Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno dichiarato – con l’ordinanza riprodotta in calce – non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 bis del D.L. n. 203 del 2005, convertito con modificazioni con L. n. 248 del 2005, nella parte in cui devolve alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza della TIA (Tariffa di Igiene Ambientale) per violazione dell’art. 102, comma 2°, della Costituzione. Potrebbe, quindi, essere la Corte Costituzionale a dirimere la vexata quaestio relativa alla natura della TIA.
Infatti, secondo l’orientamento in un primo tempo assunto dalle Sezioni Unite della Cassazione (ordinanza n. 3274 del 15 febbraio 2006) la TIA non avrebbe natura tributaria, dovendosi, invece, ritenere essere un corrispettivo del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti. Questa tesi troverebbe conferma in primo luogo nella circostanza che la Tariffa di Igiene Ambientale deve essere determinata in modo da assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio. In secondo luogo la natura non tributaria sarebbe pure dimostrata dall’assenza di una disciplina specifica relativa all’accertamento, alle sanzioni ed al contenzioso della TIA. Infine deporrebbe nel senso di escludere la natura tributaria anche il fatto che la TIA sia soggetta ad IVA e, perciò, non possa essere ricondotta nell’alveo dei “diritti, canoni, contributi” che sono esenti da tale tributo, essendo riscossi dagli enti pubblici “per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità” (art. 13, Direttiva n. 2006/112/CE).
Tuttavia ad un mese di distanza le stesse Sezioni Unite (ordinanza n. 4895 dell’8 marzo 2006) si pronunciarono nel senso della natura tributaria della TIA a seguito dell’intervento del legislatore (con il D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 3 bis, comma 1, lett. b), convertito in L. 2 dicembre 2005, n. 248) che espressamente prevedeva la devoluzione al giudice tributario di tutte le controversie relative alla debenza del canone per lo smaltimento dei rifiuti urbani.
Con l’ordinanza da ultimo pronunciata le Sezioni Unite ritengono che la natura tributaria della TIA potrebbe essere nuovamente posta in discussione in conseguenza di due sentenze della Corte Costituzionale: la n. 56/2008 e la n. 335/2008. Con la prima la Consulta ha dichiarato illegittima la previsione con la quale venivano devolute alle commissioni tributarie le controversie relative alla COSAP (Canone per l’Occupazione di Spazi e Aree Pubbliche); con la seconda il Giudice delle leggi ha ritenuto in contrasto con la Costituzione le disposizioni contenute nel Codice dell’Ambiente che consentivano l’esazione del contributo per il servizio di depurazione anche quando quest’ultimo non esistesse o non fosse attivo. Secondo le Sezioni Unite queste pronunce sembrerebbero minare alla base la teoria secondo cui la devoluzione al giudice tributario sarebbe sufficiente da sola a determinare la natura tributaria della Tariffa di Igiene Ambientale.
Di seguito, il testo dell’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale.
. . . . . . .
Cassazione civile, Sezioni Unite
Ordinanza n. 13894 del 15 giugno 2009
(presidente Carbone, relatore Botta)
(…)
Svolgimento del processo
La controversia concerne l’opposizione ad un decreto ingiuntivo con il quale l’Azienda Consorzio del Mirese agiva nei confronti del sig. M.G. a seguito del mancato pagamento di una serie di fatture relative alla Tariffa d’igiene ambientale per gli anni dal 2001 al 2005.
Nel proporre l’opposizione innanzi al Giudice di Pace di Dolo che aveva emesso il decreto de quo, il sig. M. eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice adito, asserendo che, trattandosi della riscossione di debiti di natura tributaria, la giurisdizione sarebbe spettata non al giudice ordinario, bensì al giudice tributario, e in questa prospettiva, al fine di risolvere ogni dubbio, ha proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione innanzi a queste Sezioni Unite. L’Azienda Consorzio del Mirese non si è costituita.
