Secondo il Tar-Puglia, il soggetto a cui è stato rilasciato il titolo abilitativo non deve essere avvisato dell’avvio del procedimento di decadenza.
Se l’interessato, pertanto, non inizia i lavori entro i tempi di cui è a conoscenza, il permesso di costruire decade automaticamente.
La stessa giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di affermare che “il provvedimento teso alla decadenza dalla concessione edilizia per mancato inizio dei lavori nel termine prefissato … esime la PA dall’attivare la procedura di cui al suindicato art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241: invero, si è in presenza di un provvedimento a contenuto vincolato, di carattere ricognitivo di un effetto decadenziale che si produce automaticamente in relazione al mero decorso del tempo, per cui non può non applicarsi il dettato salvifico recato dall’art. 21-octies della stessa legge sul procedimento amministrativo”(T.A.R. Toscana, sez. III, 17 novembre 2008, n. 2533).
“In ordine alla decadenza dalla concessione edilizia per mancato inizio dei lavori nel termine prefissato, la qualificazione delle opere da ritenersi come valido inizio dei lavori presuppone infatti che le opere realizzate devono essere finalizzate alla realizzazione del manufatto oltreché avere una certa consistenza, dovendosi così escludere che possano costituire inizio dei lavori quelle opere solo fittiziamente eseguite e che, perciò stesso, non evidenziano l’esistenza di una concreta voluntas aedificandi da parte del titolare della concessione edilizia” (T.A.R. Toscana, sez. III, 17 novembre 2008, n. 2533).
Deve trattarsi, in altre parole, di un inizio serio e significativo dei lavori.
Di seguito, il testo integrale della sentenza
…
Tar Puglia-Lecce Sezione Prima
Sentenza numero 1582 del 9 settembre 2011
(estensore Santini, presidente Cavallari)
(…)
FATTO e DIRITTO Con provvedimento n. 1 del 26 gennaio 2009 il Comune di Casarano ha autorizzato la società ricorrente a realizzare un impianto per l’essicazione della sansa (sansificio) all’interno di un’area di 14 ettari ubicata nel territorio del suddetto comune. L’impianto sarebbe stato composto, secondo il progetto approvato, da diversi corpi di fabbrica nonché da vasche a cielo aperto.
Il provvedimento prevedeva l’obbligo di avvio dei lavori edilizi entro un anno dal ritiro del titolo. In data 26 gennaio 2009 veniva comunicato l’avvio dei lavori.
Con provvedimento in data 29 aprile 2010 il settore pianificazione del territorio del Comune di Casarano faceva presente, sulla base di un verbale redatto a seguito di sopralluogo del 13 aprile 2010, che a quella stessa data le opere previste non erano ancora state avviate, non essendovi “traccia alcuna di lavori edili”. Di conseguenza si comunicava la decadenza dal titolo edilizio ai sensi dell’art. 15 del DPR n. 380 del 2001. La decadenza del titolo veniva poi confermata dallo sportello unico attività produttive della stessa amministrazione comunale.
Tali provvedimenti venivano impugnati per i seguenti motivi: a) violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, dato che alla società ricorrente non è stato comunicato l’avvio del procedimento di decadenza; b) violazione dell’art. 15 del DPR n. 380 del 2001 nonché eccesso di potere per erroneità dei presupposti e difetto di istruttoria. Nella prospettiva del ricorrente sarebbe stato infatti effettuato “un esame parziale delle aree oggetto di intervento che non ha consentito di accertare che i lavori … erano iniziati con la realizzazione delle fondazioni dell’edificio n. 7 … che interessavano una parte dell’area differente da quella esaminata e fotografata e semplicemente non visibile dal punto di ripresa”.
