La V sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 3740 del 26 giugno 2012, confermando la sentenza di primo di grado n. 33471/2012 del Tar del Lazio, ha respinto il ricorso presentato da una impresa che chiedeva l'annullamento del provvedimento con cui era stata ammessa ad una gara di appalto un'associazione temporanea di imprese.
La ricorrente che aveva già proposto con insuccesso ricorso al Tar di Roma, sosteneva che l’associazione temporanea suddetta, doveva essere esclusa dalla gara in quanto la mandante non risultava iscritta per l’importo necessario all’Albo nazionale dei costruttori. Nonostante non fosse aggiudicataria dell'appalto, doveva essere esclusa in quanto ciò influirebbe sulla media in termini tali da consentire alla appellante di ottenere l’appalto.
Ad avviso dei Giudici di primo grado, le imprese associate, in mancanza dei requisiti della mandante, avrebbero fatto ricorso all'istituto della cooptazione di cui all' art. 95, comma 4, DPR 554/99. Ma a parer della ricorrente non avevano soddisfatto le condizioni che ne legittimano l’utilizzo, essendosi vincolate in termini eccessivamente generici. L'appellante sosteneva, inoltre, che l’associazione per cooptazione configura una facoltà e non un obbligo o un impegno e che non risultava espressa in modo chiaro alcuna volontà associativa nei sensi ritenuti sussistenti dal TAR.
Quest'ultimo, infatti, aveva rilevato che la documentazione in atti consentiva di risalire alla volontà delle associate di utilizzare la facoltà in deroga (con i conseguenti obblighi e impegni), e che dall’altro la dichiarazione specifica di utilizzare il modello della associazione per cooptazione non corrispondeva in modo testuale ad una previsione normativa e che è frutto di un indirizzo giurisprudenziale formatosi anni dopo la gara di cui trattasi avviata nel 1994.
Ad avviso del Consiglio di Stato, in virtù del citato art. 95 comma 4 DPR 554/1999 e dell'accordo tra le associande, in capo a quest'ultime sembrava desumibile la volontà di costituire una associazione per cooptazione, a prescindere da una formale dichiarazione in tal senso. D’altra parte, il Consiglio specifica che una siffatta dichiarazione non era prevista dalla lex specialis a pena di esclusione e che quindi quanto al caso di specie la volontà delle parti è univocamente desumibile dai dati dalle stesse esplicitati in gara
In questa prospettiva, ha ritenuto che la soluzione del TAR corrispondesse anche ad un principio di favor partecipationis, che, avuto riguardo agli atti regolatori della gara, all’epoca in cui si è svolta, ai contrasti giurisprudenziali (peraltro solo successivi), imponeva una iniziativa chiarificatrice della stazione appaltante.
Sulla base di tali riflessioni ha respinto il ricorso confermando la sentenza di primo grado.
Di seguito, il testo integrale della sentenza n. 3740/2012 del Consiglio di Stato
N. 03740/2012REG.PROV.COLL.
N. 01566/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 1566 del 2011, proposto dalla Impresa costruzioni dott. ing. Alberto Fagotti s.r.l. in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti Pierluigi Piselli e Claudio De Portu, con domicilio eletto presso l’avv. Claudio De Portu in Roma, via Flaminia n. 354;
contro
il Comune di Civita Castellana in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Roberto Venettoni, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Cesare Fracassini n. 18;
nei confronti di
Impresa costruzioni Giuseppe Marchetti Dori s.a.s. in persona del legale rappresentante, non costituita in questo grado del giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale amministrativo del Lazio, sede di Roma, Sezione II, n. 33471/2010, resa tra le parti, concernente AGGIUDICAZIONE DELL'APPALTO DELLE OPERE URBANIZZAZIONE PRIMARIA DELLA SECONDA FASE ATTUATIVA DEL PIP COMUNALE
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Civita Castellana;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2012 il Cons. Manfredo Atzeni e udito l’avvocato Piselli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio, sede di Roma, rubricato al n. 12822/94, Impresa Alberto Fagotti s.r.l. impugnava il provvedimento con il quale, in relazione a gara indetta nel 1994, il Comune di Civita Castellana aveva ammesso l’associazione temporanea di imprese fra la Società cooperativa C.AR.E.C.A., Consorzio artigiani, edili collaterali, affini, a r.l., e EN.FE.CA. di Ferranti Enrico alla licitazione privata per le opere di urbanizzazione primaria della seconda fase attuativa del piano di interventi produttivi, e la conseguente aggiudicazione dell’appalto alla Impresa costruzioni Giuseppe Marchetti Dori s.a.s.
