Impossibilità di modificare la destinazione d’uso di un immobile in via di fatto

L’utilizzazione di fatto di un immobile ad ufficio pubblico in forza di un contratto di diritto privato non può essere fonte di modificazione della destinazione d’uso derivante questa, infatti, da provvedimenti classificatori di natura autoritativa non modificabili o estinguibili da determinazioni negoziali: queste, per loro natura – contratto di locazione – hanno incorporata in sé una logica transitoria

E’ quanto ha affermato il Consiglio di Stato nella sentenza n. 1148 del 28 febbraio scorso.

Di seguito il testo della sentenza

Consiglio di Stato, Sezione quinta

Sentenza numero 1148 del 28 febbraio 2012

(estensore Prosperi, presidente Baccarini)

(…)

DIRITTO

Va preliminarmente esaminata l’ammissibilità dell’intervento ad adiuvandum del condominio Lungarno del Tempio il quale, secondo le difese dell’appellante incidentale, sarebbe esclusivamente portatore degli interessi dei singoli condomini, quindi unici legittimati a far valere singolarmente le proprie situazioni.

Se effettivamente l’avvio di un’attività di grande distribuzione lede gli interessi dei singoli residenti in uno stabile coinvolto dall’esercizio commerciale, è però innegabile che anche il condominio nel suo insieme possa risentirne gli effetti: è cosa del tutto logica e notoria che la gestione di un supermercato causi un impatto sull’insieme dei servizi condominiali di un edificio, appunto interessato da un esercizio ricadente in tale tipologia.

Deve dapprima essere esaminato l’appello incidentale proposto dalla Spic, appello imperniato su di un unico complesso motivo che è, nel suo insieme, fondato.

Il punto nodale della controversia sta nel fatto che nella realtà l’originaria destinazione commerciale dell’immobile non è mai stata modificata e che dunque il Comune di Firenze non poteva inibire il compimento delle opere interne avviate dalla Spic per adibire il piano terreno a supermercato ed il piano sotterraneo a suo magazzino, il tutto conformemente alle categorie catastali – C1 e C2 – con le quali erano state da sempre classificate le due unità immobiliari.

Ora, non è contestato che l’immobile abbia avuto in origine destinazione commerciale, ma la questione determinante a parere della P.A. sta nel fatto che il rapporto di locazione che lo aveva interessato tra il 1979 e il 1992 con l’Aci aveva avuto come conseguenza che il medesimo immobile fosse stato sede del PRA e delegazione Aci e quindi ne avesse modificato la destinazione d’uso da commerciale a ufficio pubblico: ciò deriverebbe, sempre secondo il Comune, dal fatto che la concessione edilizia 897/79 aveva abilitato la proprietà ad interventi edilizi necessari all’asserita trasformazione d’uso con una sorta di impegno unilaterale della proprietà dell’epoca a non variare il nuovo uso.

Ma le considerazioni svolte dalla Spic per sostenere che quelle ormai risalenti vicende non abbiano avuto un impatto edilizio appaiono del tutto corrette.

In primo luogo si deve rilevare che le categorie di cui al D.M. 1444/68 prevedevano nello stesso ambito le categorie commerciale, turistico e direzionale: da ciò deriva che l’uso ad ufficio di unità immobiliare con destinazione commerciale ricadeva sempre nella stessa categoria.

Il D.M. 1444/68, emanato in diretta esecuzione delle previsioni di cui alla L. 765/67, ricade notoriamente tra i principi fondamentali cui le leggi regionali in materia urbanistica dovevano e devono prestare ossequio ai sensi dell’art. 117 Cost., sia nella precedente, sia nella vigente stesura; è evidente che i provvedimenti comunali invocati dalle difese dell’Amministrazione ed indicati dalla sentenza impugnata nella qualità di nuove regole in materia di destinazioni urbanistiche per Firenze, non potevano incidere sulle destinazioni individuate dal D.M. 1444/68. Altro è naturalmente la legge regionale toscana 25 maggio 1994 n. 39 che ha ridisciplinato la materia delle variazioni edilizie essenziali e delle destinazioni degli immobili in applicazione dei principi di cui alla L. 47/85, ma è evidente che tale legge non può interessare la causa in esame, riguardante fatti risalenti al 1993; inoltre, dalla stessa ordinanza sindacale 1715/85 emessa in pretesa applicazione della disciplina delle opere interne ai sensi della L. 47/85 ed appunto invocata dalle difese del Comune, non si desumono modificazioni riguardanti la collocazione in un’unica categoria delle destinazioni commerciali e direzionali.

In secondo luogo dal provvedimento principalmente impugnato nulla si desume in materia di riferimenti alle norme che disciplinano le destinazioni d’uso, né soprattutto ad una destinazione a standards dell’immobile oppure ad una violazione degli stessi standards, così come invocato dalle difese comunali, tant’ è che gli strumenti urbanistici comunali nulla riferiscono circa la destinazione ad ufficio pubblico dell’immobile di proprietà della Spic.

Lo stesso Ufficio Pianificazione del Territorio del Comune, in periodo di poco antecedente l’emanazione dell’ordinanza impugnata, aveva affermato con nota 28.10.92 la piena compatibilità dell’uso commerciale dei locali terreni con la destinazione dell’immobile.

In terzo luogo l’utilizzazione di fatto di un immobile ad ufficio pubblico in forza di un contratto di diritto privato non può essere fonte di modificazione della destinazione d’uso derivante questa, infatti, da provvedimenti classificatori di natura autoritativa non modificabili o estinguibili da determinazioni negoziali: queste, per loro natura – contratto di locazione – hanno incorporata in sé una logica transitoria; ne è prova, il rafforzamento delle considerazioni sin qui svolte, che lo stesso pubblico registro automobilistico è stato trasferito altrove, facendo così cessare una destinazione che aveva un rilievo esclusivamente di fatto.

In quarto luogo l’impegno della precedente proprietà dichiarato con il rilascio della concessione edilizia 897/79 a non modificare il nuovo uso dei locali non può trovare riconoscimento giuridico, vista la sua non configurabilità come atto di asservimento, non ricadendo la fattispecie in alcun caso di edilizia convenzionata.

Le considerazioni sin qui svolte sarebbero di per sé sufficienti all’accoglimento dell’appello incidentale.

Ma il Collegio ritiene opportuno spendere alcuni passi sulla permanenza dell’interesse in capo alla Spic a contestare la legittimità dell’ordinanza ripristinatoria impugnata davanti al TAR della Toscana.

Se effettivamente l’attività commerciale di grande distribuzione non ha avuto più alcun seguito e se effettivamente i locali interessati dalla controversia sono stati oggi trasformati in autorimessa, si deve rilevare che ciò è avvenuto in virtù dell’azione intrapresa dagli uffici comunali hanno poi indotto la conduttrice dei locali Gen-Bo Sas a dover rinunciare all’apertura dell’esercizio commerciale ed a chiamare la Spic davanti al tribunale civile di Firenze per chiederle il risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento del contratto di locazione.

Perciò l’appello incidentale deve essere accolto, con conseguente accoglimento del primo motivo del ricorso di primo grado ed improcedibilità dell’appello principale.

Spese come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando, accoglie l ‘appello incidentale e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie anche il primo motivo del ricorso di primo grado e dichiara improcedibile l’appello principale.

Condanna il Comune di Firenze al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio liquidandole in complessivi €. 4.000,00 (quattromila/00) oltre agli accessori di legge, mentre le compensa nei confronti del condominio interveniente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Depositata in segreteria il 28 febbraio 2012.

Redazione

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