Consiglio Nazionale Forense
Relazione di accompagnamento al testo del regolamento sulle specializzazioni.
(Roma, 24 settembre 2010)
ART. 1 -. (Oggetto del regolamento).
La norma stabilisce che oggetto della disciplina regolamentare sono presupposti e modalità per l’acquisizione del titolo di specialista e le condizioni per mantenerlo una volta acquisito; ne esula, pertanto, la materia disciplinata dal codice deontologico forense laddove (art. 17 bis) si prevede che l’avvocato può, tra l’altro, dare indicazioni circa “(…) i settori di esercizio dell’attività professionale e, nell’ambito di questi, eventuali materie di attività prevalente”. I due aspetti restano separati, diversa essendo la specializzazione rispetto alla materia di attività prevalente. La prima è espressione di una particolare competenza, che pone lo specialista su un gradino superiore di conoscenza ed abilità rispetto all’avvocato generalista; l’esercizio, invece, in modo prevalente in un dato settore non significa per ciò solo possedere particolari abilità specialistiche.
Per questo motivo, mentre il se della veste di specialista richiede un vaglio particolare della competenza e l’informazione circa il possesso della relativa qualità non può essere disgiunta dall’esaurimento, con esito positivo, del complesso procedimento per l’acquisto del relativo titolo, l’indicazione della materia di attività prevalente è (se così si può dire) libera in quanto costituisce nulla più che la fotografia delle modalità espressive di una data attività professionale, senza pretesa che essa denunci il possesso di particolari abilità e competenze, a parte quelle che la pratica costante di una data materia possono far supporre che costituiscano, in ogni caso, la dotazione frutto dell’esperienza.
Si lega a questa considerazione l’indicazione del comma 2 dell’art. 3) laddove ammonisce che “in nessun caso i settori di prevalente esercizio professionale possono intendersi come aree di specializzazione e giustificare l’assunzione da parte dell’avvocato del titolo di specialista”.
Se questo è vero in linea teorica, nella pratica la spendita del titolo di specialista e l’indicazione della materia di attività prevalente, possono dar vita ad un messaggio potenzialmente decettivo tutte le volte che la comunicazione circa quest’ultima (materia di attività prevalente) risulti ambigua tanto da far supporre di essere in presenza di uno specialista.
Occorrerà vagliare, caso per caso, il potenziale decettivo dell’indicazione circa la materia di attività prevalente al fine di sanzionare adeguatamente il comportamento di chi, facendo leva su ciò che il codice deontologico forense consente di indicare, crea, per le modalità e per il contenuto del messaggio, confusioni ed ambiguità.
Queste conseguenze negative – da mettere in conto e che si può contribuire ad eliminare anche tramite una revisione degli artt. 17 e 17 bis del codice deontologico forense – costituiscono un costo certamente accettabile a fronte dei ben più gravi effetti distorsivi derivanti dall’auto- proclamazione di competenze che la mancanza di un regolamento sulle specializzazioni potrebbe comunque generare.
Va poi detto che lo scopo di quest’ultimo non è di creare aree di riserva a vantaggio di ristrette elite professionali; al contrario, è funzionale a tutelare l’affidamento del cittadino sulla professionalità dell’avvocato, favorendo, al contempo, l’acquisizione di saperi specialistici che sono, in quanto tali, garanzia di migliore qualità della prestazione.
Questa finalità di tutela dell’interesse della collettività alla qualità della prestazione traspare in più parti della disciplina e costituisce, ad esempio, una delle ragioni che hanno indotto a costruire una normativa transitoria non imperniata sulla meccanica acquisizione del titolo di specialista per il solo fatto del possesso di una certa anzianità di esercizio professionale; sempre in questa prospettiva si spiega il particolare rigore del percorso studiato per l’acquisizione del titolo, completato dal requisito di un’anzianità di iscrizione all’albo di almeno sei anni.
Non è superfluo, poi, precisare che la specializzazione costituisce un’opportunità e l’acquisizione del relativo titolo una facoltà.
E’ un’opportunità perché, se riguardata dal lato soprattutto dei giovani, un’anzianità di sei anni di iscrizione all’albo, se è il minimo richiedibile per avere quella “(…) esperienza pregressa nella materia” che va dimostrata in sede di prova orale (art. 10, co. 5, lett. (b), ma v. anche art. 2), non è tale da impedire l’acquisto del titolo da parte dei giovani avvocati per i quali la qualifica di specialista costituirà un fattore di miglioramento competitivo rispetto agli avvocati più anziani, affermati e meglio radicati nel mondo della professione.
E’ contemporaneamente una facoltà perché nulla nel regolamento è obbligatorio, salvo ciò che è necessario per acquisire il titolo di specialista una volta presa la decisione di acquisirlo.
Da ultimo, il regolamento allinea l’Italia ai paesi che già si sono dotati di un regolamento sulla specializzazione, come il Regno Unito, la Germania, la Francia, il Belgio, il Portogallo, la Croazia, la Slovenia, la Svizzera; e si adegua alle raccomandazioni del CCBE del 29.9.2009 di favorire una formazione di qualità superiore ed una disciplina concernente la specializzazione.
ART. 2 -. (definizione di avvocato specialista).
Si definisce l’avvocato specialista quello che ha acquisito, in una delle aree del diritto indicate dall’art. 3), una specifica e significativa competenza teorica e pratica; specifica, perché la conoscenza deve riguardare quella determinata area, significativa perché non è sufficiente una conoscenza ordinaria, ma appunto superiore.
Quest’ultima – avverte la norma – deve essere non solo teorica, ma anche pratica, per cui non basta il sapere, ma è necessaria anche la dimostrazione del saper fare, la quale va data nel modo indicato dall’art. 10), co. 7) e, cioè, comprovando “(…) il numero dei casi trattati, il modo in cui le pratiche sono state coltivate e il loro grado di complessità”, ciò che costituirà, poi, argomento di discussione in sede di prova orale (art. 10, co. 6, lett. b).
L’art. 2) soggiunge che non è sufficiente aver conseguito il titolo di specialista poiché la conoscenza specifica e significativa che ne è alla base, va conservata nel corso degli anni secondo il principio della formazione continua, con chiaro riferimento, perciò, anche al fatto che – giusta il regolamento approvato dal Consiglio nazionale forense il 13.7.2007 – essa non va solo mantenuta, ma anche integrata con i nuovi saperi e rimanendo al passo delle nuove acquisizioni, anche giurisprudenziali.
