Sulla nozione di servizio pubblico a rilevanza economica

“Posto che secondo il diritto comunitario sono soggetti alla disciplina della concorrenza solo i servizi di interesse economico generale (v. art. 86, ex-art. 90, tratt. Ce.), ai fini della distinzione tra servizi pubblici locali di rilevanza economica e servizi pubblici locali privi di tale rilevanza non si può far ricorso all’astratto criterio sostanzialistico del carattere remunerativo o meno, della loro erogazione tramite attività d’impresa svolta nel mercato, la quale garantisca la remunerazione efficace del capitale (i.e. la capacità di produrre utili), nel senso che nell’organizzazione imprenditoriale il corrispettivo desunto dal mercato dei prodotti (beni e servizi) deve remunerare, con un tendenziale margine di profitto, il costo desunto dal mercato dei fattori della produzione.

E’ vero che attività e servizi non economici sono per lo più connotati da significativo rilievo socio-assistenziale, gestiti in funzione di mera copertura delle spese sostenute, anziché del perseguimento di profitto d’impresa, le cui spese per lo più fanno carico alla finanza pubblica e la cui disciplina è normalmente diversa da quella dei servizi a rilevanza economica, ma in realtà qualsiasi attività, anche quella istituzionalmente esercitata da enti pubblici e comunemente considerata priva di rilevanza economica può essere svolta in forma d’impresa, purché vi sia un soggetto (in questi casi, un’istituzione pubblica) disposto a ricorrere agli operatori di mercato, ossia alle imprese, per procurarsi le relative prestazioni.

Si tratta in definitiva di distinzione incerta e di differenze di regime non ontologicamente necessarie, come dimostrato dall’esistenza, per un verso, di servizi corrispondenti alla prima definizione, erogati da pubbliche amministrazioni in forma non remunerativa (si pensi all’istruzione o alla sanità), e, per altro verso, di servizi analoghi a quelli del secondo gruppo, erogati da imprese (si pensi agli istituti di patronato o ai centri di assistenza fiscale).

La scelta delle modalità di erogazione e del regime giuridico, al quale le varie attività sono sottoposte, dipende, in definitiva, più da valutazioni politiche che dai caratteri intrinseci dei servizi.

A fronte della rilevata inidoneità di criteri distintivi di natura astratta, sostanzialistica e/o ontologica a discernere la natura delle due categorie di servizi pubblici in esame, occorre far ricorso ad un criterio relativistico, che tenga conto delle peculiarità del caso concreto, quali la concreta struttura del servizio, le concrete modalità del suo espletamento, i suoi specifici connotati economico-organizzativi, la natura del soggetto chiamato ad espletarlo, la disciplina normativa del servizio”.

A seguire, la sentenza integrale. 

. . . . .

Consiglio di Stato

(Sezione Quinta)

Sentenza 10 settembre 2010 n. 6529

(presidente Baccarini, relatore Lageder)



(…)

FATTO



1. Il T.A.R. per l’Emilia Romagna, con la sentenza in epigrafe, respingeva il ricorso proposto dalla Cooperativa Albergo Mensa Spettacolo e Turismo – CAMST s.c.a r.l. (d’ora in poi “CAMST s.c.a r.l.”) avverso (i) la comunicazione prot. n. 10393 del 29 giugno 2007, con la quale il Comune di Bertinoro aveva informato la ricorrente, già affidataria fino al 2007, in esito a procedura di evidenza pubblica, del servizio di refezione scolastica nelle scuole del territorio comunale, che lo stesso non sarebbe più stato affidato con siffatta procedura, ma attraverso il modulo della gestione associata ex art. 30 d. lgs. n. 18 agosto 2000, n. 267, tramite convenzione col limitrofo Comune di Meldola e gestione a mezzo dell’Istituzione ai Servizi Sociali “Davide Drudi” di Meldola, costituita ai sensi dell’art. 114 d. lgs. n. 267/2000, (ii) la deliberazione del Consiglio comunale di Bertinoro n. 89 del 31 luglio 2007, d’assegnazione del servizio in esame all’Istituzione predetta, e (iii) la convenzione stipulata tra i due Comuni per l’esecuzione del servizio di fornitura pasti e pietistica nelle scuole del Comune di Bertinoro, per violazione dell’art. 113 d. lgs. n. 267/2000, trattandosi di servizio a rilevanza economica da affidare a mezzo gara, e non già di servizio sociale che potesse essere gestito tramite istituzione, nonché per violazione del regolamento dell’Istituzione ai Servizi Sociali “Davide Drudi”, rientrando nei relativi compiti istituzionali la gestione di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale e trattandosi di organismo strumentale del Comune di Meldola e non anche di altri enti, quale il Comune di Bertinoro.