Veniva altresì formulata istanza di risarcimento danni. Si costituiva in giudizio l’amministrazione comunale per chiedere il rigetto del gravame mediante articolate controdeduzioni che formeranno più avanti oggetto di specifica trattazione. Circa, poi, la produzione documentale versata dal Comune di Casarano in data 18 maggio 2011, parte ricorrente sollevava eccezione di inutilizzabilità di siffatti documenti per violazione del termine di cui all’art. 46, comma 2, c.p.a., il quale impone alla PA di versare in giudizio il provvedimento impugnato e tutti gli atti ad esso relativi nel termine di 60 giorni dalla avvenuta notificazione del ricorso. Alla pubblica udienza del 30 giugno 2011 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso veniva infine trattenuto in decisione.
Tutto ciò premesso, va innanzitutto rigettata l’eccezione di tardività sollevata in ordine alla produzione documentale della amministrazione comunale intimata, dal momento che il termine di cui al citato art. 46 c.p.a. è soltanto ordinatorio, non implicando la sua inosservanza alcuna sanzione o decadenza a carico della PA ma soltanto argomento di prova liberamente valutabile dal giudice ai sensi dell’art. 116 c.p.c. oppure l’intervento sostitutivo del presidente del collegio o del magistrato delegato ai sensi dell’art. 65, comma 3, c.p.a.
Come affermato dalla giurisprudenza amministrativa, infatti, il provvedimento impugnato e gli atti del procedimento amministrativo relativo sono per definizione “indispensabili” al giudizio e la mancata produzione da parte dell’Amministrazione non comporta decadenza, sussistendo il potere-dovere del giudice di acquisirli d’ufficio (Cons. Stato, sez. VI, 9 maggio 2011, n. 2738).
Nel merito va innanzitutto rigettata la censura riguardante l’omessa comunicazione di avvio del procedimento in quanto, trattandosi di atto decadenziale a natura dichiarativa e vincolata, è risultato palese in giudizio, come più avanti si vedrà, che il contenuto dell’atto non avrebbe potuto essere diverso da quello dell’atto in concreto adottato. Si ritiene in altre parole possa trovare applicazione nel caso di specie quanto previsto dall’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990.
Del resto, la stessa giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di affermare che “il provvedimento teso alla decadenza dalla concessione edilizia per mancato inizio dei lavori nel termine prefissato … esime la PA dall’attivare la procedura di cui al suindicato art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241: invero, si è in presenza di un provvedimento a contenuto vincolato, di carattere ricognitivo di un effetto decadenziale che, come già sopra accennato, si produce automaticamente in relazione al mero decorso del tempo, per cui non può non applicarsi il dettato salvifico recato dall’art. 21-octies della stessa legge sul procedimento amministrativo” (T.A.R. Toscana, sez. III, 17 novembre 2008, n. 2533).
Per i motivi suddetti il primo motivo deve dunque essere rigettato.
Quanto invece al secondo motivo di ricorso, si rammenta che il provvedimento impugnato si basa su un accertamento effettuato dalla polizia municipale del 13 aprile 2010 nel cui verbale si afferma che “nel terreno in questione non vi è traccia alcuna di lavori edili, di movimenti anomali di terra o di macchinari da lavoro.
Come si può desumere dalla documentazione fotografica allegata, al di là di una spianata di terreno dove cresce vegetazione spontanea, vi sono numerosi alberi d’ulivo abbondantemente potati ma nulla che faccia pensare ad un inizio lavori del predetto sansificio”. Sostiene la società ricorrente che sarebbe stato al riguardo effettuato “un esame parziale delle aree oggetto di intervento che non ha consentito di accertare che i lavori … erano iniziati con la realizzazione delle fondazioni dell’edificio n. 7 … che interessavano una parte dell’area differente da quella esaminata e fotografata e semplicemente non visibile dal punto di ripresa”.
