Giuristi d’impresa e avvocati interni: quale riservatezza avvocato-cliente ?

La tutela della riservatezza non si applica agli scambi di posta elettronica all’interno di un’impresa o di un gruppo con avvocati interni: un avvocato interno non può dunque beneficiare della riservatezza delle comunicazioni stabilita tra clienti ed avvocati esterni.

Lo ha stabilito la Corte di Giustizia, in una sentenza depositata ieri.

Di rilievo i punti 45-49:

45 (…) il concetto di indipendenza dell’avvocato viene determinato non solo in positivo, mediante un riferimento alla disciplina professionale, bensì anche in negativo, vale a dire con la mancanza di un rapporto di impiego. Un avvocato interno, nonostante la sua iscrizione all’Ordine forense e i vincoli professionali che ne conseguono, non gode dello stesso grado di indipendenza dal suo datore di lavoro di cui gode, nei confronti dei suoi clienti, un avvocato che lavora in uno studio legale esterno. Pertanto, per un avvocato interno è più difficile che per un avvocato esterno risolvere eventuali conflitti tra i suoi doveri professionali e gli obiettivi del suo cliente.

46 (…) sebbene la disciplina olandese dell’ordinamento professionale sia idonea a rafforzare la posizione dell’avvocato che lavora all’interno di un’impresa, ciononostante essa non è in grado di garantire un’indipendenza comparabile a quella di un avvocato esterno.

47 Infatti, nonostante la disciplina professionale applicabile nel caso di specie in base alle disposizioni particolari del diritto olandese, l’avvocato interno non può, indipendentemente dalle garanzie di cui gode nell’esercizio della sua professione, essere equiparato ad un avvocato esterno a causa della situazione di lavoratore subordinato in cui si trova, situazione che, per sua stessa natura, non consente all’avvocato interno di discostarsi dalle strategie commerciali perseguite dal suo datore di lavoro e che dunque influisce sulla sua capacità di agire con indipendenza professionale.

48 Si deve aggiungere che, nell’ambito del suo contratto di lavoro, l’avvocato interno può essere chiamato a svolgere altri compiti che possono incidere sulla politica commerciale dell’impresa, come ad esempio quello, di cui al caso di specie, di coordinatore per il diritto della concorrenza. Orbene, simili funzioni non possono che rafforzare gli stretti legami dell’avvocato con il suo datore di lavoro.

49 Ne deriva che, tanto per la dipendenza economica dell’avvocato interno quanto per i suoi stretti legami con il suo datore di lavoro, l’avvocato interno non gode di un’indipendenza professionale paragonabile a quella di un avvocato esterno.



Di seguito, il testo integrale della decisione.

. . . . .



Corte di Giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione

Sentenza del 14 settembre 2010

(presidente Skouris, relatore Silva de Lapuerta)



(procedimento C‑550/07)

(…)

1 Con la loro impugnazione, l’Akzo Nobel Chemicals Ltd (in prosieguo: l’«Akzo») e l’Akcros Chemicals Ltd (in prosieguo: l’«Akcros») chiedono l’annullamento della sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 17 settembre 2007, cause riunite T‑125/03 e T‑253/03, Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione (in prosieguo: la «sentenza impugnata»), nella parte in cui il Tribunale ha respinto la richiesta di tutela della riservatezza della corrispondenza con il consulente legale interno dell’Akzo.



I – Il diritto dell’Unione

2 L’art. 14 del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81] e [82] del Trattato (GU 1962, n. 13, pag. 204), prevede quanto segue:

«1. Per l’assolvimento dei compiti affidatile dall’articolo [105 TFUE] e dalle norme emanate in applicazione dell’articolo [103 TFUE], la Commissione può procedere a tutti gli accertamenti necessari presso le imprese e le associazioni di imprese.

Gli agenti della Commissione incaricati a tal fine dispongono dei seguenti poteri:

a) controllare i libri e gli altri documenti aziendali;

b) prendere copie o estratti dei libri e degli altri documenti aziendali;

c) richiedere spiegazioni orali “in loco”;

d) accedere a tutti i locali, terreni e mezzi di trasporto delle imprese.

2. Gli agenti incaricati dalla Commissione di procedere ai suddetti accertamenti esercitano i loro poteri su presentazione di un mandato scritto (…)

3. Le imprese e le associazioni di imprese sono obbligate a sottoporsi agli accertamenti ordinati dalla Commissione mediante decisione. La decisione precisa l’oggetto e lo scopo dell’accertamento, ne fissa la data di inizio ed indica le sanzioni (…) nonché il diritto di presentare ricorso dinanzi alla Corte di giustizia avverso la decisione.

(…)».



II – I fatti

3 Nella sentenza impugnata, il Tribunale ha così riassunto i fatti rilevanti:

«1 Il 10 febbraio 2003 la Commissione ha adottato la decisione C(2003) 559/4, recante modifica della sua decisione 30 gennaio 2003, C(2003) 85/4, con la quale si impone, in particolare, all’Akzo (…) e all’Akcros (…) e alle loro rispettive consociate di sottoporsi ad accertamenti ai sensi dell’art. 14, n. 3, del regolamento (…) n. 17, (…) decisioni volte alla ricerca di prove relative ad eventuali pratiche anticoncorrenziali (in prosieguo, considerate nel loro insieme: la “decisione che impone l’accertamento”).

2 In data 12 e 13 febbraio 2003 alcuni funzionari della Commissione, assistiti da rappresentanti dell’Office of Fair Trading (OFT, autorità britannica garante della concorrenza), hanno effettuato un accertamento, sulla scorta della decisione che impone l’accertamento, presso i locali delle ricorrenti situati in Eccles, Manchester (Regno Unito). Durante tale accertamento, i funzionari della Commissione hanno estratto copia di un considerevole numero di documenti.

3 Nel corso di tali operazioni i rappresentanti delle ricorrenti hanno segnalato ai funzionari della Commissione che taluni documenti potevano beneficiare della tutela della riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti (legal professional privilege o “LLP”).

4 I funzionari della Commissione hanno allora fatto presente ai rappresentanti delle ricorrenti la loro necessità di consultare sommariamente i documenti in questione, al fine di potersi formare una propria opinione in merito alla tutela di cui i detti documenti dovevano eventualmente beneficiare. Al termine di una lunga discussione, e dopo che i funzionari della Commissione e dell’OFT ebbero ricordato ai rappresentanti delle ricorrenti le conseguenze di un’ostruzione delle operazioni di accertamento, è stato deciso che il responsabile dell’accertamento avrebbe consultato sommariamente i documenti in questione, alla presenza, al suo fianco, di un rappresentante delle ricorrenti.

5 Durante l’esame dei documenti in questione, è insorta una controversia in merito a cinque documenti, che alla fine sono stati oggetto di due diversi tipi di trattamento da parte della Commissione.

(…)

8 Il terzo documento che ha formato oggetto di controversia è costituito da un insieme di note manoscritte del direttore generale dell’Akcros (…), che le ricorrenti sostengono essere state redatte in occasione di discussioni con alcuni dipendenti ed utilizzate per la redazione del memorandum dattiloscritto che costituisce la serie A. Infine, gli ultimi due documenti controversi sono due messaggi di posta elettronica scambiati tra il direttore generale dell’Akcros (…) e il sig. S., coordinatore dell’Akzo (…) competente per il diritto della concorrenza. Quest’ultimo è un avvocato iscritto all’Ordine forense olandese che, al momento dei fatti, era membro del servizio giuridico dell’Akzo (…) e dunque dipendente in pianta stabile di tale impresa.

