“Ai fini della validità dei contratti di cui sia parte una Pubblica Amministrazione è necessaria la forma scritta a pena di nullità, e la forma scritta adsubstantiam occorre, naturalmente, anche per i contratti di appalto.
Da qui la specifica rilevanza della sottoscrizione dell’offerta di gara, che si configura come lo strumento mediante il quale l’autore fa propria la dichiarazione contenuta nel documento, serve a rendere nota la paternità ed a vincolare l’autore alla manifestazione di volontà in esso contenuta.
Essa assolve la funzione di assicurare provenienza, serietà, affidabilità e insostituibilità dell’offerta e costituisce elemento essenziale per la sua ammissibilità, sia sotto il profilo formale che sotto quello sostanziale, potendosi solo ad essa riconnettere gli effetti dell’offerta come dichiarazione di volontà volta alla costituzione di un rapporto giuridico. La sua mancanza inficia, pertanto, la validità e la ricevibilità della manifestazione di volontà contenuta nell’offerta senza che sia necessaria, ai fini dell’esclusione, una espressa previsione della legge di gara.
Tanto premesso, osserva la Sezione che una “sottoscrizione” deve per definizione essere apposta in calce al documento al quale si riferisce (nel senso che per “sottoscrizione” debba intendersi la firma in calce, e che questa nemmeno “può essere sostituita dalla sottoscrizione solo parziale delle pagine precedenti quella conclusiva della dichiarazione stessa”).
Non si può pertanto condividere l’idea che esista un’equipollenza tra la firma di un documento in calce e quella apposta solo in apertura di esso (“in testa”), o tanto meno sul mero frontespizio di un testo di più pagine, dal momento che è soltanto con la firma in calce che si esprime il senso della consapevole assunzione della paternità di un testo e della responsabilità in ordine al suo contenuto.
E’ quanto ha affermato il Consiglio di Stato nella sentenza numero 2317 dello scorso 20 aprile.
Di seguito il testo della sentenza
…
Consiglio di Stato, Sezione Quinta
Sentenza numero 2317 del 20 aprile 2012
(estensore Gaviano, presidente Trovato)
(…)
FATTO e DIRITTO
La società Opus S.r.l., seconda classificata nella procedura aperta indetta dal Comune di Salice Salentino per l’affidamento, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, dei lavori di adeguamento degli scarichi e delle immissioni nel sottosuolo delle acque meteoriche, impugnava la determinazione del 24 giugno 2010 di aggiudicazione della gara alla Ipr Costruzioni S.a.s. di Persano Antonio.
La ricorrente (di seguito, anche la OPUS) domandava, altresì, con motivi aggiunti, l’annullamento del riscontro negativo dato dal Comune all’istanza di autotutela di cui al proprio preavviso di ricorso, nonché la declaratoria di inefficacia del contratto medio tempore stipulato in data 13 ottobre 2010, con contestuale proprio subentro nella posizione della controinteressata ex art. 245 quinquies del d.lgs. n. 163/2006, ovvero, in subordine, la condanna del Comune al risarcimento per equivalente.
2. A sostegno del gravame la OPUS deduceva i seguenti motivi:
a) violazione e falsa applicazione della lex specialis di gara, dell’art. 3 della l. n. 241/1990, dell’allegato al d.P.R. n. 554/99, dell’art. 97 Cost., dei principi generali in materia di evidenza pubblica;
b) eccesso di potere per assoluta irrazionalità, per falsità dei presupposti, per sviamento, per carenza assoluta di istruttoria e di motivazione.
Si costituivano in giudizio sia la controinteressata aggiudicataria (di seguito, la IPR) che l’Amministrazione comunale intimata, che concludevano per il rigetto del ricorso.
Il Tribunale adìto con la sentenza n. 625/2011 in epigrafe accoglieva l’impugnativa, reputandone fondato ed assorbente il primo mezzo, a termini del quale tanto l’aggiudicataria quanto l’impresa risultata terza graduata avrebbero dovuto essere escluse dalla procedura, per violazione della prescrizione che stabiliva che l’offerta tecnica doveva essere sottoscritta sia dall’impresa che dal professionista abilitato.
