Prima di addentrarci in questo breve excursus, occorre sgomberare il campo dal primo equivoco, derivante da una comunicazione imperfetta: la riforma siciliana non fa sparire l’ente intermedio tra regione e comuni. Una vera e propria abolizione delle province avrebbe dovuto determinare la cancellazione dell’ente intermedio e la ripartizione delle funzioni e competenze proprie di questo tra i due rimanenti, comuni e regione, con netta prevalenza per quest’ultima, considerando il livello sovra comunale delle competenze delle Province. In realtà non si è cancellato l’ente intermedio tra Regioni e Comuni, ma si è provveduto a sostituirlo con i “liberi consorzi”, rimodulando le competenze e funzioni dell’ente intermedio. Che, dunque, resta ben saldo.
L’attuale riforma prende le mosse e attua il dettato dell’art. 15 dello Statuto siciliano, approvato con R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455 e convertito in l. cost. 26 febbraio 1948, n. 2, che recita:
art. 15
1. Le circoscrizioni provinciali e gli organi ed enti pubblici che ne derivano sono soppressi nell’ambito della Regione siciliana.
2. L‘ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria.
3. Nel quadro di tali principi generali spetta alla Regione la legislazione esclusiva e l’esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali.
Come è agevole notare, il comma 2 del citato articolo costruisce il sistema degli enti locali su tre livelli, esattamente come avviene nel resto del territorio nazionale ed i liberi consorzi sono destinati a subentrare alle circoscrizioni provinciali soppresse. Pertanto, il libero consorzio previsto dall’art. 15 dello Statuto siciliano non è affatto un macro comune, ma bensì è un ente intermedio, che svolge funzioni sovra comunali.
Nonostante ciò le province in Sicilia sono sopravvissute come disegnate dallo Stato fino al 1986, quando con la legge regionale 9 vennero istituite le “province regionali”, qualificate, ai sensi dello statuto regionale, “liberi consorzi di comuni”. Le province erano “regionali” in quanto costituite e regolate dalla normativa siciliana, non, quindi, retaggio di disciplina ed ordinamento imposto dallo Stato.
Non solo. La legge regionale 9/1986 è rimasta lettera morta, proprio nella parte in cui attribuisce ai comuni un ruolo fondamentale nella costituzione, modifica e regolazione delle funzioni della provincia, che avrebbe potuto connotarsi fortemente come “regionale” e regolata dal “basso”. L’articolo 5 della legge assegnava ai comuni la possibilità di modificare le circoscrizioni. Mai fatto. L’articolo 15 consentiva l’avvio virtuoso di gestioni “comuni”, cioè associate, su iniziativa comunale: nemmeno l’ombra.
Oltre a ciò, dal confronto tra il dettato del comma 2 dell’art. 15 Statuto siciliano e il tenore della L.R. 9/1986 emerge un’altra differenza di particolare rilievo. La norma di rango costituzionale ha attribuito, evidentemente, una configurazione all’assetto istituzionale sovracomunale diversa rispetto a quello scaturito dalla L.R. 6/5/1986, n. 9 e s.m.i., che invece ha delineato l’organizzazione delle province siciliane – come nel resto dell’Italia – quali enti locali territoriali dotati di autonomia anche politica e non solo amministrativa e finanziaria.
I dubbi in ordine alla conformità statutaria, ovvero costituzionale, del disegno ordinamentale contenuto nella L.r. n. 9/86, risiedono quindi nel fatto che in luogo di liberi consorzi di comuni – enti pubblici non territoriali dotati di autonomia amministrativa e finanziaria–sono stati istituiti enti territoriali dotati non solo di autonomia amministrativa e finanziaria ma anche di autonomia politica. In buona sostanza è stato aggirato l’art. 15 dello Statuto, la cui modifica avrebbe richiesto la procedura di revisione aggravata di cui all’art. 138 della Cost., attesa la sua nota natura costituzionale, e una fonte di rango subordinato, qual’è la norma di attuazione n. 9/86, non può modificare e tradire la normativa attuata di rango superiore.
