Sentenza del 9 gennaio 2009 numero 39

. . . . .

TAR Liguria, sezione II

Sentenza del 9 gennaio 2009 numero 39

(Presidente Di Sciascio, relatore Vitali)

(…)

Diritto

Occorre preliminarmente affrontare i motivi di ricorso incidentale proposti da C.A.E. AMGA, i quali rivestono priorità logica in quanto volti a contestare la legittimità dell’ammissione alla gara del consorzio ricorrente principale e, pertanto, ad escludere la sussistenza del suo interesse a ricorrere (Cons. di St., VI, 15.4.2008, n. 1750).
Tutti e tre i motivi di ricorso incidentale sono infondati.
Quanto al primo motivo, si osserva che l’art. 37 comma 9 del D. Lgs. n. 163/2006 individua la presentazione dell’offerta (e non già della domanda di partecipazione) quale momento della procedura dal quale scatta il divieto di modificabilità soggettiva della composizione dei partecipanti.
Secondo quanto recentemente precisato dal Consiglio di Stato, “la disciplina vigente si limita a richiedere che alla presentazione dell’offerta siano ammesse imprese già selezionate nella fase di prequalificazione, ma non impedisce a queste ultime di associarsi temporaneamente in vista della gara, posto che l’A.T.I. non estingue la soggettività delle imprese già qualificate e che, quindi, il raggruppamento non può definirsi quale soggetto diverso da quelli invitati […] Da tali disposizioni [gli artt. 13 comma 5-bis della L. n. 109/1994, oggi trasfuso nell’art. 37 comma 9 D. Lgs. n. 163/2006, nonché l’art. 93 comma 2 del D.P.R. n. 554/1999, n.d.r.] emerge come il legislatore abbia inteso favorire il fenomeno del raggruppamento di imprese e individuare la presentazione dell’offerta come momento della procedura, da cui scatta il divieto di modificabilità soggettiva della composizione dei partecipanti. Tutte le citate disposizioni fanno riferimento all’offerta, che è cosa diversa dalla richiesta di invito, senza ricollegare in alcun modo il principio di immodificabilità soggettiva alla fase della prequalificazione in caso di procedura ristretta. In presenza di disposizioni espresse che non consentono la modifica della composizione dei partecipanti dopo l’offerta e in assenza di analogo divieto per la fase della prequalificazione, deve escludersi che si possa pervenire in via pretoria ad un divieto, non sancito dal legislatore. Tale considerazione è di per sé sufficiente per sostenere la tesi dell’ammissibilità della riunione di imprese prequalificatesi separatamente” (così Cons. di St., VI, 20.2.2008, n. 588; ammettono la possibilità, per le imprese prequalificatesi separatamente, di presentare offerta in A.T.I. anche Cons. di St., V, 18.9.2003, n. 5309 e T.A.R. Lombardia, I, 9.2.2007, n. 239).
Dunque, legittimamente C.N.S. e Cofathec Servizi s.p.a. hanno presentato un’unica offerta in A.T.I., pur essendosi prequalificate separatamente.
Anche il secondo motivo del ricorso incidentale, che attiene alla asserita violazione dell’art. 37 del D. Lgs. n. 163/2006 per avere partecipato separatamente alla gara sia il Consorzio C.N.S. che la sua consorziata Manutencoop Facility management s.p.a., è infondato.
In proposito il Collegio osserva che il precedente citato a sostegno del motivo (Cons. di St., V, 24.3.2006, n. 1529) non è pertinente, in quanto riguardava un consorzio stabile.
Sennonché, il C.N.S. non è né un consorzio stabile, né un consorzio ordinario, bensì un consorzio fra società cooperative di produzione e lavoro di cui all’art. 34 comma 1 lett. b) D. Lgs. n. 163/2006, per il quale l’art. 37 c. 7 D. Lgs. n. 163/2006 detta una norma apposita (“i consorzi di cui all’articolo 34, comma 1, lettera b), sono tenuti ad indicare, in sede di offerta, per quali consorziati il consorzio concorre; a questi ultimi è fatto divieto di partecipare, in qualsiasi altra forma, alla medesima gara”).
