “esterni”, perché tale disposizione stabilisce che dal costo complessivo dei servizi di nettezza urbana gestiti in regime di privativa comunale va dedotta una quota «a titolo di costo dello spazzamento dei rifiuti solidi urbani di cui all’art. 2, terzo comma, numero 3), del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915» (cioè «i rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private, comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime, lacuali e sulle rive dei fiumi»). L’art. 31, comma 23, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, ha ampliato, dal punto di vista quantitativo, l’incidenza del suddetto costo di spazzamento dei rifiuti “esterni”.

Quanto ai soggetti passivi, la tassa è dovuta (in solido tra i componenti del nucleo familiare o tra gli utilizzatori in comune degli immobili) da coloro che occupano o detengono locali od aree scoperte a qualsiasi uso adibiti – ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie di civili abitazioni diverse dalle aree a verde – esistenti nelle zone del territorio comunale in cui il servizio è istituito ed attivato o comunque reso in maniera continuativa, ivi comprese le abitazioni coloniche e gli altri fabbricati con area scoperta di pertinenza anche se nella zona in cui è attivata la raccolta dei rifiuti è situata solo la strada di accesso (artt. 62 e 63). I soggetti passivi hanno «l’obbligo di denuncia» dell’occupazione o detenzione dei locali ed aree tassabili siti nel territorio del Comune (art. 70, specie commi 1 e 6). In connessione con l’obbligo di presentare tale dichiarazione di scienza, è attribuito al Comune il potere di «emettere» (nel senso di “notificare”, come chiarito dal comma 1 dell’art. 72) motivati avvisi di accertamento d’ufficio (in caso di omessa denuncia) o in rettifica (in caso di denuncia infedele o incompleta), entro specifici termini di decadenza (artt. 71, 73). È prevista l’esclusione o l’esonero dal tributo in determinati casi in cui gli immobili si trovino in condizione di non potere produrre rifiuti, mentre è, di regola, irrilevante la circostanza che il soggetto passivo abbia, in concreto, autonomamente provveduto allo smaltimento (art. 62, commi 2, 3 e 5). Il prelievo, dunque, è posto in relazione, da un lato, alla attitudine media ordinaria alla produzione quantitativa e qualitativa dei rifiuti per unità di superficie e per tipo di uso degli immobili e, dall’altro, alla potenziale fruibilità del servizio di smaltimento dei rifiuti da parte dei soggetti passivi. In particolare, la tassa, mediante determinazione tariffaria da parte del Comune, «può essere commisurata […] in base alla quantità e qualità medie ordinarie per unità di superficie imponibile di rifiuti solidi […] producibili nei locali ed aree per il tipo di uso, cui i medesimi sono destinati e al costo dello smaltimento» (art. 65, comma 1, come sostituito dall’art. 3, comma 68, della legge 28 dicembre 1995, n. 549). Solo in via eccezionale ed alternativa è prevista la possibilità di commisurare la medesima tassa, «per i comuni aventi popolazione inferiore a 35.000 abitanti, in base alla qualità, alla quantità effettivamente prodotta, dei rifiuti solidi urbani e al costo dello smaltimento» (ibidem). È coerente con tale impostazione pubblicistica l’obbligo, imposto agli occupanti o detentori «degli insediamenti comunque situati fuori dall’area di raccolta», di utilizzare il servizio pubblico di nettezza urbana, conferendo i rifiuti urbani, «interni ed equiparati», nei «contenitori viciniori» (art. 59, comma 3). È compatibile con la medesima impostazione, anche la previsione di riduzioni della tassa per le zone in cui la raccolta non viene effettuata e per i casi di non svolgimento, svolgimento per periodi stagionali, nonché per i casi in cui l’utente dimostri di aver provveduto autonomamente allo smaltimento in periodi di protratto mancato svolgimento del servizio, ove l’autorità sanitaria competente abbia riconosciuto una situazione di danno o di pericolo di danno alle persone o all’ambiente secondo le norme e prescrizioni sanitarie nazionali (art. 59, commi 2, 4, 5, 6, secondo periodo). La natura pubblicistica e non privatistica del prelievo è ulteriormente evidenziata sia dalla regola secondo cui «L’interruzione temporanea del servizio di raccolta per motivi sindacali o per imprevedibili impedimenti organizzativi non comporta esonero o riduzione del tributo» (art. 59, comma 6, primo periodo); sia dal sopra citato comma 3-bis dell’art. 61 e successive modificazioni, che ha reso rilevante anche il costo dello spazzamento dei rifiuti esterni. Il d.lgs. n. 507 del 1993 prevede anche una «tassa giornaliera di smaltimento» dei rifiuti producibili mediante l’uso (autorizzato o no), per periodi inferiori a 183 giorni per anno solare, di locali od aree pubbliche, di uso pubblico, o aree gravate da servitú di pubblico passaggio (art. 77). Per la riscossione, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del d.P.R. n. 602 del 1973, e del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43 (art. 72). Ai sensi dell’art. 52, comma 5, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, il Comune ha facoltà di disciplinare con proprio regolamento l’affidamento a terzi delle fasi di liquidazione, accertamento e riscossione della tassa. Sanzioni specifiche sono previste dall’art. 76 (e successive modificazioni) per l’omessa o infedele denuncia e per la mancata presentazione o trasmissione di atti, documenti o dati richiesti dal Comune; sono comunque applicabili le disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria stabilite dal d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.