Infine, con l’avverbio esclusivamente riferito al soggetto in grado di rilasciare il diploma di specialista, la norma avverte che l’unica competenza al riguardo è del Consiglio nazionale forense; il tutto, peraltro, nel contesto di un apporto costruttivo ed implicante condivisione di compiti e funzioni da parte dei Consigli dell’Ordine e delle Associazioni specialistiche.
Art. 3 -. (elenco specializzazioni)
L’art. 3) elenca le aree di specializzazione individuandole in complessive undici e costituisce il frutto di una scelta di mediazione tra due opposte concezioni:
quella di ispirazione tedesca, imperniata su poche aree e quella francese, condizionata da una più accentuata segmentazione;
nel primo caso le aree sono state individuate in quelle del diritto del lavoro, diritto della sicurezza sociale, diritto tributario, diritto amministrativo, diritto di famiglia, diritto fallimentare, diritto penale e diritto delle assicurazioni (tale ultima area di specializzazione è stata introdotta con la riforma del 1° settembre 2003);
nel secondo la nuova lista delle specializzazioni approvata dall’assemblea generale del Conseil National des Barreaux del 12 e 13 marzo 2010, ne evidenzia ben 29; in essa figurano specializzazioni come droit des etrangers ed de la nationalitè, droit de la santè, droit douanier, droit de l’enviroment, droit de la fiducie. Ma figurano anche specializzazioni collegate a macroaree come droit penal e droit public.
L’elenco che esposto nel presente regolamento tiene conto della necessità di non spingersi eccessivamente oltre nel dettaglio, prendendo spunto anche da ciò che segnala la pratica ed il diritto vivente, soprattutto per quanto riguarda gli ambiti collegati alla macroarea del diritto civile che si è ritenuto di non identificare come oggetto di possibile specializzazione in quanto tale, trattandosi di settore troppo vasto e rispetto al quale la stessa suddivisione in sei libri del codice civile, segnala la complessità e la sua articolazione in ambiti dotati di propri caratteri distintivi. Uguale criterio non è stato seguito per il diritto penale e per il diritto amministrativo; per il primo, svolgendo la conoscenza dei meccanismi del processo ruolo determinante ed imprescindibile, qualsiasi sia il sottosettore di specializzazione individuato; per il secondo, trattandosi di materia non adeguatamente scomponibile.
La sperimentazione che seguirà l’entrata in vigore del regolamento consentirà di vagliare la coerenza delle scelte così effettuate e proprio allo scopo di apportare quegli aggiustamenti che eventualmente si rendessero necessari, all’elenco dell’art. 3) si collega la norma di chiusura dell’art. 14) secondo cui “(…) entro un anno dall’entrata in vigore il Consiglio nazionale forense, sentiti i Consigli dell’ordine degli avvocati e le associazioni specialistiche, potrà procedere, se necessario, alla revisione delle disposizioni del presente regolamento, con particolare riferimento alle aree di specializzazione (…)”.
Infine, il comma 2 dell’art.3), prevedendo che “in nessun caso i settori di prevalente esercizio professionale possono intendersi come aree di specializzazione e giustificare l’assunzione, da parte dell’avvocato, del titolo di specialista”, conferma quanto innanzi detto a proposito della distinzione concettuale che va mantenuta – sino all’eventuale revisione del codice deontologico forense – tra aree di specializzazione e settori di prevalente esercizio dell’attività professionale. Su questo aspetto va richiamata l’attenzione dei Consigli dell’Ordine in punto alla vigilanza disciplinare necessaria ad evitare possibili abusi.
Art. 4 -. (Aggiornamento dell’elenco delle specializzazioni).
Accanto alla possibilità di revisione straordinaria dell’elenco delle specializzazioni a seguito della prima sperimentazione del regolamento, facoltà di revisione da esercitare ex art. 14) nel corso del primo anno dalla sua entrata in vigore (e quindi sino a tutto il 30.6.2012 entrando in vigore il regolamento il 30.6.2011), è stata prevista con l’art. 4) una sorta di revisione (si potrebbe dire) ordinaria quadriennale dell’elenco delle specializzazioni.
Essa mira a mantenere quest’ultimo al passo con l’evoluzione dei saperi specialistici, garantendo al regolamento la flessibilità necessaria e proprio per questo è prevista la cooperazione dei Consigli dell’Ordine e delle Associazioni specialistiche che dovranno fornire il loro parere al riguardo; tale cooperazione, peraltro, non è detto si esaurisca solo nella predetta attività consultiva, perché nulla impedisce che Consigli territoriali ed associazioni suggeriscano essi stessi le soppressioni, o le integrazioni ritenute del caso, trasformandosi in fattori propulsivi del potere di aggiornamento attribuito al Consiglio nazionale forense.
Per quanto riguarda specificamente le Associazioni specialistiche, il potere di interlocuzione sotto forma di intervento consultivo, o propositivo, è stato riconosciuto esclusivamente in capo a quelle previste dall’art 11) e cioè alle Associazioni riconosciute dal Consiglio nazionale forense comprese quelle inserite di diritto nel relativo elenco di cui al comma 6 del cit. art. 11).
Per evitare le incertezze conseguenti ad aggiornamenti troppo ravvicinati nel tempo, è stato ritenuto congruo un intervallo di quattro anni tra un aggiornamento e l’altro.
Art. 5 -. (requisiti per conseguire il titolo di avvocato specialista).
L’art. 5) elenca i requisiti indispensabili per conseguire il titolo di specialista.
Il primo comma, lett. a), è l’anzianità di iscrizione all’albo di almeno sei anni, periodo che coniuga esigenze di rigore e serietà del processo di acquisizione del titolo, con la necessità di favorirne l’apprensione anche da parte dei giovani avvocati, quelli per i quali più degli altri la spendita della qualifica può rappresentare fattore concorrenziale.
Nella lettera b) del cit. comma 1, compare il requisito dell’assenza di sanzioni disciplinari stabilizzatesi (cioè, definitive), subite nei tre anni precedenti la presentazione della domanda per l’acquisizione del titolo; sennonché, per garantire una base di giustificazione logica alla previsione anche nel rispetto del principio di proporzionalità, è previsto che tali sanzioni debbano essere state irrogate in relazione a comportamenti deontologicamente rilevanti attuati in violazione del dovere di competenza, o di aggiornamento professionale; ambedue i corrispondenti doveri deontologici, infatti, hanno una diretta correlazione con la specializzazione posto che non è logico possa aspirare a conseguire il titolo chi non si è formato come avrebbe dovuto, ovvero ha dimostrato la sua incompetenza. Tutte le altre sanzioni, invece, eventualmente subite dall’interessato anche nei tre anni precedenti la presentazione della domanda, stabilizzatesi, ma irrogate per violazioni di doveri deontologici diversi da quelli suindicati, non sono ostative al conseguimento del titolo.
