Il Tar Palermo -delineata la disciplina normativa relativa alle cause di esclusione delle imprese dalle gare, incentrata sulla conoscenza completa, da parte della stazione appaltante, di tutte le sentenze e decreti di condanna eventualmente esistenti a carico dei concorrenti alle gare d’appalto, per le conseguenti valutazioni circa la loro rilevanza ostativa o meno ai fini della partecipazione- ritiene di dover condividere l’interpretazione dell’articolo 38 comma 1 lett. c) del D.lgs 163/2006 dedotta dal ricorrente.
Afferma così il principio secondo cui la norma in questione, laddove dispone che è comunque causa di esclusione la condanna per i reati di partecipazione ad un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, non sta ad indicare tipologie di reati diversi da quelli ostativi genericamente indicati nella prima parte della norma (“reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”), quanto piuttosto dei reati, in ordine ai quali la stazione appaltante è priva di qualsiasi potere discrezionale di valutazione, nel senso che alle sentenze di condanna per uno o più degli stessi si connette un effetto automatico di preclusione della partecipazione ai pubblici appalti.
Di seguito il testo integrale della sentenza
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TAR Palermo – Sezione III
Sentenza n. 1076 del 15 giugno 2009
(Presidente e Relatore Adamo)
sul ricorso numero di registro generale 2202 del 2008, proposto da:
“Consorzio Sol.Co. Catania – Rete di imprese sociali siciliane”, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Carmelo Giurdanella, Rosaria Zammataro e Gabriella Caudullo, con domicilio eletto presso il loro studio in Palermo, Via G. Serpotta n. 66;
contro
Comune di Trapani, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Carmela Santangelo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giuseppe Greco in Palermo, Via Noce n. 6;
per l’annullamento
previa sospensione dell’efficacia,
1) del verbale di gara del 2 ottobre 2008;
2) “del provvedimento non meglio conosciuto, con cui il ricorrente è stato escluso dalla gara per l’affidamento del servizio di Assistenza Domiciliare Handicap”;
3) di ogni altro atto, antecedente o successivo, comunque connesso, presupposto o consequenziale.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Trapani, con le relative deduzioni difensive;
Visto il decreto n. 1253/08;
Vista l’ordinanza collegiale n. 247/08;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 23 bis, comma sesto, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dalla legge 21 luglio 2000, n. 205;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14/01/2009 il dott. Calogero Adamo, e uditi l’avv. Zammataro per la parte ricorrente e l’avv. Giuseppe Greco, in sostituzione dell’avv. Santangelo, per l’Amministrazione resistente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
Con ricorso notificato il 23 ottobre 2008 e depositato lo stesso giorno il “Consorzio Sol.Co. Catania – Rete di imprese sociali siciliane” esponeva di avere partecipato alla procedura aperta indetta dal Comune di Trapani per l’appalto triennale del “servizio di assistenza domiciliare handicap” (importo b.a.: € 1.676.840,29), ma di essere stata escluso dalla gara, con verbale del 2 ottobre 2008, per la ritenuta incompletezza della dichiarazione circa l’inesistenza di sentenze penali di condanna, perché non era stata resa specifica dichiarazione circa l’inesistenza di sentenze di condanna per uno o più reati di partecipazione ad un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio. Impugnava detto provvedimento di esclusione, deducendo il seguente motivo di censura:
– Violazione dell’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 – Violazione del principio di massima partecipazione – Eccesso di potere da sviamento – Difetto di presupposto.
Sarebbe stata irrilevante l’omissione di una specifica dichiarazione circa l’inesistenza di sentenze di condanna per i reati di partecipazione ad un’organizzazione criminale, corruzione, frode e riciclaggio, dato che tali reati – diversamente da quanto ritenuto dal seggio di gara – non sarebbero diversi ed ulteriori rispetto ai “reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”, cui fa riferimento la prima parte dell’art. 38, lett. c), del D.Lgs. 163/2006, ma sarebbero riconducibili a tale previsione di carattere generale, in un rapporto di genere a specie: con la sola differenza che, in presenza di sentenze di condanna per i suddetti reati specificamente indicati, l’Amministrazione sarebbe priva di qualsiasi discrezionalità valutativa, ponendosi tali condanne quali causa automatica di esclusione.
Si costituiva in giudizio il Comune di Trapani, contrastando con memoria del 4 novembre 2008 il ricorso e chiedendone il rigetto, vinte le spese.
Con decreto n. 1253 del 24 ottobre 2008 veniva respinta l’istanza di misure cautelai provvisorie.