Il Tribunale, inoltre, mentre disattendeva la domanda di declaratoria di inefficacia del contratto stipulato tra il Comune e l’aggiudicataria con il subentro alla seconda della ricorrente vittoriosa, accoglieva quella di un risarcimento per equivalente, che veniva equitativamente determinato nella misura complessiva del 5 % del prezzo offerto dalla OPUS.
Avverso tale pronuncia il Comune di Salice Salentino proponeva indi il presente appello, con il quale si doleva dell’avvenuto accoglimento del ricorso avversario e ne contestava le motivazioni, unitamente a quelle poste a base della decisione appellata.
Resisteva all’appello la OPUS. Questa, oltre a difendere la pronuncia del primo Giudice sotto il profilo investito dall’appello, riproponeva le proprie doglianze rimaste assorbite in primo grado, e con appello incidentale impugnava la stessa decisione nella parte in cui aveva quantificato, ma in misura asseritamente insufficiente, il danno da risarcire.
Le parti approfondivano le rispettive tesi con una successiva memoria, in occasione della quale il Comune controdeduceva anche all’appello incidentale e alle doglianze, già assorbite, riproposte exadverso.
L’appellata depositava altresì una memoria di replica.
Alla pubblica udienza del 6 marzo 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.
Tanto l’appello principale quanto quello incidentale sono infondati.
1 Il bando di gara stabiliva che: “la proposta progettuale dovrà essere sottoscritta sia dall’impresa che da professionista abilitato”, e dovrà “contenere solo gli elaborati necessari (integrativi e/o sostitutivi di quelli del progetto esecutivo posto a base di gara, con gli aggiornati elenco descrittivo dei nuovi prezzi, capitolato speciale di appalto, computo metrico non estimativo, piano di sicurezza coordinamento) …” (pag. 7 del bando).
La medesima lex specialis, inoltre, una volta indicate la documentazione amministrativa prescritta e le buste con l’offerta da inserire nel plico, ammoniva : “Si farà luogo all’esclusione dalla gara nel caso che manchi o risulti incompleto o irregolare alcuno dei documenti richiesti o l’offerta, oppure manchino i sigilli di cui sopra o il plico non riporti all’esterno le indicazioni richieste” (pag. 8, quart’ultimo cpv.).
1a L’appellante torna in questa sede a sostenere che questa seconda previsione riguarderebbe solo le carenze dell’offerta economica, e non anche quelle dell’offerta tecnica.
Il primo Giudice ha peraltro condivisibilmente osservato, in proposito, che “dalla collocazione sistematica e dal tenore letterale è pianamente desumibile che tale ultima prescrizione costituisca una sorta di clausola di chiusura del regolamento concorsuale, non riconducibile alle sole disposizioni in tema di offerta economica, che immediatamente la precedono, ma al complesso delle condizioni richieste ai concorrenti per la partecipazione e per gli aspetti ivi tassativamente specificati, tra i quali è ricompreso quello in esame, la mancata sottoscrizione, quale incompletezza o irregolarità dell’offerta, intesa nella sua interezza.”
Invero, la comminatoria cui si ha riguardo, insieme alle quattro clausole immediatamente successive, integra un blocco di disposizioni che, benché posto subito di seguito a clausole dedicate all’offerta economica, non fa parte di queste, per il fatto di possedere contenuti inequivocabilmente generali, e quindi, di riflesso, una portata di corrispondente ampiezza. Si tratta chiaramente di regole di chiusura, poste a conclusione della ricognizione dei contenuti prescritti per le singole buste, ed intese a regolare la procedura nel suo insieme.
Ne consegue che la comminatoria è riferibile alle mancanze non solo dell’offerta economica, ma anche di quella tecnica.
1b In via gradata l’appellante, sempre in ordine al campo di applicazione della comminatoria di esclusione che si è appena trascritta, deduce che le nozioni di “incompletezza” e di “irregolarità” sulle quali la clausola si fonda atterrebbero ai soli contenuti dell’offerta tecnica, quali si trovano delineati dall’art. 74, comma 2, d.lgs. n. 163/2006. Per converso, la previsione del bando riguardante la sottoscrizione della stessa offerta sarebbe simmetrica alla previsione del primo comma dell’articolo testé citato, che si limita ad esigerne la sottoscrizione, senza dettare precisazioni sulle modalità da seguire per le modalità della sottoscrizione stessa.