In questo quadro si inserisce l’attuale riforma approvata in esito alla seduta dell’Ars del 20 marzo 2013, che come anticipato, sostituisce alle vecchie 9 Province i liberi consorzi tra Comuni. Palermo, Catania e Messina dovrebbero poi costituire delle Città metropolitane ed essere, in ogni caso, aree autonome.
Le caratteristiche dei nuovi enti, in sintesi, saranno:
a) la presenza di organi di governo (presidente, giunta e consiglio) “di secondo grado”, cioè non eletti direttamente dal corpo elettorale, ma designati dai comuni, scegliendoli tra i sindaci ed i consiglieri; la carica, in tali consorzi sarà gratuita, pur essendo previsti i rimborsi spese;
b) il mantenimento di tutte le funzioni e competenze proprie delle province, ad eccezione di quelle concernenti gli istituti scolastici superiori e le strade; le scuole andrebbero ai comuni, le strade al Genio civile;
c) la previsione di una circoscrizione territoriale di almeno 150.000 abitanti (stando ai numeri si potrebbe arrivare a ben trentatré Liberi Consorzi, ma Crocetta ne ipotizza da dodici a quindici);
d) l’acquisizione delle funzioni del ciclo dell’acqua e dei rifiuti, conseguente all’abolizione delle autorità d’ambito e delle società di gestione da queste costituite.
La legge, di soli tre articoli, è sicuramente qualcosa in più di un proclama televisivo ma sicuramente è molto meno di un compiuto progetto di riforma dell’architettura istituzionale. Non vi è traccia di norme di coordinamento con la legge n. 9/86, e neanche della precedente l.r. 8 marzo 2012 n. 14 attraverso la quale il medesimo legislatore aveva, appena un anno fa, già avviato il riordino dell’ente intermedio impegnandosi ad individuare con successiva legge (da approvare entro il 31 dicembre 2012), l’individuazione delle funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività dei Comuni e le modalità di elezione degli organi di governo. A una norma di carattere programmatica varata con la l.r. n. 14/2012 la nuova A.R.S. risponde quindi con una nuova norma, anch’essa di carattere programmatico, che sposta esattamente le lancette dell’orologio di ulteriori 12 mesi per la definitiva approvazione della legge sul riordino dell’ente intermedio.
Le uniche novità immediatamente operanti si attestano in realtà su di un piano squisitamente procedurale.
Primo, entro il 31 dicembre 2013 la Regione, con una nuova legge, dovrà disciplinare l’istituzione dei liberi Consorzi comunali per l’esercizio delle funzioni di governo di area vasta, nonchè l’istituzione delle città metropolitane. La legge approvata dall’Ars il 20 marzo quindi non sopprime alcun ente né introduce alcuna riforma: è una norma che rinvia ad altra norma.
Secondo, al fine di consentire la riforma è impedito il rinnovo degli organi provinciali e le Province vengono commissariate, visto che i nuovi liberi consorzi dovranno prevedere l’elezione di secondo grado. Nello specifico, agli organi delle Province regionali che cessano per scadenza naturale o anticipata nel corso del 2013, si applicherà, sino al 31 dicembre 2013, la disciplina prevista all’articolo 145 dell’ordinamento amministrativo degli enti locali (decreto legislativo presidenziale 29 ottobre 1955, n. 6) approvato con legge regionale 15 marzo 1963 n. 16 e s.m.i. Le Province saranno guidate da un Commissario Straordinario scelto dal Presidente della Regione, su proposta dell’Assessore regionale alle Autonomie Locali.
Dall’analisi di ciò che c’è passiamo all’analisi di ciò che manca e che crea notevoli problemi di ordine pratico.
La riforma non dice nulla sui 6.500 dipendenti provinciali che dovrebbero transitare verso la Regione o verso i Comuni. Non chiarisce se questo passaggio avverrà in deroga ai vincoli di legge in materia di costo del personale e che conseguenze avrà sul rispetto del patto di stabilità. Una soluzione sarebbe quella trasferire i dipendenti provinciali ai nascituri Liberi Consorzi dei Comuni.