6.1.3. – Un terzo intervento legislativo si è realizzato con l’entrata in vigore (dal 1° gennaio 1999) dell’art. 49 del cosiddetto “decreto Ronchi”, cioè del d.lgs. n. 22 del 1997 (successivamente modificato dall’art. 1, comma 28, della legge 9 dicembre 1998, n. 426, e dall’art. 33 della legge 23 dicembre 1999, n. 488), il quale – in dichiarata attuazione delle direttive 91/156/CEE, 91/689/CEE e 94/62/CE – ha stabilito l’obbligo dei Comuni di effettuare, in regime di privativa, la gestione dei rifiuti urbani ed assimilati e, in particolare, ha previsto l’istituzione, da parte dei Comuni medesimi, di una «tariffa» per la copertura integrale dei costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico, nelle zone del territorio comunale. Tale tariffa – usualmente denominata tariffa di igiene ambientale (TIA) – «è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio» (comma 4). Con regolamento del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, viene elaborato il metodo normalizzato per definire le componenti dei costi e determinare la tariffa di riferimento (comma 5). Il metodo normalizzato è stato approvato con il regolamento di cui al d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158. È tenuto al pagamento della tariffa «chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale» (comma 3). La tariffa è ridotta nei casi in cui il produttore di rifiuti assimilati dimostri (mediante attestazione rilasciata da chi effettui il recupero) di aver avviato detti rifiuti al recupero (comma 14). La tariffa è applicata e riscossa dal soggetto che gestisce il servizio (commi 9 e 13). Diversamente dalla normativa sulla TARSU, l’art. 49 del “decreto Ronchi”, pertanto: a) evita di qualificare espressamente il prelievo come “tributo” o “tassa”, pur mantenendo il riferimento testuale alla «tariffa»; b) stabilisce che la TIA deve sempre coprire l’intero costo del servizio di gestione dei rifiuti; c) dispone che detta tariffa è dovuta anche per la gestione dei rifiuti “esterni” (come già statuiva l’abrogato art. 268 del r.d. n. 1175 del 1931, quale sostituito dall’art. 21 del d.P.R. n. 915 del 1982, in relazione all’art. 9 del decreto-legge n. 66 del 1989, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 144 del 1989); d) non reca, con riguardo alla TIA, specifiche disposizioni in tema di accertamento, liquidazione e sanzioni. Analogamente alla TARSU, anche per la TIA la riscossione volontaria e coattiva della tariffa può essere effettuata tramite ruolo, secondo le disposizioni del d.P.R. n. 602 del 1973 e del d.P.R. n. 43 del 1988 (comma 15 del medesimo art. 49). Lo stesso art. 49 ha soppresso la TARSU «a decorrere dai termini previsti dal regime transitorio», da disciplinarsi con il suddetto regolamento ministeriale (comma 1) al fine di garantire la graduale applicazione del metodo normalizzato e della tariffa ed il graduale raggiungimento dell’integrale copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani da parte dei Comuni (commi 1 e 5). Resta comunque ferma la possibilità, per i Comuni, di deliberare l’applicazione della tariffa, «in via sperimentale», in sostituzione della TARSU, anche prima di tali termini (commi 1-bis e 16). La completa soppressione della TARSU e la sua sostituzione con la TIA, inizialmente fissata a decorrere dal 1° gennaio 1999, è stata via via differita dal legislatore, il quale, preso atto della difficoltà di rendere operativa, per i vari Comuni, l’abolizione del prelievo soppresso, ha previsto, con numerose disposizioni contenute soprattutto nelle varie leggi finanziarie, un articolato regime transitorio, che concede termine ai Comuni – da ultimo, fino a tutto il 2008 – per sostituire la TARSU con la TIA, secondo uno scadenzario differenziato, in ragione sia del grado di copertura dei costi dei servizi raggiunto dai diversi Comuni sia della popolazione dei Comuni stessi (comma 184 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, quale modificato dall’art. 5, commi da 1 a 2-quinquies del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, recante «Misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell’ambiente», convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2009, n. 13).