Una simile lettura è tuttavia smentita dal testo della clausola in rilievo, che si occupa non solo dei contenuti, ma anche della forma dell’offerta, secondo quanto è reso palese dalle sue indicazioni conclusive circa la necessità della sigillatura e delle indicazioni previste sull’esterno del plico.
Ne discende che le nozioni di “incompletezza” ed “irregolarità” impiegate dalla clausola non possono essere assoggettate all’ingiustificata interpretazione restrittiva proposta dall’Amministrazione appellante, ma vanno intese come inclusive anche degli aspetti formali dell’offerta.
2 Dopo avere esaminato la comminatoria di esclusione recata dal bando, si deve avere riguardo ai documenti presentati dalla IPR ai fini della gara.
Il T.A.R. in proposito ha rilevato quanto segue :
– la Relazione tecnica o descrittiva delle varianti migliorative e il Capitolato Speciale di Appalto risultavano firmati sul frontespizio sia dal rappresentante dell’impresa che dal professionista, mentre in calce solo dal progettista;
– la Tabella riassuntiva era stata firmata in calce dal solo progettista;
– il computo metrico e l’elenco descrittivo, infine, risultavano firmati sul frontespizio da entrambi i soggetti, ma in calce da nessuno di loro.
Da qui la deduzione del primo Giudice che, mentre la Relazione tecnica ed il Capitolato erano carenti della sottoscrizione della sola impresa, l’elenco descrittivo ed il computo metrico difettavano addirittura della sottoscrizione di entrambi i soggetti. Tutto ciò per la ragione di fondo che la firma apposta sul frontespizio dei relativi documenti non avrebbe potuto considerarsi alla stregua di una “sottoscrizione”.
3 Una volta passate in rassegna le previsioni della legge di gara con i dati fattuali rilevanti, occorre senz’altro focalizzare il problema centrale posto dalla presente controversia, quello delle modalità necessarie per potersi dire effettuata la prescritta “sottoscrizione” dell’offerta tecnica di gara.
3a Il Comune osserva che la lex specialis esigeva certo una sottoscrizione, ma, non regolando ulteriormente tale formalità, non aggiungeva che questa dovesse essere apposta proprio in calce ai documenti in rilievo (né usava formule simili, come quella richiedente una firma nell’ultima pagina dell’offerta); e tantomeno prescriveva siffatta modalità addirittura sotto pena di esclusione.
3b Da parte dell’appellante si deduce, inoltre, che il contesto materiale in cui i documenti in esame si collocavano valeva comunque ad apprestare delle valide forme di auto-identificazione, diverse dalla firma in calce alla proposta ma non meno idonee allo scopo di consentire, oltre che la sicura individuazione dell’offerente, la sua piena assunzione di responsabilità in ordine ai contenuti della dichiarazione da sottoscrivere.
La sicura provenienza dell’offerta tecnica dell’aggiudicataria sarebbe stata difatti garantita, oltre che dalla sottoscrizione in testa alla stessa offerta, dalla circostanza che il plico che la racchiudeva era stato regolarmente siglato dalla ditta offerente sui lembi di chiusura.
3c Questa modalità di presentazione, prosegue il Comune, avrebbe assicurato non solo circa la provenienza dell’offerta, ma anche -diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale- sulla vincolatività dei suoi contenuti a carico del proponente e verso il destinatario. Una volta assodata la provenienza del plico recante l’offerta, la vincolatività del contenuto della seconda ne costituirebbe, infatti, solo un riflesso.
E, in ogni caso, ai fini della predetta vincolatività, firma in calce e firma in testa sarebbero formalità equipollenti.
3d In conclusione, secondo il Comune la sentenza appellata dovrebbe essere riformata, anche in aderenza al canone del favor participationis, per la mancanza di un’espressa sanzione espulsiva specificamente correlata alla omessa sottoscrizione in calce all’offerta tecnica, e per la concomitante presenza in concreto di altri elementi formali idonei ad assicurare comunque provenienza e vincolatività dell’offerta rispetto all’aggiudicataria.
4 La Sezione ritiene che queste deduzioni non possano essere condivise.
4a Non vi è discussione tra le parti sul punto che gli elaborati della cui sottoscrizione si dibatte costituissero parte integrante dell’offerta tecnica di gara, come neppure sul fatto che la medesima offerta tecnica contribuisse a connotare l’oggetto della proposta contrattuale espressa da ciascun concorrente.
