Il Consiglio di Stato nella sentenza numero 1550 del 19 marzo scorso ha riaffermato un principio già consolidatosi in giurisprudenza, secondo il quale ai fini della qualificazione di un rapporto giuridico non deve aversi riguardo tanto al nomen juris speso dalle parti per designarlo, quanto alle caratteristiche da esso effettivamente assunte nella sua concreta attuazione (cfr. di recente C.d.S., V, 18 marzo 2010, n. 1581 : nel caso in cui la P.A. ponga in essere, anche se sotto il nomen iuris di contratto di appalto ovvero d’opera, un rapporto avente in realtà le caratteristiche del lavoro subordinato, seppur nullo di diritto per essersi proceduto all’assunzione senza il superamento del prescritto concorso o della eventuale prova selettiva, per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione trova comunque applicazione l’art. 2126 c.c., con conseguente diritto dell’interessato alle relative (eventuali) differenze retributive ed alla regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale; più indietro nel tempo v. ad es. V, 10 aprile 2000, n. 2061; 13 giugno 1998, n. 824; 21 dicembre 1994, n. 1549; 29 ottobre 1991, n. 1281).
Nel caso di specie, il Comune si duole che il Tribunale abbia fatto riferimento parametrico alla retribuzione prevista per il personale di ruolo addetto a mansioni simili, laddove avrebbe dovuto reputare sufficiente il compenso in concreto convenuto anno per anno, in tesi congruo. Costituisce, tuttavia, interpretazione consolidata, dalla quale non sono state fornite valide ragioni per discostarsi, quella che insegna che l’art. 2126 c.c. permette al dipendente interessato di conseguire le differenze retributive tra il trattamento spettante al personale di ruolo di qualifica corrispondente alle mansioni svolte col contratto nullo ed il trattamento, diverso, di fatto corrisposto per il periodo di esecuzione del rapporto sub judice (C.d.S., V, 9 novembre 2004, n. 7220; V, 18 settembre 2003, n. 5293; VI, 11 marzo 2004, n. 1234; V, 7 settembre 2001, n. 4671; V, 18 marzo 1998, n. 314).
Lo stesso indirizzo è del resto seguito anche dalla Suprema Corte, che ha più volte puntualizzato che un rapporto di lavoro subordinato di fatto con un ente pubblico, funzionale ai fini istituzionali dello stesso ente, ancorché non assistito da un regolare atto di nomina e, al limite, vietato da norma imperativa, non impedisce, secondo l’orientamento appunto prevalente della Corte, l’applicazione dell’art. 2126 c.c., con il diritto alla retribuzione e alla contribuzione previdenziale propria di un rapporto di impiego pubblico regolare.
Di seguito il testo della sentenza
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Consiglio di Stato, Sezione quinta
Sentenza numero 1550 del 19 marzo 2012
(estensore Gaviano, presidente Trovato)
(…)
FATTO e DIRITTO
L’interessata adiva il T.A.R. per la Campania impugnando il silenzio serbato dal Comune di Rocca d’Evandro sulla richiesta da lei avanzata per ottenere l’inquadramento in ruolo nella qualifica corrispondente alle mansioni espletate, come bidella-refezionista, negli anni 1979-1994, con il riconoscimento delle conseguenti spettanze. Resisteva al ricorso l’Amministrazione intimata. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale adìto, per un verso, dichiarava inammissibile, in quanto tardiva, la domanda di accertamento dell’instaurazione tra le parti di un unico rapporto di impiego pubblico a tempo indeterminato; per altro verso, accoglieva la domanda tesa al riconoscimento delle differenze retributive tra quanto percepito di fatto dalla ricorrente e quanto, invece, sarebbe stato di sua astratta spettanza in applicazione del contratto collettivo per il personale degli enti locali, con la conferente regolarizzazione contributiva. Avverso tale decisione, nella parte in cui favorevole alla ricorrente, il Comune di Rocca d’Evandro proponeva indi il presente appello, le cui tesi venivano riprese con una successiva memoria. L’Amministrazione deduceva che il Tribunale aveva erroneamente ritenuto di poter assimilare il rapporto tra le parti al modello del pubblico impiego, in quanto il rapporto controverso non sarebbe stato in realtà qualificabile come rapporto di lavoro subordinato, bensì di lavoro autonomo.
Il primo Giudice, inoltre, nel determinare il compenso riconosciuto alla ricorrente, avrebbe fatto arbitrariamente riferimento alla retribuzione prevista dalla disciplina collettiva per il personale di ruolo addetto a mansioni simili, laddove si sarebbe dovuto invece applicare il diverso compenso convenuto anno per anno in concreto, del quale veniva predicata la congruità. Si costituiva in giudizio in resistenza all’appello l’originaria ricorrente, che, dedotta l’infondatezza dell’impugnativa, concludeva per la sua reiezione. Alla pubblica udienza del 6 marzo 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.
L’appello è infondato.
