Una riflessione su governo del territorio e vincoli aventi natura espropriativa

Pubblichiamo di seguito, per gentile concessione dell’editore, l’interessante prefazione di Giuseppe Vecchio al libro di Angela Bruno, Manuale di Pianificazione urbanistica e vincoli espropriativi (Maggioli, 2010):

“Una riflessione sul governo del territorio e vincoli aventi natura espropriativa, come quella che ci propone Angela Bruno, oltre all’indubbio interesse specifico per la complessa materia, presenta un particolare fascino per chi, come me, si è formato agli studi di una facoltà di Giurisprudenza nei primi anni settanta.

Erano gli anni nei quali si immaginava un governo del territorio fondato sull’affermazione della “funzione sociale della proprietà” e sulla portata quasi illimitata dei vincoli scaturenti dalla legislazione vigente.

Da poco era stato introdotto nel nostro ordinamento un principio generale di governo del territorio, specificatamente del territorio urbano, in forza della c.d. “legge ponte” e risuonavano ancora nelle nostre orecchie le note del “Ragazzo della via Gluck”. Perfino il rock più popolare e diffuso comunicava il disagio provato da molti cittadini di fronte all’uso ‘disinvolto’ delle aree urbane e come risposta immediata e non molto prudente alla pressione dei movimenti demografici che avevano attraversato l’Italia nei primi vent’anni di democrazia e di sviluppo economico.

Alle lezioni di diritto privato si rifletteva con grande passione sugli spazi residui del diritto di proprietà e sulla necessità di trovare soluzioni al dilagare dei processi di utilizzazione di vaste aree verdi come zone residenziali, senza rispetto dei valori del territorio e con scarsissimi strumenti di salvaguardia contro i rischi sociali, culturali, ambientali, idrogeologici e, in fondo, economici.

Gli strumenti a disposizione erano ancora limitati e segnati dalla storia e dalla tradizione del rapporto fra pubblico e privato, secondo modelli affermatisi alla fine dell’ottocento e timidamente rimessi in discussione dalla normativa civilistica e urbanistica degli ultimi anni del fascismo.


Sin dalle prime battute, il lavoro di Angela Bruno inquadra il problema nella sua giusta dimensione all’interno di un modello giuridico derivato dalle democrazie liberali e fondato sui tradizionali diritti civili.

L’indennizzabilità dei vincoli che incidono oltre un certo limite sulla consistenza effettiva del diritto di proprietà è stata e continua ad essere la misura della capacità di resistenza del modello fondamentale.

Il rapporto fra forza del diritto di proprietà e struttura degli strumenti che avrebbero dovuto consentire alle pubbliche autorità di ‘governare’ il territorio era così debole che si doveva immaginare una sorta di ‘limite interno’ allo stesso diritto, una disciplina quasi ‘etica’ dell’uso del suolo che avrebbe dovuto indurre i titolari a regolare da se stessi il sistema edilizio.

La rilettura delle posizioni di quegli anni lascia trasparire, quasi in filigrana, una cultura ancora ‘romantica’ delle concezioni urbanistiche e della responsabilità del proprietario.

Un grave e diffuso equivoco segnava le proposte e le controproposte del dibattito.

Per un verso, si leggeva qualunque tentativo di regolazione urbanistica come compressione della proprietà, senza particolare distinzione delle relazioni sociali connesse alle dimensioni di ciascun concreto diritto di singoli titolari di aree piccole o grandi.

Per altro verso, si sottovalutava la grande lezione che tendeva a distinguere la proprietà dalle proprietà, e che avrebbe potuto indurre, se sviluppata e approfondita, considerazioni prudenti e ridefinizioni conseguenti.


Alla concezione di una proprietà statica e polverizzata, d’altra parte, faceva fronte un’altrettanto asfittica concezione della funzione amministrativa pubblica.

È sufficiente pensare all’improbabile organizzazione dei comuni, anche di quelli più grandi, per rendersi conto dei limiti culturali, politici, strategici di organismi che avrebbero dovuto affrontare il problema sempre più drammatico dei processi demografici e della riorganizzazione di un Paese che transitava dall’economia agricola arretrata, all’economica industriale e dei servizi, in forme particolarmente concentrate.


La tensione fra pubblico e privato, più esattamente fra la concezione di pubblico e la concezione di privato, che aveva caratterizzato la prima fase dell’elaborazione del problema urbanistico e di governo del territorio, da luogo, alla fine degli anni settanta, al tentativo di trasformazione del diritto di proprietà e di conseguente pubblicizzazione della facoltà di edificare che si manifesteranno nella “legge Bucalossi”.