A ragione, dunque, la lex specialis esigeva, come è già emerso, che ciascuna proposta progettuale fosse sottoscritta, oltre che dal professionista che l’aveva materialmente redatta, anche dall’impresa offerente, dal momento che i documenti che componevano la relativa offerta tecnica erano destinati ad integrare il progetto esecutivo posto a base d’asta per dare vita, con le migliorie individualmente proposte, ad un progetto nuovo, alla stregua del quale l’offerente negozialmente si impegnava.
Non va dimenticato, invero, che l’offerta di gara “esprime, in via unilaterale e con carattere vincolante, l’impegno negoziale ad eseguire il servizio con prestazione conforme all’oggetto di gara, nonché con modalità tecniche e corrispettivo economico che qualificano l’offerta medesima agli effetti della la valutazione comparativa ai fini dell’aggiudicazione dell’appalto.” (C.d.S., VI, 9 novembre 2010, n. 7987).
E’ appena il caso di ricordare, inoltre, che ai fini della validità dei contratti di cui sia parte una Pubblica Amministrazione è necessaria la forma scritta a pena di nullità (v. di recente Cass. Civ., III, 28 settembre 2010, n. 20340; SS.UU., 22 marzo 2010, n. 6827), e la forma scritta adsubstantiam occorre, naturalmente, anche per i contratti di appalto (cfr. ad es. Cass. Civ., I, 4 settembre 2009, n. 19209; 22 gennaio 2009, n. 1614).
Da qui la specifica rilevanza della sottoscrizione dell’offerta di gara, che “si configura come lo strumento mediante il quale l’autore fa propria la dichiarazione contenuta nel documento, serve a rendere nota la paternità ed a vincolare l’autore alla manifestazione di volontà in esso contenuta.
Essa assolve la funzione di assicurare provenienza, serietà, affidabilità e insostituibilità dell’offerta e costituisce elemento essenziale per la sua ammissibilità, sia sotto il profilo formale che sotto quello sostanziale, potendosi solo ad essa riconnettere gli effetti dell’offerta come dichiarazione di volontà volta alla costituzione di un rapporto giuridico. La sua mancanza inficia, pertanto, la validità e la ricevibilità della manifestazione di volontà contenuta nell’offerta senza che sia necessaria, ai fini dell’esclusione, una espressa previsione della legge di gara (Cons. St. Sez. V, 7.11.2008, n. 5547).” (C.d.S., V, 25 gennaio 2011 n. 528).
4b Tanto premesso, osserva la Sezione che una “sottoscrizione” deve per definizione essere apposta in calce al documento al quale si riferisce (nel senso che per “sottoscrizione” debba intendersi la firma in calce, e che questa nemmeno “può essere sostituita dalla sottoscrizione solo parziale delle pagine precedenti quella conclusiva della dichiarazione stessa” v. C.d.S., IV, 31 marzo 2010, n. 1832).
Non si può pertanto condividere l’idea che esista un’equipollenza tra la firma di un documento in calce e quella apposta solo in apertura di esso (“in testa”), o tanto meno sul mero frontespizio di un testo di più pagine, dal momento che è soltanto con la firma in calce che si esprime il senso della consapevole assunzione della paternità di un testo e della responsabilità in ordine al suo contenuto.
La giurisprudenza di questo Consiglio ha confermato questo canone anche quando ha ripudiato interpretazioni puramente formali delle regole di gara. E’ stato recentemente ritenuto, infatti, che “la funzione della sottoscrizione della documentazione è quella di renderla riferibile al presentatore dell’offerta vincolandolo all’impegno assunto, con la conseguenza che laddove tale finalità risulta in concreto conseguita, con salvaguardia del sotteso interesse dell’Amministrazione, non vi è spazio per interpretazioni puramente formali delle prescrizioni di gara.” Ma queste premesse hanno condotto ad ammettere semplicemente che nella vicenda allora sub judice, nella quale ” la dichiarazione di offerta riporta in calce la sigla del legale rappresentante”, “non sussiste alcun dubbio circa il contenuto e la riferibilità dell’offerta presentata ” (C.d.S., VI, 15 dicembre 2010, n. 8933).