Con ordinanza collegiale n. 247 del 5 novembre 2008 veniva accolta l’istanza cautelare ai soli effetti della fissazione dell’udienza per la discussione del merito del ricorso.
Alla pubblica udienza del 14 gennaio 2009, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, la causa veniva posta in decisione.
In data 21 gennaio 2009, come per legge, veniva pubblicato il dispositivo della presente sentenza.
Il ricorso è fondato.
Il bando di gara disponeva, al punto 16, lett. a), che “non sono ammessi a partecipare alla gara i soggetti che si trovino in una delle condizioni di cui all’art. 38, c. 1 lett. a), b), c), d), e), f), g), i), l) e m) del D.Lgs. n. 163/06 e s.m.i.”; e correlativamente il disciplinare di gara, al punto 4, disponeva che i soggetti tenuti a rendere la dichiarazione circa i requisiti personali, dovessero attestare, tra l’altro, “a) …di non trovarsi in alcuna delle condizioni di cui all’art. 38, c. 1 lett. a), b), c), d), e), f), g), h), i), l) e m) dl D.Lgs. n. 163/06 e s.m.i.”.
Ai sensi del richiamato art. 38, comma 1, del D.Lgs. 163/2006, per quanto qui specificamente rileva, sono esclusi dalla partecipazione ai pubblici appalti i soggetti “c) nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza in applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all’art. 45, paragrafo 1, direttiva CE 2004/18; (…)”.
Nella specie, nelle dichiarazioni rese dagli amministratori del Consorzio Sol.Co. Catania e delle cooperative consorziate per le quali lo stesso concorreva non è specificata l’inesistenza di sentenze di condanna “per uno o più reati di partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio”; e il seggio di gara, con l’impugnato verbale del 2 ottobre 2008, ha disposto l’esclusione del Consorzio con la motivazione che la suddetta dichiarazione “risulta difforme in quanto incompleta rispetto al testo di legge”.
Con l’unico motivo di ricorso la determinazione del seggio di gara viene censurata per violazione dell’art. 38 del D.Lgs. 163/2006 e del principio di massima partecipazione nonché per eccesso di potere sotto vari profili, perché – si sostiene – i reati in parola sono riconducibili alle categorie di reati contro la P.A., l’ordine pubblico, la fede pubblica e il patrimonio: che, secondo l’interpretazione sia dell’Autorità per la vigilanza sui LL.PP. sia della giurisprudenza amministrativa in ordine alla corrispondente disposizione dell’art. 75 del previgente D.P.R. 554/1999, sono proprio quelli che incidono sulla moralità professionale dei concorrenti ai pubblici appalti. Si configurerebbe, pertanto, un rapporto da genere a specie tra i reati genericamente previsti dalla prima parte dell’art. 38, comma 1, lett. c), del D.Lgs. 163/2006 (“reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”) e quelli specificati nella seconda parte della stessa norma: onde le dichiarazioni in questione, pur non facendo espressa menzione di questi ultimi, non avrebbero potuto essere considerate incomplete, tali da comportare l’esclusione dalla gara.
Dalla difesa del Comune si oppone che i principi elaborati in ordine all’art. 75 del D.P.R. 554/1999 non sarebbero senz’altro trasponibili all’art. 38 del D.Lgs. 163/2006, data la diversa formulazione (e la conseguente portata) delle due norme. In particolare, sarebbe ormai dubbia la rilevanza dei reati contro il patrimonio quali reati ostativi della partecipazione ai pubblici appalti; sicché la generica dichiarazione resa dagli amministratori del Consorzio ricorrente non consentirebbe di ricavarne alcuna indicazione in ordine al reato di riciclaggio (riconducibile, appunto, ai reati contro il patrimonio).
Tale assunto difensivo non si ritiene di poter condividere.
Va considerato, invero, che, secondo la concorde interpretazione sia dell’Autorità per la vigilanza sui LL.PP. sia della giurisprudenza amministrativa, l’art. 75 del D.P.R. 554/1999 (in forza del quale – comma 1, lett. c – la partecipazione ai pubblici appalti era preclusa ai soggetti che siano stati condannati “per reati che incidono sull’affidabilità morale e professionale”), comporta, per un verso, data l’indeterminatezza dei concetti di affidabilità morale e professionale, l’esercizio da parte della stazione appaltante di un potere latamente discrezionale di valutazione dei reati ascritti agli interessati (da ultimo, Cons. St., V, 7 ottobre 2008, n. 4845); e, per altro verso, che tale valutazione è di esclusiva competenza dell’Amministrazione, al qual fine questa doveva essere messa in grado di conoscere tutte le sentenze penali intervenute nei confronti dei soggetti interessati (Cons. St., V, 12 aprile 2007, n. 1723).
