Sui poteri regolamentari del Consiglio Notarile

Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Quater)

Sentenza 10 agosto 2010 numero 30580

(presidente Di Giuseppe, relatore Taglienti)



(…)

FATTO

Con ricorso notificato il 17 novembre 2008 e depositato il 12 dicembre successivo il notaio Paolo T. ha impugnato la delibera del Consiglio Nazionale del Notariato 5 aprile 2008 con la quale sono state apportate modifiche ai principi deontologici professionali. In particolare il ricorrente contesta l’art. 42 lett. c) II^ capoverso che recita: “nell’autentica il notaio fa menzione della lettura o della dispensa dalla stessa. La reiterata presenza della clausola di esonero costituisce indizio di comportamento deontologicamente scorretto”; nonché l’art. 49 che prevede: “ negli atti conservati a raccolta, pubblici e autenticati, deve essere indicata l’ora della sottoscrizione”.

Premesse considerazioni in ordine all’interesse a ricorrere ed all’ammissibilità del ricorso, il ricorrente deduce:

violazione dell’art. 16 della legge 27 giugno 1991 n. 22; eccesso di potere per incompetenza: le disposizioni contestate esulano dal potere regolamentare del Consiglio, incidendo sulla forma degli atti stabilita per legge;

violazione dell’art. 2703 comma 2 c.c. , dell’art. 603 c.2 c.c., degli artt. 72 e 51 c.2 legge n. 89/1913 e art. 28 c. 1 n. 3 della legge n. 89/1913: le regole deontologiche qui contestate hanno effetti esterni ed incidono sui principi generali dell’ordinamento; gli atti notarili sono tipizzati in base a norme di legge e non possono essere integrati con norme di rango regolamentare;

Violazione dell’art. 59 della legge n. 89/1913: in base a detta norma è vietato al notaio fare annotazioni sugli atti, salvo i casi previsti dalla legge;

Eccesso di potere per sviamento: l’obbligo di indicare nell’autentica delle scritture private l’intervenuta lettura alle parti e di riportare l’ora della sottoscrizione sono finalizzate al controllo sulla effettiva personale prestazione da parte del notaio, ma il sistema rende più difficile il controllo, oltre ad avere come detto valenza esterna.

Costituitosi il Consiglio Nazionale del notariato ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso per carenza d’interesse ad agire, trattandosi di atto generale che non provoca una lesione immediata e diretta; nel merito ha sostenuto l’infondatezza del ricorso in quanto le regole deontologiche non si pongono in contrasto con la legge ma integrano prescrizioni a sola valenza deontologica e non civilistica.

Con memoria il ricorrente ribadisce tesi e ragioni.

Alla pubblica udienza del 14 luglio 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe un notaio contesta la delibera del Consiglio Nazionale del Notariato che ha introdotto norme deontologiche: in particolare ritiene illegittime le seguenti disposizioni: a) quella che impone al notaio, per l’autentica di firma, la lettura dell’atto ovvero la concessa dispensa da detta lettura, con la conseguenza che la reiterata clausola di esonero costituisce indizio di comportamento deontologicamente scorretto; b) quella che prevede che negli atti conservati a raccolta, pubblici e autenticati, sia indicata l’ora della sottoscrizione.

In buona sostanza il ricorrente assume che il Consiglio non ha il potere di modificare la forma degli atti notarili e che detto potere, così come esercitato, viola le disposizioni di legge che disciplinano in maniera tipica gli atti notarili; eccepisce anche sviamento di potere in quanto l’uso del potere regolamentare deontologico non raggiunge le finalità assegnate dalla legge.

Preliminarmente il Collegio deve prendere in esame l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per difetto d’interesse ad agire, sostenendo parte resistente che la natura astratta delle norme contestate non consente di ravvisare una lesione attuale e concreta dell’interesse del ricorrente.

L’eccezione non può essere condivisa.

Infatti le disposizioni sopra indicate impongono da subito al notaio un determinato comportamento, che se non seguito comporta una responsabilità disciplinare; ciò appare sufficiente ad integrare un interesse attuale e concreto all’impugnativa.

Nel merito tuttavia il ricorso non appare fondato.

La Corte di Cassazione (sez. III civile n. 9475 del 26 settembre 1997) ha infatti chiaramente affermato che in tema di responsabilità disciplinare dei notai, i principi di deontologia professionale che prevedono l’adozione di particolari formalità per la redazione di taluni atti, oltre quelle già previste dalla legge, non apportano alcuna modifica alla legge stessa, nel senso che l’atto rogato senza l’osservanza delle formalità di cui alle norme deontologiche conserva integra la propria validità, ma si limitano ad imporre regole di condotta volte a conformare il comportamento del notaio alle norme dell’etica professionale, la cui enunciazione è istituzionalmente rimessa all’autonomia del Consiglio Notarile; quindi dette regole non sono dirette ad imporre formalità praeter legem funzionali ad una valida redazione dell’atto, ma si pongono come strumentali alla verifica di una condotta ritenuta dal Consiglio conforme alla deontologia professionale. La violazione delle suddette regole quindi non ha alcuna interferenza sulla funzione pubblicistica “esterna” del notaio, ma solo una rilevanza “interna” ai fini deontologici e disciplinari.

Il Collegio condivide una tale impostazione che scinde, all’interno dello stesso atto, la diversa natura delle disposizioni che ne regolano la redazione: quelle a rilevanza civilistica, disciplinate solo da fonti primarie, e quelle a rilevanza deontologica, disciplinate da fonte regolamentare; nessuna interferenza può essere ammessa da parte delle seconde sulle prime.

Infondati appaiono pertanto i profili di gravame che contestano il potere regolamentare deontologico così esercitato e quelli che lamentano l’interferenza sulle disposizioni di legge che disciplinano la forma degli atti notarili.

Infine altrettanto infondato, ovvero inammissibile, appare l’ultimo motivo di censura, relativo allo sviamento di potere, in quanto la contestazione sconfina in una valutazione di merito amministrativo, sostenendosi, in definitiva, che per lo scopo che il Consiglio intendeva raggiungere sarebbero state preferibili misure diverse che non avrebbero comportato modifiche alla redazione degli atti notarili.

Considerata la particolarità della fattispecie, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo del Lazio, sede di Roma, sezione terza quater respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2010. Depositata il 10 agosto 2010.

Redazione

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