9 Dopo avere rivisto questi tre ultimi documenti e aver raccolto i chiarimenti delle ricorrenti, la responsabile dell’accertamento ha ritenuto che i detti documenti non fossero certamente tutelati dalla riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti. Pertanto, essa ne ha preso una copia accludendola al resto del fascicolo, senza isolarla in una busta sigillata. Le ricorrenti hanno designato questi tre documenti come appartenenti alla “serie B”.

10 Il 17 febbraio 2003 le ricorrenti hanno inoltrato alla Commissione una lettera nella quale esponevano le ragioni per le quali i documenti (…) della serie B erano, a loro avviso, tutelati dalla riservatezza.

11 Con comunicazione in data 1° aprile 2003, la Commissione ha informato le ricorrenti che gli argomenti presentati nella loro lettera del 17 febbraio 2003 non le consentivano di concludere che i documenti in questione fossero effettivamente coperti dalla riservatezza. Essa, tuttavia, precisava che le ricorrenti avevano la possibilità di presentare osservazioni in merito a tali conclusioni preliminari entro un termine di due settimane, alla scadenza del quale essa avrebbe adottato una decisione finale.

(…)

14 In data 8 maggio 2003, la Commissione ha adottato, sul fondamento dell’art. 14, n. 3, del regolamento n. 17, la decisione C(2003) 1533 def., di rigetto della richiesta di tutela dei documenti controversi sulla base della riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti (in prosieguo: la “decisione di rigetto 8 maggio 2003”). All’art. 1 di tale decisione, la Commissione respinge la domanda delle ricorrenti diretta ad ottenere che i documenti (…) della serie B vengano loro restituiti e che la Commissione confermi la distruzione di tutte le copie di tali documenti in suo possesso. (…)

(…)

18 In data 8 settembre 2003, (…) la Commissione ha trasmesso con plico riservato al presidente del Tribunale, su richiesta di questi, una copia dei documenti della serie B (…)».

III – Il procedimento dinanzi al Tribunale e la sentenza impugnata



4 I due ricorsi proposti dalle ricorrenti dinanzi al Tribunale, rispettivamente, in data 11 aprile e 4 luglio 2003 avevano ad oggetto, in primo luogo, una domanda volta, da una parte, all’annullamento della decisione della Commissione 10 febbraio 2003, C(2003) 559/4 e, per quanto necessario, della decisione della Commissione 30 gennaio 2003, C(2003) 85/4, con le quali si impone all’Akzo, all’Akcros e alle loro rispettive consociate di sottoporsi ad accertamenti ai sensi dell’art. 14, n. 3, del regolamento n. 17 (pratica COMP/E‑1/38.589), e, dall’altra, ad ordinare alla Commissione di restituire taluni documenti raccolti nell’ambito dell’accertamento in questione nonché ad impedirle l’utilizzazione del contenuto di questi (causa T‑125/03) e, in secondo luogo, una domanda volta all’annullamento della decisione della Commissione 8 maggio 2003 (causa T‑253/03).

5 Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto il ricorso di annullamento contro la decisione che dispone l’accertamento (causa T‑125/03) in quanto irricevibile nonché il ricorso di annullamento avverso la decisione di rigetto 8 maggio 2003 (causa T‑253/03) in quanto infondato.



IV – Conclusioni delle parti

6 L’Akzo e l’Akcros chiedono che la Corte voglia:

– annullare la sentenza impugnata, nella parte in cui il Tribunale ha respinto la richiesta di tutela della segretezza delle comunicazioni con il consulente legale interno dell’Akzo;

– annullare la decisione di rigetto 8 maggio 2003, nella parte in cui nega la restituzione della corrispondenza elettronica con il consulente legale interno dell’Akzo (compresa nei documenti della serie B), e

– condannare la Commissione alle spese dell’impugnazione e del ricorso dinanzi al Tribunale, nella parte in cui si riferiscono al motivo dedotto nella presente impugnazione.

7 Il Conseil des barreaux européens, interveniente in primo grado, chiede alla Corte di:

– annullare la sentenza impugnata, nella parte in cui il Tribunale nega alle comunicazioni tra l’Akzo ed il sig. S. il beneficio del principio di riservatezza, ed annullare la decisione di rigetto 8 maggio 2003 nella stessa parte o, in subordine, qualora la Corte ritenesse che la questione non sia matura per essere giudicata, rinviare la stessa al Tribunale, e

– porre a carico della Commissione le spese da essa sostenute nel corso del procedimento di impugnazione e di quello dinanzi al Tribunale, nella parte in cui riguardano le questioni dedotte nell’impugnazione.

8 L’Algemene Raad van de Nederlandse Orde van Advocaten, interveniente in primo grado, chiede alla Corte di:

– annullare la sentenza impugnata, nella parte in cui il Tribunale ha respinto il motivo dedotto dall’Akzo attinente alla mancata applicazione, ai messaggi scambiati tra il direttore generale dell’Akcros e l’avvocato dipendente dell’Akzo, del principio di diritto comunitario della tutela della segretezza delle comunicazioni tra avvocato e cliente, a causa del rapporto di impiego tra detto avvocato dipendente e l’Akzo, e

– porre le spese da essa sostenute nel corso del procedimento dinanzi al Tribunale e nella presente impugnazione a carico della Commissione.

9 L’European Company Lawyers Association, interveniente in primo grado, chiede alla Corte di:

– annullare la sentenza impugnata, nella parte in cui il Tribunale ha dichiarato che le comunicazioni scambiate tra l’Akcros ed il membro dell’ufficio legale dell’Akzo non erano coperte dalla riservatezza delle comunicazioni, e

– condannare la Commissione a rimborsare le spese da essa sostenute.

10 L’American Corporate Counsel Association (ACCA) – European Chapter, interveniente in primo grado, chiede alla Corte di:

– annullare la sentenza impugnata, nella parte in cui il Tribunale ha respinto la richiesta di tutela della segretezza della corrispondenza elettronica con il consulente legale interno dell’Akzo (parte dei documenti della serie B);

– annullare la decisione di rigetto 8 maggio 2003, nella parte in cui nega la restituzione alle ricorrenti della copia di detta corrispondenza elettronica o, in subordine, rinviare la causa al Tribunale, e

– condannare la Commissione alle spese dell’impugnazione e del ricorso dinanzi al Tribunale, nella parte in cui riguardano il motivo dedotto nella presente impugnazione.

11 L’International Bar Association, interveniente in primo grado, chiede alla Corte di:

– annullare la sentenza impugnata, nella parte in cui essa priva del beneficio della riservatezza i messaggi di posta elettronica della serie B scambiati tra l’Akzo ed il sig. S., e

– condannare la Commissione alle spese sostenute dall’International Bar Association nel procedimento di impugnazione ed in quello dinanzi al Tribunale, nella parte in cui le spese riguardano le questioni esaminate nell’ambito dell’impugnazione.

12 Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, l’Irlanda nonché il Regno dei Paesi Bassi, intervenienti nel procedimento di impugnazione, si associano alle conclusioni formulate dall’Akzo e dall’Akcros.

13 La Commissione chiede che la Corte voglia:

– respingere l’impugnazione, e

– condannare le ricorrenti alle spese.