Da quanto si evince dal successivo sopralluogo della polizia municipale in data 16 marzo 2011 (cfr. verbali prodotto in atti in data 18 maggio 2011) emergerebbe in effetti “la presenza di un piccolo muretto allo stato grezzo di ml 30 circa e altezza di cm 75 circa, la cui realizzazione, a detta di un proprietario di un fondo viciniore, risale all’estate del 2010”. Tuttavia, mentre parte ricorrente sostiene che tali opere sarebbero state realizzate prima del sopralluogo del 13 aprile 2010, l’amministrazione resistente continua ad affermare che le stesse sarebbero state effettuate dopo tale data, dunque sempre all’indomani dello scadere del termine annuale di decadenza di cui all’art. 15 del DPR n. 380 del 2001.
Ebbene, quanto all’accertamento effettuato in data 13 aprile 2010 osserva il collegio che il verbale della polizia municipale, come tutti i verbali provenienti da pubblici ufficiali, ha efficacia di piena prova, fino a querela di falso, ai sensi dell’art. 2700 c.c. relativamente alla provenienza dell’atto dal pubblico ufficiale che lo ha formato, alle dichiarazioni delle parti e agli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti e, se la fede privilegiata non si estende né agli apprezzamenti del pubblico ufficiale né alle sue valutazioni e deduzioni (Cons. Stato, sez. V, 28 aprile 2011, n. 2541), tali elementi non sono comunque privi di valore probatorio, in quanto possono fornire elementi presuntivi idonei a fondare la decisione ove siano gravi, precisi e concordanti (Cons. Stato, sez. I, 8 gennaio 2010, n. 250), ragion per cui tali rapporti conservano un’attendibilità intrinseca che può essere infirmata solo da una specifica prova contraria (T.A.R. Lazio, sez. III, 29 marzo 2005, n. 2163; T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 17 settembre 2010, n. 17438).
Ne consegue che le valutazioni e le deduzioni in tal modo svolte dai pubblici ufficiali possono essere confutate nella loro consistenza solo attraverso l’allegazione di circostanziate deduzioni di senso contrario (Cons. Stato, sez. VI, 24 settembre 2010, n. 7129), fornendo a tal fine prove idonee a vincere la veridicità del verbale, secondo l’apprezzamento rimesso al giudice (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 3 novembre 2010, n. 33138). Ora, in questa direzione la perizia giurata prodotta da parte ricorrente in data 20 maggio 2011, al di là del suo valore meramente indiziario e non probatorio (Cass. Civ. n. 4437 del 1997), appare ad ogni modo inidonea a provare l’erroneità delle valutazioni operate dagli agenti della polizia municipale con il verbale del 13 aprile 2010, e ciò dal momento che non viene evidenziato, così come neppure nel ricorso, il preciso momento in cui le opere sarebbero state effettuate. Parimenti inammissibile è la deduzione di parte ricorrente laddove si afferma, anche qui genericamente, che le opere realizzate non sarebbero state visibili “dal punto di ripresa”, senza indicare quali sia tale “punto”. Né al riguardo risulta sufficiente la richiamata perizia laddove si afferma che le fotografie scattate dagli agenti di PM sarebbero “state scattate presumibilmente nei punti contrassegnati nella planimetria allegata”, non rivestendo i requisiti della concretezza e della precisione, ai fini della allegazione del principio di prova, una valutazione che si autodefinisce “presumibile”.
Fermo restando che le allegazioni della società ricorrente non hanno raggiunto il livello di attendibilità e concretezza necessario a ricondurre la prova fornita dall’atto pubblico relativo al 13 aprile 2010 e da quello successivo del 16 marzo 2011 solo ad una parte dell’area interessata dal progetto edilizio – e in disparte ogni considerazione circa l’ammissibilità di una integrazione postuma della motivazione o la riconduzione dell’atto,da parte del Collegio,ad uno schema differente da quello seguito dall’Amministrazione – rileva il collegio come le opere pur presenti nell’area non sarebbero idonee a suffragare un serio e significativo inizio dei lavori.