6.1.4. – La quarta rilevante modifica legislativa del prelievo è costituita dall’art. 238 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in vigore dal 23 aprile 2006, il quale ha soppresso la tariffa di cui all’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, sostituendola con la diversa «tariffa per la gestione dei rifiuti urbani» (come testualmente indicato nella rubrica dell’articolo), che una disposizione successiva (l’art. 5, comma 2-quater, del citato decreto-legge n. 208 del 2008) denomina «tariffa integrata ambientale (TIA)». Tale tariffa integrata deve essere determinata ad opera dell’autorità d’àmbito territoriale ottimale (AATO), prevista dall’art. 201 dello stesso decreto legislativo, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento ministeriale (da emanarsi, a sua volta, entro sei mesi dalla sopra indicata data di entrata in vigore della parte quarta del decreto legislativo e, quindi, dell’art. 238 in essa compreso) con il quale sono fissati i criteri generali per la definizione delle componenti dei costi e la determinazione della tariffa (commi 3 e 6). La tariffa integrata è dovuta da chiunque possegga o detenga a qualsiasi titolo locali, o aree scoperte ad uso privato o pubblico non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, che producano rifiuti urbani (comma 1, primo periodo). Detta tariffa, in particolare, è «commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, sulla base di parametri […] che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali» (comma 2), e costituisce «il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e ricomprende anche i costi indicati dall’art. 15 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36» (comma 1, secondo periodo) – cioè «i costi di realizzazione e di esercizio dell’impianto per lo smaltimento in discarica, i costi sostenuti per la prestazione della garanzia finanziaria ed i costi stimati di chiusura, nonché i costi di gestione successiva alla chiusura per il periodo fissato dalla legge – oltre ai «costi accessori relativi alla gestione dei rifiuti urbani quali, ad esempio, le spese di spazzamento delle strade» (comma 3, secondo periodo). La medesima tariffa «è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, nonché da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio» (comma 4). È espressamente previsto che la tariffa «è applicata e riscossa dai soggetti affidatari del servizio di gestione integrata» (comma 3) e che la sua riscossione, volontaria o coattiva, «può» essere effettuata secondo le disposizioni del d.P.R. n. 602 del 1973, «mediante convenzione con l’Agenzia delle entrate» (comma 12). La soppressione della precedente tariffa di igiene ambientale ha effetto dalla data di entrata in vigore dello stesso art. 238, ma, fino alla completa attuazione della nuova tariffa integrata (cioè con l’emanazione del sopra menzionato regolamento ministeriale ed il compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa), «continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti» (comma 10). Nel caso in cui il regolamento ministeriale non sia stato adottato entro il 30 giugno 2009, i Comuni possono ugualmente «adottare la tariffa integrata ambientale TIA […] ai sensi delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti» (art. 5, comma 2-quater, del decreto-legge n. 208 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 13 del 2009).

6.2. – Da tale ricostruzione normativa emerge che, per il periodo dal 1999 a tutto il 2008, in alcuni Comuni è applicabile la TARSU ed in altri la tariffa di igiene ambientale (TIA). Fino al 2009, poi, non risulta, allo stato, ancora applicabile dai Comuni la tariffa integrata ambientale di cui all’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006. La rilevata formale diversità delle fonti istitutive delle due suddette tariffe (ancorché entrambe usualmente denominate, in breve, TIA), la successione temporale delle fonti, la parziale diversità della disciplina sostanziale di tali prelievi, il fatto che la tariffa integrata espressamente sostituisce la tariffa di igiene ambientale, nonché la circostanza che i giudizi riuniti a quibus, pendenti presso la Commissione tributaria provinciale di Prato, hanno ad oggetto solo avvisi di accertamento della tariffa di igiene ambientale per gli anni d’imposta 2007 e 2008 sono tutti elementi che impediscono di ritenere che la questione sollevata dalla suddetta Commissione tributaria riguardi, oltre alla tariffa di igiene ambientale, anche la tariffa integrata ambientale. Ne deriva che lo scrutinio di legittimità costituzionale va limitato alla norma che attribuisce alla giurisdizione tributaria la cognizione delle controversie relative alla debenza della tariffa di igiene ambientale (TIA) prevista dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997 e non anche di quelle relative alla debenza della tariffa integrata ambientale (TIA) prevista dall’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006.

7. – Cosí delimitato il thema decidendum, va rilevato che, nel porre la questione di legittimità costituzionale, il rimettente muove da due diversi assunti: a) che la giurisdizione tributaria, ai sensi dell’evocato parametro, deve avere ad oggetto solo controversie tributarie; b) che la TIA prevista dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997 ha natura non tributaria, ma di corrispettivo contrattuale.

