Impresa esclusa per ragioni di inaffidabilità: competenza della stazione appaltante

In tema di appalti pubblici, “in presenza di una ragionevole scelta legislativa (art. 38 c. 1 lett. f del d.lgs. 163 del 2006) di consentire il rifiuto di aggiudicazione per ragioni di inaffidabilità dell’impresa – esemplificativamente indicate in ipotesi di mala fede o colpa grave emerse nella esecuzione del pregresso rapporto o di serie carenze di professionalità emergenti dal passato aziendale – il sindacato di legittimità del giudice amministrativo nello scrutinio di un uso distorto di tale rifiuto deve prendere atto della chiara scelta di rimettere alla stessa stazione appaltante la individuazione del punto di rottura dell’affidamento nel pregresso e/o futuro contraente.

Il sindacato sulla motivazione del rifiuto deve, pertanto e specularmente, essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto esibiti dall’appaltante come ragioni del rifiuto e non può avvalersi, onde ritenere avverato il vizio di eccesso di potere, di criteri che portano ad evidenziare la mera non condivisibilità della valutazione stessa (ove si recepiscano, come ha fatto il giudice amministrativo, le considerazioni esposte dal consulente). L’adozione di siffatti criteri di non condivisione, infatti, nella parte in cui comporta una sostituzione nel momento valutativo riservato all’appaltante, determina non già un mero errore di giudizio (insindacabile in questa sede) ma uno sconfinamento nell’area ex lege riservata all’appaltante stesso e quindi vizia, per ciò, solo, la decisione, tale sconfinamento essendo ravvisabile anche quando il giudice formuli direttamente e con efficacia immediata e vincolante gli apprezzamenti e gli accertamenti demandati all’amministrazione”.

E’ quanto ha affermato la Corte di Cassazione Sezione Unite Civili n.2312 del 17 febbraio scorso.

Di seguito il testo della sentenza



Corte di Cassazione, SS.UU.

Sentenza numero 2312 del 17 febbraio 2012

(presidente Preden)

(…)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La soc. Trenitalia p.a. (Trenitalia) con provvedimento 21.5.2009 ha escluso le offerte presentate dalla soc. Pietro Mazzoni Ambiente (PMA) per l’affidamento di lotti di servizi di pulizia del materiale rotabile di cui al bando pubblicato il 19.12.2008 e, con altri atti, ha disposto la caducazione delle aggiudicazioni di lotti già assegnati. Gli atti, e per quel che occupa la delibera di esclusione, hanno tratto fondamento nella valutazione ostativa consentita dall’art. 38 c. 1 lett. F del d.lgs. 163 del 2006, per essere emersi dai pregressi rapporti contrattuali (accordi quadro 838 e 844 del 13.2.2006) gravi negligenze e innumerí contestazioni, sfociate nella delibera di procedere a risoluzione per inadempimento. Il TAR adito da PMA, in impugnazione dell’atto di esclusione, ha con sentenza 11789 del 2009 rigettato il ricorso sul rilievo che la causa di esclusione ex art. 38 non presupponesse il giudicato sull’inadempimento pregresso ma solo la esistenza di una valutazione negativa (in termini di inaffidabilità) fatta dalla Amministrazione aggiudicatrice. L’appello di PMA è stato accolto dal Consiglio di Stato, all’esito di articolata consulenza tecnica, con la sentenza 5029 in data 28.7.2010 .

II Consiglio di Stato nella motivazione, ed alla stregua degli atti afferenti il rapporto 2006-2009, ha premesso: che la indiscutibile giurisdizione del G.O. sul rapporto non sottrae la possibilità che il G.A. chiamato a valutare la ostatività ex art. 38 citato la possa sindacare per i vizi propri dell’atto amministrativo nel quale la ostatività viene affermata, che l’art. 38 non contiene una previsione sanzionatoria ma appresta una cautela per l’Amministrazione nel segno della necessaria permanenza della fiducia verso il contraente, che pertanto la esistenza dei presupposti tratti dal passato per formulare prognosi de futuro ben può essere dal G.A. valutata incidentalmente e la conclusione del venire meno della fiducia ben può essere sindacata per la sua congruità e immunità da eccesso di potere. Su tali premesse, avendo riguardo agli accertamenti peritali, il Consiglio di Stato ha ritenuto esistere indici sintomatici di un eccesso di potere e quindi di un indebito fine di esclusione: si fa cenno alla contraddizione tra gravi inadempienze e successivi rinnovi o proroghe dei contratti ed alla ammissione alla fase di prequalifica della gara; si sollevano dubbi sulla attendibilità degli accertamenti tecnici delle inadempienze effettuati dalla soc. SGS; si formula quindi il sospetto che l’esclusione sia stata determinata da ragioni diverse dalla caduta della fiducia.