Motivi della decisione
Il ricorso del contribuente è fondato sul presupposto della ritenuta natura tributaria della Tariffa di igiene ambientale (TIA), che il ricorrente sostiene essere stata definitivamente acclarata dalle Sezioni Unite di questa Corte, da cui conseguirebbe, anche alla luce della riforma introdotta dal D.L. n. 203 del 2005, art. 3 bis, comma 1, convertito con modificazioni con L. n. 248 del 2005, la giurisdizione del giudice tributario.
In verità, sulla natura giuridica della TIA queste Sezioni Unite non si sono ancora pronunciate direttamente (o come si suoi dire ex professo), avendo deliberato esclusivamente sulla giurisdizione (quindi, semmai, solo indirettamente sulla natura della tariffa) e senza peraltro conseguire fino ad ora un orientamento unitario.
Nell’anno 2006, a distanza di circa un mese l’una dall’altra, due pronunce di queste Sezioni Unite sembrano dare soluzioni contrapposte sullo stesso tema.
Una prima ordinanza – la n. 3274 del 15 febbraio 2006 – afferma: “A seguito della trasformazione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani in tariffa, disposta dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, le controversie aventi ad oggetto la debenza del corrispettivo dovuto per il predetto servizio in base alla tariffa esulano sia dalla giurisdizione delle commissioni tributarie, essendo venuta meno la natura tributaria della prestazione (almeno quando, come nella fattispecie, la tariffa sia stata approvata), sia dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi, prevista dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 33, lett. e), come modificato dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7, nel testo risultante dalla dichiarazione d’incostituzionalità pronunciata dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 204 del 2004, e sono quindi devolute alla giurisdizione del giudice ordinario. La controversia, infatti, pur avendo ad oggetto una prestazione che si ricollega all’espletamento di un pubblico servizio, non afferisce ad un rapporto di concessione nè implica un sindacato sulla legittimità di un provvedimento amministrativo, in quanto l’obbligo di pagamento sorge da presupposti interamente preregolati dalla legge, senza che siano riservati alla P.A. spazi di discrezionalità circa la concreta individuazione dei soggetti obbligati, i presupposti oggettivi o il quantum del corrispettivo dovuto”.
Una seconda ordinanza – la n. 4895 dell’8 marzo 2006 – afferma: “In tema di TIA (tariffa di igiene ambientale, introdotta, con abolizione della precedente TARSU, dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49), le relative controversie, alla stregua della disciplina sopravvenuta con il D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 3 bis, comma 1, lett. b), convertito in L. 2 dicembre 2005, n. 248, – che ha aggiunto al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, comma 2, la precisazione appartengono alla giurisprudenza tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone… per lo smaltimento dei rifiuti urbani… -, sono devolute alla giurisdizione delle commissioni tributarie. Tale norma si sottrae al sospetto di illegittimità costituzionale sia in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., (cfr. Corte Cosi, sent. n. 18 del 2000), sia sotto il profilo della possibile violazione dell’art. 102 e della 6^ disp. trans. Cost. per inosservanza del limite della natura tributaria delle materie attribuite alle commissioni tributarie, indispensabile per non farle ritenere nuovi giudici speciali, in quanto i canoni indicati nella disposizione stessa attengono tutti ad entrate che in precedenza rivestivano indiscussa natura tributaria (senza che acquisti rilievo l’impiego del termine tariffa, presente anche in materia tributaria in senso stretto)”.