La lettera c) dell’art. 5) introduce, poi, l’ulteriore requisito per cui nei due anni precedenti la domanda non deve essere stata adottata a carico dell’interessato la sanzione di cui all’art. 6); in suo pregiudizio, cioè, non deve essere stata pronunciata la revoca del titolo a causa dell’inadempimento degli obblighi di formazione continua previsti dall’art. 12) quale condizione per il mantenimento della qualifica di specialista. Se non fosse stato previsto un intervallo di tempo tra la revoca e la presentazione della domanda per il riacquisto del titolo (l’art. 6, co. 4, infatti, prevede che la revoca non impedisce il suo riacquisto) la sanzione sarebbe rimasta sostanzialmente priva di contenuto concreto, potendo essere vanificata da un pressoché immediato riacquisito della qualifica. Un intervallo di due anni durante i quali non può essere presentata la domanda per partecipare all’esame è parso congruo e soprattutto rispettoso, anche qui, del principio di proporzionalità.
Il requisito previsto dalla lettera d) consiste nel possesso dell’attestato di frequenza, proficua e continuativa, di una scuola, o corso di alta formazione, riconosciuti dal Consiglio nazionale forense e tenuti da enti, o soggetti, iscritti nel registro di cui all’art. 7).
Si prevede, altresì, che tale attestato non sia stato conseguito più di due anni prima della data di presentazione della domanda; tale intervallo massimo di validità temporale garantisce che esso continui ad essere espressivo di perdurante competenza ad evitare il rischio che, in mancanza di qualsiasi scadenza, possano darsi casi di presentazione di domande di partecipazione all’esame dopo lustri dalla frequenza di scuole, o corsi. Un lasso temporale di due anni – poi – entro cui decidere se presentare, o meno, la domanda, appare più che congruo.
I successivi requisiti di cui alle lettere e) ed f) attengono alla necessità che sia presentata apposita domanda al Consiglio nazionale forense corredata dai documenti necessari, mentre il superamento dell’esame è l’altra condizione indispensabile.
Il comma 2) dell’art. 5) stabilisce che il titolo di avvocato specialista è conferito col rilascio di apposito diploma rilasciato dal Consiglio nazionale forense il quale istituisce un registro, pubblicato sul suo sito Internet, nel quale inserisce il nominativo di ciascun avvocato cui è stato conferito il diploma. La pubblicazione del registro nel sito Internet, consentendo la rapida consultazione, permette di soddisfare con immediatezza le esigenze conoscitive di chiunque. Il comma prevede anche che il Consiglio nazionale forense comunichi periodicamente ai singoli consigli territoriali interessati i nominativi degli avvocati cui ha conferito il diploma di specialista e che risultano iscritti negli albi da essi tenuti; la previsione ha lo scopo di consentire anche ai consigli territoriali di avere chiaro il quadro dei propri iscritti che sono divenuti specialisti per due motivi fondamentali; il primo, quello di permettere, se interessati, di predisporre a loro volta un elenco degli specialisti ai fini della sua consultazione da parte del pubblico, o per fornire risposta ad eventuali richieste di segnalazione di specialisti in date aree; il secondo, non meno importante, quello di permettere il controllo e la vigilanza circa l’adempimento da parte degli interessati degli obblighi di formazione continua specialistica il cui inadempimento giustifica la revoca del titolo. Revoca che, seppur pronunciata dal Consiglio nazionale forense, presuppone la segnalazione del Consiglio territoriale, l’unico in grado di verificare l’adempimento dell’obbligo formativo che assume una sua particolare fisionomia quando si tratta di uno specialista.
E’ chiaro, peraltro, che l’istituzione da parte del consiglio territoriale di un documento, libro, o registro, in cui annotare il nominativo degli specialisti iscritti, man mano incrementato dalle periodiche segnalazioni del Consiglio nazionale forense, in nessun caso deve essere interpretata come iniziativa costitutiva di un nuovo e distinto albo ed in nessun caso può tenere luogo dell’ufficialità che è propria ed unica del registro degli specialisti tenuto dal Consiglio nazionale forense.
I commi 3) e 4), infine, prendono in considerazione la condizione di coloro che hanno conseguito un diploma di specializzazione universitario, o posseggono un titolo equipollente. Il primo è il caso di chi abbia frequentato scuole di specializzazione gestite dalle Università degli studi, od enti equiparati ed abbia conseguito il relativo diploma; da questa previsione fuoriescono le scuole di specializzazione per le professioni legali pur gestite dalle Università anche in consorzio tra di loro (le cd. scuole Bassanini) dato che esse non rilasciano un diploma di specializzazione in una determinata area del diritto. Il secondo è il caso, ad esempio, dei dottori di ricerca. Deve in ogni caso trattarsi di diplomi di specializzazione, o titoli equipollenti, relativi ad una delle aree di specializzazione indicate nell’art. 3).
Per queste ipotesi il regolamento ha escluso qualsiasi forma di automatismo nell’acquisto del titolo di specialista che è subordinato, innanzi tutto, alla presentazione di una domanda al Consiglio nazionale forense di riconoscimento del diploma, o del titolo, ai fini di quanto previsto dal regolamento (comma 3), sempre che si tratti di diploma, o titolo, equipollente conseguito non più tardi di quattro anni prima della presentazione della domanda (prima parte del comma 4). Anche questa restrizione concernente la validità temporale del diploma, o del titolo, per i fini previsti dal regolamento, è in sintonia con quanto previsto a proposito del requisito di validità temporale dell’attestato di frequenza di un corso, o di una scuola di alta formazione (art. 5, comma 1, lett. c); lo scopo qui come là essendo quello di garantire che diploma, o titolo equipollente, continuino, nonostante il passaggio del tempo, ad essere espressivi di perdurante competenza, ad evitare il rischio che, in mancanza di qualsiasi scadenza, possano darsi casi di presentazione di domande di riconoscimento del diploma, o del titolo equipollente, dopo lustri dal momento del relativo conseguimento e senza più garanzia di perdurante possesso e, soprattutto, avvenuta manutenzione dell’acquisita competenza.
Valutata la documentazione, il Consiglio nazionale forense potrà ammettere il richiedente a sostenere direttamente l’esame senz’altri adempimenti, ovvero subordinarlo alla frequenza dei corsi, o scuole di alta formazione, determinando in questo caso il monte ore necessario ad integrare la preparazione.
Art. 6 -. (Condizioni per il mantenimento del titolo di avvocato specialista).