V – Sull’impugnazione

A – Sull’oggetto dell’impugnazione

14 L’impugnazione riguarda esclusivamente una parte dei documenti della serie B, vale a dire i due messaggi di posta elettronica scambiati tra il direttore generale dell’Akcros ed il sig. S. Quest’ultimo, all’epoca in cui si sono svolti gli accertamenti nei locali delle ricorrenti nel Regno Unito, era dipendente presso il servizio giuridico dell’Akzo, società di diritto britannico, ed iscritto all’Ordine forense dei Paesi Bassi. La Commissione ha versato agli atti le copie di tali messaggi di posta elettronica.

15 La Commissione ha indicato, senza essere contraddetta sul punto dalle ricorrenti, di non essersi basata sui due messaggi di posta elettronica controversi nella propria decisione 11 novembre 2009, che ha inflitto ammende nell’ambito del procedimento che aveva dato luogo agli accertamenti compiuti nel 2003 nei locali dell’Akzo e dell’Akcros [pratica COMP/38.589 – stabilizzanti al calore; SEC(2009) 1559 e SEC(2009) 1560]. Non è stata contraddetta neppure l’affermazione della Commissione secondo cui non è avvenuto alcuno scambio di informazioni con le autorità nazionali garanti della concorrenza in ordine a tali messaggi di posta elettronica.

B – Sull’interesse ad agire delle ricorrenti

1. Argomenti delle parti



16 Anzitutto, la Commissione si chiede se l’Akzo e l’Akcros abbiano interesse ad agire. Infatti, i due messaggi di posta elettronica non soddisfarebbero il primo requisito della riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti, individuato ai punti 21 e 23 della sentenza 18 maggio 1982, causa 155/79, AM & S Europe/Commissione (Racc. pag. 1575), secondo il quale occorre che la consulenza legale sia chiesta e fornita nell’ambito dell’esercizio dei diritti della difesa. Il primo messaggio sarebbe solamente una richiesta di osservazioni circa la bozza di una lettera da inviare ad un terzo. Il secondo messaggio conterrebbe semplici modifiche di formulazione.

17 Conseguentemente, a parere della Commissione, le due comunicazioni non potrebbero comunque essere tutelate in qualità di corrispondenza legale tra avvocato e cliente.

18 Successivamente, la Commissione sostiene che le ricorrenti non affermano che i documenti controversi soddisfano il primo requisito della riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti enunciato ai punti 21 e 23 della citata sentenza AM & S Europe/Commissione.

19 Infine, la Commissione aggiunge che l’interesse ad agire dell’Akzo e dell’Akcros è venuto meno, al più tardi, alla data della sua decisione 11 novembre 2009, con cui essa ha inflitto loro ammende.

20 L’Akzo e l’Akcros ribattono che il contenuto dei due messaggi di posta elettronica non è mai stato analizzato dal Tribunale. Quest’ultimo avrebbe confermato la decisione di rigetto 8 maggio 2003, dichiarando che i documenti in questione non potevano beneficiare del principio della riservatezza, in quanto non costituivano comunicazioni con un avvocato esterno. Del resto, la suddetta decisione avrebbe escluso la tutela della riservatezza non già a causa del contenuto dei documenti in questione, ma sulla base dello status dell’avvocato interessato.

21 L’Akzo e l’Akcros ne inferiscono che la questione della conformità dei due messaggi di posta elettronica alla prima condizione richiesta per beneficiare della tutela in base al principio della riservatezza è una questione di fatto che non ha ancora trovato soluzione. Tale questione non potrebbe essere risolta nel presente giudizio, essendo quest’ultimo limitato alle questioni di diritto.



2. Giudizio della Corte

22 Al fine di rispondere all’eccezione sollevata dalla Commissione, occorre ricordare che l’interesse ad agire costituisce una condizione di ricevibilità che deve perdurare fino alla decisione del giudice nel merito (v. sentenza 17 aprile 2008, cause riunite C‑373/06 P, C‑379/06 P e C‑382/06 P, Flaherty e a./Commissione, Racc. pag. I‑2649, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).

23 La Corte ha altresì precisato che un simile interesse sussiste fintantoché l’impugnazione, con il suo esito, può procurare un beneficio alla parte che l’ha proposta (v. sentenze 3 aprile 2003, causa C‑277/01 P, Parlamento/Samper, Racc. pag. I‑3019, punto 28, e 7 giugno 2007, causa C‑362/05 P, Wunenburger/Commissione, Racc. pag. I‑4333, punto 42, nonché ordinanza 8 aprile 2008, causa C‑503/07 P, Saint‑Gobain Glass Deutschland/Commissione, Racc. pag. I‑2217, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).

24 Con riguardo alla presente impugnazione, l’affermazione della Commissione secondo cui i due messaggi di posta elettronica scambiati tra il direttore generale dell’Akcros ed il sig. S. non potrebbero certamente essere coperti dalla riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti non è idonea ad incidere sull’interesse ad agire delle ricorrenti. Infatti, una simile argomentazione, volta a dimostrare che il Tribunale ha correttamente dichiarato che i due messaggi di posta elettronica in questione non beneficiavano della tutela della riservatezza tra avvocati e clienti, non attiene alla ricevibilità, bensì alla fondatezza dell’impugnazione.

25 Quanto alla considerazione formulata dalla Commissione secondo cui l’adozione della summenzionata decisione 11 novembre 2009 avrebbe fatto venir meno l’interesse delle ricorrenti alla prosecuzione del presente procedimento, si deve rammentare che con la decisione di rigetto 8 maggio 2003, che costituisce oggetto della sentenza impugnata, la Commissione ha respinto la domanda delle ricorrenti diretta ad ottenere, fra l’altro, che i due messaggi di posta elettronica scambiati tra il direttore generale dell’Akcros ed il sig. S. venissero loro restituiti e che la Commissione confermasse la distruzione di tutte le copie di tali documenti in suo possesso. L’eventuale violazione della riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti nel corso di accertamenti non sorge solamente qualora la Commissione fondi una decisione di merito su un documento tutelato, ma sin dal momento in cui siffatto documento è prelevato da un funzionario della Commissione. Pertanto, l’interesse ad agire delle ricorrenti perdura almeno fintantoché la Commissione detiene i documenti di cui alla decisione di rigetto 8 maggio 2003 o una copia di questi ultimi.

26 Alla luce di tali considerazioni, l’Akzo e l’Akcros hanno interesse ad agire nella presente causa.



C – Nel merito

27 L’Akzo e l’Akcros deducono tre motivi a sostegno della propria impugnazione, il primo in via principale, il secondo ed il terzo in via subordinata.

28 Tutti i motivi sono diretti contro i punti 165‑180 della sentenza impugnata. Le ricorrenti affermano in sostanza che il Tribunale ha erroneamente negato ai due messaggi di posta elettronica scambiati con il sig. S. il riconoscimento della tutela della riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti.

29 Poiché l’European Company Lawyers Association, interveniente in primo grado, e l’Irlanda, interveniente dinanzi alla Corte, hanno fatto valere che, con la sentenza impugnata, il Tribunale ha violato il diritto di proprietà e la libertà professionale, si deve rilevare che né l’Akzo né l’Akcros hanno dedotto tali motivi in primo grado, per cui se ne deve dichiarare l’irricevibilità.