Gli stessi principi – e in particolare la necessità che la stazione appaltante sia posta in condizione di conoscere in termini di completezza la situazione dei concorrenti circa eventuali sentenze di condanna – sono da ritenere senz’altro applicabili anche in ordine all’art. 38 del D.Lgs. 163/2008. A maggior ragione, perché – a differenza dell’art. 75 del D.P.R. 554/1999 (che al comma 2 faceva carico ai concorrenti di produrre il certificato del casellario giudiziale per dimostrare l’inesistenza delle situazioni ostative di cui alla lett. c) -, l’art. 38 del D.Lgs. 163/2006, dopo aver disposto al comma 2 in via generale che i concorrenti attestano il possesso dei requisiti mediante autodichiarazione in cui indicano anche le eventuali condanne per le quali abbiano beneficiato della non menzione, al successivo comma 3, seconda parte, dispone che in sede di verifica delle dichiarazioni di cui commi 1 e 2 [tra le quali, appunto, quelle di che trattasi] le stazioni appaltanti “chiedono al competente ufficio del casellario giudiziale, relativamente ai candidati o ai concorrenti, i certificati del casellario giudiziale di cui all’art. 21 del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, oppure le visure di cui all’art. 33 del medesimo decreto”, vale a dire il “certificato di tutte le iscrizioni esistenti riferite ad un determinato soggetto”.
Avuto riguardo alla delineata disciplina normativa – incentrata sulla conoscenza completa, da parte della stazione appaltante, di tutte le sentenze e decreti di condanna eventualmente esistenti a carico dei concorrenti alle gare d’appalto, per le conseguenti valutazioni circa la loro rilevanza ostativa o meno ai fini della partecipazione, appare condivisibile l’interpretazione dedotta in ricorso, secondo cui il primo comma, lett. c), del D.Lgs. 163/2006, laddove dispone che è comunque causa di esclusione la condanna per i reati di partecipazione ad un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, non sta ad indicare tipologie di reati diversi da quelli ostativi genericamente indicati nella prima parte della norma (“reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”), quanto piuttosto dei reati, in ordine ai quali la stazione appaltante è priva di qualsiasi potere discrezionale di valutazione, nel senso che alle sentenze di condanna per uno o più degli stessi si connette un effetto automatico di preclusione della partecipazione ai pubblici appalti.
Ha ragione, pertanto, il Consorzio ricorrente di dolersi della propria esclusione, disposta per la ritenuta incompletezza delle dichiarazioni in questione perché mancanti della specificazione dell’inesistenza di sentenze di condanna per i reati di partecipazione ad organizzazioni criminali, corruzione, frode e riciclaggio. S’è visto, infatti, che anche tali tipologie di reati sono riconducibili alla previsione generale della stessa norma in tema di reati ostativi della partecipazione ai pubblici appalti, salva solo l’esclusione di qualunque valutazione discrezionale da parte dell’Amministrazione.
Nella specie, rileva inoltre la formulazione del bando e del disciplinare di gara: che non contengono alcuna espressa prescrizione di indicare a parte le eventuali sentenze di condanna per i reati predetti, con correlata comminatoria di esclusione, ma, come s’è visto, si limitano ad un generico riferimento alle “condizioni di cui all’art. 38, c. 1 lett. a), b), c), d), e), f), g), h), i), l) e m) del D.Lgs. n. 163/06 e s.m.i.”, quali condizioni preclusive della partecipazione, e delle quali doveva essere perciò attestata l’inesistenza. E, stante la genericità di tale clausola della lex specialis, in correlazione con il disposto normativo dell’art. 38, comma 1, lett. c), del D.Lgs. 163/2006 (che, come s’è visto, di per sé non sembra comportare la necessità di una specifica e distinta dichiarazione circa eventuali sentenze di condanna per i reati di partecipazione a organizzazioni criminali etc.), trova applicazione il fondamentale principio, di portata generale in tema di pubblici appalti, della massima partecipazione (cfr. da ultimo Cons. St., V, 14 aprile 2008, n. 1665).
Il ricorso, pertanto, risulta fondato e va accolto, e va conseguentemente annullato il provvedimento di esclusione impugnato.
Le spese seguono, come di regola, la soccombenza, e vengono liquidate in dispositivo.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione terza, accoglie il ricorso in epigrafe e annulla il provvedimento impugnato, nella stessa epigrafe indicato.
Condanna il Comune di Trapani al pagamento in favore della parte ricorrente delle spese di giudizio, che liquida in € 2.000,00 (euro duemila/00) oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge e la rifusione dell’importo del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.