E tale ultima disposizione è stata costantemente interpretata, giusta il favor manifestato dal legislatore nei confronti di tali consorzi in ragione del loro scopo mutualistico ex art. 45 Cost., nel senso che il divieto di partecipazione alla gara sussiste solo per le cooperative indicate dal consorzio come esecutrici in sede di offerta, e non già – indistintamente – per tutte le cooperative consorziate (in tal senso cfr. T.A.R. Emilia Romagna, I, 21.12.2006, n. 3338).
Ne consegue che, non avendo il C.N.S. indicato la consorziata Manutencoop Facility management s.p.a. quale esecutrice del servizio, entrambe le imprese sono state legittimamente ammesse alla procedura.
Il terzo motivo di ricorso incidentale concerne la violazione del punto III. 2.1. del bando di gara in tema di attestazione dei requisiti di qualificazione.
In particolare, la controinteressata C.A.E. AMGA assume che la società Gesta s.p.a. (indicata dal Consorzio come esecutrice in sede di offerta) e la società associata Si Servizi Cofathec s.p.a. non avrebbero presentato l’attestazione S.O.A. per categoria OS28 class. II o OG11 class. II e la dichiarazione circa i servizi analoghi svolti, richieste dal bando a pena di esclusione.
Anche tale motivo di ricorso è infondato.
Per quanto riguarda la società esecutrice Gesta s.p.a., giova osservare che, qualificandosi il C.N.S. come un consorzio tra imprese cooperative di produzione e lavoro ex art. 34 comma 1 lett. b D. Lgs. n. 163/2006, i requisiti di idoneità tecnica dovevano essere posseduti e comprovati – ex art. 35 D. Lgs. n. 163/2006 – direttamente dal Consorzio stesso.
In proposito la giurisprudenza suole affermare che in tema di requisiti di ammissione dei consorzi di cooperative costituiti ai sensi della legge n. 422/1909 occorre distinguere tra requisiti di idoneità tecnica e finanziaria, il cui possesso è richiesto esclusivamente in capo al consorzio (fruendo, al riguardo, le singole cooperative consorziate – che, ai fini che qui rilevano, costituiscono articolazioni organiche del soggetto collettivo – del rilevante beneficio di poter sommare i rispettivi requisiti, in ipotesi insufficienti, ai fini del raggiungimento delle soglie minime richieste dalla lex specialis della gara), e requisiti di natura generale, di ordine pubblico e di moralità, che vanno invece accertati anche in capo alle singole imprese consorziate indicate quali esecutrici dei lavori (cfr. Cons. di St., VI, 29.4.2003, n. 2183 e T.A.R. Campania-Napoli, 11.12.2007, n. 16107).
Dunque, i requisiti da verificarsi non soltanto in capo al consorzio, ma anche rispetto alle singole imprese designate quali esecutrici del servizio, sono esclusivamente quelli generali relativi alla regolarità della gestione delle singole imprese sotto il profilo dell’ordine pubblico, di quello economico nonché della moralità, non essendo gli stessi – diversamente, come detto, da quelli di idoneità tecnica – cumulabili (in tal senso cfr. Cons. di St., V, 5.9.2005, n. 4477; T.A.R. Liguria, II, 7.6.2007, n. 1050; T.A.R. Lazio, I, 25.7.2006, n. 6372).
Nel caso di specie, è pacifico che il C.N.S. abbia, in sede di prequalificazione, prodotto sia la propria attestazione SOA, che la dichiarazione circa i servizi analoghi svolti, onde il motivo è infondato.
Soltanto per completezza si osserva pertanto che, quanto ai requisiti “generali” di partecipazione di Gesta s.p.a. – sui quali peraltro non risultano sollevati rilievi – essi sono stati regolarmente attestati in sede di offerta (cfr. doc. 10 delle produzioni 11.4.2008 di C.A.E. AMGA).
Per quanto riguarda invece la società Si Servizi Cofathec s.p.a., l’attestazione SOA e quella circa i servizi analoghi risultano effettivamente prodotte contestualmente alla richiesta di invito (cfr. doc. 7 delle produzioni 26.4.2008 del C.N.S.), tant’è che sul punto la ricorrente incidentale C.A.E. AMGA nulla ha dedotto nelle memorie illustrative 4.7.2008 e 12.12.2008.
Ciò chiarito in merito al ricorso incidentale, si può procedere all’esame del ricorso principale.
A tal fine, tuttavia, occorre affrontare le eccezioni preliminari dedotte dalle difese delle società resistenti.