2. Il T.A.R. motivava la statuizione di rigetto sui rilievi (i) della natura sociale del servizio di mensa, escludendone la natura di servizio di rilevanza economica, (ii) della non riconducibilità della fattispecie de qua all’ambito applicativo dell’art. 113 d. lgs. n. 267/2000, atteso il concorso dell’ente proprietario nell’erogazione del servizio, (iii) dell’attrazione del servizio in esame nell’ambito oggettivo dell’attività dell’Istituzione ai Servizi Sociali “Davide Drudi”, costituita ai sensi dell’art. 114, comma 2, d.lgs. n. 267/2000, e (vi) della legittimità del ricorso al modulo organizzativo della co-gestione ex art. 30 d. lgs. n. 267/2000, in conformità alle previsioni statutarie dell’Istituzione coinvolta.

3. Avverso tale sentenza proponeva appello la ricorrente CAMST s.c.a r.l., deducendo di seguenti motivi: a) l’erronea applicazione degli artt. 30, 31 e 114 d. lgs. n. 267/2000, versandosi in fattispecie di servizio di rilevanza economica avente ad oggetto un’attività di natura remunerativa inserita in un mercato concorrenziale, da affidare a soggetti (in tutto o in parte) terzi attraverso gli strumenti delineati in forma tassativa e inderogabile dall’art. 113 d. lgs. n. 267/2000; b) l’erronea esclusione della violazione degli artt. 1 e 3 del regolamento dell’Istituzione ai Servizi Sociali “Davide Drudi”, sotto i profili già dedotti in prime cure. Chiedeva dunque, in riforma della gravata sentenza, l’accoglimento del ricorso proposto in primo grado, con vittoria di spese.

4. Si costituivano tutte le parti appellate (Comune di Bertinoro, Comune di Meldola e Istituzione ai Servizi Sociali “Davide Drudi”), contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto con vittoria di spese.

5. All’odierna pubblica udienza la causa veniva discussa e trattenuta in decisione, con pubblicazione della parte dispositiva della sentenza in data 9 giugno 2010.



DIRITTO

1. L’appello è da respingere.

2. La questione centrale della presente controversia, devoluta a questo Collegio, si risolve nel quesito della legittimità, o meno, della gestione del servizio di refezione scolastica delle scuole dell’infanzia e delle scuole primarie e secondarie di 1° grado site nel territorio del Comune di Bertinoro, per il periodo dal 1 settembre 2007 al 30 agosto 2012, in forma associata di co-gestione col limitrofo Comune di Meldola, tramite l’Istituzione ai Servizi Sociali “Davide Drudi” di Meldola, sulla base di una convenzione stipulata tra i due Comuni ai sensi dell’art. 30 d. lgs. n. 267/2000.

2.1. Giova premettere, in linea di diritto, che l’istituzione – quale l’Istituzione ai Servizi Sociali “Davide Drudi” di Meldola – è, nell’art. 114, comma 2, d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, espressamente qualificata come “organismo strumentale dell’ente locale per l’esercizio di servizi sociali, dotato di autonomia gestionale”, ed è tenuta, a norma del comma 4 del citato articolo di legge, ad informare la propria attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità e a perseguire il pareggio di bilancio attraverso l’equilibrio dei costi e dei ricavi. Pertanto, l’affidamento di un servizio pubblico all’istituzione integra una fattispecie nella quale, pur non provvedendo l’ente direttamente alla gestione del servizio, si utilizza uno strumento organizzativo che fa capo all’ente stesso attraverso le forme di collegamento e sovraordinazione stabilite dall’art. 114 d. lgs. n. 267/2000 e quindi difforme dall’affidamento del servizio ad un soggetto del tutto estraneo all’amministrazione comunale, quale potrebbe essere l’ipotesi di una società. Infatti, le istituzioni, seppure dotate di autonomia gestionale, quali organismi strumentali sono soggetti istituzionalmente dipendenti dagli enti locali e sono parte dell’apparato amministrativo che fa capo al Comune; come tali, le stesse possono, nell’ambito degli speciali moduli convenzionali o consorziali tra enti locali previsti dalle norme legislative e regolamentari, essere affidatarie di servizi pubblici sociali privi di rilevanza economica per la gestione comune tra più enti locali.