7.1. – Il primo dei due assunti del rimettente è esatto. Per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, la giurisdizione del giudice tributario «deve ritenersi imprescindibilmente collegata» alla «natura tributaria del rapporto» (ordinanze n. 395 del 2007; n. 427, n. 94, n. 35 e n. 34 del 2006), con la conseguenza che l’attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie non aventi tale natura comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali posto dall’art. 102, secondo comma, Cost. (sentenze n. 141 del 2009; n. 130 e n. 64 del 2008).

La decisione della sollevata questione esige, dunque, che si proceda alla qualificazione della natura della tariffa di igiene ambientale (TIA) prevista dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, in quanto solo il riconoscimento della natura tributaria di tale prelievo può escludere la dedotta illegittimità costituzionale della disposizione denunciata.

7.2. – Il secondo assunto del rimettente, circa la natura di corrispettivo privatistico, propria della suddetta tariffa di igiene ambientale, è erroneo, come sopra osservato, ove si proceda al raffronto tra la sua disciplina positiva e la nozione di tributo, quale elaborata dalla giurisprudenza costituzionale.

7.2.1. – Questa Corte, mediante numerose pronunce, ha indicato i criteri cui far riferimento per qualificare come tributari alcuni prelievi. Tali criteri, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che disciplina i prelievi stessi, consistono nella doverosità della prestazione, nella mancanza di un rapporto sinallagmatico tra parti e nel collegamento di detta prestazione alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante (ex plurimis: sentenze n. 141 del 2009; n. 335 e n. 64 del 2008; n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005).

7.2.2. – Con specifico riferimento alla disciplina della tariffa di igiene ambientale, va preliminarmente preso atto che non è individuabile, allo stato, un’univoca giurisprudenza di legittimità sulla natura di tale tariffa, anche se pare maggiormente attestato l’orientamento che le riconosce natura tributaria. Infatti, ad una pronuncia della Corte di cassazione civile che ha qualificato come non tributaria tale prestazione pecuniaria (sezioni unite, ordinanza n. 3274 del 2006), hanno fatto séguito altre decisioni della stessa Corte che, con varie motivazioni e differenze linguistiche, hanno invece ricondotto detta prestazione nel novero dei tributi (sezioni unite: ordinanza n. 3171 del 2008, sentenze n. 13902 del 2007 e n. 4895 del 2006; sezioni semplici: sentenze n. 5298 e n. 5297 del 2009, n. 17526 del 2007). Al fine di determinare la natura (tributaria o extratributaria) della TIA, oggetto di contrastanti opinioni anche nella dottrina, è perciò necessario procedere ad un autonomo ed analitico esame delle caratteristiche di tale prelievo. Al riguardo, non rilevano né la formale denominazione di «tariffa», né la sua alternatività rispetto alla TARSU, né la possibilità di riscuoterla mediante ruolo.

Quanto all’irrilevanza della denominazione, lo stesso art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 stabilisce espressamente che i tributi vanno individuati indipendentemente dal nomen iuris («comunque denominati»). Inoltre, il termine «tariffa» – nella tradizione propria della legislazione tributaria – ha un valore semantico neutro, nel senso che non si contrappone necessariamente a termini quali «tassa» e «tributo», tanto che anche l’art. 58 del d.lgs. n. 507 del 1993 testualmente prevede che la TARSU (cioè una «tassa» e, quindi, un «tributo») si applica «in base a tariffa». Va comunque rilevato che, contrariamente a quanto sembrano ritenere il rimettente e la difesa erariale, il termine «corrispettivo» non compare, con riguardo alla TIA, nel cosiddetto “decreto Ronchi”, ma solo nell’art. 238, comma 1, secondo periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006 ed è riferito esclusivamente alla tariffa integrata ambientale, estranea alla questione di legittimità in esame.

Quanto alla regola stabilita dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, secondo cui la TIA si applica in luogo della TARSU, va osservato che un tributo (come, nella specie, la TARSU) può ben essere surrogato da un altro tributo o sostituito da una entrata non tributaria, non incontrando il legislatore, al riguardo, alcun vincolo logico o giuridico (nel limite della non manifesta irragionevolezza).

Quanto, infine, alla possibilità per il Comune, prevista dal medesimo art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, di procedere alla riscossione della TIA mediante ruolo, deve sottolinearsi che il ricorso a tale modalità di riscossione è solo facoltativo, e, comunque, ancorché tipico delle entrate tributarie, è consentito dalla legge anche per le entrate extratributarie.

Per una corretta valutazione della natura della tariffa di igiene ambientale (TIA), è invece opportuno muovere dalla constatazione che tale prelievo, pur essendo diretto a sostituire la TARSU, è disciplinato in modo analogo a detta tassa, la cui natura tributaria non è mai stata posta in dubbio né dalla dottrina né dalla giurisprudenza. Conseguentemente, deve procedersi ad una approfondita comparazione tra il prelievo tributario sostituito e quello che lo sostituisce, sotto i profili della struttura, della funzione e della disciplina complessiva della fattispecie dei prelievi.