Con una prima eccezione la difesa di A.M.T. ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo rispetto alla domanda di annullamento del contratto già stipulato, con la conseguente inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, non avendo il ricorrente consorzio agito contestualmente per il risarcimento del danno.
L’eccezione è solo parzialmente fondata.
Non è contestabile che il ricorso sia rivolto in primis avverso il provvedimento di aggiudicazione definitiva della gara, la cui cognizione rientra pacificamente nella giurisdizione del giudice amministrativo ex art. 6 L. n. 205/2000.
La circostanza che l’ulteriore domanda volta a ottenere l’annullamento o comunque l’accertamento dell’inefficacia del contratto rientri nella giurisdizione del giudice ordinario (Cass., SS.UU., 28.12.2007, n. 27169; Cons. di St., Ad. Plen., 30.7.2008, n. 9) e che il ricorrente non abbia formulato domanda di risarcimento del danno né in forma specifica né per equivalente, non appaiono tuttavia idonee a far venir meno l’interesse processuale del consorzio ricorrente – secondo classificato nella procedura de qua agitur – ad ottenere l’annullamento dell’aggiudicazione.
E ciò, anche a prescindere dalla constatazione che, in realtà, il C.N.S. ha effettivamente proposto domanda di risarcimento del danno con memoria depositata il 12.12.2008, ed ancorché la domanda nuova sia inammissibile perché non notificata alle controparti.
Un’ulteriore eccezione concerne la asserita tardività del ricorso, giacché alla seduta del 17.12.2007, in cui venne disposta l’aggiudicazione provvisoria a C.A.E. AMGA, erano presenti due rappresentanti del C.N.S..
L’eccezione è infondata.
Difatti, il verbale della seduta 17.12.2007 (alla quale erano presenti i rappresentanti di C.N.S., cfr. il doc. 3 delle produzioni 26.3.2008 di C.A.E. AMGA) riguarda l’aggiudicazione provvisoria della gara, che ha natura di atto endoprocedimentale, come tale inidoneo a produrre la definitiva lesione dell’interesse dell’impresa che non è risultata vincitrice, e la cui impugnazione costituisce una mera facoltà e non già un onere (cfr., per tutte, Cons. di St., V, 6.2.2007, n. 484; T.A.R. Liguria, II, 24.4.2008, n. 760 e T.A.R. Lazio, III, 17.1.2007, n. 289).
Rispetto al provvedimento di aggiudicazione definitiva comunicato via fax il 16.1.2008, che ha determinato la effettiva lesione delle posizioni giuridiche del C.N.S., il ricorso appare dunque tempestivo.
Un’ultima eccezione preliminare, sollevata dalla difesa di A.M.T. nella memoria depositata il 4.7.2008, attiene ad una presunta genericità dell’unico motivo di impugnazione per indeterminatezza delle censure dedotte.
Anche questa eccezione è destituita di fondamento.
Il ricorso introduttivo contiene infatti la precisa indicazione sia dei vizi denunciati (la violazione dell’art. 13 del D.L. 4.7.2006, n. 223) che dei fatti rilevanti, cioè la circostanza che il gruppo Iride, cui appartiene C.A.E. AMGA, svolgerebbe attività di produzione di beni e servizi in favore del comune di Torino, detentore di rilevanti quote del capitale sociale.
Il che è sufficiente per ritenere ammissibile il motivo, attenendo tutto il resto al fondamento nel merito della censura, che può essere ora finalmente affrontato.
Il motivo è infondato.
Dispone l’art. 13 del D.L. 4.7.2006, n. 223, che “1. Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori, le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti. Le società che svolgono l’attività di intermediazione finanziaria prevista dal testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sono escluse dal divieto di partecipazione ad altre società o enti. 2. Le società di cui al comma 1 sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1. 3. Al fine di assicurare l’effettività delle precedenti disposizioni, le società di cui al comma 1 cessano entro trenta mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto le attività non consentite. A tale fine possono cedere, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, le attività non consentite a terzi ovvero scorporarle, anche costituendo una separata società. I contratti relativi alle attività non cedute o scorporate ai sensi del periodo precedente perdono efficacia alla scadenza del termine indicato nel primo periodo del presente comma. 4. I contratti conclusi, dopo la data di entrata in vigore del presente decreto, in violazione delle prescrizioni dei commi 1 e 2 sono nulli. Restano validi, fatte salve le prescrizioni di cui al comma 3, i contratti conclusi dopo la data di entrata in vigore del presente decreto, ma in esito a procedure di aggiudicazione bandite prima della predetta data”.