Nel caso di specie, l’Istituzione ai Servizi Sociali “Davide Drudi” di Meldola con finalità di “esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale, costituita ai sensi degli artt. 22 e 23 della Legge 142/90 e del Titolo 5 Capo III dello Statuto Comunale” (v. così, testualmente, l’art. 1 del regolamento istitutivo, con la precisazione che gli artt. 22 e 23 l. 8 giugno 1990, n. 142, sono poi confluiti negli artt. 113 e 114 d. lgs. n. 267/2000), a norma dell’art. 3 del citato regolamento ha il compito di provvedere, “quale organismo strumentale del Comune di Meldola, all’organizzazione ed alla gestione dei servizi sociali a prevalente aiuto alla persona, di interesse sociale e di strutture residenziali e semiresidenziali, quali: Casa Protetta RSA, Servizio Assistenza Domiciliare, Centro Diurno, Refezione Scolastica, Mense, Asilo Nido, Farmacia Comunale e Nucleo Demenza se attivato, Servizi di pulizie e assistenza e bidellaggio presso scuola materna, asilo nido e scuole elementari, trasporti scolastici e sociali in genere”.

Il comma 4 del citato art. 3 prevede che “l’Istituzione potrà attivare percorsi idonei ad estendere la propria azione a livello sovracomunale nell’interesse anche di altre Amministrazioni previa convenzione ai sensi dell’art. 39 del presente Regolamento”, mentre l’art. 39 statuisce che “apposite convenzioni approvate dal Consiglio Comunale ai sensi dell’art. 24 della Legge 142/90, possono affidare all’Istituzione la gestione dei servizi sociali per conto di altri Enti Locali”.

Con convenzione stipulata ai sensi dell’art. 30 d. lgs. n. 267/2000 tra il Comune di Bertinoro e il Comune di Meldola è, poi, stata disciplinata la gestione del servizio di refezione scolastica di cui è causa, con la previsione dell’obbligo del Comune di Bertinoro di mettere a disposizione dell’Istituzione “Davide Drudi”, organismo del Comune di Meldola, le cucine con relative attrezzature, di provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti, dei locali e delle attrezzature, di farsi carico delle spese di riscaldamento, gas, luce acqua e combustibile, e di procurare il rilascio delle necessarie autorizzazioni sanitarie, mentre l’Istituzione si obbligava di provvedere alla preparazione, al trasporto, allo sporzionamento e alla distribuzione dei pasti, all’apparecchiatura e alla pulizia dei tavoli, alla pulizia dei locali e degli arredi, allo smaltimento dei rifiuti e a sostenere il costo del personale (v. art. 2 della convenzione). Sotto il profilo economico-finanziario, il Comune di Bertinoro, oltre all’adempimento a proprie spese agli obblighi sopra assunti, si impegnava a corrispondere per ogni pasto un prezzo di euro 4,75, mentre a carico del Comune di Mendola gravavano le spese per assolvere agli obblighi come sopra posti a carico dell’Istituzione (v. art. 11 della convenzione).

2.2. Occorre, in ordine logico successivo – al fine di delimitare la fattispecie in esame dall’ambito applicativo dell’art. 113 d. lgs. n. 267/2000 (disciplinante l’affidamento/gestione/erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, la cui violazione viene denunziata dall’odierna appellante) –, affrontare la questione della qualificazione della natura del servizio pubblico locale de quo; questione, che si risolve nel quesito, se ad esso possa attribuirsi natura di servizio pubblico locale sociale privo di rilevanza economica, oppure di servizio pubblico locale munito di siffatta rilevanza.

Giova, al riguardo, prendere le mosse dalla pronuncia della Corte Cost. 13-27 luglio 2004, n. 272, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 113-bis d. lgs. n. 267/2000 per violazione dei criteri costituzionali di riparto del potere legislativo tra Stato e Regioni e conseguente illegittima compressione delle autonomie regionali e locali in materia di servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, sul rilievo che la disciplina delle forme di gestione e di conferimento di detti servizi, estranea alla materia della concorrenza, non rientra nelle materie riservate dall’art. 117 Cost. alla potestà legislativa statale, e che dunque l’eliminazione della norma, in riespansione della clausola generale di potestà legislativa generale regionale contenuta nell’art. 117, comma 3, Cost., avrebbe favorito la creazione di uno “spazio per una specifica ed adeguata disciplina di fonte ragionale ed anche locale” nella materia in esame.