L’art. 6 si incarica di chiarire che il titolo di specialista non è acquisito in via definitiva e stabile nel futuro; esso, infatti, è soggetto a revoca. Sennonché quest’ultima può essere pronunciata in un solo caso: quando l’interessato non adempia agli obblighi di formazione continua, specificamente nell’area della specializzazione, secondo le modalità previste dall’art. 12). Ciò significa, ad esempio, che la revoca non potrà essere pronunciata per nessun altro motivo e tanto meno per non aver l’interessato esercitato con continuità la professione nel settore di specializzazione; infatti il titolo di specialista dà conto di una particolare qualità professionale che non si perde per il mancato esercizio, ma solo se non si coltiva la relativa conoscenza e non la si sottopone a manutenzione periodica.
Come detto in precedenza, solo il Consiglio dell’Ordine che ha la custodia dell’albo nel quale lo specialista è iscritto può essere in grado di segnalare l’inadempimento agli obblighi di formazione continua e può segnalare ciò al Consiglio nazionale forense per l’adozione del provvedimento di revoca.
Il potere di controllo da parte del Consiglio territoriale si declina, dunque, inizialmente nella forma dell’accertamento dell’inadempimento agli obblighi di formazione continua e successivamente in quella della contestazione all’interessato del relativo inadempimento (comma 2). La norma precisa – se ve ne fosse bisogno – che il relativo procedimento deve essere improntato al rispetto dei principi codificati dalla legge 241/1990 e successive modifiche ed integrazioni. Esaurito il procedimento, il consiglio territoriale inoltrerà al Consiglio nazionale forense una motivata richiesta di revoca del titolo di specialista in uno alla documentazione necessaria.
Nel pronunciare la revoca, o nel respingere la richiesta, il Consiglio nazionale forense si limiterà a valorizzare i risultati del procedimento svoltosi innanzi al consiglio territoriale; ma, seppur il contraddittorio e l’esercizio del diritto di difesa siano stati garantiti nella fase del procedimento svoltosi innanzi al consiglio territoriale segnalante, non è escluso che l’interessato possa presentare al Consiglio nazionale forense deduzioni scritte, o chiedere di essere ascoltato.
Il comma 3) soggiunge che la revoca produce effetti dal giorno successivo alla notifica del relativo provvedimento. Pur nel silenzio della norma, trattandosi di atto amministrativo, è indubbio che contro di essa è concessa tutela innanzi all’Autorità giudiziaria competente cui si accompagna, quale indefettibile attributo, la possibilità di tutela anche cautelare con la paralisi degli effetti, altrimenti immediati, del provvedimento.
Come detto in precedenza, la revoca non impedisce il riacquisto del titolo decorso il biennio di cui all’art. 5), comma 1, lett. c).
Infine, la norma non è stata arricchita con la previsione che costituisce infrazione disciplinare la spendita del titolo di specialista senza averlo conseguito, o dopo la sua revoca, dal momento che trattasi di previsione di stampo deontologico la cui sede naturale di normazione è il codice deontologico forense.
Art. 7 -. (Scuole e corsi di alta formazione).
La frequenza delle scuole, o dei corsi di alta formazione, che consente l’acquisto dell’attestato indispensabile, a termini dell’art. 5), comma 1, lett. d), per partecipare all’esame presso il Consiglio nazionale forense, deve avere durata non inferiore alle 200 ore nell’arco del biennio intendendosi per tale non il biennio solare, ma quello scolastico/accademico; ciò in quanto non sempre (anzi, quasi mai) quest’ultimo ha una durata coincidente con l’anno solare. La previsione del primo comma della norma in commento è completata da quella del secondo comma per il quale la frequenza deve essere continuativa, come si ricava dalla prescrizione per cui le eventuali assenze non possono essere superiori al 10% del monte ore complessivo e, quindi, a 20 ore durante il biennio.
Può accadere che la scuola, o il corso di alta formazione, rilasci, comunque, l’attestato di frequenza anche se le assenze hanno superato il limite massimo suindicato se, ad esempio, il relativo regolamento interno prevede un limite superiore, o non ne prevede alcuno (fatto, questo, che potrebbe, tuttavia, essere valutato ai fini dell’adozione del provvedimento di revoca dell’iscrizione nel registro dei soggetti abilitati alla gestione di scuole, o corsi di alta formazione, come si vedrà in commento al comma 8).
Sennonché, la lettura comparata dell’art. 7), commi 1) e 2) (che stabilisce un monte ore massimo di assenze nel biennio) e dell’art. 5), comma 1, lett. d) (che introduce – come si è visto – il requisito di una frequenza proficua e continuativa), rende chiaro che non è un attestato in sé di frequenza che integra il requisito richiesto per partecipare all’esame, quanto uno di frequenza continuativa per tale intendendosi quella che registri assenze non superiori a 20 ore nel biennio.
Cosicché, sarà il Consiglio nazionale forense – in sede di verifica dei presupposti e requisiti per l’ammissione all’esame – a valutare l’idoneità dell’attestato presentato, onde costituisce buona norma di comportamento presentarne uno che incorpori la certificazione del rispetto del limite massimo di assenze, ovvero unire ad esso un distinto ed apposito certificato relativo alle assenze, rilasciato dalla scuola, o dal corso.
Il comma 3) aggiunge che non qualsiasi attestato di frequenza sarà considerato valido ai fini dell’ammissione all’esame, ma solo quello rilasciato dai soggetti (i) abilitati alla gestione di scuole, o corsi di alta formazione e (ii) iscritti dal Consiglio nazionale forense nell’apposito registro di cui al comma 7).
Tali soggetti sono stati individuati (comma 4), oltre che nel Consiglio nazionale forense, anche (i) nei Consigli dell’ordine degli avvocati, che potranno all’uopo associarsi e gestire scuole e corsi direttamente, o tramite le loro fondazioni, o scuole di formazione forense riconosciute dal Consiglio nazionale forense, (ii) nelle associazioni forensi costituite fra avvocati specialisti, riconosciute dal Consiglio nazionale forense ai sensi dell’art. 11), (iii) negli “(…) altri soggetti in possesso dei requisiti di cui al comma seguente”.
Quest’ultima previsione garantisce il pluralismo dell’offerta formativa dato che si tratta di norma in bianco che non tipizza la qualifica soggettiva, o la caratteristica strutturale che è necessario possedere per organizzare e gestire scuole, o corsi; pertanto, chiunque, anche enti, o società private con scopo di lucro potranno rientrare nel novero dei soggetti formatori, sempre che siano in possesso dei requisiti previsti dal regolamento e risultino iscritti nell’apposito registro. Questa previsione ripropone lo schema logico già sperimentato nel regolamento per la formazione professionale continua all’art. 3), comma 3), laddove è stato introdotto il principio dell’uguale legittimazione di enti, associazioni, istituzioni, organismi pubblici, o privati, operanti, o no, nel settore professionale ai fini dell’organizzazione degli eventi formativi.
