La natura dei vincoli paesaggistici: conformativi ed espropriativi

Alla stregua dei principi espressi dalla Corte costituzionale, con la sentenza 20 maggio 1999, n. 179, deve ritenersi che i vincoli urbanistici non indennizzabili, che sfuggono alla previsione dell’art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, sono quelli che riguardano intere categorie di beni, quelli di tipo conformativo e i vincoli paesistici, mentre i vincoli urbanistici soggetti alla scadenza quinquennale, che devono invece essere indennizzati, sono:

a) quelli preordinati all’espropriazione ovvero aventi carattere sostanzialmente espropriativo, in quanto implicanti uno svuotamento incisivo della proprietà, se non discrezionalmente delimitati nel tempo dal legislatore statale o regionale, attraverso l’imposizione a titolo particolare su beni determinati di condizioni di inedificabilità assoluta;

b) quelli che superano la durata non irragionevole e non arbitraria ove non si compia l’esproprio o non si avvii la procedura attuativa preordinata a tale esproprio con l’approvazione dei piani urbanistici esecutivi;

c) quelli che superano quantitativamente la normale tollerabilità, secondo una concezione della proprietà regolata dalla legge nell’ambito dell’art. 42 Cost.



La destinazione di “area a verde pubblico – verde urbano” costituisce espressione della potestà conformativa del pianificatore, avente validità a tempo indeterminato (nella specie le N.T.A. del Comune – si trattava del Comune di Bari – prevedevano che su tali aree potevano essere ubicate attrezzature per lo svago, chioschi, bar, teatri all’aperto, impianti sportivi per allenamento e spettacolo, e simili, nonché biblioteche e giochi per bambini, e consentivano, altresì, la costruzione di edifici ed impianti previa approvazione di piano particolareggiato o di progetto planovolumetrico; di conseguenza, secondo la sentenza in rassegna, essendo consentita, anche ad iniziativa del proprietario, la realizzazione di opere e strutture intese all’effettivo godimento del verde, era da escludere, ex se, la configurabilità di uno svuotamento incisivo del contenuto del diritto di proprietà, permanendo comunque la utilizzabilità dell’area rispetto alla sua destinazione naturale, con la conseguenza che non era ravvisabile alcun vincolo preordinato all’espropriazione ovvero comportante inedificabilità, né era configurabile un obbligo di nuova tipizzazione).

Il divieto di edificazione nella fascia costiera di cui all’art. 51, lett. f, l. reg. Puglia 31 maggio 1980 n. 56 non rappresenta una misura di di salvaguardia, ma un vincolo d’inedificabilità assoluta preclusivo del rilascio della concessione edilizia fino all’adozione del piano territoriale.

L’art. 51, lett. f), l. reg. Puglia 31 maggio 1980 n.56 vieta qualsiasi edificazione entro la fascia costiera di trecento metri, per cui è legittimo il diniego di sanatoria espresso dal Comune per abusi edilizi realizzati entro tale fascia, a nulla valendo la previsione di piani finalizzati al recupero degli insediamenti abitativi, atteso che in forza dell’art. 5 l. reg. n. 56 del 1980 cit. non è possibile formare varianti per le opere non suscettibili di sanatoria ai sensi dell’art. 33 l. 28 febbraio 1985, n. 47
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E’quanto ha affermato il Consiglio di Stato nella sentenza numero 2116 del 13 aprile 2012.

Per il testo della sentenza http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Consiglio%20di%20Stato/Sezione%205/2000/200004832/Provvedimenti/201202116_11.XML

Redazione

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