È del 19 marzo 2013 la sentenza n. 1609/2013 con cui il Consiglio di Stato, rigettando l’appello proposto da una dipendente dell’amministrazione penitenziaria, ha affermato che di per sé “i provvedimenti recanti sanzioni disciplinari e l’attribuzione di una valutazione in sede di rapporto informativo ingiustificatamente peggiorativa, non rivelano alcun indizio sintomatico del mobbing e cioè l’esistenza di un atteggiamento sistematicamente persecutorio o vessatorio a nulla rilevando che l’interessata abbia avuto un aspecifica percezione che tali vicende manifestino l’intento dell’Amministrazione di emarginarla ed essendo gli episodi sottesi ai provvedimenti adottati a suo carico unicamente riconducibili al clima di conflittualità esistente tra il personale”.
Oggetto della controversia, com’è agevole intuire, era la richiesta di accertamento del diritto al risarcimento del danno da mobbing, variamente articolato nelle voci di danno biologico, esistenziale e morale. I giudici di Palazzo Spada, ricordando che il danno in questione è riconducibile alla responsabilità contrattuale del datore di lavoro, obbligato ex art. 2087 c.c. a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, hanno fondato l’apparato motivazionale della pronuncia sull’assenza nel caso di specie di sistematicità e frequenza dell’azione offensiva subita dalla lavoratrice.
La nozione di mobbing infatti, di elaborazione giurisprudenziale, si incentra su “quell’insieme di condotte vessatorie e persecutorie del datore di lavoro o comunque emergenti nell’ambito lavorativo concretizzanti la lesione della salute psico-fisica e dell’integrità del dipendente e che postulano, ove sussistenti, una adeguata tutela anche di tipo risarcitorio”, cioè su una serie prolungata di atti e comportamenti che abbia caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione o riveli intenti meramente emulativi.
Pertanto, conclude il Consiglio di Stato, “non si ravvisano gli estremi del mobbing nell’accadimento di episodi che evidenziano screzi o conflitti interpersonali nell’ambiente di lavoro e che per loro stessa natura non sono caratterizzati da volontà persecutoria essendo in particolare collegati a fenomeni di rivalità, ambizione o antipatie reciproche che pure sono frequenti nel mondo del lavoro”.