Ricorre con atto del 10.3.2011 ai sensi dell’art. 362 c. 1 c.p.c. la soc. Trenitalia sostenendo quanto appresso. Con un primo motivo si censura che il Consiglio di Stato, all’esito della decisione di riesaminare sul piano istruttorio i dati contrattuali, del pregresso rapporto, come fatto palese dai quesiti afferenti la “attendibilità” delle indagini effettuate da SGS, ha chiaramente travalicato nella sfera della cognizione del rapporto spettante al G.O. Con un secondo motivo, d’altro canto, ci si duole del fatto che la decisione abbia invaso l’area della necessaria discrezionalità di apprezzamento del dato fiduciario appartenente alla P. A. sostanzialmente strumentalizzando il sindacato per eccesso di potere utilizzato per far emergere non già i suoi indici sintomatici ma solo la inattendibilità delle valutazioni di risoluzione del rapporto.

La s.p.a. P.M.A. resiste con controricorso 18.4.2011 nel quale eccepisce la inammissibilità del ricorso per difetto di interesse e la inammissibilità od infondatezza dei due motivi. Trenitalia ha depositato memoria finale ed i difensori hanno discusso oralmente la causa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ritiene il Collegio che, infondato il primo motivo ed in parte fondato il secondo, il ricorso di Trenitalia debba essere accolto.

La questione di rilievo, ad avviso del Collegio, non è certo quella rappresentata dalla accusa, mossa alla decisione, di invasione ai danni della sfera cognitiva propria del G.O., giudice del rapporto e degli inadempimenti, quale articolata nel primo motivo, perché il Consiglio di Stato nella impugnata sentenza non ha invaso quell’ambito, essendo compresa nella sua potestà giurisdizionale, nell’ottica del sindacato sull’eccesso di potere, la valutazione incidentale dei fatti emergenti dal pregresso rapporto da porre a raffronto con le ragioni addotte a fondamento della decisione di non proseguirlo o di non rinnovarlo. La questione sottoposta dal secondo motivo del ricorso, ed invece di indubbio rilievo, è quella della ampiezza del sindacato sulla decisione di esclusione per “deficit di fiducia”, che è frutto di una valutazione discrezionale della P.A. e sulla quale il controllo dei giudice deve essere svolto ab extrinseco, e diretto ad accertare il ricorrere di seri indici di simulazione (dissimulante una odiosa esclusione), ma non mai sostitutivo (come si accusa nella specie abbia fatto il Consiglio di Stato).

Che la eventuale sostituzione da parte del giudice amministrativo della propria valutazione a quella riservata alla discrezionalità della amministrazione costituisca ipotesi di “sconfinamento” vietato della giurisdizione di legittimità nella sfera riservata alla P.A., quand’anche l’eccesso in questione sia compiuto da una pronunzia il cui contenuto dispositivo si mantenga nell’area dell’annullamento dell’atto, è approdo indiscutibile nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite (S.U. 137 del 1999, 19604 del 2003, 28263 del 2005, 9443 del 2011 e 23302 del 2011) al quale il Collegio intende dare piena continuità. Tanto premesso, e prendendo dunque le mosse dalla necessaria chiarificazione della portata dell’art. 38 c. 1 lett. F del d.lgs. 163 del 2006, ritiene il Collegio di dover condividere l’approdo ermeneutico al quale, all’esito di attenta analisi, è pervenuta la giurisprudenza del Giudice Amministrativo (da ultimo, e tra le tante, con la sentenza del Consiglio di Stato n. 409 del 2011) ed al quale la stessa sentenza qui impugnata presta inequivoca adesione. Si è infatti espressamente rammentato che gli elementi fondanti la valutazione di deficit di fiducia vengono tratti, secondo il modello normativo, da dati esterni al rapporto contrattuale quali la mala fede, la grave colpa o la grave carenza di professionalità e si è altrettanto chiaramente posto in risalto come il bene protetto dalla predetta clausola di esclusione è quello dell’elemento fiduciario a sostegno della proseguibilità del rapporto committente-appaltatore, quindi un elemento a carattere squisitamente soggettivo, quello della affidabilità. Si è del pari segnalato che la inequivocità di significato degli scarni parametri offerti dal legislatore attesta la scelta di riconoscere in capo all’appaltante un ampio spazio di apprezzamento circa la permanenza del requisito della affídabilità.