Ed infatti, per accertare se sussistono o meno i presupposti per la decadenza di un permesso di costruire o di una concessione edilizia l’effettivo inizio dei lavori deve essere valutato non in via generale ed astratta, ma con specifico riferimento all’entità ed alle dimensioni dell’intervento edificatorio programmato ed autorizzato, all’evidente scopo di evitare che il termine prescritto possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e simbolici e non oggettivamente significativi di un effettivo intendimento del titolare della concessione di procedere alla realizzazione dell’opera assentita (T.A.R. Abruzzo Pescara, sez. I, 29 marzo 2011, n. 193)
In ordine alla decadenza dalla concessione edilizia per mancato inizio dei lavori nel termine prefissato, la qualificazione delle opere da ritenersi come valido inizio dei lavori presuppone infatti che le opere realizzate devono essere finalizzate alla realizzazione del manufatto oltreché avere una certa consistenza, dovendosi così escludere che possano costituire inizio dei lavori quelle opere solo fittiziamente eseguite e che, perciò stesso, non evidenziano l’esistenza di una concreta voluntas aedificandi da parte del titolare della concessione edilizia (T.A.R. Toscana, sez. III, 17 novembre 2008, n. 2533).
Deve trattarsi, in altre parole, di un inizio serio e significativo dei lavori (cfr. Cons. Stato, sez. II, 28 aprile 2010, n. 4170; Cons. Stato, sez. V, 29 novembre 2004, n. 7748; Cons. Stato, sez. V, 29 novembre 2004, n. 7748). Di conseguenza, l’accertamento del tempestivo inizio dei lavori deve basarsi non solo sulla quantità e qualità delle opere realizzate, ma soprattutto sulla loro idoneità a dimostrare la reale volontà del concessionario di dare corso all’opera autorizzata (T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 05 maggio 2010, n. 1731; Cons. Stato, sez. IV, 18 giugno 2008, n. 3030 ).
In particolare, l’idoneità delle opere a costituire l’effettivo inizio dei lavori edilizi deve essere concretamente considerata in rapporto al contesto complessivo del progetto stesso (Cons. Stato, sez. IV, 15 luglio 2008, n. 3527; T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 12 novembre 2008, n. 1587). L’inizio dei lavori, ai sensi del citato art. 15 comma 2, deve dunque intendersi riferito a concreti lavori edilizi; pertanto, i lavori debbono ritenersi “iniziati” quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nella compiuta organizzazione del cantiere, nell’innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio, per evitare che il termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici (Cass. penale, sez. III, 27 gennaio 2010, n. 7114)
In questa direzione non può dunque ritenersi che i lavori (pur) eseguiti nell’area de qua, e ciò a prescindere dalla loro corretta collocazione temporale (ossia se prima o dopo il sopralluogo del 13 aprile 2010), siano idonei a suffragare i requisiti minimi del serio e significativo inizio, dato che si tratta di opere (recinzione e muretto di modeste dimensioni che possono essere realizzati anche in poche ore di lavoro) che, in relazione alla consistenza complessiva dell’opera (oltre 3.600 metri cubi e 748 metri quadri pari a diversi fabbricati, locali e vasche di accumulo), senz’altro non possono che essere considerate esigue in termini quantitativi e funzionali in relazione all’entità e alle dimensioni del progetto. Oltre a ciò,si deve considerare che la realizzazione di fondazioni intorno ad alcuni alberi di olivo non può essere considerata,per ragioni tanto ovvie da non richiedere alcun commento,inizio dei lavori relativi ad un’opera delle dimensioni descritte.. Da quanto detto anche il secondo motivo di ricorso non può dunque trovare ingresso. I
In conclusione il ricorso è infondato e deve essere rigettato con riferimento sia all’azione impugnatoria sia, di conseguenza, all’azione risarcitoria. Stante la peculiarità della fattispecie esaminata sussistono peraltro giusti motivi per compensare le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Depositata in segreteria il 9/09/2011.