7.2.3. – Dalla comparazione tra la TARSU e la TIA emergono le forti analogie dei due prelievi. Entrambi mostrano un’identica impronta autoritativa e somiglianze di contenuto con riguardo alla determinazione normativa, e non contrattuale, della fonte del prelievo.

7.2.3.1. – In primo luogo, quanto al fatto generatore dell’obbligo del pagamento e ai soggetti obbligati – come si è già rilevato al punto 6.1.2. – la TARSU è dovuta, per il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni, da coloro che occupano o detengono locali od aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie di civili abitazioni diverse dalle aree a verde, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui il servizio è istituito ed attivato o comunque reso in maniera continuativa, e comprese le abitazioni coloniche e gli altri fabbricati con area scoperta di pertinenza anche se nella zona in cui è attivata la raccolta dei rifiuti è situata solo la strada di accesso (artt. 62 e 63). Analogamente, la TIA – come sottolineato al punto 6.1.3. – è dovuta, per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico, nelle zone del territorio comunale, da «chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale» (art. 49, comma 3, del d.lgs. n. 22 del 1997). Le differenze tra le due fattispecie sono, perciò, minime: la “occupazione o detenzione” di superfici ed il riferimento ai soli rifiuti “interni”, per la TARSU; la “occupazione o conduzione” di superfici ed il riferimento anche ai rifiuti “esterni”, per la TIA. Esse non sono, comunque, tali da far venir meno la comune circostanza che il fatto generatore dell’obbligo di pagamento è legato non all’effettiva produzione di rifiuti da parte del soggetto obbligato e alla effettiva fruizione del servizio di smaltimento, ma esclusivamente all’utilizzazione di superfici potenzialmente idonee a produrre rifiuti ed alla potenziale fruibilità del servizio di smaltimento.

7.2.3.2. – In secondo luogo, in relazione ad entrambi i pagamenti, sussiste una medesima struttura autoritativa e non sinallagmatica, che emerge sotto svariati e concorrenti profili. In particolare, con riguardo ai due suddetti prelievi: a) i servizi concernenti lo smaltimento dei rifiuti devono essere obbligatoriamente istituiti dai Comuni, che li gestiscono, in regime, appunto, di privativa, sulla base di una disciplina regolamentare da essi stessi unilateralmente fissata; b) i soggetti tenuti al pagamento dei relativi prelievi (salve tassative ipotesi di esclusione o di agevolazione) non possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei suddetti servizi; c) la legge non dà alcun sostanziale rilievo, genetico o funzionale, alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore ed utente del servizio.

La rilevata comune struttura autoritativa dei prelievi non viene meno per il fatto che, riguardo alla TARSU, il d.lgs. n. 507 del 1993 individua quale soggetto attivo del tributo il Comune e disciplina specificamente la fase di accertamento e di liquidazione della tassa, prevedendo sanzioni e interessi (artt. 71, 73 e 76); mentre, riguardo alla TIA, l’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, da un lato identifica nel gestore del servizio il soggetto che la applica e riscuote (commi 9 e 13) e, dall’altro, non reca alcuna disciplina specifica in tema di accertamento, di liquidazione della prestazione dovuta, di contenzioso e di sanzioni e interessi per omesso o ritardato pagamento. Non può negarsi, infatti, che, sia per la TARSU che per la TIA, il soggetto attivo del prelievo è il Comune; e ciò anche nel caso in cui il regolamento comunale affidi a terzi l’accertamento e la riscossione dei due prelievi e la relativa legittimazione a stare in giudizio. In particolare – come visto al punto 6.1.2. – già per la TARSU il Comune aveva la possibilità, con proprio regolamento, di affidare a terzi l’accertamento e la riscossione dei tributi, ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, e di delegare ad essi il potere di essere «parti del processo tributario», ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. n. 546 del 1992, senza che con ciò venisse meno l’originaria posizione di soggetto attivo del Comune stesso. La normativa riguardante la TIA si differenzia sul punto solo per il fatto che essa pone un collegamento ex lege tra la gestione del servizio e i poteri di accertamento, con la conseguenza che il solo fatto dell’affidamento a terzi della gestione del servizio comporta la delega a questi dei poteri di accertamento e del potere di stare in giudizio in luogo del Comune, analogamente a quanto avviene per la TARSU.

