“La partecipazione ad una procedura di gara non può valere come accettazione tacita di condizioni di pagamento difformi da quelle predeterminate ex lege”.
Lo ha stabilito l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, con determinazione numero 4 del 2010, con cui ha altresì ribadito che:
“Le stazioni appaltanti devono attenersi nella redazione dei documenti di gara, nonchè dei documenti contrattuali, alle disposizioni previste dal decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231 con riguardo ai termini di pagamento, alla decorrenza degli interessi moratori ed al saggio di interessi applicabile in caso di ritardo.
Le stazioni appaltanti non possono subordinare la partecipazione alle procedure di gara o la sottoscrizione del contratto all’accettazione di termini di pagamento, di decorrenza degli interessi moratori e misura degli interessi di mora difformi da quelli previsti dal decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, nè prevedere tale accettazione come elemento di favorevole valutazione delle offerte tecniche nell’ambito del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa”.
Di seguito, il testo integrale della determinazione.
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Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture
Determinazione 7 luglio 2010 n. 4
Disciplina dei pagamenti nei contratti pubblici di forniture e servizi
(G.U. n. 174 del 28 luglio 2010 )
Premessa.
L’Autorità ha ricevuto diverse segnalazioni riguardanti l’applicazione della normativa sui ritardati pagamenti di cui al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231 (decreto 231) ai contratti pubblici di forniture e servizi.
Data la particolare rilevanza della tematica, l’Autorità ha disposto un’indagine conoscitiva, mediante audizione di alcune associazioni di categoria, al fine di valutare l’ampiezza del fenomeno ed i suoi riflessi sull’economicità dell’azione amministrativa e sull’operatività dei prestatori di servizi e forniture.
Dall’analisi dei dati acquisiti in riferimento all’anno 2009, è emerso che i tempi di pagamento oscillano in un range che va da un minimo di 92 giorni ad un massimo di 664 giorni. Il ritardo è, per lo più, imputato ai tempi di emissione dei certificati di regolare esecuzione (46,3%) e dei mandati di pagamento (29,6%) da parte delle stazioni appaltanti e, più in generale, a lentezze che derivano da vischiosità burocratiche interne alla pubblica amministrazione (32,5%). Sono state, inoltre, rilevate sensibili differenze sul piano territoriale: i ritardi che superano i due mesi sono segnalati dal 36,4% delle imprese del Nord-Est, percentuale che sale al 61,5% nel Nord Ovest e al 63,3% nel Mezzogiorno. La presunta esposizione debitoria della pubblica amministrazione, calcolata sulla base della stima effettuata dalle associazioni audite, ammonterebbe a circa 37 miliardi di euro (pari al 2,5 per cento del PIL), dei quali una parte consistente deriverebbe dalla gestione del sistema sanitario e dalla raccolta dei rifiuti solidi urbani. La problematica è particolarmente avvertita, soprattutto nell’attuale congiuntura economica di difficile accesso al credito bancario, dalle piccole e medie imprese che risentono in maniera grave della mancanza di liquidità.
Con specifico riguardo all’applicazione della normativa citata, sulla base degli approfondimenti svolti, sono state rilevate prassi delle amministrazioni consistenti nella individuazione unilaterale di termini di pagamento superiori a quelli previsti dal decreto 231 e nell’inclusione dei termini di pagamento in deroga tra gli elementi di valutazione delle offerte. Alcuni capitolati speciali d’appalto prevedono, altresì, la riduzione del tasso di interesse di mora previsto dal decreto.
L’assunzione del rischio connesso alla dilazione dei pagamenti genera problematiche connesse sia all’uso efficiente delle risorse pubbliche sia alla «sostenibilità» della partecipazione alle gare da parte dei soggetti privati. Sotto il primo profilo, si osserva che i privati appaltatori tendono ad includere l’onere finanziario che si presume di dover sostenere per i ritardi nei pagamenti nell’ambito del prezzo proposto alla stazione appaltante; quest’ultima si troverà, inoltre, nella condizione di dover corrispondere gli interessi di mora con conseguente aumento delle risorse inizialmente stimate per l’appalto. Sotto il secondo profilo, la necessità di sopportare i costi occulti legati alla mancata regolarità nei pagamenti distorce il confronto concorrenziale, disincentivando la partecipazione di operatori economici, ancorchè qualitativamente competitivi. Si consideri che il fenomeno produce effetti esponenziali sul sistema economico delle imprese, dal momento che il ritardo nei pagamenti incide non solo direttamente sugli operatori economici aggiudicatari, ma, indirettamente, produce effetti a cascata sull’indotto, ossia sull’insieme delle imprese che svolgono attività a valle (sotto forma di subappaltatori, subfornitori ecc).