La disposizione di cui al primo comma richiede espressamente, affinché si applichi il divieto per le società pubbliche o miste di operare con soggetti diversi dagli enti locali costituenti o partecipanti, che la costituzione o la partecipazione in società a capitale interamente pubblico o misto avvenga per la produzione di beni e servizi “strumentali” all’attività di tali enti, ovvero, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative, in ogni caso con l’esclusione dei servizi pubblici locali.
Orbene, ritiene il Collegio che per beni e servizi “strumentali” debbano intendersi quelli specificamente rivolti all’ente pubblico locale azionista ed acquisiti mediante contratto di appalto pubblico di beni o servizi, non già quelli di interesse generale erogati – in luogo dell’ente locale, cui spetterebbe tale compito – indistintamente al pubblico dei cittadini utenti (anche se “occasionalmente” fruiti dall’ente locale), i quali ultimi costituiscono, propriamente, servizi pubblici locali, specificamente esclusi dal campo di applicazione della norma.
Il punto – proprio con riferimento all’art. 13 del D.L. n. 223/2006 – è stato più volte chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, secondo la quale “la distinzione tra mero servizio e servizio pubblico va ricercata nel beneficiario diretto dello stesso. Di conseguenza ricorre l’ipotesi del servizio pubblico se la prestazione resa dall’appaltatore viene fornita per soddisfare in via immediata le esigenze della collettività o del singolo utente. Costituisce, al contrario, mero servizio strumentale quello le cui prestazioni vengono effettuate direttamente a favore della stazione appaltante. Ciò, nella letteratura economico-aziendale, viene identificato con il termine “outsourcing”, ossia “approvvigionamento esterno”, per lo svolgimento di alcune fasi del processo produttivo che l’impresa ritiene più vantaggioso affidare a soggetti esterni anziché gestire direttamente attraverso la propria organizzazione aziendale” (così T.A.R. Lombardia-Brescia, I, 27.12.2007, n. 1373; nello stesso senso cfr. anche T.A.R. Veneto, I, 31.3.2008, n. 788; T.A.R. Lazio, II, 5.6.2007, n. 5192).
Ciò posto, non può revocarsi in dubbio che il servizio definito di “gestione calore”, oggetto della gara aggiudicata a C.A.E. AMGA, debba qualificarsi come un appalto di servizio strumentale all’ente affidante, non già come servizio pubblico locale destinato all’utenza: esso, infatti, non viene reso direttamente alla collettività, ma è fornito alle strutture gestite dall’ente proprietario, traducendosi in un servizio di supporto o strumentale ad una diversa attività principale (T.A.R. Brescia, n. 1373/2007 cit.; T.A.R. Trentino Alto Adige-Bolzano, 8.3.2007, n. 91; Cons. di St., V, 10.3.2003, n. 1289).
Per il resto, dall’istruttoria esperita sul punto e dalle visure camerali depositate in giudizio dal C.N.S. è emerso: 1) che, come evidenziato in ricorso, la gestione degli impianti termici degli edifici comunali di Torino è affidata alla società Iride servizi s.p.a. (doc. 8 delle produzioni C.N.S. del 23.6.2008, p. 4), società operativa il cui capitale sociale è interamente detenuto dalla holding di controllo Iride s.p.a. (cfr. i docc. 5 e 6 delle produzioni C.A.E. AMGA 11.4.2008), a sua volta controllata ex art. 2359 c.c. dalla holding finanziaria F.S.U. s.r.l., partecipata pariteticamente al 50% dai comuni di Genova e Torino (doc. 3 delle produzioni C.N.S. del 23.6.2008, p. 12); 2) che alla stessa holding di controllo Iride s.p.a. fa capo, indirettamente (per il tramite del controllo di Iride mercato s.p.a., controllata all’84% da Iride s.p.a., cfr. doc. 13 delle produzioni C.N.S. del 27.3.2008, p. 5), anche CAE AMGA Energia s.p.a. (il cui capitale è interamente detenuto da Iride mercato s.p.a., cfr. doc. 6 delle produzioni 23.6.2008 di C.N.S., p. 6), la quale fornisce – tra l’altro – il servizio di gestione calore degli edifici comunali di Genova.