Si è altrettanto esattamente ricordato che là dove la norma esige che tale esercizio di discrezionalità sfoci in una motivata valutazione della stazione appaltante, si sottrae la detta valutazione di frattura dell’elemento fiduciario dall’area dell’arbitrio e se ne consente il tradizionale sindacato giurisdizionale di cui agli art.2 e 3 legge 1034 del 1971 esteso a tutte le ipotesi riconducibili all’eccesso di potere onde portare ad emersione eventuali utilizzazioni strumentali del predicato deficit di fiducia, dissimulanti l’uso della clausola de qua per finalità diverse da quelle perseguite con il ridetto art. 38 c. 1 lett. F del d.lgs. 163 del 2006. Ebbene, si afferma da Trenitalia che gli indici evidenziati dal Consiglio di Stato nella sentenza impugnata in questa sede come rivelatori di eccesso di potere sono, i primi due, accostabili al canone di evidente contraddittorietà (e quindi in tesi rientranti nel sindacato proprio della giurisdizione di legittimità) e, gli altri, traducibili in mera non condivisione della valutazione, con il risultato di portare allo scoperto – sempre ad avviso di Trenitalia – lo sconfinamento del giudizio in una indebita sovrapposizione alla valutazione fatta dalla appaltante sui caratteri del rapporto pregresso.

Il ricorso formula al proposito una osservazione certamente non implausibile, quella per la quale il parametro di inattendibilità -adottato (pag. 9 della sentenza impugnata) per individuare, sulla base delle risultanze della CTU, valutazioni tecniche inaccettabili (perché affette da pretesi errori madornali secondo l’espressione utilizzata dal Consiglio di Stato nella nota sentenza 601 del 1999), parametro da queste Sezioni Unite (S.U. 14893 del 2010) ritenuto certamente rispettoso dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa nel sindacato delle valutazioni concorsuali delle commissioni esaminatrici – appare non poco inappropriato ove utilizzato nello scrutinio di legittimità di scelte ad alto tasso di “soggettività” quale quella dalla legge consentita alla stazione appaltante. La evidenza dell’errore è un criterio certamente suggestivo per la sua astratta attitudine selettiva ma, altrettanto certamente, è criterio aperto ad una lettura soggettiva che ne sconsiglia la utilizzabilità come sintomo del censurabile eccesso di potere le volte in cui l’ambito valutativo riservato alla P.A. non sia segnato da regole tecniche delle quali sia possibile controllare la coerenza e la adeguatezza, ma sia qualificato da evidenti riserve di soggettività della scelta (come nel caso del più volte citato deficit di fiducia delineato dall’art. 38 c. 1 lett. F del d.lgs. 163 del 2006), riserve il cui rispetto è limite anche all’esercizio della giurisdizione. Ed è di tal previsione, raccogliendo lo stimolo critico contenuto nel ricorso, che occorre delineare l’ambito per quel che interessa.

Ritiene il Collegio che, in presenza di una ragionevole scelta legislativa di consentire il rifiuto di aggiudicazione per ragioni di inaffidabilità dell’Impresa – esemplificativamente indicate in ipotesi di mala fede o colpa grave emerse nella esecuzione del pregresso rapporto o di serie carenze di professionalità emergenti dal passato aziendale – il sindacato di legittimità del giudice amministrativo nello scrutinio di un uso distorto di tale rifiuto debba prendere atto della chiara scelta di rimettere alla stessa stazione appaltante la individuazione del punto di rottura dell’affidamento nel pregresso e/o futuro contraente. Il sindacato sulla motivazione del rifiuto deve, pertanto e specularmente, essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto esibiti dall’appaltante come ragioni del rifiuto e non può avvalersi, onde ritenere avverato il vizio di eccesso di potere, di criteri che portano ad evidenziare la mera non condivisibilità della valutazione stessa (ove si recepiscano, come ha fatto il giudice amministrativo, le considerazioni esposte dal consulente).