Data la rilevanza economica del fenomeno, l’Autorità ha deliberato di adottare la presente determinazione al fine di fornire alle stazioni appaltanti ed agli operatori economici indicazioni interpretative sulla normativa applicabile e suggerimenti operativi per la redazione dei bandi di gara e la stipula dei contratti.
1. La normativa applicabile.
Il decreto 231 ha dato attuazione all’art. 26 della legge comunitaria 1° marzo 2002 n. 39, che delegava il Governo ad attuare la direttiva dell’Unione europea 2000/35/CE, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
La disciplina, nell’intento di arginare il fenomeno dei ritardati pagamenti, prevede in sintesi:
a) la decorrenza automatica degli interessi moratori dal giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento, che è fissato, in assenza di diverso accordo, in trenta giorni decorrenti dagli eventi previsti dall’art. 4, commi 2 e 3, senza-bisogno di un atto scritto di messa in mora (art. 4);
b) la determinazione legale degli interessi moratori in misura pari al saggio di interesse del principale strumento di rifinanziamento della BCE, applicato alla sua più recente operazione di rifinanziamento principale, effettuata il primo giorno di calendario del semestre in questione maggiorato di sette punti percentuali, salvo patto contrario (art. 5);
c) il risarcimento dei costi sostenuti per il recupero delle somme non tempestivamente corrisposte, salva la prova del maggior danno (art. 6);
d) la nullità di un accordo sulla data del pagamento o sulle conseguenze del ritardato pagamento che risulti gravemente iniquo per il creditore (art. 7);
e) il potere del giudice di dichiarare d’ufficio la nullità dell’accordo e di modificare il contenuto del contratto applicando i termini legali o riconducendolo ad equità, avendo riguardo all’interesse del creditore, alla corretta prassi commerciale ed alle circostanze previste (art. 7);
f) la legittimazione processuale delle associazioni di categoria degli imprenditori presenti nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) al fine di far accertare la grave iniquità delle condizioni generali concernenti il pagamento (art. 8).
Più in particolare, la facoltà di deroga è disciplinata dall’art. 4, comma 4, laddove si stabilisce che «le parti, nella propria libertà contrattuale, possono stabilire un termine superiore rispetto a quello legale di cui al comma 3 a condizione che le diverse pattuizioni siano stabilite per iscritto e rispettino i limiti concordati nell’ambito di accordi sottoscritti, presso il Ministero delle attività produttive, dalle organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale della produzione, della trasformazione e della distribuzione per categorie di prodotti deteriorabili specifici».
L’art. 7 disciplina la nullità dell’accordo sulla data del pagamento o sulle conseguenze del ritardato pagamento, sancendo che tale accordo è nullo «se, avuto riguardo alla corretta prassi commerciale, alla natura della merce o dei servizi oggetto del contratto, alla condizione dei contraenti ed ai rapporti commerciali tra i medesimi, nonchè ad ogni altra circostanza, risulti gravemente iniquo in danno del creditore». Il comma 2 dell’art. 7 contempla alcune ipotesi legali di grave iniquità, per cui «si considera, in particolare, gravemente iniquo l’accordo che, senza essere giustificato da ragioni oggettive, abbia come obiettivo principale quello di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore, ovvero l’accordo con il quale l’appaltatore o il subfornitore principale imponga ai propri fornitori o subfornitori termini di pagamento ingiustificatamente più lunghi rispetto ai termini di pagamento ad esso concessi».
Le norme illustrate riguardano i contratti tra imprese e i contratti tra imprese e pubblica amministrazione, intendendosi per tale «le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti pubblici territoriali e le loro unioni, gli enti pubblici non economici, ogni altro organismo dotato di personalità giuridica, istituito per soddisfare specifiche finalità d’interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale, la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dalle regioni, dagli enti locali, da altri enti pubblici o organismi di diritto pubblico, o la cui gestione è sottoposta al loro controllo o i cui organi d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sono costituiti, almeno per la metà, da componenti designati dai medesimi soggetti pubblici» (art. 2). Sul piano oggettivo, la normativa concerne «ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale», con esclusione dei debiti oggetto di procedure concorsuali a carico del debitore, delle richieste di interessi inferiori a cinque euro, dei pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno, ivi compresi i pagamenti effettuati a tale titolo da un assicuratore (art. 1).