Con riguardo, poi, alla disciplina dell’accertamento e della liquidazione della TIA, la lacunosità delle statuizioni contenute nel comma 9 dell’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997 (il quale si limita a prevedere che «la tariffa è applicata dai soggetti gestori nel rispetto della convenzione e del relativo disciplinare») può essere colmata con l’esercizio del potere regolamentare comunale previsto per le entrate «anche tributarie» dal citato art. 52 del d.lgs. n. 446 del 1997 o in via di interpretazione sistematica. Analogamente, nulla osta a che, per le sanzioni ed interessi relativi all’omesso o ritardato pagamento della TIA, possano applicarsi le norme generali in tema di sanzioni amministrative tributarie. Cosí come, con riguardo al contenzioso, è evidente che ad entrambi i prelievi si applica il comma 2 dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, che attribuisce, appunto, alla giurisdizione tributaria la cognizione delle controversie relative, in generale, alla debenza dei tributi e, specificamente del «canone […] per lo smaltimento dei rifiuti urbani».

Non contraddice tale conclusione il fatto che fonti secondarie prevedano, per il pagamento della TIA, l’emissione di semplici «bollette che tengono luogo delle fatture […] sempreché contengano tutti gli elementi di cui all’art. 21» del d.P.R. n. 633 del 1972 (art. 1, comma 1, del citato decreto ministeriale n. 370 del 2000), e cioè l’emissione di atti formalmente diversi da quelli espressamente indicati dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 come impugnabili davanti alle Commissioni tributarie. In tale caso, infatti, è possibile, in via interpretativa – come, del resto, ha già affermato la Corte di cassazione con la sentenza n. 17526 del 2007, con specifico riferimento alla TIA –, un’applicazione estensiva dell’elenco di cui al citato art. 19, al fine di considerare impugnabili anche atti che, pur con un diverso nomen iuris, abbiano la stessa funzione di accertamento e di liquidazione di tributi svolta dagli atti compresi in detto elenco; con l’ovvio corollario che le suddette «bollette», avendo natura tributaria, debbono possedere i requisiti richiesti dalla legge per gli atti impositivi.

7.2.3.3. – In terzo luogo, sono analoghi i criteri di commisurazione dei due prelievi. La TARSU – quantomeno per i Comuni con popolazione non inferiore a 35.000 abitanti – è commisurata «in base alla quantità e qualità medie ordinarie per unità di superficie imponibile dei rifiuti solidi urbani […] producibili nei locali ed aree per il tipo di uso, cui i medesimi sono destinati, e al costo dello smaltimento» (art. 65, comma 1, del d.lgs. n. 507 del 1993). La TIA, in forza dell’art. 49, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 1997, è suddivisa in una parte fissa (concernente le componenti essenziali del costo del servizio – ivi compreso quello dello spazzamento delle strade –, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti) ed una parte variabile (rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all’entità dei costi di gestione). I criteri di determinazione di tali due parti della TIA sono contenuti nel citato d.P.R. n. 158 del 1999, che prevede indici costruiti, tra l’altro, sulla quantità totale dei rifiuti prodotti nel Comune, sulla superficie delle utenze, sul numero dei componenti il nucleo familiare delle utenze domestiche, su coefficienti di potenziale produzione di rifiuti secondo le varie attività esercitate nell’àmbito delle utenze non domestiche. Risulta evidente, pertanto, che il suddetto «metodo normalizzato» per la determinazione della TIA è pienamente coerente con i criteri fissati dalla legge per la commisurazione della TARSU, la quale, certamente, non può definirsi “corrispettivo”, neppure in relazione ai criteri stabiliti dall’art. 117, comma 1, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, per le tariffe dei servizi pubblici resi dagli enti locali. Per entrambi i prelievi, infatti, rileva la potenziale produzione dei rifiuti, valutata per tipo di uso delle superfici tassabili. In particolare, per quanto riguarda la TIA, va sottolineato che, ai sensi dell’art. 49, comma 14, del d.lgs. n. 22 del 1997, perfino l’autonomo avviamento a recupero dei rifiuti, da parte del produttore di essi, non comporta l’esclusione dal pagamento, ma determina una riduzione proporzionale della sola parte variabile di tale tariffa. Questa disposizione è, per alcuni aspetti, analoga al comma 2 dell’art. 67 del d.lgs. n. 507 del 1993, secondo cui il regolamento comunale «può» prevedere riduzioni della TARSU nel caso in cui gli «utenti dimostrino di avere sostenuto spese per interventi tecnico-organizzativi comportanti un’accertata minore produzione di rifiuti od un pretrattamento volumetrico, selettivo o qualitativo che agevoli lo smaltimento o il recupero da parte del gestore del servizio». I due prelievi, pertanto, sono dovuti, sia pure in misura ridotta, anche nel caso in cui il produttore di rifiuti dimostri di aver adeguatamente provveduto allo smaltimento. Il che esclude per entrambi la sussistenza di un rapporto di sinallagmaticità tra pagamento e servizio di smaltimento dei rifiuti.