Dunque, è provato in causa che i comuni di Torino e Genova controllano indirettamente, per il tramite della holding finanziaria F.S.U. s.r.l., le società operative Iride servizi s.p.a. e C.A.E. AMGA Energia s.p.a..
E poiché quest’ultima è fornitrice del servizio calore agli stabili comunali del comune di Genova – e dunque, per quanto detto sopra, di un servizio strumentale all’attività di tale ente – ne discende che la stessa non potrebbe, mercé il divieto di cui all’art. 13 D.L. n. 223/2006, svolgere prestazioni a favore di altri soggetti, nel caso di specie rendendosi aggiudicataria della gara bandita da A.M.T..
Sennonché, la partecipazione dei comuni di Genova e Torino alla società C.A.E. AMGA è una partecipazione soltanto indiretta o di terza generazione, in quanto nessuno dei due enti locali figura direttamente quale socio della stessa (cfr. la visura storica camerale di C.A.E. AMGA Energia s.p.a., doc. 6 delle produzioni 23.6.2008 di C.N.S., p. 6).
A tale proposito, il consorzio ricorrente obietta che il divieto di cui all’art. 13 D.L. n. 223/2006 si estenderebbe – attesa l’identità di ratio – alle forme di partecipazione indiretta o mediata, e cita a conforto la deliberazione 9.5.2007, n. 135 dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, nonché la sentenza TA.R. Lombardia, I, 31.1.2007, n. 140.
Ciò in quanto “ammettere che i vincoli posti dalla norma speciale riguardino esclusivamente le partecipazioni dirette degli enti pubblici alle società di cui trattasi varrebbe a sostenere che i vincoli stessi possano agevolmente essere aggirati mediante meccanismi di partecipazioni societarie mediate. Al contrario, anche nelle società c.d. di terzo grado, come nel caso in esame, individuandosi con detta definizione quelle società che non sono state costituite da amministrazioni pubbliche e non sono state costituite per soddisfare esigenze strumentali alle amministrazioni pubbliche medesime, rimane pur sempre il rilievo che l’assunzione del rischio avviene con una quota di capitale pubblico, con ciò ponendo in essere meccanismi potenzialmente in contrasto con il principio della par condicio dei concorrenti” (così la deliberazione 9.5.2007, n. 135 dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici).
La tesi non convince, in quanto in contrasto con il tenore letterale della disposizione e con un’interpretazione sistematica e teleologica della stessa.
Giova infatti osservare – da un punto di vista letterale – come il divieto di svolgere prestazioni a favore di soggetti diversi dagli enti pubblici costituenti, partecipanti o affidanti sia riferito alle società “a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali”: il riferimento al capitale sociale ed alla figura della costituzione e della partecipazione sembra evocare chiaramente la necessità che l’ente locale sia socio, come tale titolare di una partecipazione al capitale sociale.
Assai significativa appare al riguardo la circostanza che il legislatore, diversamente da altri casi in cui parimenti si trattava di vietare la partecipazione alle gare di determinate società a tutela dei valori della par condicio e della concorrenza (cfr., per esempio, l’art. 34 comma 2 e 90 comma 8 del D. Lgs. n. 163/2006), non abbia fatto riferimento alle figure del controllo e del collegamento societario ex art. 2359 c.c., idonee a ricomprendere nello specchio applicativo della norma anche le società di terza generazione.
A ciò si aggiunga che la disposizione riveste sicuramente carattere eccezionale rispetto al principio generale di libertà dell’iniziativa economica ex art. 41 Cost., sicché deve preferirsi – ex art. 14 disp. prel. c.c. – un’interpretazione restrittiva.
Ma l’interpretazione secondo la quale il divieto non opererebbe con riguardo a società partecipate soltanto indirettamente dagli enti pubblici locali trova un ulteriore riscontro – questa volta a livello sistematico – nella successiva disposizione di cui al comma terzo dell’art. 13 D.L. n. 223/2006, a mente del quale “al fine di assicurare l’effettività delle precedenti disposizioni, le società di cui al comma 1 cessano entro trenta mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto le attività non consentite. A tale fine possono cedere, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, le attività non consentite a terzi ovvero scorporarle, anche costituendo una separata società”.
La norma evidenzia come l’effettività del divieto di cui al comma primo possa essere efficacemente assicurata, alla fine del periodo transitorio di trenta mesi, anche soltanto dallo “scorporo” delle attività non consentite (id est, quelle svolte a favore di soggetti diversi dagli enti locali partecipanti), mediante la costituzione di una “separata società”, cui riservare le attività rivolte al mercato.