A ben guardare il contrasto è solo apparente, perchè la ragione del “mutato” orientamento emergente nella seconda delle richiamate ordinanze è palesemente costituita, non da un vero e proprio (ed effettivo) revirement, ma dall’intervento medio tempore realizzato dal legislatore nel modificare la norma sulla giurisdizione: afferma, infatti, in motivazione l’ordinanza n. 4895 del 2006 che “la soluzione (adottata) si impone, alla stregua della disciplina sopravvenuta con la L. n. 248 del 2005, art. 3 bis, comma 1, lett. b), di conversione del D.L. n. 203 del 2005, che ha aggiunto al D.Lgs. n. 546 del 1992, comma 2, la precisazione appartengono alla giurisprudenza tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone (…) per lo smaltimento dei rifiuti urbani (…). Il legislatore, superando le incertezze già insorte in materia in dottrina e nella giurisprudenza di merito – e così, già prima, in tema di COSAP, scarico e depurazione di acque reflue, ed, in minor misura, di imposta comunale sulle pubbliche affissioni – ha ricondotto infatti le controversie in materia di TLA (tariffa d’igiene ambientale introdotta, con abolizione della precedente TARSU, dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49 – c.d. decreto Ronchi -) nell’ambito della giurisdizione tributaria”. Invero non può parlarsi a rigore di una rimeditazione sulla natura giuridica della ITA, ma di una adesione alla tesi, pur da molti sostenuta, secondo la quale il legislatore – aggiungendo con l’art. 3 bis, comma 1, lett. b), di conversione del D.L. n. 203 del 2005, un secondo periodo al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 2, -, abbia inteso risolvere questioni controverse in ordine alla natura tributaria di determinate prestazioni, affermandone per via processuale il carattere tributario sostanziale.
Se così è, non appar fuori luogo chiedersi se una simile esegesi possa ritenersi soddisfacente dopo le sentenze della Corte costituzionale n. 64 del 2008 e n. 335 del 2008. La prima ha dichiarato illegittimo il secondo periodo del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 2, nella parte in cui stabilisce che appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del COSAP. La seconda ha dichiarato illegittimi: a) la L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 14, comma 1, (Disposizioni in materia di risorse idriche), sia nel testo originario, sia nel testo modificato dalla L. 31 luglio 2002, n. 179, art. 28, (Disposizioni in materia ambientale), nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti “anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi” e b) il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 155, comma 1, primo periodo, (Norme in materia ambientale), nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti “anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi”.
Si tratta di sentenze che – avendo escluso, in motivazione, la natura tributaria, rispettivamente, del COSAP e del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue – pongono seri dubbi sulla validità della teoria che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 2, secondo periodo, valga ex se a determinare la natura tributaria alle specificamente elencate prestazioni patrimoniali. Tanto da far apparire maggiormente condivisibile la tesi, sostenuta da autorevole dottrina, secondo la quale sarebbe proprio la richiamata disposizione a far ritenere esclusa la natura tributaria di dette prestazioni, perchè altrimenti la loro attribuzione alla giurisdizione tributaria non avrebbe avuto bisogno di una apposita norma, una volta che quella giurisdizione fosse stata estesa, dal D.Lgs. n. 546 del 1992, medesimo art. 2, modificato comma 1, ai tributi di ogni genere e specie comunque denominati. Peraltro, proprio sulla base della sentenza n. 64 del 2008, queste Sezioni Unite hanno ritenuto non manifestamente infondata “in riferimento all’art. 102 Cost., comma 2, la questione di legittimità costituzionale, del D.L. n. 203 del 2005, art. 3 bis, convertito con modificazioni con L. n. 248 del 2005, nella parte in cui devolve alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue, canone non avente natura tributaria ma, in virtù della L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31, comma 28, qualificabile come quota tariffaria, componente del corrispettivo dovuto dall’utente per il servizio” (Cass. S.U. ord. n. 20501 del 2008).