Ora come allora va sottolineato che si tratta di opzione coerente con il principio di non discriminazione derivante dalle regole che impongono di non erigere barriere anticoncorrenziali; infatti ed in linea astratta, non si può, né impedire ad enti e società aventi scopo di lucro di organizzare scuole, o corsi di formazione, né sancire l’inidoneità della frequenza di quest’ultimi ai fini dell’acquisizione della competenza specialistica necessaria al superamento dell’esame, né, tanto meno, conculcare la libertà di scelta dell’interessato che deve – invece – essere libero di organizzare come crede il suo percorso formativo specialistico, se del caso anche optando per la frequenza a costosi corsi, o scuole, organizzati da società specializzate. Da questo punto di vista, come già posto in evidenza nella relazione di accompagnamento al regolamento per la formazione professionale continua, pur nella consapevolezza che l’organizzazione di scuole, o corsi di formazione, può rappresentare la fonte di una lucrosa attività, è ben presente l’impossibilità di introdurre nel presente regolamento, anche in via di fatto, fattori regolatori della concorrenza, o selettori delle opportunità, dovendosi, al contrario, garantire opzioni formative in condizioni di pari opportunità di accesso, senza ostacoli all’esercizio del diritto alla libera scelta.
Anche in questo campo, tuttavia, sarà compito dei Consigli dell’ordine degli avvocati e delle Associazioni specialistiche bilanciare i possibili effetti distorsivi con offerte formative non orientate al conseguimento di vantaggi economici, ma ispirate al principio del tendenziale equilibrio tra costi e ricavi.
Con il comma 5) è regolamentato il procedimento per ottenere l’iscrizione nel registro dei soggetti abilitati alla istituzione e gestione delle scuole e dei corsi.
Gli interessati che sono onerati di un’apposita domanda sono quelli di cui alle lettere (c) e (d) del comma precedente e, quindi, le associazioni forensi e gli altri organismi non meglio identificati; essi devono presentare al Consiglio nazionale forense una domanda di iscrizione contenente l’indicazione della loro qualifica e caratteristiche cui va allegata (i) la copia dello statuto e del regolamento interno di funzionamento e (ii) la dichiarazione di impegno a gestire corsi e scuole con modalità tali da garantire la realizzazione degli scopi del regolamento; nella domanda va altresì specificato che nei confronti del richiedente non sono stati adottati provvedimenti, anche non definitivi, di revoca di una precedente iscrizione, o dell’autorizzazione di cui all’art. 8).
Il comma 6) chiarisce un dato di per sé già evidente dalla lettura del comma 5) il quale ultimo, individuando nei soggetti di cui alle lettere (c) e (d) del comma 4) quelli onerati della presentazione della domanda di iscrizione nel registro accompagnata dalla dimostrazione dei requisiti sopra illustrati, esclude quelli di cui alle lettere (a) e (b) e, quindi (oltre ovviamente al Consiglio nazionale forense), i Consigli dell’ordine degli avvocati.
L’esclusione è, comunque, riaffermata a chiare lettere nel suddetto comma 6) che onera i Consigli dell’ordine degli avvocati di una semplice richiesta senz’altra formalità e quindi senza necessità di allegare quanto previsto dal comma 5); in questo senso, la previsione della non necessità di allegare la dichiarazione di impegno a gestire corsi e scuole con modalità tali da garantire la realizzazione degli scopi del regolamento, significa che i consigli territoriali sono assistiti dalla presunzione iuris tantum di conformità dei loro comportamenti agli scopi del regolamento. Si è però fatto cenno alla presunzione relativa perché, se è vero che alla richiesta senz’altra formalità, segue automaticamente l’iscrizione del consiglio territoriale nel registro, è bensì vero che l’iscrizione non esonera il consiglio dal rispetto, nella gestione delle scuole, o dei corsi, dei criteri previsti dal regolamento, tanto vero che anche nei suoi confronti può essere adottato il provvedimento di revoca dell’iscrizione.
Quest’ultima (iscrizione) è (i) disposta – ai sensi della comma 7) – dal Consiglio nazionale forense al termine di un’apposita istruttoria sulla domanda (ovviamente per i soli soggetti di cui alle lettere (c) e (d) del comma 4), ovvero (ii) rifiutata. In quest’ultimo caso, come in tutti quelli in cui il Consiglio nazionale forense emana un provvedimento amministrativo, il rifiuto può essere impugnato nelle opportune sedi giudiziali. E’ superfluo precisare che il rifiuto dell’iscrizione non significa che il richiedente non può organizzare e gestire scuole, o corsi di formazione, ma solo che gli attestati di frequenza rilasciati non sono validi ai fini dell’iscrizione all’esame da sostenere presso il Consiglio nazionale forense.
Infine i commi 8) e 9) si occupano di disciplinare il procedimento per la revoca dell’iscrizione una volta che questa sia stata ottenuta.
Infatti, anche per il principio del contrarius actus, il Consiglio nazionale forense può sempre revocare l’iscrizione e strumentalmente all’esercizio di tale potere è previsto che possa svolgere attività di controllo e vigilanza richiedendo informazioni, documenti, chiarimenti, impartendo segnalazioni e direttive.
Non potendo la revoca essere disposta discrezionalmente, sono stati previsti quattro casi ricorrendo i quali essa può essere pronunciata, e precisamente quando il Consiglio: (a) accerti che sono venuti meno i requisiti di iscrizione: (b) verifichi che non sia stata richiesta, ovvero, se richiesta, rifiutata l’autorizzazione di cui all’art. 8), per almeno due volte; (c) accerti che, sebbene autorizzata, la gestione e l’esercizio di scuole, o corsi di alta formazione, non avviene nel rispetto del programma di cui all’art. 8.1.a), o avviene con modalità che non garantiscono la realizzazione degli scopi di cui all’art. 7.5); d) quando non siano state osservate le segnalazioni e le direttive emanate dal Consiglio nell’esercizio dei sui poteri di vigilanza.