Dunque, per il legislatore la separatezza delle società operanti sul mercato con soggetti terzi (e dei rispettivi bilanci) rispetto a quelle direttamente partecipate dagli enti locali (e dirette fornitrici di beni e servizi strumentali agli stessi) sembrerebbe costituire – di per sé – una sufficiente garanzia di non distorsione della concorrenza, in quanto il capitale apportato dagli enti locali non affluirebbe direttamente nel capitale di rischio delle imprese operanti in regime di concorrenza.
Se è così, non può che concludersi come C.A.E. AMGA non possa ritenersi soggetta al divieto di cui all’art. 13 D.L. n. 223/2006, giacché nessun ente locale figura essere socio della stessa, essendo la totalità del capitale sociale detenuto dalla società Iride mercato s.p.a. (cfr. la visura camerale di cui al doc. 6 delle produzioni C.N.S. 23.6.2008, p. 6), e come il diretto destinatario del divieto sia in realtà soltanto la società F.S.U. s.r.l..
Giova osservare come, in una fattispecie analoga, il T.A.R. Molise sia giunto alle medesime conclusioni (I, 18.7.2007, n. 628, punto 9): “va rilevato che, come la stessa ricorrente ha riconosciuto, la Società in questione è solo indirettamente controllata da Enti pubblici, essendo socio unico la Acque S.p.A., ossia altra Società, mentre l’art. 13, 1° comma del D.L. n. 223/2006 si riferisce alle “società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali” per lo svolgimento di determinati servizi o funzioni, alle quali è fatto divieto di “svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati”, nonché di “partecipare ad altre società o enti”. Perciò il destinatario di tale divieto sarebbe la Acque S.p.A. e non già la Acque Ingegneria S.r.l..”.
Né può assumere rilevanza il disposto dell’art. 3 comma 27 della legge 24.12.2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), a mente del quale “al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. Èsempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e l’assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell’ambito dei rispettivi livelli di competenza”.
Da un lato, infatti, non si tratta di una disposizione di interpretazione autentica dell’art. 13 D.L. n. 223/2006, bensì di un autonomo divieto rivolto alle sole amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, onde sarebbe veramente arduo farne discendere, per le società (come C.A.E. AMGA) indirettamente partecipate dagli enti locali, una causa di esclusione dalle pubbliche gare.
Dall’altro, quand’anche la disposizione dovesse intendersi nel senso da ultimo indicato, essa non sarebbe comunque applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, essendo stato il relativo bando pubblicato in data 10.10.2007 (cfr. il doc. 3 delle produzioni 26.3.2008 di A.M.T.).
Esclusa la fondatezza dell’unico motivo del ricorso introduttivo, occorre ora affrontare i sei motivi aggiunti, proposti dal C.N.S. con atto notificato in data 28.4-2.5.2008.
Sul punto le difese di A.M.T. e di C.A.E. AMGA hanno preliminarmente eccepito la irricevibilità per tardività dei motivi aggiunti, operando in subiecta materia il dimezzamento dei termini (cfr. Cons. di St., IV, 5.3.2008, n. 949; id., V, 8.3.2006, n. 1199; T.A.R. Lombardia, I, 9.2.2007, n. 239; T.A.R. Lazio, II, 16.4.2007, n. 3296).
È noto come, mercé una non perspicua formulazione dell’art. 23-bis comma 2 della L. n. 1034/1971, la questione del dimezzamento dei termini per la proposizione di motivi aggiunti sia tuttora molto controversa, rinvenendosi sul punto ben tre indirizzi giurisprudenziali: un primo indirizzo favorevole senz’altro al dimezzamento del termine, che nelle materie soggette alla disciplina di cui all’art. 23-bis costituirebbe la regola generale; un secondo indirizzo contrario alla dimidiazione, sulla scorta del fatto che la proposizione di motivi aggiunti parteciperebbe della stessa natura del ricorso principale, il cui termine è espressamente escluso dalla dimidiazione; un terzo indirizzo – per così dire intermedio – contrario alla dimidiazione dei termini per la proposizione di motivi aggiunti avverso atti nuovi e sopravvenuti connessi soggettivamente ed oggettivamente a quelli originariamente impugnati (trattasi dei motivi aggiunti avverso i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso, cui propriamente si riferisce l’art. 21 comma 1 L. n. 1034/1971, come sostituito dall’articolo 1 della legge 21 luglio 2000, n. 205) e favorevole nell’ipotesi in cui i motivi aggiunti abbiano ad oggetto atti esclusivamente endoprocedimentali.
