“Nel caso del c.d. ‘rito dell’accesso’ di cui all’articolo 116 del c.p.a. opera la dimidiazione di tutti i termini processuali stabilita per la generalità dei riti camerali dal comma 3 dell’articolo 87 del c.p.a.
La dimidiazione in questione concerne anche il termine per il deposito del ricorso, il quale resta fissato in soli 15 giorni dall’avvenuta notifica (i.e.: nella metà del termine previsto in via generale per il deposito ai sensi dell’art. 45 del c.p.a.).
In base a un consolidato (e qui condiviso) orientamento, l’interesse giuridicamente rilevante del soggetto che richiede l’accesso può consistere in una qualunque posizione giuridica soggettiva, purché non si tratti del generico e indistinto interesse di ogni cittadino al buon andamento dell’attività amministrativa: al fine di riconoscere il diritto all’accesso, accanto a tale interesse deve sussistere un rapporto di strumentalità tra tale interesse e la documentazione di cui si chiede l’ostensione.
Questo rapporto di strumentalità deve però essere inteso in senso ampio, ossia in modo che la documentazione richiesta deve costituire mezzo utile per la difesa dell’interesse giuridicamente rilevante e non strumento di prova diretta della lesione di tale interesse.
Pertanto, l’interesse all’accesso ai documenti deve essere considerato in astratto, escludendo che, con riferimento al caso specifico, possa esservi spazio per l’amministrazione per compiere apprezzamenti in ordine alla fondatezza o ammissibilità della domanda giudiziale proponibile.
La legittimazione all’accesso non può dunque essere valutata facendo riferimento alla fondatezza della pretesa sostanziale sottostante, ma ha consistenza autonoma, indifferente allo scopo ultimo per cui viene esercitata (Cons. Stato, 13 ottobre 2010, n. 7486).
La veste societaria non è di per sé sufficiente ad escludere la s.p.a. Poste Italiane dalla disciplina in tema di accesso, ai sensi dell’articolo 22, comma 1, lettera e), della legge 241 del 1990, secondo cui nel novero delle ‘pubbliche amministrazioni’ assoggettate alla disciplina in materia di accesso rientrano “tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse, disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”.
L’attività amministrativa, cui gli artt. 22 e 23 della legge n. 241 del 1990 correlano il diritto d’accesso, ricomprende non solo quella di diritto amministrativo, ma anche quella di diritto privato posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio stesso, sia collegata a quest’ultima da un nesso di strumentalità derivante anche, sul versante soggettivo, dalla intensa conformazione pubblicistica (Cons. St., sez. VI, 26 gennaio 2006 n. 229; id., 30 dicembre 2005 n. 7624; id., 7 agosto 2002 n. 4152; id., 8 gennaio 2002 n. 67).
La Sezione ha ritenuto che i dipendenti di Poste Italiane s.p.a., anche cessati dal rapporto, avessero diritto ad accedere ad alcuni atti relativi all’organizzazione interna della società, quali gli atti di un procedimento privatistico per la selezione dei dirigenti o i fogli firma delle presenze giornaliere, a nulla rilevando che l’attività di Poste si svolga in parte in regime di concorrenza”.
E’ quanto ha affermato il Consiglio di Stato nella sentenza numero 1403 del 12 marzo scorso.
Per il testo integrale della sentenza http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Consiglio%20di%20Stato/Sezione%206/2011/201110526/Provvedimenti/201201403_11.XML