Sosteneva che l’associazione temporanea suddetta doveva essere esclusa dalla gara in quanto la mandante non risultava iscritta per l’importo necessario all’Albo nazionale dei costruttori; in tal modo, la media delle offerte ammesse sarebbe stata modificata in termini tali da comportare l’aggiudicazione in suo favore; lamentava inoltre violazione del principio di imparzialità e buon andamento in quanto il Comune in altre occasioni ha impostato la sua azione secondo i principi affermati in ricorso.
La ricorrente chiedeva quindi l’annullamento degli atti impugnati.
Con la sentenza in epigrafe, n. 33471 in data 15 novembre 2011, il Tribunale amministrativo del Lazio, sede di Roma, Sezione II, respingeva il ricorso.
2. Avverso la predetta sentenza Impresa Alberto Fagotti s.r.l. propone il ricorso in appello in epigrafe, rubricato al n. 1566/11, contestando gli argomenti che ne costituiscono il presupposto e chiedendo la sua riforma e l’accoglimento del ricorso di primo grado; propone nuovamente, inoltre, la censura di disparità di trattamento non esaminata dal primo giudice.
Si è costituito in giudizio il Comune di Civita Castellana depositando solo il relativo atto.
La causa è stata assunta in decisione alla pubblica udienza del 14 febbraio 2012.
3. L’appellante afferma la necessità di escludere dalla gara d’appalto di cui al punto 1 l’associazione di imprese, ugualmente indicata al punto 1, nonostante questa non sia risultata aggiudicataria, in quanto la sua esclusione influirebbe sulla media in termini tali da consentire alla appellante di ottenere l’appalto.
La mandante del suddetto raggruppamento non risulterebbe infatti iscritta all’albo nazionale costruttori per un importo adeguato.
La circostanza è esatta, ma irrilevante nel caso in esame.
Ai fini del decidere si tratta di stabilire se il raggruppamento di cui si tratta ha partecipato al procedimento utilizzando l’istituto della cooptazione di cui all’art. 23, sesto comma, del d.lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, corrispondente al successivo art. 95, quarto comma, del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554.
L’appellante afferma che le imprese associate non hanno soddisfatto le condizioni che legittimano l’utilizzo dell’istituto essendosi vincolate in termini eccessivamente generici.
In un quadro giurisprudenziale variegato, la sentenza di prime cure appare tuttavia condivisibile, emergendo dagli atti elementi sufficienti ad individuare in modo non ambiguo lo schema della cooptazione.
Al riguardo nella sentenza appellata si afferma che “consta in atti che le due imprese, poi riunite nell’ATI della cui ammissione si controverte, sottoscrissero un accordo con il quale esse «… assumono formalmente tutti gli impegni e gli obblighi previsti dagli artt. 22 e 23 del Decreto Legs. 19.12.91 n. 406…».
Ciò posto, se si riguarda al dato testuale del citato art. 23, c. 6, si può notare che, ove una o più delle imprese che intendano riunirsi in ATI possiedano i requisiti d’iscrizione all’ANC per l’importo occorrente a partecipare alla gara, hanno facoltà di «… associare altre imprese iscritte… anche per categorie ed importi diversi da quelli richiesti nel bando, a condizione che i lavori eseguiti da queste ultime non superino il venti per cento dell'importo complessivo dei lavori oggetto dell'appalto e che l'ammontare complessivo delle iscrizioni possedute da ciascuna di tali imprese sia almeno pari all'importo dei lavori che saranno affidati…». Tale disposizione, com’è noto, è del tutto identica, nei termini e nel significato, all’art. 95, c. 4 del DPR 21 dicembre 1999 n. 554, il quale anch’esso non fa specifico riferimento alla necessità che le imprese associande debbano produrre, ai fini dell’associazione in cooptazione, un’esplicita dichiarazione in tal senso. Sul punto e con riguardo all’applicazione dell’art. 95, c. 4 del DPR 554/1999 (ma il concetto può valere anche per l’art. 23, c. 6 del Dlg 406/1991), una parte della giurisprudenza ritiene che siffatta facoltà è insita nello stesso dettato normativo che impone alle imprese "cooptate" soltanto l’obbligo della qualificazione e il solo limite percentuale delle opere (Cons. Stato, V, 11 giugno 2001 n. 3129). Secondo un’altra parte (cfr., p.es., Cons. St., V, 1° settembre 2009 n. 5161), tal facoltà è invece subordinata ad un'espressa dichiarazione, risultante dalla domanda di partecipazione alla gara, in assenza della quale è da ritenere sussistente la figura generale di ATI, come indicata nei commi 2 e 3 dello stesso art. 95.