Al Collegio pare preferibile il terzo ed ultimo degli indirizzi esposti, sicché, nel caso di specie (in cui il C.N.S. si grava avverso l’atto endoprocedimentale di ammissione alla gara dell’aggiudicataria C.A.E. AMGA), il ricorso per motivi aggiunti sarebbe effettivamente irricevibile per tardività, avendo il C.N.S. acquisito conoscenza di tutta la documentazione afferente la gara in esito all’accesso agli atti esercitato in data 31.1.2008 e 14.3.2008 (cfr. i docc. 2, 8 e 9 delle produzioni C.N.S. 26.4.2008).
Nondimeno, atteso il riferito quadro di grande incertezza giurisprudenziale, il Collegio ritiene di poter concedere la rimessione in termini per errore scusabile, con la precisazione che la concessione del beneficio riguarda ovviamente i soli motivi proposti oltre i trenta giorni dalla piena conoscenza degli atti rilevanti, non già quelli proposti oltre il termine ordinario di sessanta giorni, secondo quanto verrà di volta in volta chiarito infra.
Ciò posto, i primi due motivi aggiunti (relativi, rispettivamente, alle irregolarità riscontrabili nella cauzione provvisoria presentata da C.A.E. AMGA, per l’illeggibilità delle firme e per la mancata indicazione delle generalità dei firmatari e della fonte dei loro poteri, nonché nella dichiarazione di impegno di Climaenergia, la quale non specificherebbe che l’impegno deve intendersi prestato “per tutta la durata dell’appalto”) sono irricevibili perché tardivi, anche rispetto al termine ordinario di sessanta giorni.
Risulta infatti che i rappresentanti di C.N.S. abbiano completato l’accesso agli atti della procedura di gara in data 31.1.2008 (cfr. i docc. 8 e 9 delle produzioni C.N.S. in data 26.4.2004), in quanto il successivo accesso del 14.3.2008 ha riguardato soltanto gli atti successivi all’aggiudicazione (cfr. doc. 2 delle produzioni C.N.S. in data 26.4.2004).
Medesima sorte tocca al sesto ed ultimo motivo di ricorso, giacché, anche a voler prescindere dalla sua manifesta genericità, la situazione di asserito conflitto di interessi tra A.M.T. e C.A.E. AMGA, controllate entrambe dal comune di Genova, era immediatamente percepibile all’atto dell’aggiudicazione definitiva.
Manifestamente infondato è invece il terzo motivo aggiunto, con il quale il C.N.S. si duole che la fideiussione definitiva di CAE AMGA sia stata rilasciata in ritardo (in data 11.3.2008), oltre il termine del 28.2.2008 di cui all’ordinativo di acquisto (cfr. doc. 12 delle produzioni 26.3.2008 di A.M.T.).
Il punto 11.12 del disciplinare di gara (cfr. doc. 4 delle produzioni 26.3.2008 di A.M.T., p. 27), rubricato “mancata sottoscrizione dell’ordine contratto”, stabilisce che qualora il soggetto aggiudicatario non provveda alla restituzione dell’ordine di acquisto controfirmato per accettazione, unitamente alla documentazione richiesta, entro il termine massimo nello stesso indicato, senza dare motivata giustificazione, “l’Azienda aggiudicante si riserva di interpretare tale fatto come rinuncia dell’aggiudicazione e, di conseguenza, si riserva di ‘escutere’ la somma posta a garanzia dell’offerta presentata aggiudicando la gara al secondo migliore offerente, fatta salva la richiesta danni per i maggiori oneri che l’Azienda Aggiudicante medesima dovrà sostenere”.
Dunque, come puntualmente osservato dalla difesa delle società resistenti, il termine in questione non era perentorio ed il suo mancato rispetto non comportava l’automatica decadenza dall’aggiudicazione.
Né appare censurabile il comportamento di A.M.T., che, a fronte di una inequivoca dichiarazione di accettazione dell’ordine pervenuta prima della scadenza del termine (cfr. il doc. 3 delle produzioni 27.6.2008 di C.A.E. AMGA), ha ritenuto – in conformità dei poteri riconosciutigli dal disciplinare di gara – di non interpretare come rinuncia all’aggiudicazione il ritardo nella restituzione dell’ordine di acquisto controfirmato.