7.2.3.4. – In quarto luogo, come sopra accennato, la TIA – analogamente alla TARSU nella disciplina risultante dal disposto del comma 3-bis dell’art. 61 del d.lgs. n. 507 del 1993 (riportato al punto 6.1.2.) e dell’art. 31, comma 23, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 – ha la funzione di coprire il costo dei servizi di smaltimento concernenti i rifiuti non solo “interni” (cioè prodotti o producibili dal singolo soggetto passivo che può avvalersi del servizio), ma anche “esterni” (cioè «rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico», come ricordato al punto 6.1.3., in relazione agli artt. 7, comma 2, lettere c, d, e 49, comma 2, del d.lgs. n. 22 del 1997, per la componente fissa della TIA). Ha la funzione, cioè, di coprire anche le pubbliche spese afferenti a un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e, quindi, non riconducibili a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente. L’unica sostanziale differenza sul punto tra i due prelievi si riduce al fatto che, mentre per la TARSU il gettito deve corrispondere ad un ammontare compreso tra l’intero costo del servizio ed un minimo costituito da una percentuale di tale costo determinata in funzione della situazione finanziaria del Comune (art. 61, comma 1, del d.lgs. n. 507 del 1993); per la TIA il gettito deve, invece, assicurare sempre l’integrale copertura del costo dei servizi (art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997). Tuttavia, tale differenza non è sufficiente a caratterizzare in senso privatistico la TIA, perché nulla esclude che una pubblica spesa (come il costo di un servizio utile alla collettività) possa essere integralmente finanziata da un tributo. Come si è già osservato al punto 6.1.2., anche la TARSU può coprire il cento per cento del costo del servizio di smaltimento dei rifiuti ed in tal caso essa non muta, per ciò solo, la sua natura da pubblicistica a privatistica. In altri termini, la mera circostanza che la legge assegni a un pagamento la funzione di coprire integralmente i costi di un servizio non è sufficiente ad attribuire al medesimo pagamento la natura di prezzo privatistico.

7.2.3.5. – In quinto luogo, con riferimento alla disciplina complessiva della TIA, va rilevato che l’art. 49, comma 17, del d.lgs. n. 22 del 1997 ha espressamente tenuto ferma l’applicabilità del tributo provinciale «per l’esercizio delle funzioni di tutela, protezione ed igiene dell’ambiente» previsto dall’art. 19 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (cosiddetto TEFU), anche dopo la soppressione della TARSU e la sua sostituzione con la TIA. Poiché il TEFU è stato configurato dal legislatore come un’addizionale della TARSU, ne consegue che, una volta soppressa quest’ultima, esso deve necessariamente determinarsi con riferimento ai criteri di quantificazione della TIA e deve, perciò, essere qualificato come un tributo addizionale della TIA stessa. Ciò evidenzia un ulteriore elemento di omogeneità e continuità tra la TARSU e la TIA.

7.2.3.6. – In sesto luogo, infine, un altro significativo elemento di analogia tra la TIA e la TARSU è costituito dal fatto che ambedue i prelievi sono estranei all’àmbito di applicazione dell’IVA. Infatti, la rilevata inesistenza di un nesso diretto tra il servizio e l’entità del prelievo – quest’ultima commisurata, come si è visto, a mere presunzioni forfetarie di producibilità dei rifiuti interni e al costo complessivo dello smaltimento anche dei rifiuti esterni – porta ad escludere la sussistenza del rapporto sinallagmatico posto alla base dell’assoggettamento ad IVA ai sensi degli artt. 3 e 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 e caratterizzato dal pagamento di un «corrispettivo» per la prestazione di servizi. Non esiste, del resto, una norma legislativa che espressamente assoggetti ad IVA le prestazioni del servizio di smaltimento dei rifiuti, quale, ad esempio, è quella prevista dall’alinea e dalla lettera b) del quinto comma dell’art. 4 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, secondo cui, ai fini dell’IVA, «sono considerate in ogni caso commerciali, ancorché esercitate da enti pubblici», le attività di «erogazione di acqua e servizi di fognatura e depurazione, gas, energia elettrica e vapore». Se, poi, si considerano gli elementi autoritativi sopra evidenziati, propri sia della TARSU che della TIA, entrambe le entrate debbono essere ricondotte nel novero di quei «diritti, canoni, contributi» che la normativa comunitaria (da ultimo, art. 13, paragrafo 1, primo periodo, della Direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006; come ribadito dalla sentenza della Corte di giustizia CE del 16 settembre 2008, in causa C-288/07) esclude in via generale dall’assoggettamento ad IVA, perché percepiti da enti pubblici «per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità» (come si desume a contrario dalla sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2008), sempre che il mancato assoggettamento all’imposta non comporti una distorsione della concorrenza (distorsione, nella specie, non sussistente, in quanto il servizio di smaltimento dei rifiuti è svolto dal Comune in regime di privativa). Non osta a tali conclusioni il secondo periodo del comma 13 dell’art. 6 della legge n. 133 del 1999, il quale stabilisce, con una formula meramente negativa, che «Non costituiscono, altresí, corrispettivi agli effetti dell’IVA le somme dovute ai comuni per il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani reso entro» la data del 31 dicembre 1998 «e riscosse successivamente alla stessa, anche qualora detti enti abbiano adottato in via sperimentale il pagamento del servizio con la tariffa, ai sensi dell’articolo 31, comma 7, secondo periodo, della legge 23 dicembre 1998, n. 448». Questa disposizione non può interpretarsi nel senso che, a partire dal 1999, sia la TARSU sia la tariffa sperimentale (cioè la TIA adottata prima della definitiva soppressione della TARSU) entrino nell’àmbito di applicazione dell’IVA. Si deve escludere, infatti, che tali prelievi, pur restando invariata la loro disciplina sostanziale, mutino natura, divenendo entrambi corrispettivi, solo in forza di una norma dagli effetti meramente temporali. Tale norma, ragionevolmente interpretata, ha il solo effetto di ribadire la non assoggettabilità ad IVA dei due prelievi fino a tutto il 1998 e non quello di provvedere anche per il periodo successivo, per il quale non può che trovare applicazione la disciplina generale in tema di IVA. Non rileva, al riguardo, la diversa prassi amministrativa, perché la natura tributaria della TIA va desunta dalla sua complessiva disciplina legislativa.