Se, quindi, alla luce delle ricordate sentenze della Corte Costituzionale non risulta ragionevolmente praticabile una esegesi della disciplina sostanziale (circa la natura giuridica della TIA) perseguita mediante una esegesi della disciplina processuale (attribuzione al giudice tributario della giurisdizione sulle controversie relative alla TIA), si palesa l’opportunità di tornare a riflettere sul problema della natura giuridica della TIA, prendendo le mosse dalla già ricordata ordinanza di queste Sezioni Unite n. 3274 del 2006, che aveva ritenuto fosse venuta meno la natura tributaria della prestazione a seguito della trasformazione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani in tariffa. Tuttavia, non è possibile prescindere da un approfondimento, in quanto la pronuncia in esame afferma la natura non tributaria della tariffa, sulla base del rilievo che siffatta circostanza costituiva un fatto “pacifico in causa”: la stessa Avvocatura dello Stato aveva “implicitamente riconosciuto, sostenendo soltanto l’esistenza della giurisdizione amministrativa, (che) la prestazione non ha natura tributaria e le relative controversie non sono, quindi, devolute alla giurisdizione delle commissioni tributarie, ai sensi della L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 12”.
Occorre, pertanto, per dare una più esauriente risposta sulla natura giuridica della TIA, analizzare più da vicino il dettato normativo. La TIA è stata istituita con il D.Lgs. n. 22 del 1997, art 49, come sostitutiva della TARSU, ed è finalizzata a coprire “i costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico” (art. 49, comma 2). La tariffa “deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale” (art. 49, comma 3) ed “è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio” (art. 49, comma 4).
La TIA è stata sostituita con il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, dalla Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani dovuta da “chiunque possegga o detenga a qualsiasi titolo locali, o aree scoperte ad uso privato o pubblico non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, che producano rifiuti urbani” e che costituisce “il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e ricomprende anche i costi indicati dal D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, art. 15” (art. 238, comma 1).
Nella nuova normativa la tariffa è “commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, sulla base di parametri, determinati con il regolamento di cui al comma 6, che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali” (art. 238, comma 2) ed è “composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, nonchè da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio” (art. 238, comma 4): nella sua determinazione è “prevista la copertura anche di costi accessori relativi alla gestione dei rifiuti urbani quali, ad esempio, le spese di spazzamento delle strade” (art. 238, comma 3). Alla luce di queste disposizioni (pur non volendo dare rilevo alla questione del nomen “tariffa”, che, tuttavia, con riferimento ad altre fattispecie, come quella dei canoni di rotta, è stata considerata da questa Corte – Cass. n. 20959 del 2004 – elemento utile ai fini della definizione della natura non tributaria della prestazione), dovrebbe concludersi per la natura non tributaria della TIA, seguendo le argomentazioni sviluppate dalla Corte costituzionale nella ricordata sentenza n. 335 del 2008.
In primo luogo, la Corte costituzionale considera un elemento determinante per attribuire natura giuridica di “corrispettivo” alla tariffa del servizio idrico integrato il fatto che la L. n. 36 del 1994, art. 13, comma 2, stabilisca che detta tariffa deve assicurare “la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio”: analoga disposizione è espressa dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, comma 4, per la TIA (e dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, comma 4, per la Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani). La rilevanza della commisurazione della prestazione patrimoniale al costo del servizio quale elemento coerente con la natura non tributaria della prestazione stessa, è stata posta in luce dalla Corte costituzionale, ad es., nella sentenza n. 73 del 2005, la quale – pronunciando in merito al conflitto di attribuzione tra Regione Sicilia e Stato in relazione al provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate in data 19 febbraio 2002, recante “Approvazione del nuovo modello di bollettino di conto corrente postale per il versamento in Euro del contributo unificato per le spese degli atti giudiziari”, ed in relazione alla risoluzione dell’Agenzia delle entrate, Direzione Centrale Gestione Tributi, n. 60/E del 27 febbraio 2002, concernente il “Contributo unificato per le spese degli atti giudiziari di cui alla L. 21 dicembre 1999, n. 448, art. 9. Modalità di versamento disciplinate con D.P.R. 1 marzo 2001, n. 126” del contributo unificato -, ha affermato che la natura tributaria del contributo unificato si desume, tra l’altro, dal fatto che “esso, ancorchè connesso alla fruizione del servizio giudiziario, è commisurato forfetariamente al valore dei processi (art. 9, comma 2, e tabella 1 allegata alla legge) e non al costo del servizio reso od al valore della prestazione erogata”.
