“Costituisce jus receptum (C.d.S., sez. V, 4 agosto 2010, n. 5201; 19 novembre 2009, n. 7247; 6 aprile 2009, n. 2138) che i bandi di gara di appalti pubblici possono contenere requisiti di partecipazione più rigorosi di quelli prescritti dalla legge, purché non discriminanti ed abnormi rispetto alle regole proprie del settore, e possono pertanto pretendere l’attestazione di requisiti di capacità diversi ed ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge, ciò rientrando nell’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione finalizzato a dare corretta attuazione ai principi di imparzialità e buon andamento predicati dall’articolo 97 della Costituzione“.
E’ quanto ha ribadito il Consiglio di Stato nella sentenza n.564 del 2 febbraio scorso.
Di seguito il testo della sentenza
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Consiglio di Stato, Sezione quinta
Sentenza numero 564 del 2 febbraio 2012
(estensore Quadro, presidente Trovato)
(…)
DIRITTO
5. L’appello è infondato nel merito, potendosi pertanto prescindere dall’esame dell’eccezione di inammissibilità del gravame sollevata dall’appellata amministrazione comunale di Delebio.
5.1. Esigenze sistematiche e comodità espositiva, oltre che priorità logico – giuridica, impongono di esaminare innanzitutto il secondo motivo di gravame, con il quale, lamentando “Erroneità della sentenza per travisamento e falsa applicazione di norme di legge (violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 42 del d. lgs. 163/2006, dell’art. 1 comma 3 del d.p.r. 34/2000, nonché del principio di buon andamento e del corollario di non aggravamento della procedura – Violazione del principio di proporzionalità; falsa applicazione dell’art. 9 del disciplinare di gara”, le appellanti hanno in sintesi sostenuto l’illegittimità delle clausole di cui al punto 9, lett. d) ed f) del disciplinare di gara, che imponevano requisiti di partecipazione diversi ed ulteriore rispetto a quelli generali (e già comprovati con la attestazione SOA), aggravando irragionevolmente il procedimento di gara, così riproponendo la identica censura sollevata in primo grado, a loro avviso superficialmente apprezzata ed inopinatamente respinta con motivazione approssimativa e non condivisibile. La pur suggestiva tesi non merita favorevole considerazione.
5.1.1. In punto di fatto deve rilevarsi che il punto 9 del disciplinare di gara, indicando la documentazione da inserire a pena di esclusione nella busta A, prevedeva “al fine di determinare l’idoneità tecnico professionale prevista dall’allegato XVII del D. Lgs. n. 81 del 9 aprile 2008” la produzione “dei seguenti elaborati: a) specifica documentazione attestante la conformità alle disposizioni di cui al D. Lgs. n. 81/2008 di macchine, attrezzature e opere provvisionali; b) elenco dei dispositivi di protezione individuale forniti ai lavoratori; c) nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, degli incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione, di primo soccorso e gestione dell’emergenza, del medico competente quando necessario; d) nominativo (i) del (i) rappresentante (i) dei lavoratori per la sicurezza; e) attestati inerenti la formazione delle suddette figure e dei lavoratori previste dal D. Lgs. n. 81/2008; f) elenco dei lavoratori risultanti dal libro matricola e relativa idoneità sanitaria prevista dal D. Lgs. n. 81/2008”. L’ultimo capoverso del paragrafo riguardante il contenuto della predetta busta A precisava ulteriormente che “La domanda, le dichiarazioni e le documentazioni di cui ai punti 1, 2, 3, 4, 6, 7, 8, 9 e 10, a pena di esclusione, devono contenere tutto quanto previsto nei predetti punti”. La predetta documentazione non concerneva pertanto la prova della generale capacità tecnico – organizzativa ed economica dell’impresa concorrente (cui fa riferimento, ex art. 1, comma 3, del D.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34, l’attestazione di qualificazione), ma riguardava piuttosto l’ulteriore specifico profilo di idoneità tecnica professionale indicato dall’allegato XVII al D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (“Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”), secondo cui “le imprese affidatarie dovranno indicare al committente o al responsabile dei lavori almeno il nominativo del soggetto o i nominativi dei soggetti della propria impresa, con le specifiche mansioni, incaricati per l’assolvimento dei compiti di cui all’articolo 97”: la ratio della richiesta, coerente con le finalità delle disposizioni normative in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, consisteva pertanto nel consentire all’amministrazione affidataria di espletare il doveroso compito di verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e l’applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento (art. 97, comma 1, del citato D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