L’idea, semplice e radicale, era quella di seguire pedissequamente un indirizzo che sembrava emergere dalla giurisprudenza costituzionale e di scorporare alcune facoltà comprese nel diritto di proprietà, per riattribuirle contro corrispettivo, a titolo di concessione.

Nel complesso e sottile gioco di ricostruzione dei concetti di autorizzazione e concessione e nella ricerca del valore semantico di ciascuna formula nel contesto normativo nel quale era inserita, a prescindere dalla differenza lessicale, si giocò la sopravvivenza della concezione tradizionale e socialmente affermata del diritto di proprietà.

In particolare, la limitazione della legittimazione alla concessione del diritto di edificare al solo titolare del diritto di proprietà costituì l’elemento centrale di una ricostruzione che declassava la ‘concessione’ a mera ‘autorizzazione’, facendo riespandere il diritto di proprietà alla sua misura tradizionale.

La ricostruzione dei principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza costituzionale, nei quarant’anni di conflitti e di confronti, viene sintetizzata da Angela Bruno nell’esame del principio di normale tollerabilità della compressione del diritto di proprietà alla luce dei parametri riassunti nella sentenza 179 del 1999.


Angela Bruno, tuttavia, non si limita all’analisi della struttura dei vincoli conformativi ed espropriativi. Molto opportunamente, spinge oltre la ricostruzione e sviluppa il tema del rapporto fra poteri di governo del territorio e incidenza del loro esercizio sull’equilibrio economico dei rapporti sociali e, soprattutto, sulla giusta distribuzione del sacrificio dei diritti individuali.

È evidente che la ricostruzione di Angela Bruno rispecchia l’evoluzione di rapporti ben più complessi e profondi di quelli apparentemente semplici e schematici che qualificavano il confronto tra lo Stato e il singolo proprietario nella sua fase iniziale.

Angela Bruno registra che, con il passare degli anni, la concezione duale e conflittuale del rapporto fra pubblico e privato viene progressivamente a mitigarsi su tutti i terreni di confronto e, quindi, anche sul terreno della ricostruzione del diritto di proprietà e del suo contenuto edificatorio.

L’idea che il territorio possa essere governato con l’esercizio di poteri programmatori, sostanzialmente autoritativi, cede il passo all’applicazioni di principi cooperatori e più significativamente ispirati alla sussidiarietà, anche orizzontale.

Contemporaneamente, una significativa legislazione in materia di ambiente, di tutela idrogeologica, di beni culturali e paesaggistici viene a definire il contesto degli interessi generali entro il quale si strutturano le aspettative di libertà dei privati nell’esercizio dei loro diritti.


La decisione 179 del 1999 della Corte Costituzionale rappresenta un primo tentativo di rimettere ordine fra interessi privati e interessi generali nella complessa materia del diritto di proprietà e della sua comprimibilità non espropriativa o, viceversa, della sua indennizzabilità in presenza di provvedimenti espropriativi.


Il quadro generale della concezione dei rapporti fra pubblico e privato, nel corso degli anni novanta, è profondamente modificato.

In primo luogo, una nuova concezione della pubblica amministrazione, a partire dalla l. 241 del 1990 delinea nuovi rapporti e, soprattutto, una nuova cultura della partecipazione.

Ridimensionato il paradigma della partecipazione ‘consiliare’ e di rappresentanza formale, di quella che poteva essere definita la strategia della legittimazione elettorale del potere amministrativo ai vari livelli (scuola, sanità, ecc.), comincia a delinearsi un nuovo modello di collaborazione fra amministrazione e cittadini.

Da una parte, le “carte” degli utenti, dall’altra la diffusione di procedimenti concertativi fra amministrazioni e cittadini, singoli o associati tendono a determinare forme di individuazione dell’equilibrio fra interesse collettivo e interessi articolati, singoli, di gruppo, di categoria, ecc.


La cultura della partecipazione concertativa si diffonde in tutti i settori e, quindi, coinvolge anche l’esercizio del diritto di proprietà a fronte dei poteri di governo del territorio da parte delle amministrazioni competenti.

Non si tratta più di immaginare, in materia di governo del territorio, un potere espropriativo della pubblica amministrazione simile a quello esercitato in materia di realizzazione di opere pubbliche.

L’esercizio dell’autorità mirato alla realizzazione di uno specifico obbiettivo tecnico, esecutivo di più ampi progetti di governo (realizzazione di un’opera pubblica), viene significativamente distinto dall’esercizio dell’autorità volto ad organizzare la migliore fruibilità di uno specifico territorio, nella salvaguardia degli interessi di coloro che eserciteranno il diritto di proprietà sui risultati dell’operazione (abitazioni), nonché degli interessi di cerchie sempre più larghi di beneficiari interessati all’uso adeguato di beni più complessi.