Particolarmente significativo, per quanto qui interessa, è il seguente passaggio testuale della citata pronuncia del giudice delle leggi: “La tutela della concorrenza e l’inderogabilità della disciplina da parte di norme regionali sono però esplicitamente evocate in riferimento ai soli servizi pubblici locali attualmente classificati come “di rilevanza economica”, di cui all’art. 113, e non già in riferimento ai servizi “privi di rilevanza economica” previsti dall’art. 113-bis. La nuova denominazione di questi servizi, adottata in conformità a tendenze emerse in sede di Commissione europea a decorrere dal settembre 2000, già di per sé può indicare che il titolo di legittimazione per gli interventi del legislatore statale costituito dalla tutela della concorrenza non è applicabile a questo tipo di servizi, proprio perché in riferimento ad essi non esiste un mercato concorrenziale.

A questo proposito la Commissione europea, nel “Libro Verde sui servizi di interesse generale” (COM-2003-270) del 21 maggio 2003, ha affermato che le norme sulla concorrenza si applicano soltanto alle attività economiche, dopo aver precisato che la distinzione tra attività economiche e non economiche ha carattere dinamico ed evolutivo, cosicché non sarebbe possibile fissare a priori un elenco definitivo dei servizi di interesse generale di natura “non economica”. Secondo la costante giurisprudenza comunitaria spetta infatti al giudice nazionale valutare circostanze e condizioni in cui il servizio viene prestato, tenendo conto, in particolare, dell’assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, della mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche dell’eventuale finanziamento pubblico dell’attività in questione (Corte di giustizia CE, sentenza 22 maggio 2003, causa 18/2001). Per i servizi locali, quindi, che, in relazione al soggetto erogatore, ai caratteri ed alle modalità della prestazione, ai destinatari, appaiono privi di “rilevanza economica”, ci sarà dunque spazio per una specifica ed adeguata disciplina di fonte regionale ed anche locale”.

Ai fini della distinzione tra servizi pubblici locali di rilevanza economica e servizi pubblici locali privi di tale rilevanza non si può dunque, alla stregua della riportata giurisprudenza costituzionale e della ivi richiamata giurisprudenza comunitaria – infatti, secondo il diritto comunitario, sono soggetti alla disciplina della concorrenza solo i servizi di interesse economico generale (v. art. 86, ex-art. 90, tratt. Ce.) –, far ricorso all’astratto criterio sostanzialistico del carattere remunerativo, o meno, della loro erogazione tramite attività d’impresa svolta nel mercato, la quale garantisca la remunerazione efficace del capitale (i.e. la capacità di produrre utili), nel senso che nell’organizzazione imprenditoriale il corrispettivo desunto dal mercato dei prodotti (beni e servizi) deve remunerare, con un tendenziale margine di profitto, il costo desunto dal mercato dei fattori della produzione.

In effetti, qualsiasi attività, anche quella istituzionalmente esercitata da enti pubblici e comunemente considerata priva di rilevanza economica – attività e servizi, per lo più connotati da significativo rilievo socio-assistenziale, gestiti in funzione di mera copertura delle spese sostenute, anziché del perseguimento di profitto d’impresa, le cui spese per lo più fanno carico alla finanza pubblica e la cui disciplina è normalmente diversa da quella dei servizi a rilevanza economica –, può essere svolta in forma d’impresa, purché vi sia un soggetto (in questi casi, un’istituzione pubblica) disposto a ricorrere agli operatori di mercato, ossia alle imprese, per procurarsi le relative prestazioni.

Si tratta di distinzione incerta e di differenze di regime non ontologicamente necessarie, come dimostrato dall’esistenza, per un verso, di servizi corrispondenti alla prima definizione, erogati da pubbliche amministrazioni in forma non remunerativa (si pensi all’istruzione o alla sanità), e, per altro verso, di servizi analoghi a quelli del secondo gruppo, erogati da imprese (si pensi agli istituti di patronato o ai centri di assistenza fiscale). La scelta delle modalità di erogazione e del regime giuridico, al quale le varie attività sono sottoposte, dipende, in definitiva, più da valutazioni politiche che dai caratteri intrinseci dei servizi.

A fronte della rilevata inidoneità di criteri distintivi di natura astratta, sostanzialistica e/o ontologica a discernere la natura delle due categorie di servizi pubblici in esame, occorre far ricorso ad un criterio relativistico, che tenga conto delle peculiarità del caso concreto, quali la concreta struttura del servizio, le concrete modalità del suo espletamento, i suoi specifici connotati economico-organizzativi, la natura del soggetto chiamato ad espletarlo, la disciplina normativa del servizio.