Ai fini dell’applicazione degli interessi moratori, il ritardo ex art. 1218 del codice civile deve essere imputabile alla stazione appaltante. Da ciò consegue che sono improduttivi di interessi i ritardi imputabili ad eventi non dipendenti dalla stazione appaltante quali, a titolo esemplificativo, l’ipotesi di causa di forza maggiore ovvero cause riconducibili a fatto dello stesso appaltatore. Corollario indefettibile della necessaria imputabilità del ritardo alla stazione appaltante è, inoltre, che l’onere di fornire la prova della non imputabilità della causa del ritardo grava sulla stessa pubblica amministrazione. Occorre rilevare, altresì, che l’art. 6 del decreto 231 ribadisce il diritto al risarcimento dell’eventuale maggior danno ex art. 1224, comma 2, del codice civile.
La problematica in esame è stata oggetto di ripetuti interventi legislativi nazionali (legge 28 gennaio 2009, n. 2 di conversione del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 e legge 3 agosto 2009, n. 102 di conversione del decreto legge 1° luglio 2009, n. 78), volti a conseguire una maggiore efficienza nella programmazione degli impegni di spesa da parte delle pubbliche amministrazioni.
In particolare, l’art. 9, decreto-legge n. 78/2009 ha introdotto una disciplina tesa a garantire il sollecito pagamento di quanto dovuto dalle pubbliche amministrazioni al fine di prevenire la formazione di nuove situazioni debitorie, nonchè di rilevare i residui passivi ed i debiti già in essere alla data di entrata in vigore del decreto citato. Era prevista, da parte delle pubbliche amministrazioni indicate nell’elenco adottato annualmente dall’ISTAT, l’adozione, entro il 31 dicembre 2009, delle opportune misure organizzative per garantire il tempestivo pagamento delle somme dovute per somministrazioni, forniture ed appalti. A tali misure avrebbe dovuto essere data pubblicità sul sito internet delle amministrazioni interessate. Viene, altresì, sancita la responsabilità di carattere disciplinare e amministrativo del funzionario delle medesime amministrazioni, chiamato ad adottare provvedimenti che comportano impegni di spesa, in caso di violazione dell’obbligo di preventivo accertamento della compatibilità del programma dei pagamenti sia con i relativi stanziamenti di bilancio sia con le regole di finanza pubblica. La norma dispone poi, che, se per ragioni sopravvenute lo stanziamento di bilancio non consenta di far fronte all’obbligo contrattuale, l’amministrazione è chiamata ad adottare le opportune iniziative, anche di tipo contabile, amministrativo o contrattuale, per evitare la formazione di debiti pregressi. Peraltro, risultano esplicitamente escluse dalla applicazione delle disposizioni illustrate le aziende sanitarie, ospedaliere, ospedaliere universitarie, ivi compresi i policlinici universitari e gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici, anche se trasformati in fondazioni.
Ulteriori importanti disposizioni sono finalizzate a consentire lo smobilizzo più celere dei crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione. L’art. 9, comma 3-bis, decreto-legge n. 185/2008 (comma aggiunto dalla legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2 e, successivamente, modificato dall’art. 1, comma 16, decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25), per gli anni 2009 e 2010, consente, su istanza del creditore di somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti, alle regioni ed agli enti locali, nel rispetto dei limiti derivanti dal patto di stabilità interno, di certificare, entro il termine di venti giorni dalla data di ricezione dell’istanza «se il relativo credito sia certo, liquido ed esigibile, anche al fine di consentire al creditore la cessione pro soluto a favore di banche o intermediari finanziari riconosciuti dalla legislazione vigente». Tale cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto, a far data dalla predetta certificazione, che può essere a tal fine rilasciata anche nel caso in cui il contratto di fornitura o di servizio in essere alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge escluda la cedibilità del credito medesimo.
Il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 19 maggio 2009 ha dettato le modalità di attuazione del menzionato art. 9, comma 3-bis, stabilendo che, prima di rilasciare la certificazione, per i crediti di importo superiore a diecimila euro, il responsabile dell’Ufficio di Ragioneria dell’amministrazione debitrice debba verificare, ai sensi dell’art. 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, se il beneficiario è inadempiente all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo. Nel caso di accertata inadempienza all’obbligo di versamento, la certificazione potrà essere resa al netto delle somme ancora dovute.
Da ultimo, è opportuno rammentare che è in via di approvazione, mediante procedura di codecisione, una proposta di modifica della direttiva 2000/35/CE, al fine di contribuire all’attuazione dello «Small Business Act» (COM (2008)394) e nell’ambito delle misure prospettate dal piano europeo di ripresa economica (COM(2008)800). La proposta di direttiva (COM(2009)0126) mantiene sostanzialmente immutate le disposizioni della direttiva 2000/35/CE, ma introduce prescrizioni specifiche sui pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni che vanno nel senso di un inasprimento delle misure in caso di mancato rispetto dei termini, con particolare riferimento all’elevazione del tasso di mora.