1. Sul primo motivo

30 L’Akzo e l’Akcros suddividono il primo motivo in due argomenti. Esse ritengono, in primo luogo, che il Tribunale abbia effettuato un’interpretazione erronea del secondo requisito del principio della riservatezza, relativo allo status professionale dell’avvocato con il quale intercorrono comunicazioni, individuato nella citata sentenza AM & S Europe/Commissione, e, in secondo luogo, che il Tribunale abbia violato il principio della parità di trattamento.

31 La Commissione sostiene che il motivo è infondato.

a) Sul primo argomento

i) Argomenti delle parti



32 L’Akzo e l’Akcros sostengono che il Tribunale, ai punti 166 e 167 della sentenza impugnata, ha erroneamente effettuato un’interpretazione «letterale e parziale» della citata sentenza AM & S Europe/Commissione, con riguardo al secondo requisito del principio della riservatezza, relativo allo status dell’avvocato. Il Tribunale avrebbe dovuto compiere un’interpretazione «teleologica» di tale requisito e concludere che le comunicazioni controverse erano tutelate dal suddetto principio.

33 L’Akzo e l’Akcros rilevano che dalla lettura combinata dei punti 21 e 24 della citata sentenza AM & S Europe/Commissione emerge che la Corte non ha equiparato l’esistenza di un rapporto di impiego alla mancanza di indipendenza dell’avvocato.

34 L’Akzo e l’Akcros, nonché un certo numero di intervenienti, sottolineano che il criterio dell’indipendenza dell’avvocato non può essere interpretato nel senso che ne siano esclusi gli avvocati interni. Infatti, un giurista d’impresa, iscritto come avvocato all’Ordine forense, sarebbe, per il solo fatto di essere soggetto ad obblighi di deontologia e disciplina professionali, indipendente quanto un avvocato esterno. Inoltre, le garanzie di indipendenza di cui gode un «advocaat in dienstbetrekking», vale a dire un avvocato che si trova in un rapporto di impiego secondo il diritto olandese, rivestirebbero una particolare importanza.

35 L’Akzo e l’Akcros osservano che la disciplina e la deontologia professionali applicabili nel caso di specie rendono il rapporto di impiego compatibile con la nozione di avvocato indipendente. Infatti, a loro giudizio, il contratto che legava il sig. S. alla società di cui era dipendente prevedeva che quest’ultima dovesse rispettare l’esercizio indipendente delle funzioni di avvocato ed astenersi da ogni atto che potesse influenzare tale ruolo. Il suddetto contratto avrebbe altresì autorizzato il sig. S. a conformarsi a tutti gli obblighi professionali imposti dall’Ordine forense olandese.

36 L’Akzo e l’Akcros aggiungono che l’avvocato dipendente al centro della presente causa è soggetto a un codice di condotta e alla vigilanza da parte dell’Ordine degli avvocati olandese. Inoltre, alcune disposizioni regolamentari istituirebbero un certo numero di garanzie supplementari dirette a risolvere in modo imparziale eventuali divergenze di opinione tra l’impresa ed il suo avvocato interno.

37 La Commissione afferma che l’applicazione, da parte del Tribunale, del principio della riservatezza era corretta. Infatti, dai punti 24‑26 della citata sentenza AM & S Europe/Commissione emerge che la qualità fondamentale necessaria perché le comunicazioni con un avvocato possano essere tutelate in base al suddetto principio è che l’avvocato non sia un dipendente del cliente.

38 Conseguentemente, secondo la Commissione, se la Corte avesse inteso applicare il principio della riservatezza anche alle comunicazioni scambiate con avvocati in rapporto di dipendenza con la persona che chiede la loro consulenza, essa non avrebbe limitato l’ambito di applicazione del secondo requisito individuato al punto 21 della citata sentenza AM & S Europe/Commissione.

39 La Commissione sottolinea che, nella citata sentenza AM & S Europe/Commissione, la Corte ha suddiviso gli avvocati in una delle due categorie seguenti, vale a dire, da un lato, gli avvocati dipendenti e subordinati e, dall’altro, gli avvocati che non sono legati da alcun contratto di lavoro. Solamente i documenti redatti dagli avvocati della seconda categoria sarebbero stati considerati tutelati in base al principio della riservatezza.



ii) Giudizio della Corte

40 Occorre ricordare che, nella citata sentenza AM & S Europe/Commissione, la Corte, in considerazione dei criteri comuni e dei requisiti simili esistenti all’epoca negli ordinamenti interni degli Stati membri, ha dichiarato, al punto 21 di tale sentenza, che la riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti doveva costituire oggetto di tutela a livello della Comunità europea. La Corte ha tuttavia precisato che il riconoscimento di tale tutela era subordinato a due requisiti cumulativi.

41 A tale riguardo, la Corte ha sottolineato che, da un lato, lo scambio con l’avvocato deve essere connesso all’esercizio del «diritto alla difesa del cliente» e, dall’altro, si deve trattare di uno scambio proveniente da «avvocati indipendenti», vale a dire «avvocati non legati al cliente da un rapporto d’impiego».

42 Quanto al secondo requisito menzionato, la Corte ha osservato, al punto 24 della citata sentenza AM & S Europe/Commissione, che l’esigenza relativa alla situazione ed alla qualifica di avvocato indipendente, che devono essere proprie del legale dal quale proviene la corrispondenza atta ad essere protetta, deriva dalla concezione della funzione dell’avvocato come collaborazione all’amministrazione della giustizia e attività intesa a fornire, in piena indipendenza e nell’interesse superiore della giustizia, l’assistenza legale di cui il cliente ha bisogno. Questa tutela ha come contropartita la disciplina professionale, imposta e controllata nell’interesse generale. La Corte ha inoltre indicato, allo stesso punto di tale sentenza, che una siffatta concezione risponde alle tradizioni giuridiche comuni degli Stati membri e si riscontra anche nell’ordinamento giuridico dell’Unione, come risulta dall’art. 19 dello Statuto della Corte di giustizia.

43 La Corte ha ribadito tali considerazioni al punto 27 della suddetta sentenza, ai termini del quale la corrispondenza che può beneficiare della tutela della riservatezza deve essere scambiata con un «avvocato indipendente, cioè non legato al cliente da un rapporto di impiego».

44 Ne consegue che il requisito di indipendenza implica l’assenza di qualsiasi rapporto di impiego tra l’avvocato ed il suo cliente, e che pertanto la tutela in base al principio della riservatezza non si estende agli scambi all’interno di un’impresa o di un gruppo con avvocati interni.

45 Infatti, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 60 e 61 delle sue conclusioni, il concetto di indipendenza dell’avvocato viene determinato non solo in positivo, mediante un riferimento alla disciplina professionale, bensì anche in negativo, vale a dire con la mancanza di un rapporto di impiego. Un avvocato interno, nonostante la sua iscrizione all’Ordine forense e i vincoli professionali che ne conseguono, non gode dello stesso grado di indipendenza dal suo datore di lavoro di cui gode, nei confronti dei suoi clienti, un avvocato che lavora in uno studio legale esterno. Pertanto, per un avvocato interno è più difficile che per un avvocato esterno risolvere eventuali conflitti tra i suoi doveri professionali e gli obiettivi del suo cliente.

46 Con riguardo alle norme professionali richiamate dalle ricorrenti per dimostrare l’indipendenza del sig. S., si deve osservare che, sebbene la disciplina olandese dell’ordinamento professionale sia idonea a rafforzare la posizione dell’avvocato che lavora all’interno di un’impresa, ciononostante essa non è in grado di garantire un’indipendenza comparabile a quella di un avvocato esterno.