In un quadro di progressiva ‘privatizzazione’ dei comportamenti volti a realizzare interessi che non esigono l’esercizio dell’autorità, ma possono ben essere soddisfatti mediante formule consensuali, si sviluppano forme concertative che assumono vere e proprie caratteristiche contrattuali.

Non siamo ancora ad una diffusione generalizzata di modelli concertativi e consensuali, ma siamo, certamente, in vista di una nuova dimensione del rapporto fra pubblico e privato che modificherà profondamente i termini di un confronto che dura da quasi cinquant’anni e che rappresenta una sorta di ‘calco’ dei conflitti sociali, delle aspettative, delle tensioni, degli interessi individuali e delle ragioni collettive che hanno caratterizzato la storia dell’urbanizzazione post-bellica dell’Italia.


Angela Bruno richiama il testo unico sugli espropri per segnalare che la norma non può fare a meno di definire la propria provvisorietà. Nonostante l’apparenza, non si tratta di una giustificazione per la transitorietà della disciplina, ma della constatazione della natura tipicamente evolutiva di un regime che è destinato a mutare con la stessa rapidità delle acquisizioni scientifiche e culturali sulle necessità di governo del territorio.

In questo senso, è sufficiente rileggere la sentenza 29 marzo 2006, C.E.D.U., G. C., causa Scordino c. Italia, per disporre immediatamente , di un quadro diacronico e comparativo del problema del regime della proprietà nei principali Paesi europei lungo l’arco degli ultimi cinquant’anni.

Le considerazioni della sentenza non lasciano spazio ad argomentazioni inutilmente paludate e concettualistiche. Il problema dell’indennizzabilità del sacrificio del proprietario deve essere modulato in relazione ai grandi valori in gioco.

Da una parte, il valore della proprietà come diritto fondamentale dell’uomo, istituito a garanzia economica della sua libertà di decidere e di scegliere, riconosciuto dall’art. 1 del Protocollo aggiuntivo n.1.

Dall’altra, l’insieme dei valori collettivi che possono incontrare limitazione e pregiudizio nell’esercizio incondizionato di quella libertà.

Il difficile e variabile contenuto del diritto di proprietà (per molti aspetti e per molte ragioni, riconducibili alla logica della grandi riforme economiche e sociali, che si estende fino ai mutamenti di ‘regime’) si deve continuamente misurare con le altre aspettative tutelate dal sistema in ciascun momento storico. L’espansione e la consistenza di quel diritto sono in continua e dialettica ridefinizione. A leggere i passaggi della disciplina e della giurisprudenza sull’indennizzabilità dei vincoli alla proprietà urbana, sembra di rileggere le vicende dell’Italia e dell’Europa contemporanee, con il filtro della ‘proprietà’ e del ‘territorio’.

Qualunque incisione che ecceda il limite mobile della consistenza storica dei poteri del proprietario costituisce manifestazione espropriativa, come tale indennizzabile, in primo luogo in ragione della tollerabilità della durata del procedimento di definizione del procedimento di individuazione e realizzazione degli interessi contrapporti a quello proprietario.


Lo studio di Angela Bruno ripercorre con particolare cura la storia complessa e avvincente, almeno per chi ha curiosità di cose giuridiche, del confronto fra interessi in continua evoluzione sul terreno della struttura, del contenuto, della tutela del diritto di proprietà nei confronti degli interessi che lo circondano, lo definiscono, lo incidono.

Con stile essenziale e ricchezza di documentazione giurisprudenziale e normativa, la magmatica materia che anima controversie di durata, spesso, tanto lunga da avere determinato una giurisprudenza specifica sul tempo dei processi e sulla risarcibilità del danno derivante, viene analizzata e ricostruita in modo da consentire all’operatore del diritto di cogliere gli elementi essenziali del problema.


Nessuno può pretendere di venire a capo della complessità che caratterizza, in questo settore normativo forse più che in altri settori, lo stesso processo di definizione dell’essenzialità del diritto di proprietà.

Angela Bruno non pretende di farlo, ma offre un contributo di grande utilità ad uno studio che non può essere concluso, per la semplice ragione che si riferisce a temi fra i più significativi del paradigma libertà individuale/interesse generale che hanno segnato e segneranno ancora per molto tempo la vicenda economica, sociale e politica del mondo occidentale”.


Prof. Giuseppe Vecchio

Ordinario Diritto Privato nell’Università di Catania

Direttore D.A.P.P.S.I.

già componente del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana

Redazione

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