In secondo luogo i criteri per la determinazione della TIA (e successivamente per la Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani) si modellano su quelli stabiliti dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 117, comma 1, (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) per le tariffe dei servizi pubblici, le quali, a norma del comma 2 della medesima disposizione, sono definite “corrispettivo” dei servizi stessi.
Ancora da considerare a favore della natura non tributaria della prestazione è l’assenza, all’interno della normativa, di norme riguardanti l’accertamento, le sanzioni e il contenzioso. Nè nel D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, nè nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, si trovano disposizioni che prevedano una procedura per l’accertamento da parte della pubblica amministrazione (o dell’ente gestore) delle somme dovute dal debitore della prestazione relativa al servizio; oppure disposizioni che prevedano l’irrogazione di specifiche sanzioni nell’ipotesi di omesso pagamento della prestazione; o disposizioni che prevedano lo sviluppo del contenzioso tra il debitore e l’ente locale (o l’ente gestore) in ordine alla prestazione pretesa.
Un ulteriore elemento per escludere la natura tributaria della prestazione de qua è costituito dal fatto che la TIA sia soggetta ad IVA ai sensi della L. n. 133 del 1999, art. 6, comma 13, e del D.M. 24 ottobre 2000, n. 370, in quanto la qualificazione ai fini IVA della tariffa come corrispettivo per le operazioni relative al servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e assimilati è un chiaro segnale della volontà del legislatore di non ricondurre le quote stesse al novero di quei “diritti, canoni, contributi” che la normativa comunitaria (v. art. 13, paragrafo 1, primo periodo, della Direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006) esclude in linea generale dall’assoggettamento a IVA, perchè percepiti da enti pubblici “per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità” (in questo senso v. anche Corte Cost. n. 335 del 2008 a proposito della tariffa per il servizio idrico integrato). Nel caso di specie, la soggezione ad IVA ha un particolare valore perchè concorre con altri elementi significativi della natura non tributaria della prestazione (ad es. rapporto necessario tra tariffa e costi del servizio), che nel quadro della disciplina dettata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, assumono ancor maggiore evidenza, emergendo anche un criterio legato alla effettiva produzione dei rifiuti. Non a caso l’Agenzia delle Entrate in sede di interpello ha affermato che “la tariffa di igiene ambientale (TIA), configurandosi alla stregua di un corrispettivo, nel presupposto che l’espletamento del servizio avvenga secondo regole di diritto comune,… deve essere assoggettata all’IVA, con aliquota agevolata del 10 per cento, come previsto dalla Tabella A, parte terza, n. 127 sexiesdecies, allegata al suddetto D.P.R. n. 633 del 1972, nel caso che trattasi della gestione di rifiuti urbani e/o dei rifiuti speciali ad essi assimilati” (Agenzia Entrate, risoluzione n. 25 del 5 febbraio 2003, che esclude la soggezione ad IVA per l’entrata relativa al servizio di pubbliche affissioni, in quanto tributo, e per il CIMP ed il COSAP, non configurandosi in dette ipotesi esercizio di attività commerciale da parte dell’ente locale).
Infine le operazioni di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e assimilati sono svolte da soggetti che non hanno le caratteristiche soggettive dei comuni, ma operano come imprese nell’esercizio di vere e proprie attività commerciali: tali soggetti applicano e riscuotono la tariffa, mentre l’ente locale perde la propria connotazione di Ente impositore. Ciò ha un riflesso sotto un duplice profilo.
