Il comma 5 dell’articolo 43 della legge n. 47 del 1985 – secondo il quale “possono ottenere la sanatoria le opere non ultimate per effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali limitatamente alle strutture realizzate e ai lavori che siano strettamente necessari alla loro funzionalità” – può essere applicato agli edifici che, anche se non ultimati, abbiano acquistato una fisionomia che ne renda riconoscibile il disegno progettuale e la destinazione e debba essere solo completato ai fini della sua funzionalità; pertanto, la sanatoria anzidetta non può essere concessa nel caso in cui i lavori di costruzione si siano arrestati alla prima fase e non siano riconoscibili oggettivamente né la funzione, né la configurazione generale del costruendo edificio. La sanatoria di edifici non ultimati per effetto di provvedimenti di sospensione postula la mancanza dei lavori strettamente necessari alla funzionalità di quanto già costruito e non consente l’integrazione delle opere con interventi edilizi che diano luogo a nuove strutture: di conseguenza, la realizzazione della sola struttura portante in travi e pilastri non risulta sufficiente, mancando il completamento delle strutture edilizie necessarie a definire la volumetria edilizia.
Lo ha stabilito, lo scorso 6 dicembre, il Tar Palemo con sentenza n. 2277 di cui si riporta il testo.
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Tar Sicilia – Palermo, Sezione Terza
Sentenza 6 dicembre 2011, numero 2277
(presidente Monteleone, estensore Pignataro)
(…)
Diritto
1. Il ricorso è infondato. 1.1. Giova una breve ricostruzione dei fatti di causa attraverso gli atti depositati dal ricorrente. Già in data 4 agosto 1993 il sig. Ignazio Amato aveva chiesto la concessione in sanatoria per il fabbricato con struttura in c.a. a due elevazioni, edificato abusivamente (piano seminterrato composto da un unico vano con copertura di tipo prefabbricato e scala in c.a. conducente al piano superiore costituito da 14 pilastri privi di copertura), in Marsala, c.da Rakalia, i cui lavori erano stati dapprima sospesi dal Comune intimato, con provvedimento del 15 luglio 1987, e, poi, oggetto della conseguente ingiunzione di demolizione dell’11 maggio 1994 per entrambi i piani (sulla scorta del parere negativo reso dall’Ufficio comunale competente a causa del rilevato contrasto con il regolamento edilizio vigente). A seguito dell’entrata in vigore della legge n. 724 del 1994, l’odierno ricorrente ha presentato una nuova istanza di condono per l’intero fabbricato abusivamente edificato, specificandone la destinazione finale, ossia lo sfruttamento per l’attività commerciale, con annesso deposito; in seno alla detta domanda il ricorrente ha inoltre precisato che alla data del 31 dicembre 1993 il manufatto non era agibile e non era utilizzato per gli scopi cui era destinato. Istruita tale istanza, il Comune di Marsala, con atto prot. n. 15398 del 2 marzo 2008, ha determinato l’importo dell’oblazione e degli oneri concessori e ne ha intimato al ricorrente il pagamento, ma con riguardo al solo “deposito seminterrato”. Il condono è poi stato negato parzialmente (atto impugnato con il ricorso introduttivo) con riguardo ai quattordici pilastri del piano superiore, e a ciò è seguito l’ordine di demolizione (atto impugnato con i motivi aggiunti): la motivazione che sorregge sia il diniego parziale di condono, sia l’ordine di demolizione, è la mancata ultimazione dell’opera entro il 31 dicembre 1993. Con il gravame proposto il ricorrente deduce che l’intera opera sarebbe sanabile ai sensi dell’art. 43 ultimo comma della legge n. 47 del 1985 che consentirebbe la sanatoria per le opere sospese per effetto di un provvedimento amministrativo o giurisdizionale intervenuto prima del 31 dicembre 1993, così come sarebbe accaduto nel caso di specie ove l’ordine di sospensione dei lavori è datato 15 luglio 1987. 