E ciò, a prescindere dalla circostanza che sussistono consistenti dubbi sull’ammissibilità del motivo (così come del quarto e del quinto motivo aggiunto), che attiene alla conclusione del contratto e, postulando una verifica della conformità alla normativa positiva delle regole in base alle quali l’atto negoziale è sorto, attiene ad una fase successiva all’aggiudicazione, ricadente nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria (T.A.R. Puglia-Bari, I, 11.10.2007, n. 2553).
Parimenti infondato è il quarto motivo aggiunto, con il quale il C.N.S. si duole che C.A.E. AMGA non avrebbe allegato alla controfirma dell’ordine di acquisto, che equivale al contratto, la fotocopia del documento di identità del firmatario.
Difatti, nessuna disposizione del disciplinare di gara prevedeva – men che meno a pena di decadenza dall’aggiudicazione – l’allegazione della fotocopia della carta di identità del legale rappresentante del soggetto aggiudicatario contestualmente alla restituzione dell’ordine di acquisto sottoscritto per accettazione.
Qualora dovesse invece ritenersi che la doglianza si riferisca propriamente alla violazione alla clausola contenuta nell’ordine di acquisto (cfr. il doc. 12 delle produzioni 26.3.2008 di A.M.T., p. 24), è evidente come la vicenda, attenendo ex art. 1326 comma 4 c.c. all’efficacia dell’accettazione della proposta contrattuale data in forma diversa da quella richiesta, esulerebbe sicuramente dalla giurisdizione del giudice amministrativo.
Destituito di fondamento è – infine – il quinto motivo aggiunto, con il quale si evidenzia che la cauzione definitiva prodotta da C.A.E. AMGA recherebbe un oggetto errato.
La cauzione definitiva costituiva infatti parte della documentazione da emettere dopo l’aggiudicazione (cfr. il punto 11.11 del disciplinare di gara) e da restituire unitamente alla sottoscrizione dell’ordine di acquisto, nel termine da quest’ultimo indicato (cfr. il punto 11.12 del disciplinare di gara).
Stando così le cose, valgono sul punto le considerazioni già espresse in merito al terzo motivo aggiunto, e cioè che il punto 11.12 del disciplinare di gara (cfr. doc. 4 delle produzioni 26.3.2008 di A.M.T., p. 27), non annetteva alla mancata presentazione della cauzione nel termine assegnato (o, il che è lo stesso, alla presentazione di una cauzione viziata da un mero errore materiale) il valore inequivocabile di una rinuncia all’aggiudicazione, ma rimetteva la relativa valutazione all’apprezzamento discrezionale dell’amministrazione.
In un tale contesto, legittimamente l’amministrazione, a fronte di un evidente errore materiale immediatamente emendato (cfr. i docc. 4 e 5 delle produzioni C.A.E. AMGA 27.6.2008), ha ritenuto – in conformità dei poteri riconosciutigli dal disciplinare di gara – di non interpretare il fatto come rinuncia all’aggiudicazione.
Qualora poi con la doglianza si intendesse porre nel dubbio la validità o l’efficacia dell’accettazione dell’ordine di acquisto e, dunque, della conclusione del contratto, si tratterebbe – anche in questo caso – di questione palesemente estranea alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Sussistono giusti motivi, in considerazione della novità e della complessità delle questioni trattate, per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M

Rigetta il ricorso incidentale ed i relativi motivi aggiunti.
Rigetta il ricorso principale.
In parte dichiara irricevibili per tardività ed in parte rigetta i motivi aggiunti al ricorso principale.
Dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione la domanda di annullamento del contratto.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 18/12/2008

Redazione

Lo studio legale Giurdanella & Partners dedica, tutti i giorni, una piccola parte del proprio tempo all'aggiornamento del sito web della rivista. E' un'attività iniziata quasi per gioco agli albori di internet e che non cessa mai di entusiasmarci. E' anche l'occasione per restituire alla rete una parte di tutto quello che essa ci ha dato in questi anni. I giovani bravi sono sempre i benvenuti nel nostro studio legale. Per uno stage o per iniziare la pratica professionale presso lo studio, scriveteci o mandate il vostro cv a segreteria@giurdanella.it