In disparte il primo caso che non solleva particolari problemi, il secondo si riferisce al sistema di autorizzazione ad organizzare il programma formativo delle scuole, o dei corsi previsto dall’art. 8). Infatti, non basta appartenere al novero dei soggetti iscritti nell’apposito registro ed abilitati dal Consiglio nazionale forense a gestire i corsi, o le scuole di formazione, ma occorre – come prevede il cit. art. 8) – che il programma dettagliato dell’insegnamento, con indicate le ore e le materie, sia annualmente comunicato al Consiglio nazionale forense per la sua approvazione. Se l’autorizzazione non sia stata richiesta, ovvero sia stata rifiutata per almeno due volte, è possibile la revoca dell’iscrizione nel registro dei soggetti autorizzati. Simmetricamente, se l’autorizzazione sia stata rilasciata ma poi, in concreto, la gestione della scuola, o del corso, avvengano non in conformità del programma sulla base del quale essa (autorizzazione) è stata concessa, l’iscrizione potrà essere revocata.
Infine, altro motivo di revoca è la mancata osservanza delle direttive e segnalazioni fatte dal Consiglio nazionale forense per quanto attiene alla gestione dei corsi, o delle scuole.
Art. 8 -. (Approvazione preventiva e sorveglianza sulle scuole e dei corsi di alta formazione).
Quanto sopra detto a proposito della revoca si chiarisce meglio esaminando la struttura dell’art. 8) che, in sostanza, disciplina il meccanismo dell’approvazione preventiva da parte del Consiglio nazionale forense dei programmi dei corsi e delle scuole.
Il sistema che in tal modo viene a configurarsi è basato su una sorta di doppio binario, corrispondente ad un altrettanto doppio stadio di controllo sull’idoneità, in astratto, del soggetto formatore a svolgere il compito e sulla congruità, ed in concreto, del programma formativo rispetto alla sua funzione; infatti, dapprima è necessario che l’ente formatore sia iscritto nello speciale registro di cui all’art. 7), condizione, questa, indispensabile perché l’attestato di frequenza rilasciato possa essere speso per essere ammessi all’esame; secondariamente, è altrettanto indispensabile che i programmi formativi siano annualmente comunicati al Consiglio nazionale forense e da questo autorizzati (art. 8) cit.). Ne deriva che la coppia iscrizione/autorizzazione costituisce il perno attorno a cui ruota la formazione specialistica la quale non potrà sortire gli esiti voluti se l’ente che la somministra non sia iscritto nel registro ed i suoi programmi non siano autorizzati.
Cosicché, il rifiuto di iscrizione nel registro dei soggetti abilitati alla formazione, la successiva revoca dell’iscrizione, il rifiuto dell’autorizzazione concernente i programmi formativi, o la sua revoca, concorrono a formare un sistema organico che garantisce l’idoneità dell’offerta formativa sia dal lato del soggetto che se ne fa carico, sia dal lato del contenuto.
A proposito di autorizzazione, il comma 2) introduce il meccanismo del silenzio/assenso dato che l’autorizzazione relativa ai programmi annuali si intende accordata se non rifiutata espressamente entro 120 giorni dalla sua richiesta.
L’autorizzazione concessa può a sua volta essere revocata se si accerti che, in concreto, la gestione e l’esercizio delle scuole e dei corsi non rispetta il programma sulla base del quale essa è stata rilasciata; ovvero se gestione ed esercizio avvengano con modalità contrastanti con gli scopi prefissi dal regolamento. Il caso potrebbe essere quello proposto supra di una scuola, o di un corso, che rilascino attestati di frequenza senza considerazione delle assenze, o basandosi su un quantitativo di assenze ammesse superiore al limite delle 20 ore nel biennio previste dal regolamento; in un caso come questo, non solo l’attestato – come si è visto – non è utile ai fini dell’ammissione all’esame, ma l’autorizzazione può essere revocata perché la gestione e l’esercizio avvengono in modo che confligge con quanto previsto dal regolamento; e poiché esso è il veicolo per la realizzazione degli scopi di interesse pubblico e di tutela del cittadino, è come se detta gestione, o esercizio, si svolgessero con modalità contrastanti con i predetti scopi.
Ai fini dell’esercizio del potere di rilascio, o revoca, delle autorizzazioni, si prevede al comma 4) che il Consiglio nazionale forense eserciti funzioni di ispezione e vigilanza.
Art. 9 -. (Attribuzione del titolo di specialista).
Il titolo di specialista è attribuito solo dal Consiglio nazionale forense previo superamento dell’apposito esame; esso, secondo quanto prescritto dall’art. 9), può essere speso indicando la qualifica di specialista seguita dall’area di riferimento. Così si potrà correttamente dire di essere specialista in diritto commerciale, specialista in diritto tributario, e così via.
Art. 10 -. (Commissioni e disciplina dell’esame).
L’intero art. 10) è dedicato alla disciplina dell’esame prevedendosi al primo comma che la commissione d’esame deve essere comunque presieduta da uno dei commissari nominati dal Consiglio nazionale forense. Questi ultimi (lett. a) e b) sono complessivamente in numero di cinque, di cui tre nominati dal Consiglio nazionale forense e due dall’associazione specialistica competente (l’uno e l’altra nominano altresì altrettanti commissari supplenti). Tutto ciò rende chiaro che vanno formate presso il Consiglio nazionale forense tante commissioni d’esame quante sono le aree specialistiche per le quali si chiede il rilascio del titolo.
Quanto alle associazioni potrebbe accadere che ve ne sia più d’una per la stessa area specialistica, ipotesi al momento non concreta, ma che potrebbe concretizzarsi in futuro tenuto conto che secondo l’art. 11) qualsiasi associazione di nuova formazione può chiedere di essere riconosciuta per gli effetti previsti dal regolamento se soddisfa le condizioni previste dal cit. art. 11). Nel caso di pluralità, sarà necessario un concerto tra quelle interessate ai fini della nomina dei commissari di spettanza; in mancanza di concerto, la nomina è effettuata in via surrogatoria dal Consiglio nazionale forense.
Potranno essere nominati commissari solo avvocati abilitati all’esercizio professionale innanzi alle magistrature superiori (comma 2).
La domanda di partecipazione all’esame dovrà essere corredata della documentazione necessaria a comprovare il possesso dei requisiti previsti, compresa quella idonea a dimostrare l’esperienza pregressa nell’area specialistica di riferimento (comma 3).