Ora, non sfugge certo al Collegio che, qualora in effetti mancasse ogni indicazione testuale nella dichiarazione negoziale d’associazione, preferibile sarebbe la seconda linea interpretativa. La ragione essenziale di questa scelta s’incentra nell’obbligo inderogabile d’osservanza della par condicio fra i partecipanti alla gara, ché la stazione appaltante non ha l’obbligo di verificare tutte le ipotesi interpretative in astratto consentite dalla normativa vigente, ai fine di ricondurvi la tipologia realizzata da taluno dei concorrenti. Nella specie, tuttavia, la dichiarazione d’impegno tra le imprese associate, della cui serietà il Collegio non dubita come non dubitò a suo tempo il Comune senza particolari dubbi interpretativi, è chiarissima nel vincolare le parti alla stretta osservanza di tutte le regole dell’art. 23 del Dlg 406/1991, compreso il c. 6 ed i suoi effetti.e che i lavori eseguiti da queste ultime non superino il venti per cento dell'importo complessivo dei lavori oggetto dell'appalto e che l'ammontare complessivo delle iscrizioni possedute da ciascuna di tali imprese sia almeno pari all'importo dei lavori che saranno affidati…». “
Sostiene l’appellante che l’associazione per cooptazione configura una facoltà e non un obbligo o un impegno e che non risulta espressa in modo chiaro alcuna volontà associativa nei sensi ritenuti sussistenti dal TAR.
La tesi dell’appellante si fonda sul carattere eccezionale dell’istituto della cooptazione, il quale consente la partecipazione alle gare per l’appalto di lavori pubblici in deroga agli ordinari sistemi di qualificazione.
Senonchè da un lato come rilevato dal TAR la documentazione in atti consente di risalire alla volontà delle associate di utilizzare la facoltà in deroga (con i conseguenti obblighi e impegni), dall’altro la dichiarazione specifica di utilizzare il modello della associazione per cooptazione non corrisponde in modo testuale ad una previsione normativa ed è frutto di un indirizzo giurisprudenziale formatosi anni dopo la gara di cui trattasi avviata nel 1994 (cfr da ultimo(C. di S., III, 7 marzo 2011, n. 1422 )
Stabilisce infatti l’art. 23 del d,lgs.n.406 / 1991 (v. anche art.95 , comma 4, del d.P.R. n. 554/1999) che:
6. Qualora l'impresa singola o le imprese che intendano riunirsi in associazione temporanea abbiano i requisiti di cui al presente articolo, possono associare altre imprese iscritte all'albo nazionale dei costruttori, anche per categorie ed importi diversi da quelli richiesti nel bando, a condizione che i lavori eseguiti da queste ultime non superino il venti per cento dell'importo complessivo dei lavori oggetto dell'appalto e che l'ammontare complessivo delle iscrizioni possedute da ciascuna di tali imprese sia almeno pari all'importo dei lavori che saranno ad essa affidati.
In relazione a tale previsione e al citato accordo tra le associande sembra desumibile la volontà di costituire una associazione per cooptazione, a prescindere da una formale dichiarazione in tal senso
D’altra parte una siffatta dichiarazione non era prevista dalla lex specialis a pena di esclusione
e non è dato comprendere sotto quale profilo l’accordo tra le associande possa essere considerato insufficiente, in quanto espressamente rivolto all’utilizzo degli istituti di cui alle norme richiamate, mentre costituisce un rafforzamento l’espressa assunzione di responsabilità di cui al settimo comma dell’art. 23 più volte richiamato.
Deve quindi essere affermato che quanto al caso di specie la volontà delle parti è univocamente desumibile dai dati dalle stesse esplicitati in gara.
In questa prospettiva la soluzione del TAR corrisponde anche ad un principio di favor partecipationis, che, avuto riguardo agli atti regolatori della gara, all’epoca in cui si è svolta, ai contrasti giurisprudenziali (peraltro solo successivi), quanto meno imponeva nella persistenza di eventuali dubbi (peraltro mai manifestati in sede di gara) sulla necessità di una dichiarazione espressa (a pena di esclusione ), una iniziativa chiarificatrice della stazione appaltante
L’argomentazione di parte appellante deve quindi essere respinta.
L’appellante sostiene inoltre che l’operato dell’Amministrazione è inficiato dal fatto che in altre occasioni ha seguito un’impostazione opposta a quella adottata nel caso che ora interessa.
L’osservazione non può spostare le conclusioni cui è giunto il Collegio in quanto l’eventuale errore commesso in precedenti occasioni non comporta certo l’obbligo della sua reiterazione in ulteriori circostanze.
4. L’appello deve,in conclusione, essere respinto.
Le spese del grado devono essere integralmente compensate in ragione della limitata attività difensiva posta in essere dalla parte vincitrice.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull'appello n. 1566/11, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa integralmente spese ed onorari del grado di giudizio fra le parti costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Trovato, Presidente
Manfredo Atzeni, Consigliere, Estensore
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/06/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)