Orbene, applicando siffatto criterio relativistico e contestualizzante al caso sub iudice, deve pervenirsi alla conclusione che si versi in fattispecie di servizio in concreto privo di rilevanza economica, deponendo in tal senso i seguenti indici ricostruttivi ed argomentativi:

– a norma della disciplina regionale, in ispecie del combinato disposto degli artt. 3 e 6 l. reg. Emilia-Romagna 8 agosto 2001, n. 26 (recante il titolo “Diritto allo studio ed all’apprendimento per tutta la vita. Abrogazione della L.R. 25 maggio 1999, n. 10.”), i servizi di mensa da erogare in favore dei frequentatori delle scuole del sistema nazionale d’istruzione, compresi quelli delle scuole dell’infanzia, “sono a carico del Comune di residenza dell’alunno, salvo che intervengano accordi diversi fra i comuni interessati” (comma 2 del citato art. 3);

– secondo la richiamata disciplina regionale, “gli utenti concorrono al costo del servizio…con contributi riferiti alle proprie condizioni economiche”, e i comuni “individuano le fasce di reddito a cui rapportare tali contributi” (comma 3 del citato art. 3);

– trattasi dunque di servizio funzionale alla garanzia dell’effettività del diritto di studio in favore della generalità della popolazione, obbligatoriamente facente carico ai Comuni, i quali sono tenuti a sopportare i relativi costi, per quanto non coperti dai contributi degli utenti, in ispecie di quelli appartenenti alle fasce reddituali più deboli;

– la qui impugnata delibera n. 89 del 31 luglio 2007 del consiglio comunale di Bertinoro è, testualmente, motivata dall’esigenza “di ridimensionare il tetto di spesa del personale nel dovere delle manovre correttive doverose per porre rimedio allo sfondamento della spesa del tetto del personale rilevato dalla Corte dei Conti Sezione di Controllo che in sede di esame del Bilancio di Previsione 2006 ipotizzava una nuova modalità di conduzione dei servizi: l’affidamento alla Istituzione Davide Drudi mediante convenzionamento con il Comune di Meldola con previsione di passaggio del personale di cucina”, e si fonda sui testuali rilievi che la nuova “modalità gestionale…anche sotto il profilo politico-amministrativo viene come scelta individuata la ottimale” e che “la stipula della Convenzione per l’affidamento della gestione del servizio di ristorazione si ritiene consenta una razionalizzazione dei servizi degli enti contraenti con conseguente maggior efficienza, in termine contenimento dei costi derivanti da evidenza economicità di scale”, oltreché sull’acquisito “parere di congruità dei prezzi del servizio che ha elaborato la presente proposta e la convenienza in termini economico-finanziari in quanto per altro i corrispettivi risultano inferiori a quelli applicati nella precedente obbligazione finanziaria”;

– la decisione del Comune di gestire il servizio in esame, obbligatoriamente facente carico alle amministrazioni comunali e funzionale alla garanzia dell’effettività del diritto di studio anche in favore delle fasce economicamente deboli, in forma associata col Comune limitrofo di Mendola tramite l’organismo dell’Istituzione “Davide Drudi”, persegue dunque lo scopo di garantire il servizio, di chiara connotazione sociale, a costi ridotti rispetto a quelli sostenuti in precedenza, allorquando il Comune aveva fatto ricorso all’affidamento a mezzo di gara pubblica;

– segnatamente, i rilievi della Corte dei Conti sull’antieconomicità del pregresso modulo gestionale depongono nel senso dell’inidoneità/inadeguatezza del ricorso agli strumenti di mercato per far fronte alle esigenze del servizio, denotando la tendenziale inesistenza, nel concreto contesto territoriale di riferimento, delle condizioni di un efficace e utile ricorso al mercato per l’assolvimento del servizio, onde l’esigenza di forgiare nuove modalità organizzative per garantire l’accesso al servizio – ripetesi, di natura obbligatoria e funzionale alla garanzia dell’effettività del diritto allo studio, costituzionalmente garantito – alla generalità della popolazione e, al contempo, informare la gestione del servizio ai criteri di economicità, efficienza e efficacia che presiedono al corretto esercizio dell’azione amministrativa.

2.3. Alla luce di quanto sopra va, per un verso, esclusa la denunziata violazione degli artt. 30, 113 e 114 d. lgs. n. 267/2000 e, per altro verso, affermata la piena conformità del deliberato modulo gestionale alla sopra ricostruita disciplina normativa del settore ed alle previsioni regolamentari e statutarie dell’Istituzione “Davide Drudi” del Comune di Meldola (esaminate sopra sub 2.1.), con conseguente infondatezza dei dedotti motivi di gravame.

3. Considerata la peculiarità della fattispecie dedotta in giudizio, si ravvisano giusti motivi per dichiarare le spese del grado interamente compensate tra le parti.



P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza. Dichiara le spese del grado interamente compensate tra le parti.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2010.  Depositata il 10 settembre 2010.

Redazione

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