L’esame consiste in una prova scritta su di un argomento relativo all’area di specializzazione ed in una orale. Quanto a quest’ultima, essa è duplicemente articolata: accanto ad una parte (per così dire) ordinaria consistente in una discussione su argomenti di pertinenza dell’area specialistica, ve n’è un’altra per mezzo della quale l’interessato deve dimostrare il possesso del requisito dell’esperienza pregressa nella materia. Ciò è possibile comprovando un certo numero di casi trattati, il modo della loro gestione ed il rispettivo grado di complessità. Per consentire una discussione orale sul punto, il candidato avrà dovuto presentare, in precedenza, allegandola alla domanda, una relazione scritta con l’indicazione anonima di un numero significativo di casi, delle autorità presso cui sono stati trattati, del loro numero di ruolo generale, delle udienze, delle problematiche poste dalle singole fattispecie e di quant’altro ritenuto opportuno, unitamente alla documentazione, anche in copia non autentica, atta a comprovare quanto oggetto della dichiarazione. Il perché di questa particolare articolazione della prova orale risiede nel fatto che l’acquisto della qualifica di specialista implica che l’interessato sia particolarmente esperto, dato, questo, da dimostrare. La previsione è peraltro in linea con quelle di altri regolamenti europei sulla specializzazione, com’è, ad esempio, il caso del regolamento per le specializzazioni della Federazione degli avvocati svizzeri varato il 21.1.2003 il cui § 14 prevede che il candidato debba dimostrare “(…) di disporre di un’esperienza pratica superiore alla media nel settore del diritto in questione”. Quanto alla dimostrazione di tale esperienza, la previsione che essa debba essere dimostrata tramite illustrazione di un “(…) numero significativo di casi” svincola la valutazione da criteri numerici rigidi.
Art. 11 -. (Associazioni fra avvocati specialisti riconosciute dal CNF).
Come si è visto, tra gli enti formatori che possono essere iscritti nel relativo registro, sono comprese anche le Associazioni specialistiche di cui – recita il comma 1) – il Consiglio nazionale forense tiene aggiornato e rende accessibile al pubblico, tramite pubblicazione sul suo sito Internet, l’elenco.
Per l’iscrizione in quest’ultimo è necessario si tratti di associazioni rappresentative e diffuse territorialmente (comma 2) e la dimostrazione di questi due requisiti è affidata dal comma 3) – quanto al primo – alla prova di avere un numero di iscritti almeno pari al 20% degli avvocati specialisti della corrispondente area e – quanto al secondo – alla prova di un’articolazione territoriale con autonome sezioni in almeno la metà dei distretti di Corti di appello della Repubblica.
Questa previsione consente, se ne esistono i presupposti, l’attuazione di un pluralismo associazionistico che non esclude nessuno, in linea teorica e di principio, dal concorrere alla formazione specialistica.
Del resto, un criterio quantitativo di tal genere, non favorisce il mantenimento dell’esistente, ché anzi permette ampia mobilità.
Perché possa essere iscritta nel registro, l’associazione che abbia i requisiti di cui sopra, deve avere uno statuto che (comma 4): (a) preveda come unica finalità la promozione deI profilo professionale, la formazione e l’aggiornamento specialistico dei suoi iscritti; (b) escluda espressamente il rilascio di attestati di competenza professionale; (c) contempli una disciplina degli organi associativi su base democratica con esclusione di finalità lucrative. L’associazione deve dotarsi di strutture organizzative e tecnico-scientifiche idonee ad assicurare l’adeguato livello di qualificazione e aggiornamento professionali.
Il Consiglio nazionale forense, anche per il tramite dei Consigli degli ordini circondariali, esercita la vigilanza sul mantenimento dei requisiti e delle condizioni per il riconoscimento delle associazioni, nonché il controllo sul rispetto delle prescrizioni. Le associazioni specialistiche dovranno attestare e, ove richiesto, comprovare, almeno ogni triennio, la permanenza dei requisiti di cui sopra (comma 5).
In sede di prima applicazione sono iscritte di diritto nell’elenco delle associazioni specialistiche riconosciute dal Consiglio nazionale forense per i fini del regolamento quelle riconosciute come maggiormente rappresentative dal Congresso nazionale forense e cioè: (a) l’Associazione Avvocati Giuslavoristi italiani (AGI); (b) l’Associazione Italiana Avvocati per la Famiglia (AIAF); (c) l’Unione Camere Penali Italiane (UCPI); (d) l’Unione Nazionale Camere Avvocati Tributaristi (UNCAT); (e) l’Unione Nazionale Camere Civili (UNCC); (f) la Società italiana avvocati amministrativisti (SIAA).
E’ vero che detto riconoscimento congressuale è avvenuto per tutt’altri fini, ma è bensì vero che questo costituisce un criterio estrinseco, più valido di altri, o meno inidoneo di altri, per far sì che associazioni costituite da decenni ed oramai storicamente consolidatesi, nonché certamente rappresentative, possano veder riconosciuto da subito e di diritto un loro status, che trova nel riconoscimento effettuato dal Congresso nazionale forense, seppur ad altri fini, il crisma della rappresentatività, autorevolezza e soprattutto serietà.
Art. 12 -. (Aggiornamento professionale specialistico).
La disciplina dell’art. 12) concerne un aspetto fondamentale della specializzazione e cioè l’aggiornamento professionale poiché – come già precisato – il titolo di specialista non va solo acquisito, ma anche conservato; e la sua conservazione presuppone l’adempimento degli obblighi formativi.
E’ ovvio che le esigenze di formazione di un avvocato specialista sono diverse da quelle di un avvocato generalista; l’interferenza tra i due aspetti della formazione, quella disciplinata dal regolamento per la formazione continua approvato dal Consiglio nazionale forense il 13.7.2007 e quello della formazione dell’avvocato specialista, è regolata dalla norma dell’art. 12), comma 1), seconda parte, per la quale “restano ferme, per quanto non espressamente derogato dal presente regolamento, le disposizioni del regolamento sulla formazione continua”.
Ciò vuol dire che per l’avvocato specialista valgono, anzitutto, le norme sulla formazione contenute nel presente regolamento e, per quanto qui non previsto, anche quelle del regolamento sulla formazione continua dell’avvocato generalista. La previsione non deve però essere interpretata nel senso che i crediti formativi debbano essere sommati; si occupa di chiarire questo specifico aspetto il comma 5) secondo cui “I crediti formativi conseguiti per l’aggiornamento professionale specialistico, sono valutabili come crediti formativi per la formazione continua di cui al regolamento approvato dal Consiglio Nazionale Forense il 13 luglio 2007 e successive modificazioni”. Poiché i crediti formativi da conseguire da parte dello specialista sono 120 e quelli dell’avvocato generalista sono 90, è ovvio che con l’adempimento del suo debito formativo specifico, l’avvocato specialista adempie contemporaneamente anche quello previsto dal regolamento per la formazione continua. Di ulteriormente diverso rispetto a quest’ultimo non è solo il monte crediti formativi che è di 120 nel triennio, ma anche il limite minimo di crediti formativi da adempiere nel singolo anno che sale da 20 (come previsto per l’avvocato generalista) a 30 (comma 4). Esclusi questi aspetti, valgono per la formazione continua dell’avvocato specialista le norme ed i criteri del regolamento sulla formazione del 13.7.2007 (comma, 1, seconda parte) del quale, peraltro, non è esclusa una rivisitazione per eventualmente coordinare al meglio i due testi, eliminando possibili aspetti di dubbio interpretativo.