1 E’ indubbiamente vero che al rapporto nullo possono essere connesse le conseguenze di cui all’art. 2126 c.c. unicamente quando lo stesso, benché costituito senza il rispetto delle modalità prescritte, sia per il resto assimilabile al rapporto di lavoro subordinato costituito nelle forme legali, del quale presenti tutti i caratteristici indici rilevatori (Consiglio Stato, sez. VI, 6 giugno 2008, n. 2718; sez. V, 24 ottobre 2006, n. 6352, 30 agosto 2006, n. 5062 e 6 dicembre 1999, n. 2057). Con riferimento alla natura del rapporto oggetto di controversia è agevole osservare, però, che le deduzioni svolte dall’appellante a sostegno della qualificazione in chiave di lavoro autonomo da esso proposta risultano prive di consistenza.
Il primo Giudice ha rilevato come dagli elementi forniti dalla ricorrente si desumesse che quest’ultima era soggetta alle direttive impartite dall’Amministrazione in ordine ai tempi ed ai modi di effettuazione della prestazione, nonché all’orario di lavoro. Era lo stesso Comune, inoltre, a fornire i mezzi di produzione e le attrezzature, e a farsi carico dei costi delle forniture necessarie per la prestazione del servizio. Le prestazioni, si potrebbe qui aggiungere, dovevano necessariamente essere svolte su base quotidiana presso la Scuola designata, e con divieto per la lavoratrice di farsi sostituire. Ora, l’appellante non mette minimamente in discussione tutti questi elementi. Si limita a sostenere che la pretesa natura autonoma della prestazione lavorativa sarebbe dimostrata dal “carattere temporaneo degli incarichi”, aventi durata commisurata all’anno scolastico piuttosto che estesa all’intero anno solare. La natura autonoma del rapporto sarebbe sorretta, altresì, dalla qualificazione risultante dai contratti sottoscritti tra le parti, che lo definiscono come “appalto di servizio”. E’ tuttavia –fin troppo- agevole far notare che quello della durata limitata del rapporto è solo, in realtà, un dato neutro ed incolore, in quanto nulla toglie che una relazione collaborativa anche di breve durata possa atteggiarsi sia come prestazione autonoma, sia come lavoro subordinato. Ed è appunto in questo secondo senso che depongono, nel caso concreto, le incontestate risultanze valorizzate dal primo Giudice. D’altra parte, è pacifica l’acquisizione giurisprudenziale secondo la quale ai fini della qualificazione di un rapporto giuridico non deve aversi riguardo tanto al nomen juris speso dalle parti per designarlo, quanto alle caratteristiche da esso effettivamente assunte nella sua concreta attuazione (cfr. di recente C.d.S., V, 18 marzo 2010, n. 1581 : nel caso in cui la P.A. ponga in essere, anche se sotto il nomen iuris di contratto di appalto ovvero d’opera, un rapporto avente in realtà le caratteristiche del lavoro subordinato, seppur nullo di diritto per essersi proceduto all’assunzione senza il superamento del prescritto concorso o della eventuale prova selettiva, per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione trova comunque applicazione l’art. 2126 c.c., con conseguente diritto dell’interessato alle relative (eventuali) differenze retributive ed alla regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale; più indietro nel tempo v. ad es. V, 10 aprile 2000, n. 2061; 13 giugno 1998, n. 824; 21 dicembre 1994, n. 1549; 29 ottobre 1991, n. 1281).
2 Infondato è anche il motivo di appello concernente le spettanze di pertinenza della ricorrente. Il Comune si duole che il Tribunale abbia fatto riferimento parametrico alla retribuzione prevista per il personale di ruolo addetto a mansioni simili, laddove avrebbe dovuto reputare sufficiente il compenso in concreto convenuto anno per anno, in tesi congruo. Costituisce, tuttavia, interpretazione consolidata, dalla quale non sono state fornite valide ragioni per discostarsi, quella che insegna che l’art. 2126 c.c. permette al dipendente interessato di conseguire le differenze retributive tra il trattamento spettante al personale di ruolo di qualifica corrispondente alle mansioni svolte col contratto nullo ed il trattamento, diverso, di fatto corrisposto per il periodo di esecuzione del rapporto sub judice (C.d.S., V, 9 novembre 2004, n. 7220; V, 18 settembre 2003, n. 5293; VI, 11 marzo 2004, n. 1234; V, 7 settembre 2001, n. 4671; V, 18 marzo 1998, n. 314). Lo stesso indirizzo è del resto seguito anche dalla Suprema Corte, che ha più volte puntualizzato che un rapporto di lavoro subordinato di fatto con un ente pubblico, funzionale ai fini istituzionali dello stesso ente, ancorché non assistito da un regolare atto di nomina e, al limite, vietato da norma imperativa, non impedisce, secondo l’orientamento appunto prevalente della Corte, l’applicazione dell’art. 2126 c.c., con il diritto alla retribuzione e alla contribuzione previdenziale propria di un rapporto di impiego pubblico regolare (Cass. Civ., Sez. lavoro: 17 ottobre 2005, n. 20009; 9 febbraio 1999, n. 1105; 23 aprile 2001, n. 5996; 2 aprile 2002, n. 4686; 3 luglio 2003, n. 10551). 3 Per le ragioni esposte l’appello deve essere senz’altro respinto. Le spese processuali sono liquidate, secondo soccombenza, dal seguente dispositivo
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge. Condanna il Comune appellante al rimborso all’appellata delle spese processuali del presente grado di giudizio, che sono liquidate nella misura di euro millecinquecento, oltre gli accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Depositata in segreteria il 19 marzo 2012.