Da un lato, manca l’individuazione di un atto impositivo impugnabile: la tariffa, ai sensi del D.M. n. 370 del 2000, art. 1, è riscossa dal gestore mediante “bollette che tengono luogo delle fatture, anche agli effetti di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, e successive modificazioni, semprechè contengano tutti gli elementi di cui all’art. 21 del medesimo decreto, salvo il numero progressivo ed il domicilio dell’utente che possono essere sostituiti rispettivamente dalla numerazione toponomastica e dall’ubicazione dell’utenza”. Questa bolletta non è un atto di imposizione, considerabile tra gli atti impugnabili di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, in quanto non ne ha le caratteristiche, trovando la propria regolamentazione nell’art. 21 del decreto IVA che ne definisce i contenuti, essendone la relativa emissione non specificamente collegata ad un termine di decadenza (con la conseguente soggezione della pretesa creditoria agli ordinari termini di prescrizione) e non essendone prevista la notificazione, procedura idonea a dare certezza della ricezione dell’atto e della individuazione del dies a quo per la proposizione della relativa (eventuale) impugnazione: e che non si tratti di un atto di imposizione emerge anche dalla circostanza che la bolletta de qua è equiparata, nel sistema della norma considerata, a quelle “per l’addebito dei corrispettivi relativi alle somministrazioni di acqua, gas, energia elettrica, vapore e teleriscaldamento urbano”, che fuor di dubbio non appartengono al genus degli atti impositivi. Vero è che questa Corte (Cass. n. 17526 del 2007) ha affermato che “gli atti con cui il gestore del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani richiede al contribuente quanto da lui dovuto a titolo di Tariffa di Igiene Ambientale hanno natura di atti amministrativi impositivi e debbono perciò rispondere ai requisiti sostanziali propri di tali atti; in primo luogo debbono – al fine di consentire l’esercizio da parte del destinatario del diritto alla difesa – enunciare -anche in forma sintetica, purchè chiara – sia la fonte della richiesta sia gli elementi di fatto e di diritto che la giustificano, anche sotto il profilo quantitativo”. Ma questa affermazione, che in qualche misura forza il dato normativo ex se insufficiente a giustificare la natura “impositiva” della precitata bolletta, è basata sul presupposto della ritenuta natura tributaria della TIA, sulla scorta della posizione espressa dalle Sezioni Unite a seguito dello ius superveniens che ha attribuito la “tariffa” alla giurisdizione del giudice tributario e che è oggetto di rimeditazione in questa sede. Dall’altro lato, il fatto che non sia l’ente locale, ma una società commerciale a gestire le operazioni di raccolta e smaltimento dei rifiuti e a riscuotere nelle forme ordinarie sopradescritte la “tariffa”, porrebbe significativi e non facili problemi di coordinamento normativo con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, secondo il quale nel processo tributario si confrontano una parte privata (il contribuente) e una parte pubblica (l’ente impositore).
Conclusivamente si deve osservare che tutta questa serie di elementi che segnalano la ragionevolezza dell’ipotesi interpretativa tesa ad escludere la natura tributaria della tariffa, va considera nel quadro normativo più generale nel quale si colloca il passaggio dalla TARSU alla TIA e alla Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani. Siffatto quadro è caratterizzato da una scelta legislativa per la privatizzazione (e spesso esternalizzazione) dei servizi, connessa ad un processo di detributarizzazione, in particolare riferito alla finanza locale (e specificamente all’area dei servizi erogati o gestiti dagli enti territoriali), in una prospettiva “federalista” nella quale si esalta il “principio del beneficio”, che rappresenta lo snodo essenziale che induce e giustifica il passaggio dalla tassa alla tariffa con forti connotazioni di corrispettività. Alla luce di tali considerazioni sembra evidente che nell’eventuale alternativa esegetica, la scelta dell’interprete debba essere quella più coerente alle ragioni di fondo che hanno indotto il legislatore a indirizzarsi verso la trasformazione di una tassa in tariffa, con il disegno di abbandonare l’area della fiscalità a favore di quella della corrispettività.