Donde l’inaccettabilità della tesi di fondo del Comune appellante che un documento di valore negoziale possa dirsi “sottoscritto” per il solo fatto di recare una firma, indipendentemente dal luogo della collocazione della medesima sul testo del documento veicolante la dichiarazione.
4c Va poi rimarcato che nello specifico la fattispecie del difetto di sottoscrizione dei documenti costitutivi dell’offerta tecnica ricadeva di peso nel fuoco dell’ampia comminatoria di esclusione sopra trascritta, correlata dalla lex specialis a tutti i casi in cui mancasse o risultasse “incompleto o irregolare alcuno dei documenti richiesti o l’offerta”.
4d Il fatto, poi, che in concreto il plico che conteneva l’offerta tecnica fosse stato regolarmente siglato dalla ditta offerente sui lembi di chiusura, se poteva attestare la provenienza dell’offerta, non valeva però ad assicurare la responsabilità del mittente in ordine ai contenuti della dichiarazione, nel senso di garantire sul piano formale la vincolatività negoziale dei contenuti stessi nei rapporti tra proponente e destinatario.
Correttamente, dunque, l’appellato ha insistito sulla necessità di tenere distinti i piani della provenienza di un documento e della vincolatività del suo contenuto negoziale, facendo notare che l’aggiudicataria avrebbe potuto contestare il vincolo nascente dalla formulazione dell’offerta, attribuendo la paternità dei suoi contenuti al solo progettista (terzo estraneo all’impresa, sprovvisto di poteri di rappresentanza verso di essa), che solo l’aveva sottoscritta –e, per giunta, limitatamente ad alcuni degli elaborati costitutivi-.
La giurisprudenza della Sezione ha del resto recentemente già chiarito (C.d.S., V, 25 gennaio 2011 n. 528) che “Non può ritenersi equivalente alla sottoscrizione dell’offerta l’apposizione della controfirma sui lembi sigillati della busta che la contiene. Invero, tale modalità di autenticazione della chiusura della busta – talvolta associata o alternativa alla sigillatura con ceralacca, secondo le prescrizioni della legge di gara – mira, diversamente dalla sottoscrizione dell’offerta che serve a far propria la manifestazione di volontà dell’offerente, a garantire il principio della segretezza dell’offerta e della integrità del plico, richieste ai fini della regolarità della procedura.”
E nell’occasione la Sezione ha avuto anche modo di puntualizzare che, secondo piani principi, “il favor alla massima partecipazione degli aspiranti ad una selezione pubblica opera in presenza di clausole di esclusione incerte od ambigue, da interpretare nel senso più favorevole alla più ampia partecipazione possibile, ma trova un insuperabile ostacolo nelle cause di esclusione dipendenti dalla mancanza di elementi essenziali dell’offerta quali la sottoscrizione.” (sentenza n. 528/2011 cit.).
Se nella specie fosse potuta bastare, infine, la sigla del plico, non avrebbe avuto allora ragione d’essere la ulteriore previsione della legge di gara sulla necessità della doppia sottoscrizione degli elementi costitutivi dell’offerta tecnica, previsione che per le ragioni esposte deve invece trovare coerente applicazione in concreto.
4e In conclusione, si conferma fondato il rilievo che nessuno degli elaborati costituenti l’offerta tecnica dell’aggiudicataria poteva dirsi sottoscritto dalla medesima, in violazione di una precisa regola della legge di gara, presidiata da una previsione di esclusione.
Da qui l’infondatezza dell’appello del Comune di Salice Salentino.
5 Una volta disatteso l’appello principale, resta da esaminare quello incidentale, che verte sull’entità del risarcimento del danno da riconoscere alla OPUS.
L’appellante incidentale contesta la sufficienza della liquidazione operata dalla sentenza in epigrafe, che ha quantificato il danno nella misura del 5 % della sua offerta di gara, ed invoca, in sostanza, la liquidazione forfetaria ed automatica del lucro cessante in applicazione del criterio del 10% del prezzo a base d’asta ai sensi dell’ art. 345, l. n. 2248 del 1865 All. F.
Anche l’appello incidentale è infondato.