Il Consiglio dell’ordine degli avvocati nel cui albo è iscritto lo specialista ha il compito di controllare l’adempimento dei relativi obblighi formativi (comma 6) e ciò è reso possibile dal fatto che – secondo quanto si è già visto in commento all’art. 5) comma 2) – il Consiglio nazionale forense invia periodicamente ai consigli territoriali interessati l’elenco degli avvocati cui è stato rilasciato il diploma; col che detti consigli sono in grado di sapere esattamente quanti e quali siano gli specialisti iscritti nel proprio albo, potendo così esercitare nei loro confronti un controllo differenziato anche per quanto riguarda l’adempimento degli obblighi formativi.
Infine il comma 7) prescrive che i corsi per la formazione continua nelle materie specialistiche possono essere organizzati esclusivamente dagli stessi soggetti abilitati ad organizzare e gestire le scuole ed i corsi e che siano iscritti nel relativo registro tenuto dal Consiglio nazionale forense. Questa è dizione che – come già sottolineato – include automaticamente nel novero dei soggetti abilitati i Consigli territoriali e le associazioni specialistiche; ma non esclude anche altri enti ed organizzazioni che abbiano ottenuto l’iscrizione nel registro dei soggetti abilitati, riaffermandosi, anche in questo ambito, il principio del pluralismo dell’offerta formativa.
Art. 13 -. (Disciplina transitoria).
Con l’art. 13) viene introdotta una disciplina transitoria che riguarda gli avvocati che all’atto dell’entrata in vigore del regolamento – e cioè alla data del 30.6.2011 – abbiano un’anzianità minima di iscrizione continuativa all’albo di almeno 20 anni.
Per essi il regolamento non prevede alcun automatismo nell’acquisizione del titolo di specialista nel senso che non opera un effetto trascinamento dovuto all’età, questa costituendo una delle componenti del relativo procedimento.
Infatti, soddisfatto l’anzidetto requisito minimo, una prima restrizione opera relativamente al numero delle aree in cui la specializzazione può essere conseguita, limitata ad una, rispetto alle due previste dall’art. 3), comma 1) per chi segue il procedimento (per così dire) ordinario.
L’altra condizione è che l’interessato sia in grado di dimostrare, con apposita documentazione da allegare alla domanda unitamente ai titoli, la “(…) specifica competenza teorica e pratica nel settore prescelto”(comma, 1), lett. a).
Domanda, documentazione e titoli vanno depositati presso il Consiglio territoriale nel cui albo l’interessato è iscritto il quale, prima di trasmetterli al Consiglio nazionale forense, formulerà un parere, non vincolante, sulla fondatezza e meritevolezza della richiesta (comma 2).
A questo punto il Consiglio nazionale forense avrà quattro scelte: (a) potrà ritenere documentazione e titoli presentati dall’interessato e parere espresso dal consiglio territoriale idonei e sufficienti per esprimere un giudizio positivo sulla richiesta di attribuzione del titolo di specialista e lo attribuirà; (b) potrà ritenerli non idonei, o non sufficienti, e decidere di sottoporre il richiedente ad un colloquio vertente sulla documentazione ed i titoli presentati; in questo caso solo l’esito positivo di tale prova orale permetterà l’acquisizione del titolo (comma 1, lett. b); (c) potrà, anche valorizzando l’eventuale parere negativo del consiglio territoriale, ritenere non idonei documentazione e titoli a giustificare l’acquisizione del titolo di specialista e rifiutare di attribuirlo; (d) potrà, ritenendo allo stato l’inidoneità, o l’insufficienza di documentazione e titoli non tale da giustificare il rifiuto di cui sub (c), richiedere informazioni ulteriori, o documentazione integrativa (comma 3, ultima parte) alla luce della quale, assumerà una delle tre decisioni di cui sopra.
Come si vede, il procedimento è privo di qualsiasi automatismo e l’acquisizione del titolo non è effetto naturale dell’anzianità essendo il richiedente sottoposto ad un doppio vaglio, quello del Consiglio territoriale e quello del Consiglio nazionale forense.
La disciplina è completata dalla previsione di una forma di silenzio/assenso poiché, se entro 120 giorni dal ricevimento della domanda il Consiglio nazionale forense non l’avrà rifiutata, o non avrà disposto la richiesta di informazioni ulteriori, o documentazione integrativa (richiesta che varrà a interrompere il corso dei 120 giorni), la domanda si intenderà accolta.
Art. 14 -. (Entrata in vigore. Revisione del regolamento).
La norma dell’art. 14) differisce l’entrata in vigore del regolamento al 30.6.2011 per consentire a ciascuno dei soggetti, enti, organizzazioni, comunque coinvolti nel processo di attuazione del presente regolamento, di predisporre quanto necessario a fronteggiare le richieste di attribuzione del titolo di specialista e di progettare l’organizzazione necessaria a gestire scuole, o corsi di formazione.
Particolare attenzione merita la seconda parte dell’art. 14) laddove precisa che, al di là del potere di aggiornamento ogni quadriennio delle aree di specializzazione, il Consiglio nazionale forense si riserva la facoltà di sottoporre il regolamento a revisione entro un anno dalla sua entrata in vigore e quindi entro il 30.6.2012 con particolare riferimento alle aree di specializzazione; in tal senso il periodo sino al 30.6.2012 viene considerato alla stregua di fase sperimentale nel corso della quale valutare l’esistenza di eventuali lacune disciplinari, difetti di coordinamento tra parti del regolamento, o tra queste ed altre fonti disciplinari esterne, in specie il regolamento sulla formazione professionale continua ed il codice deontologico forense, esigenze di completamento della disciplina, con particolare riferimento alle aree di specializzazione. Ed è soprattutto in relazione all’identificazione di quest’ultime che il Consiglio nazionale forense si attende un contributo fattivo dei vari protagonisti ordinamentali e del mondo delle associazioni che permettano, anche tramite l’osservazione tratta dalla pratica e dal diritto vivente, di verificare la tenuta logica e giuridica dell’elencazione contenuta nell’art. 3) eventualmente curvandola nel modo che sarà ritenuto più opportuno; sicché a buon ragione è stato detto che il presente regolamento costituisce un cantiere aperto e l’art. 14) ne rappresenta la dimostrazione.
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Qui, nel sito del CNF, il testo in PDF della relazione