47 Infatti, nonostante la disciplina professionale applicabile nel caso di specie in base alle disposizioni particolari del diritto olandese, l’avvocato interno non può, indipendentemente dalle garanzie di cui gode nell’esercizio della sua professione, essere equiparato ad un avvocato esterno a causa della situazione di lavoratore subordinato in cui si trova, situazione che, per sua stessa natura, non consente all’avvocato interno di discostarsi dalle strategie commerciali perseguite dal suo datore di lavoro e che dunque influisce sulla sua capacità di agire con indipendenza professionale.

48 Si deve aggiungere che, nell’ambito del suo contratto di lavoro, l’avvocato interno può essere chiamato a svolgere altri compiti che possono incidere sulla politica commerciale dell’impresa, come ad esempio quello, di cui al caso di specie, di coordinatore per il diritto della concorrenza. Orbene, simili funzioni non possono che rafforzare gli stretti legami dell’avvocato con il suo datore di lavoro.

49 Ne deriva che, tanto per la dipendenza economica dell’avvocato interno quanto per i suoi stretti legami con il suo datore di lavoro, l’avvocato interno non gode di un’indipendenza professionale paragonabile a quella di un avvocato esterno.

50 Il Tribunale non quindi ha commesso alcun errore di diritto nell’applicare il secondo requisito del principio della riservatezza enunciato nella citata sentenza AM & S Europe/Commissione.

51 Conseguentemente, il primo argomento dedotto dall’Akzo e dall’Akcros nell’ambito del primo motivo non può essere accolto.

b) Sul secondo argomento

i) Argomenti delle parti



52 L’Akzo e l’Akcros deducono che, al punto 174 della sentenza impugnata, il Tribunale ha erroneamente respinto la censura attinente alla violazione del principio della parità di trattamento, conseguente al rifiuto di tutelare le comunicazioni scambiate con un avvocato interno in base al principio della riservatezza. Infatti, l’indipendenza garantita dalle norme di disciplina e di deontologia professionali applicabili nel caso di specie dovrebbe essere il criterio di riferimento nella determinazione della portata del suddetto principio. Secondo tale criterio, la situazione degli avvocati interni iscritti presso un Ordine forense o un’associazione di avvocati non differisce da quella degli avvocati esterni.

53 La Commissione ritiene corretta la conclusione del Tribunale, contenuta nel suddetto punto della sentenza impugnata, secondo cui gli avvocati interni e quelli esterni si trovano manifestamente in situazioni diverse, non paragonabili, a causa in particolare dell’integrazione personale, funzionale, strutturale e gerarchica dei primi all’interno delle società presso cui lavorano.



ii) Giudizio della Corte

54 Occorre rammentare che il principio della parità di trattamento costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, sancito dagli artt. 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

55 Secondo costante giurisprudenza, tale principio impone che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (v. sentenze 10 gennaio 2006, causa C‑344/04, IATA ed ELFAA, Racc. pag. I‑403, punto 95; 3 maggio 2007, causa C‑303/05, Advocaten voor de Wereld, Racc. pag. I‑3633, punto 56, nonché 16 dicembre 2008, causa C‑127/07, Arcelor Atlantique et Lorraine e a., Racc. pag. I‑9895, punto 23).

56 Quanto agli aspetti essenziali delle due categorie di avvocati, vale a dire il loro rispettivo status professionale, dai punti 45‑49 della presente sentenza emerge che un avvocato in posizione di lavoratore subordinato, nonostante la sua iscrizione all’Ordine forense e i vincoli professionali che ne conseguono, non gode dello stesso grado di indipendenza dal suo datore di lavoro di cui gode, nei confronti dei suoi clienti, un avvocato che lavora in uno studio legale esterno.

57 Come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 83 delle sue conclusioni, detta differenza non diventa irrilevante per il semplice fatto che il legislatore nazionale – nella specie, quello olandese – cerchi di parificare gli avvocati esterni e gli avvocati interni. Una tale parificazione, infatti, riguarda esclusivamente l’atto formale di ammissione di un giurista d’impresa all’esercizio della professione di avvocato, nonché i vincoli deontologici che gli derivano da tale iscrizione all’Ordine forense. Siffatto inquadramento normativo esteriore non influisce, invece, sulla dipendenza economica e sull’identificazione personale con la sua impresa dell’avvocato che si trova in rapporto di impiego.

58 Da tali considerazioni consegue che l’avvocato interno si trova in una situazione sostanzialmente diversa da quella di un avvocato esterno e che pertanto le loro situazioni non sono analoghe ai sensi della giurisprudenza richiamata al punto 55 della presente sentenza.

59 Il Tribunale ha dunque correttamente dichiarato l’insussistenza di qualunque violazione del principio della parità di trattamento.

60 Di conseguenza, neppure il secondo argomento dedotto nell’ambito del primo motivo può essere condiviso.

61 Pertanto, il suddetto motivo deve essere integralmente respinto.



2. Sul secondo motivo

62 Nel caso in cui la Corte ritenga che il Tribunale abbia correttamente interpretato la citata sentenza AM & S Europe/Commissione e che con tale sentenza, pronunciata nel 1982, la Corte abbia voluto escludere dalla tutela in base al principio della riservatezza le comunicazioni con gli avvocati vincolati da un rapporto di impiego, l’Akzo e l’Akcros formulano, in via subordinata, un secondo motivo, che si articola in due argomenti, ciascuno dei quali è diviso in due parti.

63 Nell’ambito del loro primo argomento, le ricorrenti, sostenute da un certo numero di intervenienti, si basano sull’evoluzione dei sistemi giuridici nazionali, da un lato, e dell’ordinamento giuridico dell’Unione, dall’altro. Per quanto riguarda il loro secondo argomento, l’Akzo e l’Akcros si fondano sui diritti della difesa, da un lato, e sul principio della certezza del diritto, dall’altro.

64 La Commissione afferma che nessuno degli argomenti dedotti potrebbe rendere il motivo fondato.

a) Sulla prima parte del primo argomento (evoluzione dei sistemi giuridici nazionali)

i) Argomenti delle parti



65 L’Akzo e l’Akcros affermano che, alla luce di importanti sviluppi «nel contesto giuridico» dal 1982, il Tribunale avrebbe dovuto procedere ad una «reinterpretazione» della citata sentenza AM & S Europe/Commissione, con riguardo alla riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti.

66 L’Akzo e l’Akcros ritengono che, ai punti 170 e 171 della sentenza impugnata, il Tribunale si sia erroneamente rifiutato di estendere l’ambito di applicazione ratione personae del principio della riservatezza, con la motivazione che gli ordinamenti nazionali non riconoscono unanimemente e chiaramente la tutela della riservatezza delle comunicazioni con i giuristi d’impresa. Benché non esista una tendenza uniforme a livello nazionale, il diritto dell’Unione potrebbe individuare alcuni criteri giuridici per la tutela dei diritti della difesa, di rango superiore a quelli stabiliti in taluni ordinamenti giuridici nazionali.

67 La Commissione osserva che, con la proposizione di tale motivo, le ricorrenti chiedono in sostanza alla Corte di modificare la giurisprudenza risultante dalla citata sentenza AM & S Europe/Commissione.