Tanto più ciò è vero nel caso dei rifiuti urbani, rispetto ai quali il passaggio dalla tassa alla tariffa, destinata alla copertura dei costi del servizio a carico di chi produce i rifiuti, è giustificato dalla volontà legislativa di dare attuazione alla Direttiva comunitaria sui rifiuti, regolata dal principio “chi inquina paga”, principio che appare compatibile con una tariffa e non con una tassa, essendo funzionale, come espressione del principio di proporzionalità (Corte giustizia 29 aprile 1999, causa C-293/96 Standley), ad una disciplina precisa dell’imputazione dei costi (anche per via di approssimazione, stante la flessibilità tipica del principio di proporzionalità e la oggettiva difficoltà di una liquidazione esatta dei costi causati dal “produttore di rifiuti”). Questa “incompatibilità logica” tra il principio comunitario e la tassa sui rifiuti ha indotto il TAR Campania, Sede di Napoli, Sezione Prima, con ordinanza 19 marzo 2008, n. 487 a porre alla Corte di Giustizia la seguente domanda pregiudiziale: “Se sia compatibile con l’art. 15 della direttiva comunitaria n. 75/442/CEE, come modificato dall’art. 1 della direttiva n. 91/156/CEE e con il principio del chi inquina paga, la normativa nazionale dettata dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 58 e segg., e le norme transitorie che ne hanno prolungato la vigenza, per effetto del D.P.R. n. 488 del 1999, art. 11, con le successive modificazioni, e della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 184, con ciò determinando la sopravvivenza di un sistema di carattere fiscale, per la copertura dei costi del servizio di smaltimento dei rifiuti, procrastinando l’introduzione di un sistema tariffario nel quale il costo del servizio sia sostenuto dai soggetti che producono e conferiscono i rifiuti” (Causa C – 254/08). Nella causa predetta, l’Avvocato Generale Juliane Kokott ha depositato le proprie conclusioni nel senso che: “il principio chi inquina paga sancito dall’art. 15 della direttiva 2006/12/CE relativa ai rifiuti, deve essere interpretato nel senso che esso osta a normative nazionali che impongono ai singoli costi manifestamente inadeguati per lo smaltimento dei rifiuti per il fatto che essi non dimostrano un legame sufficientemente ragionevole con la produzione dei rifiuti”. Sulla base del complesso degli elementi valutati appare, quindi, non manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale del D.L. n. 203 del 2005, art. 3 bis, convertito con modificazioni con L. n. 248 del 2005, nella parte in cui devolve alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza del canone (rectius: tariffa) per lo smaltimento dei rifiuti urbani.
La questione è rilevante nel presente giudizio, trattandosi di stabilire a quale giudice sia devoluta la giurisdizione sulle controversie relative alla debenza della tariffa de qua, che la norma sospetta di incostituzionalità espressamente attribuisce al giudice tributario, per cui queste Sezioni Unite, dovendo applicare la legge, non avrebbero altra possibilità che dichiarare nel caso la giurisdizione del giudice tributario. Non vi è spazio, infatti, stante il carattere esplicito della citata disposizione, per una interpretazione della stessa che sia costituzionalmente orientata, perchè siffatto tipo di interpretazione si tradurrebbe nel caso di specie in una vera e propria interpretatio abrogans che esula dai poteri di questo giudice.
P.Q.M.
Vista la Legge Cost. 9 febbraio 1948, n. 1, art. 1, e L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 3, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 203 del 2005, art. 3 bis, convertito con modificazioni con L. n. 248 del 2005, nella parte in cui devolve alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza del canone (tariffa) lo smaltimento dei rifiuti urbani per violazione dell’art. 102 Cost., comma 2.
Sospende il giudizio in corso e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Dispone che la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri a cura della cancelleria e dispone altresì che la stessa sia comunicata sempre a cura della Cancelleria, ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 aprile 2009. Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2009