Il criterio di liquidazione invocato viene desunto da disposizioni in tema di lavori pubblici che riguardano, però, altri istituti, come appunto l’indennizzo dell’appaltatore nel caso di recesso dell’Amministrazione committente, o la determinazione del prezzo a base d’asta. E il relativo riferimento, quando impiegato come criterio risarcitorio residuale in una logica equitativa, conduce tuttavia, almeno di regola, all’abnorme risultato che il risarcimento dei danni finisce per essere, per l’imprenditore, più favorevole dell’impiego del capitale: con il che si crea la distorsione per cui il ricorrente non ha più interesse a provare in modo puntuale il danno subìto quanto al lucro cessante, perché presumibilmente otterrebbe meno di quanto la liquidazione forfetaria gli consentirebbe (CDS, V, n. 2967 del 2008; VI, 21 maggio 2009 n. 3144).
La tecnica di quantificazione del danno in discorso, pur se inizialmente impiegata, è stata messa pertanto profondamente in discussione dalla più recente giurisprudenza di questo Consiglio (IV, n. 6485 del 2010; V, n. 2967 del 2008; VI, n. 3144 del 2009; n. 8646 del 2010).
È stato, invero, osservato che il relativo criterio non può essere oggetto di applicazione automatica. Viceversa, deve esigersi la prova rigorosa, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che essa avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto (Cons. Stato, V, 6 aprile 2009, n. 2143; 17 ottobre 2008, n. 5098; 5 aprile 2005, n. 1563; VI, 4 aprile 2003, n. 478).
A conforto di tale nuovo approccio è recentemente giunta l’espressa previsione contenuta nell’art. 124 del Codice del processo amministrativo, a tenore del quale “se il giudice non dichiara l’inefficacia del contratto dispone il risarcimento del danno per equivalente subìto”, a condizione, tuttavia, che lo stesso sia stato “provato”.
Ebbene, nel caso di specie nessuna prova è stata fornita dalla OPUS in merito ad un proprio verosimile utile eccedente la soglia del 5 % accordata dal Tribunale ; e tantomeno sono stati allegati indici fattuali circostanziati al punto di consentire, in ipotesi, il ricorso all’uopo a perizie contabili.
E’ doveroso ricordare, d’altra parte, che, sempre secondo la giurisprudenza di questo Consiglio (per tutte C.d.S, VI, n. 70042010, dalla quale sono tratti i passaggi seguenti), il mancato utile spetta nella misura integrale, in caso di annullamento dell’aggiudicazione e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se questi dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista dell’aggiudicazione. In difetto di tale dimostrazione (che compete dunque al concorrente fornire : cfr. C.d.S., IV, n. 64852010), è da ritenere che l’impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi: da qui la decurtazione del risarcimento di una misura a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum.
Non va dimenticato, infatti, che, ai sensi dell’art. 1227 c.c., il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno. Nelle gare di appalto l’impresa non aggiudicataria, ancorché proponga un ricorso e possa ragionevolmente confidare di riuscire vittoriosa, non può mai nutrire la matematica certezza che le verrà aggiudicato il contratto, atteso che sono molteplici le possibili sopravvenienze ostative. Pertanto, non costituisce normalmente condotta diligente quella di immobilizzare tutti i mezzi d’impresa nelle more del giudizio nell’attesa dell’aggiudicazione in proprio favore, essendo invece ben più razionale che l’impresa si attivi per svolgere nelle more altre attività, procurandosi prestazioni contrattuali alternative dalla quali trarre utili.
Da qui la piena ragionevolezza di una detrazione dal risarcimento del mancato utile, affermata dalla giurisprudenza (in particolare, nella misura del 50%), sia dell’aliunde perceptum, sia dell’ aliunde percipiendum con l’originaria diligenza.
Ciò posto, nel caso specifico la parte danneggiata, al di là della generica affermazione di aver immobilizzato i mezzi d’opera nelle more nel giudizio, non ha fornito neppure di tanto alcuna prova puntuale, non potendo reputarsi tale il generico richiamo fatto alla crisi economica in atto.
Non potendosi accedere all’assunto dell’OPUS dell’insufficienza del risarcimento accordatole dal primo Giudice, il suo appello incidentale deve quindi essere rigettato.
6 In conclusione, tanto l’appello principale quanto quello incidentale devono essere respinti.
Le spese processuali, stante anche l’esito della controversia, possono essere equitativamente compensate tra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sulla causa in epigrafe, respinge tanto l’appello principale quanto quello incidentale.
Compensa tra le parti le spese processuali del presente grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Depositata in segreteria il 20 aprile 2012.