7.2.4. – È appena il caso di rilevare che la riscontrata omogeneità tra i due prelievi in esame è compatibile sia con le direttive comunitarie di cui il d.lgs. n. 22 del 1997 istitutivo della TIA costituisce attuazione (91/156/CEE, 91/689/CEE e 94/62/CE), sia con il principio comunitario “chi inquina paga” (ribadito dall’art. 15 della direttiva comunitaria 2006/12/CE), sia con le leggi di delegazione in forza delle quali il suddetto decreto legislativo è stato emanato (artt. 1 e 38 della legge 22 febbraio 1994, n. 146; artt. 1, 6 e 43 della legge 6 febbraio 1996, n. 52). Nessuna di tali disposizioni, infatti, impone al legislatore di configurare in termini privatistici il rapporto tra utente e gestore del servizio di smaltimento dei rifiuti. Quanto al diritto comunitario, esso, con tutta chiarezza, si limita a richiedere che la legislazione nazionale garantisca un ragionevole collegamento tra la produzione di rifiuti e la copertura del costo per il loro smaltimento, secondo un principio di proporzionalità, in modo che tale costo sia posto a carico, per una parte significativa, del produttore dei rifiuti. Ed ove questa attribuzione di costi sia rispettata, resta indifferente per il diritto comunitario se essa sia realizzata dal legislatore mediante l’istituzione di un tributo o la previsione di un corrispettivo privatistico. Quanto alle leggi di delegazione, esse si limitano ad autorizzare il legislatore delegato ad apportare «modifiche» al d.lgs. n. 507 del 1993, al fine di attuare le direttive comunitarie, e non impongono affatto di trasformare la natura del prelievo da tributaria ad extratributaria.

8. – Le sopra indicate caratteristiche strutturali e funzionali della TIA disciplinata dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997 rendono evidente che tale prelievo presenta tutte le caratteristiche del tributo menzionate al punto 7.2.1. e che, pertanto, non è inquadrabile tra le entrate non tributarie, ma costituisce una mera variante della TARSU disciplinata dal d.P.R. n. 507 del 1993 (e successive modificazioni), conservando la qualifica di tributo propria di quest’ultima. A tale conclusione, del resto, si giunge anche considerando che, tra le possibili interpretazioni della censurata disposizione e dell’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, deve essere preferita quella che, negando la violazione del secondo comma dell’art. 102 Cost., appare conforme a Costituzione (sulla necessità, in generale, di privilegiare un’interpretazione costituzionalmente orientata, ex plurimis: sentenza n. 308 del 2008, ordinanze n. 146 e n. 117 del 2009).

Le controversie aventi ad oggetto la debenza della TIA, dunque, hanno natura tributaria e la loro attribuzione alla cognizione delle commissioni tributarie, ad opera della disposizione denunciata, rispetta l’evocato parametro costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) – come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248 –, sollevate, in riferimento agli artt. 25, primo comma, e 102, secondo comma, della Costituzione, nonché alla VI disposizione transitoria della Costituzione, dal Giudice di pace di Catania, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione del d.lgs. n. 546 del 1992, sollevata, in riferimento all’art. 102, secondo comma, Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Prato, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 luglio 2009.

Redazione

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