L’adozione di siffatti criteri di non condivisione, infatti, nella parte in cui comporta una sostituzione nel momento valutativo riservato all’appaltante, determina non già un mero errore di giudizio (insindacabile in questa sede) ma uno sconfinamento nell’area ex lege riservata all’appaltante stesso e quindi vizia, per ciò, solo, la decisione, tale sconfinamento essendo ravvisabile secondo la più qualificata dottrina e la giurisprudenza delle Sezioni Unite, anche assai lontana nel tempo, anche quando il giudice formuli direttamente e con efficacia immediata e vincolante gli apprezzamenti e gli accertamenti demandati all’amministrazione (S.U. n. 2525 del 1964). Nella decisione in disamina il Consiglio di Stato, riformando il contrario decisum del primo giudice, è pervenuto conclusivamente (pag. 10) ad esibire il “ragionevole dubbio” della pretestuosità delle ragioni poste a base dell’impugnato provvedimento dopo aver evidenziato, oltre a segnali logici di contraddizione del rifiuto, specifiche ragioni di non condivisione della valutazione finale. La sentenza, infatti, prende le mosse dalla esposizione di segnali di contraddittorietà nel comportamento della stazione appaltante nella gestione del rapporto con P.M.A., rispetto alla conclamata valutazione di inaffidabilità dell’Impresa, contraddizione insita nell’aver prorogato il rapporto in essere ed ammesso P.M.A. alla fase di prequalifica della nuova gara “nonostante” potessero già allora emergere i fatti incidenti sulla “fiducia”. La statuizione, censurata anch’essa in questa sede, si sottrae di per sé sola alla censura di sconfinamento per la evidente inerenza al sindacato di legittimità della decisione di ricondurre al criterio della contraddittorietà i dati ravvisati ed esposti (e la cui plausibilità sfugge totalmente al sindacato ex art. 362 c. 1 c.p.c. rimesso a questa Corte).

Ma la sentenza, ritenendo non sufficiente tale elemento per pervenire ad un giudizio di illogicità del criterio di valutazione, ha inteso giustapporre alla appena riportata statuizione una articolata proposizione volta a desumere – dal confronto critico tra rapporto “accusatorio” rassegnato a Trenitalia dalla soc. di indagine SGS e la relazione di CTU disposta dal giudice amministrativo – gravi vizi di attendibilità e plausibilità del primo, tali da interagire con le denunziate contraddizioni pervenendo a formare un complesso di elementi sintomatici dell’eccesso di potere per “sviamento”. A tal riguardo è indiscutibile, contrariamente alla opinione di Trenitalia, la piena inclusione – nella potestà di esercitare il sindacato dell’eccesso di potere – della scelta di accertare pienamente i fatti, anche avvalendosi di un consulente ai sensi dell’art. 67 del d.lgs. 104 del 2010 al fine di eseguire indagini su materie di elevato profilo tecnico (al proposito Cons. Stato, n. 6980 del 2011 ), la cognizione di legittimità del giudice amministrativo essendo in tal guisa completata sotto il profilo del pieno controllo dei fatti, come per vero imposto dalla esigenza di dare piena attuazione al disposto della Convenzione Europea (da ultimo decisione del 27.9.2011 in caso A.Menarini Diagnostica c. Italia). Ma non è l’accertamento operato ad essere significativo in relazione alla questione sottoposta dal ricorso.

Ed infatti, l’accertamento effettuato dal consulente del giudice ha indotto il Consiglio di Stato ad affermare che l’accertamento posto da Trenitalia a fondamento della sua valutazione era inappropriato metodologicamente e contraddetto, nella sua idoneità a raffigurare gravi inadempimenti dell’appaltatore, dalla reale emersione di minori inadempimenti. Il Consiglio di Stato ha quindi preso atto dell’obiezione difensiva di Trenitalia per la quale l’atto impugnato si fondava anche su “innumerevoli contestazioni penali e detrazioni” ma ha valutato che, ciò nonostante, le contraddizioni dianzi riscontrate e la inattendibilità del rapporto SGS disvelata dal CTU, facevano ritenere sussistente l’eccesso di potere per uso distorto della facoltà di rifiuto riconosciuta dalla legge. Emerge quindi con chiarezza che la decisione finale di ravvisare la pretestuosità del sopravvenuto deficit di fiducia allegato da Trenitalia si è fondata in modo comunque determinante (secondo la stessa costruzione logica della decisione), e se pur nella dichiarata individuazione di un eccesso di potere, che della discrezionalità, amministrativa o tecnica, costituisce il limite (Cons. Stato 8091 del 2010 e 4902 del 2010), sulla valutazione di inidoneità dei dati addotti a sostenere la decisione stessa, e quindi sulla valutazione di insufficienza oggettiva di quei dati a far considerare plausibile la caduta soggettiva della fiducia.

