Questa è la condanna che rischiano il sindaco e un assessore di un Comune laziale, per aver affidato l'area di un ex campo sportivo ad una società senza aver espletato alcuna gara.
Il Gup aveva graziato i due imputati pronunciando non luogo a procedere perchè il fatto non sussiste. Ma la Cassazione con sentenza n. 26625/12 del 14 giugno 2012, ha annullato tale sentenza, impugnata dal Procuratore Generale della Corte di Appello di Roma e da una seconda società interessata all'affidamento.
Nella fattispecie, entrambi gli imputati avevano dapprima partecipato alla riunione del Consiglio di Amministrazione della società amica alla quale avevano suggerito di richiedere al comune l'affidamento gratuito e poi nella seguente riunione di Giunta comunale avevano partecipato alla deliberazione dell'affidamento dell'area alla stessa società sottacendo l'esistenza di un'altra richiesta di affidamento da parte di un'altra società. Tra l'altro, l'assessore aveva violato il dovere di astensione in quanto fratello dell'amministratore di una società socia dell'affidataria.
Per la Cassazione, la sentenza del Gup era viziata da plurimi errori giuridici. In essa si legge che il perseguimento di un pubblico interesse escluderebbe la sussistenza del reato, ma ad avviso della Corte di cassazione nella fattispecie in esame l'interesse pubblico non risulta affatto perseguito ma anzi violato “nè la tensione verso più generali obbiettivi quali il rilancio del turismo potrebbero mai giustificare la violazione delle procedure legali stabilite per l'azione amministrativa”.
La Corte ha precisato che l'affidamento senza gara ha leso l'interesse pubblico al buon andamento e alla trasparenza della pubblica amministrazione procurando un ingiusto vantaggio patrimoniale alla società amica, con danno al comune, ma anche un ingiusto danno alla seconda società la cui richiesta di affidamento non è stata presa in esame.
Annullata dunque la sentenza di non luogo a procedere con rinvio al Tribunale per nuovo giudizio.
Di seguito, il link con il testo integrale della sentenza della Cassazione n. 26625/2012