Il Giudice del Lavoro di Ragusa, con ordinanza del 4 marzo 2013, rigettando un ricorso ex art. 700 c.p.c. presentato da un lavoratore a tempo determinato avverso la revoca dell’assunzione disposta da parte datoriale (nel caso di specie una Azienda Municipalizzata), ha affermato che “in tema di contratto a termine (…) non è ragionevole presumere che il venir meno del trattamento retributivo già goduto dal ricorrente sia idoneo a determinare, in danno del medesimo, l’impossibilità o la rilevante difficoltà di provvedere adeguatamente al soddisfacimento di primarie esigenze di vita (posto che, in definitiva, il contestato atto di recesso presenta la mera attitudine a privare il lavoratore di tre mensilità soltanto)“.
Fondamento della decisione è stata la rilevata mancanza dell’elemento del periculum in mora (il pregiudizio grave e irreparabile cui sarebbe esposto il diritto azionato nelle more della tutela in via ordinaria) che rappresenta, unitamente al fumus boni iuris (ossia la probabilità in ordine alla fondatezza della pretesa), presupposto indefettibile per la concessione di qualsivoglia misura cautelare.
Il profilo del periculum in mora, proprio con specifico riguardo alla tutela cautelare ex art. 700 c.p.c., assume un rilievo primario, sia perchè la concessione del rimedio presuppone un’urgenza particolarmente qualificata, sia perchè che l’istituto in esame ha portata notoriamente residuale, trovando applicazione solo ladddove l’ordinamento non consente il ricorso ad altra misura cautelare tipica.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente infatti il periculum in mora non deve ritenersi sussistente in re ipsa neppure di fronte a vicende tanto rilevanti come un licenziamento, ma deve essere accertata caso per caso in relazione all’effettiva situazione socio-economica del lavoratore. Il ricorrente é quindi tenuto ad allegare e provare le circostanze (ad es. relative alla sua situazione familiare, alla necessità di affrontare spese indilazionabili, alla compromissione del suo equilibrio psico-fisico) dalle quali emerga che la perdita del posto di lavoro o la mancata assunzione – e quindi la conseguente perdita (o mancata acquisizione) della retribuzione – possa configurarsi come fonte di pregiudizio irreparabile, non ristorabile neanche successivamente. Solo così infatti la controparte può spiegare un’effettiva difesa ed il giudice è messo nella condizione di poter operare una verifica finalizzata alla tutela di un pregiudizio concretamente e non teoricamente irrimediabile.
E ciò risulta ancor più vero e necessario nell’ipotesi in cui, come nel caso di specie, il rapporto di lavoro cessato sia a tempo determinato, atteso che è lo stesso legislatore a prevedere una tutela di natura obbligatoria (mediante il risarcimento del danno subito) e non reale (reintegrazione nel posto di lavoro).
Il periculum in mora infine non può ravvisarsi in re ipsa neppure nel fatto stesso della disoccupazione, poiché altrimenti ogni licenziamento finirebbe per integrarne gli estremi, così da rendere il ricorso all’art. 700 c.p.c. il rimedio naturale per la contestazione della legittimità del recesso datoriale, in aperto contrasto con la disciplina del processo del lavoro che invece prevede, quale la forma ordinaria di impugnativa del licenziamento, il ricorso ex art. 414 c.p.c., peraltro gà improntato a criteri di oralità e celerità che lo differenziano in maniera significativa dall’ordinario processo di cognizione.
Per agevolare la consultazione si riporta lo stralcio dell’ordinanza in commento.
***
-
Tribunale di Ragusa, Giudice del Lavoro Dott.ssa Claudia M.A. Catalano;
-
ordinanza 4 Marzo 2013;
-
parti: ricorrente (Avv. Luigi Mario Mascolino) c. AMIU (Avv. Carmelo Giurdanella)
(…)
Il Giudice esaminati gli atti e sciogliendo la riserva che precede,
rilevato
che il ricorrente, assunto dall’AMIU (…) con contratto di lavoro a tempo determinato di durata trimestrale, deduce l’illegittimità del provvedimento con il quale la summenzionata azienda gli ha comunicato la risoluzione unilaterale del rapporto; affermata l’insussistenza di alcuna ragione giuridicamente plausibile a sostegno del contestato atto di recesso, chiede dunque che il giudice adito voglia reintegrare in via urgente esso ricorrente nel posto di lavoro ricoperto alla data dell’indebita risoluzione contrattuale;
che l’interessato ha del tutto trascurato di allegare (e, a fortiori, di dimostrare) l’esistenza del requisito del periculum in mora;
che, peraltro, vertendosi in tema di contratto a termine (…) non è ragionevole presumere che il venir meno del trattamento retributivo già goduto dal ricorrente sia idoneo a determinare, in danno del medesimo, l’impossibilità o la rilevante difficoltà di provvedere adeguatamente al soddisfacimento di primarie esigenze di vita (posto che, in definitiva, il contestato atto di recesso presenta la mera attitudine a privare il lavoratore di tre mensilità soltanto); (…)
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.