5.1.2. Ciò chiarito, la Sezione è dell’avviso che non può dubitarsi della legittimità della contestata clausola di cui al punto 9, lett. d) e f), del Disciplinare di gara. Costituisce invero jus receptum (C.d.S., sez. V, 4 agosto 2010, n. 5201; 19 novembre 2009, n. 7247; 6 aprile 2009, n. 2138) che i bandi di gara di appalti pubblici possono contenere requisiti di partecipazione più rigorosi di quelli prescritti dalla legge, purché non discriminanti ed abnormi rispetto alle regole proprie del settore, e possono pertanto pretendere l’attestazione di requisiti di capacità diversi ed ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge, ciò rientrando nell’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione finalizzato a dare corretta attuazione ai principi di imparzialità e buon andamento predicati dall’articolo 97 della Costituzione. In particolare, la previsione contenuta nella clausola di cui al punto 9, lettere d) e f) del disciplinare non costituiva un inutile aggravamento del procedimento, atteso che, come già evidenziato in precedenza, la relativa documentazione era finalizzata all’esigenza (peraltro normativamente disciplinata) di predisporre preventivamente le misure più adeguate ad assicurare la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, non sovrapponendosi in alcun modo alla generale capacità tecnico – organizzativa ed economica provata con l’attestazione di qualificazione: ciò esclude, sotto altro concorrente profilo, che la predetta clausola possa essere in qualche modo considerata irragionevole, illogica, arbitraria o irrazionale.
5.2. Ugualmente infondato è l’altro motivo (il primo, secondo l’articolazione delle appellanti) di gravame, con il quale le appellanti hanno lamentato “Erroneità della sentenza per travisamento della documentazione prodotta e violazione e falsa applicazione di legge (art. 46 del d. lgs. 163/2006) – Violazione del principio del favor partecipationis”, evidenziando che l’amministrazione, sulla scorta della documentazione prodotta in sede di gara e dei chiarimenti forniti con la nota del 17 dicembre 2009 a seguito della comunicazione dell’esclusione dalla gara, avrebbe dovuto consentire l’integrazione della documentazione incompleta. E’ sufficiente al riguardo rammentare il consolidato indirizzo giurisprudenziale (C.d.S., sez. V, 2 agosto 2010, n. 5084; 2 febbraio 2010, n. 428; 15 gennaio 2008, n. 36; 6 marzo 2006, n. 1068) secondo cui l’omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione previsti a pena di esclusione non può essere qualificata come una mera irregolarità sanabile, non trattandosi di rimediare a vizi puramente formali, tanto più quando, come nel caso di specie, non sussistono (né sono stati addotti o evidenziati) equivoci o incertezze eventualmente generati dall’ambiguità della legge di gara. Del resto non può invocarsi il principio del c.d. dovere di soccorso non già al fine di consentire la mera integrazione documentale di un requisito posseduto e tempestivamente provato (nel termine di decadenza di presentazione dell’offerta), quanto piuttosto per integrare, come nel caso di specie, la documentazione riguardante proprio il possesso dei requisiti di partecipazione, non prodotta ovvero prodotta in modo incompleto nel termine predetto di decadenza, atteso che in tal modo l’amministrazione disapplicherebbe inammissibilmente la lex specialis e violerebbe altresì il fondamentale principio della par condicio dei concorrenti.
6. In conclusione, alla stregua delle osservazioni svolte, l’appello deve essere respinto, non meritando la sentenza impugnata alcuna critica. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Co.Ge. Tri s.r.l. e Grandi Impianti s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. I, n. 285 dell’8 febbraio 2010. lo rigetta. Condanna le appellanti, in solido tra di loro, al pagamento in favore del Comune di Delebio delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano complessivamente in €. 5.000,00 (cinquemila). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Depositata in segreteria il 2 febbraio 2012.