L'Amministrazione che ha fatto salva l'interpretazione di una norma urbanistica che, solamente in un secondo momento viene smentita, commette errore scusabile.
E' quanto ha affermato il Consiglio di Stato con la sentenza numero 4089 dello scorso 25 settembre.
Di conseguenza, anche se l'esproprio risulta in seguito essere illegittimo, al privato non spetta il risarcimento danni per l'indebita occupazione del suo fondo. Infatti, secondo i giudici amministrativi, ci si troverebbe di fronte, in tal caso, ad un errore scusabile dell'amministrazione (esente da colpa) che ha, per l'appunto, seguito un'interpretazione normativa poi mutata.
Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto che non sussiste il diritto al risarcimento danni quando la lettura della norma urbanistica che l'ente ha offerto all'epoca dei fatti costituisce una “accettabile interpretazione ermeneutica”.
Affinché si possa configurare in capo all'amministrazione un obbligo risarcitorio a favore del soggetto privato per illecito contrattuale è necessario che siano accertati il dolo o la colpa.
Secondo il massimo organo della giustizia amministrativa, non c'è dubbio che manchi del tutto la colpa, ritenendo infatti di “potere rinvenire nella condotta amministrativa oggetto di verifica elementi antitetici a qualsivoglia ipotesi di negligenza, disattenzione, approssimazione”.
Non può pertanto essere definita “marchianamente errata” o “arbitraria la tesi sottesa agli atti di amministrazione attiva adottati”, dal momento che per risolvere la questione legata alla poca chiarezza della norma contesa, è stata necessaria un'interpretazione sistematica, giunta solamente dopo il provvedimento in seguito annullato.
In conclusione, quando si è davanti ad un quadro normativo equivoco, non è possibile ravvisare in capo all'ente una colpa e quindi una responsabilità risarcitoria.
Qui il testo della sentenza n. 4089/2012 del Consiglio di Stato