68 La Commissione indica che le ricorrenti non contestano la conclusione del Tribunale secondo cui non esiste una tendenza maggioritaria, tra gli ordinamenti degli Stati membri, nel senso di tutelare in base al principio della riservatezza le comunicazioni con gli avvocati interni.



ii) Giudizio della Corte

69 Occorre ricordare che la Corte ha sottolineato, nel proprio iter argomentativo nella citata sentenza AM & S Europe/Commissione, relativo al principio della tutela della riservatezza nei procedimenti di accertamento in materia di diritto della concorrenza, che tale settore del diritto dell’Unione deve tener conto dei principi e dei concetti comuni ai diritti degli Stati membri per quanto riguarda il rispetto della riservatezza nei confronti, tra l’altro, di talune comunicazioni tra gli avvocati ed i loro clienti (v. punto 18 di tale sentenza). A tal fine, la Corte ha messo a confronto vari ordinamenti nazionali.

70 La Corte ha osservato, ai punti 19 e 20 della citata sentenza AM & S Europe/Commissione, che, sebbene la tutela della corrispondenza tra gli avvocati ed i loro clienti fosse generalmente riconosciuta, la sua portata ed i criteri per la sua applicazione erano variabili a seconda delle differenti normative nazionali. La Corte ha tuttavia riconosciuto, sulla base di tale confronto, che la riservatezza delle comunicazioni tra gli avvocati ed i loro clienti doveva essere tutelata in base al diritto dell’Unione, purché fossero soddisfatti i due requisiti individuati al punto 21 di tale sentenza.

71 Quanto al Tribunale, esso ha rilevato, al punto 170 della sentenza impugnata, che, se è vero che il riconoscimento specifico del ruolo del giurista d’impresa e la tutela delle comunicazioni con quest’ultimo in base alla riservatezza erano relativamente più diffuse nel 2004 che al momento della pronuncia della citata sentenza AM & S, Europe/Commissione, non era tuttavia possibile identificare al riguardo tendenze uniformi o chiaramente maggioritarie negli ordinamenti degli Stati membri.

72 Inoltre, dal punto 171 della sentenza impugnata emerge che, secondo l’esame di diritto comparato effettuato dal Tribunale, esiste sempre un numero considerevole di Stati membri che esclude i giuristi d’impresa dalla tutela della riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti. Inoltre, un considerevole numero di Stati membri non permette ai giuristi d’impresa di iscriversi all’Ordine forense e, pertanto, non attribuisce loro lo status d’avvocato.

73 A tale riguardo, l’Akzo e l’Akcros hanno esse stesse ammesso che negli ordinamenti degli Stati membri non può rilevarsi alcuna tendenza generale alla parificazione degli avvocati interni agli avvocati liberi professionisti.

74 Conseguentemente, con riferimento agli ordinamenti giuridici dei 27 Stati membri dell’Unione europea, non si può individuare alcuna tendenza preponderante favorevole alla tutela della riservatezza delle comunicazioni con avvocati interni nell’ambito di un’impresa o di un gruppo.

75 Date tali premesse, e contrariamente a quanto mirano a dimostrare le ricorrenti, il regime giuridico esistente nei Paesi Bassi non può essere considerato rivelatore di una tendenza che si andrebbe affermando tra gli Stati membri, né un elemento rilevante per determinare la portata del principio della riservatezza.

76 La Corte ritiene inoltre che la situazione giuridica all’interno degli Stati membri dell’Unione non si sia evoluta nel corso degli anni trascorsi dalla pronuncia della citata sentenza AM & S Europe/Commissione in misura tale da giustificare l’ipotesi di uno sviluppo della giurisprudenza nel senso del riconoscimento, agli avvocati interni, del beneficio della tutela della riservatezza.

77 La prima parte del primo argomento deve quindi essere respinta.

b) Sulla seconda parte del primo argomento (evoluzione dell’ordinamento giuridico dell’Unione)

i) Argomenti delle parti



78 L’Akzo e l’Akcros sostengono che il Tribunale, ai punti 172 e 173 della sentenza impugnata, non ha tenuto conto dell’influenza dell’evoluzione del diritto dell’Unione, derivante in particolare dall’entrata in vigore del regolamento (CE) del Consiglio 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato (GU 2003, L 1, pag. 1).

79 Infatti, a giudizio dell’Akzo e dell’Akcros, la «modernizzazione» delle norme procedurali in materia di intese avrebbe accresciuto la necessità di consulenti legali interni all’impresa, la cui importanza al fine di evitare violazioni del diritto della concorrenza non dovrebbe essere trascurata, dato che gli avvocati d’impresa potrebbero avvalersi dell’intima conoscenza delle imprese e delle loro attività.

80 L’Akzo e l’Akcros aggiungono che l’attuazione dei “compliance programs”, auspicabile per la corretta applicazione del diritto della concorrenza dell’Unione, presuppone che gli scambi nell’ambito di un’impresa o di un gruppo con gli avvocati interni possano avvenire in un clima di fiducia.

81 La Commissione ritiene che le valutazioni espresse dal Tribunale nella sentenza impugnata relative alla censura dedotta dall’Akzo e dall’Akcros non siano viziate da alcun errore di diritto.

82 La Commissione sottolinea che le disposizioni del regolamento n. 1/2003 non hanno alcuna incidenza sulla portata della tutela della riservatezza tra avvocati e clienti.

ii) Giudizio della Corte



83 Occorre osservare che, sebbene il regolamento n. 1/2003 abbia introdotto un elevato numero di modifiche alle norme procedurali relative al diritto della concorrenza, è altresì pacifico che tali norme non contengono alcun elemento che induca ad affermare che esse impongono una parificazione tra avvocati liberi professionisti ed avvocati dipendenti con riguardo alla tutela della riservatezza delle comunicazioni, dato che tale principio non risulta mai contemplato nel suddetto regolamento.

84 Infatti, dall’art. 20 del regolamento n. 1/2003 emerge che la Commissione può procedere a tutti gli accertamenti necessari presso le imprese e, in tale contesto, controllare i libri e qualsiasi altro documento connesso all’azienda, su qualsiasi forma di supporto, nonché fare o ottenere sotto qualsiasi forma copie o estratti dei suddetti libri o documenti.

85 Tale regolamento, sulla scia dell’art. 14, n. 1, lett. a) e b), del regolamento n. 17, ha quindi definito i poteri della Commissione in modo ampio. Come emerge dai ‘considerando’ venticinquesimo e ventiseiesimo del regolamento n. 1/2003, poiché diventa sempre più difficile individuare le infrazioni alle regole di concorrenza, è necessario tutelare quest’ultima efficacemente e, per salvaguardare l’efficacia degli accertamenti, la Commissione deve poter accedere a tutti i locali in cui possono trovarsi documenti aziendali, comprese le abitazioni private.

86 Quindi, il regolamento n. 1/2003, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, non mira ad imporre una parificazione degli avvocati interni agli avvocati esterni per quanto riguarda la tutela della riservatezza delle comunicazioni con i loro clienti, ma mira a rafforzare l’ampiezza dei poteri di accertamento della Commissione, in particolare con riguardo ai documenti che possono essere oggetto di simili misure.

87 Conseguentemente, neppure la modifica delle norme procedurali in materia di diritto della concorrenza, derivante in particolare dal regolamento n. 1/2003, può giustificare un capovolgimento della giurisprudenza risultante dalla citata sentenza AM & S Europe/Commissione.