2. Indicazioni operative.
La direttiva 2000/35/CE citata e, pertanto, il decreto 231 di attuazione, contengono norme imperative dirette a riequilibrare la posizione di disuguaglianza tra le parti, prevenendo un’alterazione del sinallagma contrattuale (cfr. sul punto, Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 1° aprile 2010, n. 1885; Consiglio Stato, sez. IV, 2 febbraio 2010, n. 469): la partecipazione ad una procedura di gara non può quindi valere come accettazione tacita di condizioni di pagamento difformi da quelle predeterminate ex lege.
Di conseguenza, devono considerarsi inique le clausole di un bando di gara con cui la stazione appaltante stabilisca unilateralmente un termine di pagamento ed una decorrenza degli interessi moratori difformi da quelli stabiliti dall’art. 4 del suddetto decreto 231, nonchè un saggio di interesse diverso da quello previsto dall’art. 5.
Più in dettaglio, l’imposizione della dilazione dei termini per il pagamento introdurrebbe un indebito vantaggio per l’amministrazione, considerata, in ragione dei poteri autoritativi di cui dispone nella fase pubblicistica dell’attività negoziale, alla stregua di parte contrattuale forte (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 12 aprile 2005, n. 1638 e 28 settembre 2007, n. 4996).
La contrarietà a norme imperative determina, quindi, la nullità di tali clausole con integrazione legale del contratto mediante applicazione automatica di clausole di contenuto conforme a quelle illegittimamente derogate (cfr. articoli 1339 e 1419 c.c.). Tale nullità può essere fatta valere dalla parte o essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado di un eventuale giudizio, nonchè, ai sensi dell’art. 8 del decreto 231, eccepita dalle associazioni di categoria in sede di azione inibitoria a tutela di interessi collettivi.
Da ciò consegue l’illegittimità di un’eventuale esclusione dalla procedura di gara disposta in ragione della mancata accettazione (espressa o meno) della clausola contrattuale iniqua.
Parimenti illegittima è l’attribuzione di un punteggio, nell’ambito dell’offerta economicamente più vantaggiosa, a termini di pagamento dilatati rispetto alla disciplina legale. Per espressa previsione di legge, infatti, la deroga alle condizioni legali è ammissibile soltanto per accordo tra le parti ed a patto che le condizioni così pattuite non siano gravemente inique.
L’interpretazione esposta – che ricollega la grave iniquità alla predeterminazione unilaterale delle clausole ed esclude la possibilità di accordo sulle clausole contenute nei bandi di gara – rende, di fatto, inderogabili i termini e le condizioni di cui al decreto 231 per la pubblica amministrazione, attesi gli obblighi di individuazione della controparte contrattuale all’esito di una procedura ad evidenza pubblica, in cui siano predeterminati e conosciuti tutti gli elementi costituivi del contratto, compresi quelli che incidono sui termini di pagamento. Non può dunque ritenersi sufficiente che la SA, per derogare alla suddetta normativa puntuale, faccia in sede di bando di gara un generico richiamo alla necessità di rispetto del patto di stabilità interno. Eventualmente, in via del tutto eccezionale, il bando potrà indicare quelle condizioni oggettive specificamente individuate che impediscono alla SA di rispettare le condizioni di pagamento imposte dalle norme, purchè le stesse non siano imputabili alla violazione del dovere generale che grava sulle amministrazioni pubbliche di verificare la compatibilità del programma dei pagamenti con i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica.
In ogni caso, al fine di evitare che un comportamento non corretto in sede di pagamento possa produrre effetti esponenziali sul sistema delle imprese che operano a valle con incarichi di subappalto, è opportuno che i contratti impongano all’aggiudicatario che ha ottenuto un pagamento da una pubblica amministrazione (sia esso tempestivo o ritardato) di provvedere ai propri obblighi di pagamento verso i subappaltatori o fornitori con lo stesso giorno di valuta, al fine di evitare che l’aggiudicatario trasferisca il costo dell’inefficienza della stazione appaltante su imprese di più piccole dimensioni e, dunque, più fragili dal punto di vista finanziario.
Sulla base di quanto sopra considerato
Il Consiglio
Ritiene che:
1) le stazioni appaltanti devono attenersi nella redazione dei documenti di gara, nonchè dei documenti contrattuali, alle disposizioni previste dal decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231 con riguardo ai termini di pagamento, alla decorrenza degli interessi moratori ed al saggio di interessi applicabile in caso di ritardo.
2) le stazioni appaltanti non possono subordinare la partecipazione alle procedure di gara o la sottoscrizione del contratto all’accettazione di termini di pagamento, di decorrenza degli interessi moratori e misura degli interessi di mora difformi da quelli previsti dal decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, nè prevedere tale accettazione come elemento di favorevole valutazione delle offerte tecniche nell’ambito del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.