1.2. La questione giuridica agitata in giudizio concerne l’applicabilità, al manufatto per il quale è stato richiesto il condono edilizio, del comma 5 dell’articolo 43 della legge 47/1985, secondo il quale “possono ottenere la sanatoria le opere non ultimate per effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali limitatamente alle strutture realizzate e ai lavori che siano strettamente necessari alla loro funzionalità”. L’interpretazione giurisprudenziale della norma, condivisa dal Collegio, (cfr. Cons. Stato, IV, 30 giugno 2005, n. 3542; V, 20 dicembre 2001, n. 6327; T.A.R. Toscana Firenze, III, 6 aprile 2010, n. 927; T.A.R. Campania, Salerno, II, 26 gennaio 2009, n. 177) ha chiarito che la sanatoria di edifici non ultimati per effetto di provvedimenti di sospensione postula la mancanza dei lavori strettamente necessari alla funzionalità di quanto già costruito e non consente l’integrazione delle opere con interventi edilizi che diano luogo a nuove strutture: di conseguenza, la realizzazione della sola struttura portante in travi e pilastri non risulta sufficiente, mancando il completamento delle strutture edilizie necessarie a definire la volumetria edilizia. È stato anche affermato (cfr. Cons. Stato, II, 14 marzo 1990, n. 669) che la richiamata disposizione normativa può essere applicata agli edifici che, anche se non ultimati, abbiano acquistato una fisionomia che ne renda riconoscibile il disegno progettuale e la destinazione e debba essere solo completato ai fini della sua funzionalità; pertanto, la sanatoria anzidetta non può essere concessa nel caso in cui i lavori di costruzione si siano arrestati alla prima fase e non siano riconoscibili oggettivamente né la funzione, né la configurazione generale del costruendo edificio. Rileva il Collegio che il requisito della “non ultimazione” previsto dall’art. 43 deve essere logicamente letto in relazione a quello ordinario della “ultimazione” previsto dall’art. 31 della legge n. 47/1985, secondo cui “si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura ovvero, quanto alle opere interne e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano completate funzionalmente”, con la conseguenza che possono conseguire la sanatoria edilizia anche manufatti la cui realizzazione sia arrestata ad uno stadio anteriore a quello di configurabilità dei predetti requisiti. Tuttavia, avendo la disposizione di cui all’art. 43 carattere eccezionale rispetto alla regola generale sancita dall’articolo 31, essa è di stretta interpretazione ed applicabile in termini restrittivi (vertendosi, tra l’altro, in materia di condono di lavori abusivi), richiedendosi necessariamente che il manufatto, pur non ultimato, sia suscettibile di una sicura identificazione edilizia, sia da un punto di vista strutturale che della destinazione. Tale situazione non appare configurabile nel caso in esame. Invero, l’odierno ricorrente ha chiesto il condono edilizio per la realizzazione di un locale commerciale con strutture portanti in cemento armato. Nella stessa istanza di condono viene precisato che il piano interrato si estende per una superficie di mq. 168,92 e un volume pari a mc. 599, 58 e il piano terra da completare, si estenderebbe per mq 168,92 con un volume (definito tecnico) calcolato in mc. 557,435. La documentazione, anche fotografica, in atti, rivela la presenza di una struttura seminterrata coperta ma priva di muri perimetrali e sovrastata da quattordici pilastri. Le richiamate opere, a giudizio del Collegio, non prefigurano in maniera certa né quale sarà la volumetria effettiva del piano superiore, nonostante il ricorrente ne abbia effettuato il calcolo, che è da ritenersi meramente progettuale, né la realizzazione di un locale con destinazione commerciale. Da quanto sopra, emerge che la parte dell’opera per la quale il condono è stato negato, quanto al piano superiore che è costituito dai soli pilastri portanti, non è allo stato esistente, atteso che la sua identità edilizia potrebbe essere conseguita non con meri lavori di completamento, ma attraverso un’operazione più complessa che richiede necessariamente nuove opere edilizie assai diverse dalle sole rifiniture. Non sussistono, dunque, i presupposti per l’applicazione nella specie dell’invocata norma di cui all’art. 43 della legge n. 47/1985. Sulla base delle considerazioni svolte, pertanto, il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti sono infondati e vanno respinti. 2. Nulla si dispone in ordine alla spese processuali attesa la mancata costituzione in giudizio del Comune intimato.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Nulla per le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 4 novembre 2011
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 06/12/2011