88 Anche la seconda parte del primo argomento deve dunque essere respinta.

89 Ne consegue che il primo argomento dedotto nell’ambito del secondo motivo deve essere integralmente respinto.

c) Sulla prima parte del secondo argomento (diritti della difesa)

i) Argomenti delle parti



90 L’Akzo e l’Akcros fanno valere che l’interpretazione operata dal Tribunale, al punto 176 della sentenza impugnata, in ordine alla portata della tutela delle comunicazioni tra avvocati e clienti, diminuisce il livello della tutela dei diritti della difesa delle imprese. Infatti, il ricorso alla consulenza giuridica di un avvocato interno non presenterebbe lo stesso interesse e non potrebbe avere la massima efficacia se le comunicazioni all’interno di un’impresa o di un gruppo con un simile avvocato non fossero coperte dalla tutela della riservatezza delle comunicazioni.

91 La Commissione ritiene che, al contrario di quanto affermano le ricorrenti, i diritti della difesa non siano affatto pregiudicati dall’interpretazione operata dal Tribunale in ordine alla portata del principio della riservatezza.



ii) Giudizio della Corte

92 Occorre ricordare che il rispetto dei diritti della difesa in qualsiasi procedimento che possa concludersi con l’irrogazione di sanzioni, in particolare ammende o penalità di mora, costituisce un principio fondamentale del diritto comunitario, che è stato sottolineato a più riprese dalla giurisprudenza della Corte (v. sentenze 2 ottobre 2003, causa C‑194/99 P, Thyssen Stahl/Commissione, Racc. pag. I‑10821, punto 30; 29 giugno 2006, causa C‑289/04 P, Showa Denko/Commissione, Racc. pag. I‑5859, punto 68, e 8 febbraio 2007, causa C‑3/06 P, Groupe Danone/Commissione, Racc. pag. I‑1331, punto 68), e che è stato sancito dall’art. 48, n. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.

93 Con la censura formulata, le ricorrenti intendono dimostrare che i diritti della difesa devono includere la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare sulla base della libera scelta di un consulente legale e che la tutela della riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti fa parte di tali diritti, indipendentemente dallo status professionale dell’avvocato interessato.

94 A tale riguardo, si deve osservare che, quando un’impresa si rivolge al suo avvocato interno, essa tratta non con un terzo indipendente, ma con una persona che fa parte dei suoi dipendenti nonostante gli eventuali doveri professionali derivanti dall’iscrizione all’Ordine forense.

95 Occorre aggiungere che, anche supponendo che la consultazione di avvocati interni, dipendenti dell’impresa o del gruppo, debba rientrare nel diritto di farsi consigliare, difendere e rappresentare, questo non esclude l’applicazione, in caso di intervento di avvocati interni, di determinate restrizioni e modalità relative all’esercizio della professione, senza che ciò debba considerarsi un pregiudizio ai diritti della difesa. Così, non sempre i giuristi d’impresa possono rappresentare il loro datore di lavoro dinanzi a tutti i giudici nazionali, mentre simili norme restringono le possibilità a disposizione dei potenziali clienti nella scelta del consulente legale più adeguato.

96 Da tali considerazioni deriva che ogni soggetto che intende avvalersi della consulenza di un avvocato deve accettare siffatte restrizioni e condizioni associate all’esercizio di tale professione. In dette restrizioni e condizioni rientrano le modalità della tutela della riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti.

97 La censura attinente a una violazione dei diritti della difesa non è dunque fondata.

d) Sulla seconda parte del secondo argomento (principio della certezza del diritto)

i) Argomenti delle parti



98 L’Akzo e l’Akcros ritengono che le valutazioni del Tribunale comportino inoltre una violazione del principio della certezza del diritto, dato che l’art. 101 TFUE è spesso applicato parallelamente alle corrispondenti disposizioni di diritto interno. La tutela delle comunicazioni con gli avvocati interni non potrebbe dunque dipendere dalla circostanza che ad un accertamento proceda la Commissione o un’autorità nazionale garante della concorrenza.

99 La Commissione sottolinea che, al contrario, se il principio della riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti, applicabile agli accertamenti da essa condotti, non fosse più definito a livello dell’Unione, ma nell’ambito del diritto nazionale, ne deriverebbero situazioni complesse ed incerte per tutti gli interessati, con conseguente nocumento al principio della certezza del diritto invocato dall’Akzo e dall’Akcros.

ii) Giudizio della Corte



100 Occorre ricordare che la certezza del diritto rappresenta un principio generale del diritto dell’Unione il quale esige, in particolare, che una normativa che comporta conseguenze svantaggiose per i privati sia chiara e precisa e che la sua applicazione sia prevedibile per gli amministrati (v. sentenze 14 aprile 2005, causa C‑110/03, Belgio/Commissione, Racc. pag. I‑2801, punto 30; 7 giugno 2007, causa C‑76/06 P, Britannia Alloys & Chemicals/Commissione, Racc. pag. I‑4405, punto 79, e 14 gennaio 2010, causa C‑226/08, Stadt Papenburg, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 45).

101 Per rispondere alla censura attinente al summenzionato principio, si deve osservare che l’interpretazione effettuata dal Tribunale nella sentenza impugnata, secondo la quale gli scambi all’interno di un’impresa o di un gruppo con avvocati interni non beneficiano della riservatezza delle comunicazioni nell’ambito di un accertamento compiuto dalla Commissione, non determina alcuna incertezza giuridica quanto alla portata della suddetta tutela.

102 Infatti, i poteri di cui dispone la Commissione in base al regolamento n. 17 ed al regolamento n. 1/2003 si distinguono dal novero delle indagini che possono essere condotte a livello nazionale. I due tipi di procedimento si fondano infatti su una ripartizione delle competenze tra le differenti autorità garanti della concorrenza. Le norme relative alla tutela della riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti possono pertanto variare in funzione di tale ripartizione delle competenze e della disciplina ad esse relativa.

103 La Corte ha dichiarato, a tale proposito, che il diritto dell’Unione e il diritto nazionale in materia di concorrenza prendono in considerazione le pratiche restrittive sotto aspetti diversi. Mentre gli artt. 101 TFUE e 102 TFUE le contemplano sotto il profilo degli ostacoli che ne possono risultare per il commercio tra gli Stati membri, le leggi nazionali, ispirandosi a considerazioni proprie di ciascuna di esse, considerano le pratiche restrittive in questo solo ambito (v., in tal senso, sentenza 16 luglio 1992, causa C‑67/91, Asociación Española de Banca Privada e a., Racc. pag. I‑4785, punto 11).

104 Conseguentemente, le imprese i cui locali sono oggetto di perquisizione, nell’ambito di un’indagine in materia di concorrenza, sono in grado di determinare i propri diritti ed i propri obblighi nei confronti delle autorità competenti e del diritto applicabile, come, ad esempio, il trattamento dei documenti che possono essere raccolti nel corso di una simile indagine e la possibilità per le imprese in questione di invocare o meno la tutela della riservatezza delle comunicazioni con gli avvocati interni. Le imprese possono quindi orientarsi utilmente in funzione delle competenze delle suddette autorità e dei loro poteri concreti in materia di raccolta di documenti.

105 Il principio della certezza del diritto non impone dunque il ricorso, per i due tipi di procedimento di cui sopra, a criteri identici per quanto riguarda la riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti.