E poiché il quadro normativo sul quale doveva esercitarsi il doveroso controllo di non pretestuosità assegna alla stazione appaltante la facoltà di determinare essa stessa il punto di rottura dell’affidamento nel contraente, una decisione che, quale quella in disamina, non accerti l’inesistenza di alcuna ragione giustificante o la esistenza indiscutibile di ragioni dissimulate ma valuti solamente la insufficienza dei dati addotti a sostenere come plausibile il superamento di quel punto di rottura, incorre, all’evidenza, nel denunziato vizio di eccesso di potere cognitivo ai danni dell’amministrazione. L’accoglimento del ricorso impone, a questo punto, di valutare l’ambito della pronunzia cassatoria in relazione alla decisione attinta dalla pronunzia ed al procedimento di appello che essa ha concluso. E tale valutazione deve partire dalla fissazione di due dati, quelli per i quali: la sentenza cassata è stata emessa da un giudice che – esso solo e non altri – era ed è dotato di piena giurisdizione sulla controversia sottoposta, la ragione per la quale nondimeno è consentito il sindacato di queste Sezioni Unite sta nel fatto che quel giudice possa aver superato (come nella specie ha superato), nella cognizione del rapporto in esame, non le regole del proprio giudizio ma le regole della stessa propria cognizione, con la conseguenza per la quale l’effetto rescindente di tale seconda ipotesi di superamento (la sola che la Costituzione consente di porre in rilievo) non potrà espropriare il giudice del potere giurisdizionale di riesaminare il rapporto stesso. Né ad avviso del Collegio sussistono ostacoli a dare corso, dopo la pronunzia di cassazione, a tale doverosa “restituzione”.

Come di recente considerato da queste Sezioni Unite (ord. n. 10174 del 2011) l’art. 382 del codice di rito civile, a seguito della introduzione nell’ordinamento delle norme che attuano il principio della translatio judicii (delineato da S.U. n. 4109 del 2007 e applicato da Corte Cost. n. 77 del 2007), e segnatamente degli artt. 59 legge 69 del 2009 ed 11 del d.lgs. 104 del 2010, deve essere interpretato nel senso che la cassazione senza rinvio deve essere disposta soltanto qualora non solo il giudice adito ma qualsiasi altro giudice sia privo di giurisdizione sulla domanda, in tutti gli altri casi essendo statuito che il processo, ad impulso di parte e con atto di riproposizione dell’interessato (artt. 59 c. 2 ed 11 c. 4 appena citati), possa continuare. E nel predetto senso si sono del resto orientate queste Sezioni Unite (n. 25395 del 2010) con la cassazione di una pronunzia del Consiglio di Stato per indebito “rifiuto” dell’esercizio della propria giurisdizione in una vicenda di mancata concessione della tutela risarcitoria conclusa nel quadro normativo preesistente all’art. 30 del d.lgs. 104 del 2010.

Nulla dunque osta a che l’art. 382 c.p.c. debba essere interpretato nel senso che non è luogo ad adottare cassazione senza rinvio le volte in cui sia indubbia la potestas judicandi del giudice che ha emesso la sentenza cassata e che la ragione della cassazione sia solo l’errata estensione dell’esercizio della giurisdizione stessa con riguardo alle prerogative costituzionali della parte pubblica del processo. E pertanto, è del tutto consentito ed è assolutamente ragionevole, in vista del primario obiettivo di assicurare un giusto processo, e tramite esso, una giusta decisione, che, cassata la decisione in tal guisa viziata e su impulso della parte interessata si possa procedere alla riattivazione del giudizio, e che quel processo d’appello possa riprendere e pervenire a nuova decisione sulla domanda di annullamento dell’atto. In tal senso conclusivamente si provvede, anche disponendosi, alla luce della peculiarità della questione trattata, la compensazione per intero tra le parti delle spese del giudizio svoltosi innanzi a questa Corte.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, accoglie il ricorso nei termini esposti in motivazione, cassa l’impugnata sentenza del Consiglio di Stato innanzi al quale rimette le parti, compensa per intero tra le parti le spese del giudizio.

Depositata in segreteria il 17 febbraio 2012.

Redazione

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