106 Di conseguenza, il fatto che, nell’ambito di un accertamento condotto dalla Commissione, la tutela delle comunicazioni sia limitata agli scambi con avvocati esterni non determina alcuna lesione del principio fatto valere dall’Akzo e dall’Akcros.

107 La censura attinente al principio della certezza del diritto non è pertanto fondata.

108 Ne consegue che il secondo motivo deve essere integralmente respinto.

3. Sul terzo motivo

a) Argomenti delle parti



109 In ulteriore subordine, l’Akzo e l’Akcros deducono che le valutazioni del Tribunale, complessivamente considerate, violano il principio dell’autonomia procedurale nazionale ed il principio delle competenze di attribuzione.

110 L’Akzo e l’Akcros precisano che l’art. 22, n. 2, del regolamento n. 1/2003 esprime il principio dell’autonomia nazionale in materia procedurale nel settore considerato. Il legislatore dell’Unione avrebbe espressamente specificato che, anche nel caso di ispezioni effettuate su domanda della Commissione per accertare una violazione delle disposizioni dell’art. 101 TFUE o dell’art. 102 TFUE, gli agenti dell’autorità nazionale garante della concorrenza esercitano i loro poteri conformemente alla loro normativa nazionale. Il legislatore non avrebbe dunque fornito una definizione armonizzata del principio della riservatezza delle comunicazioni tra avvocato e cliente, il che significherebbe che gli Stati membri restano competenti a determinare tale aspetto specifico della tutela dei diritti della difesa.

111 La Commissione sostiene che la sentenza impugnata non contiene alcuna violazione dei principi indicati nel terzo motivo. Infatti, il principio dell’autonomia procedurale nazionale disciplinerebbe le situazioni in cui i giudici e le amministrazioni degli Stati membri sono chiamati ad attuare il diritto dell’Unione, ma non sarebbe applicabile quando si tratta di determinare i limiti legali all’azione delle istituzioni stesse.

112 La Commissione ne trae la conclusione che la definizione di un ambito di applicazione uniforme della riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti in tutta l’Unione per i procedimenti diretti all’accertamento di una violazione degli artt. 101 TFUE e 102 TFUE costituisce una corretta applicazione della citata sentenza AM & S Europe/Commissione da parte del Tribunale. Di conseguenza, non risulterebbe violato neppure il principio delle competenze di attribuzione.

b) Giudizio della Corte



113 Occorre ricordare che, conformemente al principio dell’autonomia procedurale nazionale, in mancanza di una disciplina dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe, Racc. pag. 1989, punto 5; 19 giugno 1990, causa C‑213/89, Factortame e a., Racc. pag. I‑2433, punto 19; 14 dicembre 1995, causa C‑312/93, Peterbroeck, Racc. pag. I‑4599, punto 12, nonché 11 settembre 2003, causa C‑13/01, Safalero, Racc. pag. I‑8679, punto 49).

114 Tuttavia, nella presente causa, la Corte è chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di una decisione presa da un’istituzione dell’Unione sulla base di una normativa adottata a livello dell’Unione, che, d’altronde, non contiene alcun rinvio al diritto nazionale.

115 Infatti, l’interpretazione e l’applicazione uniformi del principio della riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti a livello dell’Unione sono indispensabili affinché gli accertamenti effettuati dalla Commissione nell’ambito di procedimenti in materia di intese possano svolgersi in condizioni di parità di trattamento per le imprese interessate. Se così non fosse, il ricorso a norme o a nozioni giuridiche di diritto nazionale e tratte dalla normativa di uno Stato membro avrebbe l’effetto di pregiudicare l’unità del diritto dell’Unione. Siffatte interpretazione ed applicazione uniformi di tale ordinamento giuridico non possono dipendere dal luogo dell’accertamento e da eventuali peculiarità normative nazionali.

116 Per quanto riguarda il principio delle competenze di attribuzione, occorre sottolineare che le norme procedurali in materia di concorrenza, specificate all’art. 14 del regolamento n. 17 ed all’art. 20 del regolamento n. 1/2003, fanno parte delle disposizioni necessarie al funzionamento del mercato interno, la cui adozione è attribuita alla competenza esclusiva dell’Unione ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. b), TFUE.

117 Conformemente alle disposizioni dell’art. 103 TFUE, spetta all’Unione stabilire i regolamenti o le direttive utili ai fini dell’applicazione dei principi contemplati dagli artt. 101 TFUE e 102 TFUE relativi alle regole di concorrenza applicabili alle imprese. Tale competenza è diretta, fra l’altro, a garantire il rispetto dei divieti previsti dai suddetti articoli mediante l’istituzione di ammende e di penalità di mora, nonché a definire il ruolo della Commissione nell’applicazione di tali disposizioni.

118 In tale contesto, l’art. 105 TFUE prevede che la Commissione vigili sull’applicazione dei principi fissati dagli artt. 101 TFUE e 102 TFUE e che essa istruisca i casi di presunta infrazione.

119 Come indicato dall’avvocato generale al paragrafo 172 delle sue conclusioni, in occasione degli accertamenti effettuati dalla Commissione in veste di autorità europea in materia di concorrenza, il diritto nazionale entra in gioco solo qualora le autorità degli Stati membri le prestino assistenza, in particolare qualora si tratti di vincere la resistenza delle imprese sottoposte ad accertamento mediante l’impiego della coazione diretta, conformemente all’art. 14, n. 6, del regolamento n. 17 ed all’art. 20, n. 6, del regolamento n. 1/2003. Per contro, si applica esclusivamente il diritto dell’Unione per determinare quali siano gli atti e i documenti che la Commissione è autorizzata a esaminare e a copiare in occasione delle sue ispezioni in materia di intese.

120 Conseguentemente, né il principio dell’autonomia procedurale nazionale né il principio delle competenze di attribuzione possono essere fatti valere nei confronti dei poteri di cui la Commissione dispone nel settore considerato.

121 Neppure il terzo motivo può pertanto essere accolto.

122 Dall’insieme delle considerazioni che precedono deriva che l’impugnazione è infondata.

VI – Sulle spese

123 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’art. 118 del medesimo regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, l’Akzo e l’Akcros, rimaste soccombenti, vanno condannate alle spese. Avendo proposto l’impugnazione congiuntamente, esse dovranno sopportare tali spese in solido.

124 Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, l’Irlanda e il Regno dei Paesi Bassi, in qualità di intervenienti nel procedimento dinanzi alla Corte, sopportano ciascuno le proprie spese, conformemente all’art. 69, n. 4, primo comma, del regolamento di procedura.

125 Le altre parti del procedimento, che hanno sostenuto l’impugnazione e che sono rimaste soccombenti nelle proprie conclusioni, sono tenute a sopportare le proprie spese in applicazione, per analogia, dell’art. 69, n. 4, del regolamento di procedura.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:



1) L’impugnazione è respinta.

2) Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, l’Irlanda e il Regno dei Paesi Bassi sopportano ciascuno le proprie spese.

3) Il Conseil des barreaux européens, l’Algemene Raad van de Nederlandse Orde van Advocaten, l’European Company Lawyers Association, l’American Corporate Counsel Association (ACCA) – European Chapter e l’International Bar Association sopportano ciascuno le proprie spese.

4) Per il resto, l’Akzo Nobel Chemicals Ltd. e l’Akcros Chemicals Ltd. sono condannate in solido alle spese.

Redazione

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