Delle competenze dei Liberi Consorzi il ddl approvato dall’Assemblea Regionale Siciliana non parla, limitandosi a fare riferimento a generiche funzioni di governo di area vasta: non è detto, ad esempio, se tra queste competenze rientreranno le funzioni di tutela, protezione ed igiene ambientale e se questo comporterà il diritto dei nuovi soggetti giuridici ad incassare il relativo tributo provinciale, di cui all’articolo 19 del D.Lgs. n. 504/1992.
Così come nulla è chiarito in merito alle altre entrate tributarie provinciali, a partire dalle tasse automobilistiche.
I Comuni dovrebbero ereditare nuove funzioni (ad esempio l’edilizia scolastica) senza potere contare su alcune entrate delle Province.
Dalla nuova normativa manca, e non poteva essere altrimenti, qualsiasi accenno alla sorte di Prefetture, Questure ed altre uffici statali insistenti su base provinciale. L’Assemblea Regionale non poteva autarchicamente intervenire su questa materia.
Dall’amaro al dolce, cioè ai risparmi di spesa previsti. L’unica previsione che genererà risparmi per 50 milioni di euro a regime è quella che riguarda i futuri organi dei nascituri Liberi Consorzi che saranno eletti con il sistema indiretto di secondo grado (cfr. supra, sub a). In pratica dovrebbe provvedere l’assemblea dei Sindaci dei Comuni associati ad eleggere al proprio interno il Presidente del Consorzio. Gli incarichi politici dovrebbero essere svolti a titolo gratuito, salvo rimborsi spese. Ma per le modalità di elezione, la composizione e le funzioni di questi organi bisognerà attendere il nuovo provvedimento legislativo cui la riforma rinvia.
Infine, malgrado sia stata ridotto all’osso, il ddl continua a scontare anche dubbi di costituzionalità. Il disegno tende ad attuare il principio di autonomia sancito dallo Statuto siciliano (avente rango di legge costituzionale) che riconosce alla Regione il potere di auto-organizzazione dei propri organi istituzionali e delle funzioni dagli stessi espletato. La riforma del titolo V della Costituzione, però, nel 2001, ha “costituzionalizzato” le Province facendone uno dei pilastri della propria architettura, atteso che l’art. 114 della Carta Costituzione, oggi, sancisce che “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”.
Proprio perché esistono dubbi di costituzionalità, il testo del ddl sull’abolizione delle Province ha subìto dei cambiamenti, per evitare l’intervento del Commissario dello Stato e le sue censure. Il Presidente della Commissione Affari Istituzionali, Marzo Forzese, ha, in maniera inconsueta, prima della discussione in aula, incontrato informalmente proprio il Commissario di Stato, Carmelo Aronica, il quale ha suggerito di cambiare il testo iniziale del ddl. limitandosi a dare una nuova disciplina ai Liberi Consorzi di Comuni già previsti dall’art. 15 dello Statuto regionale e di non avventurarsi a parlare di abolizione delle Province e creazione di nuovi organismi. Suggerimento tenuto in debito conto.
L’attuale struttura istituzionale della Regione Sicilia potrebbe essere, in qualche modo, garantita dal rango costituzionale del proprio Statuto, ma se questa architettura venisse cambiata, ciò potrebbe avvenire solo attraverso la procedura di revisione costituzionale. Per molti, però, anche i “vecchi” Liberi Consorzi previsti dallo Statuto non rispondono più all’impianto costituzionale, così come riformato dalla legge n. 3/2001.
Da ultimo, si dubita della legittimità dell’abolizione formale delle Province con legge ordinaria. La riforma del titolo V ha mutato l’art. 118 della Costituzione della Repubblica Italiana, attribuendo anche alle Province (insieme ai Comuni ed alle Città metropolitane), la titolarità di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. Il dubbio sul quomodo dell’abolizione delle Province siciliane, quindi, sussiste e la riforma potrebbe anche essere impugnata dal Commissario di Stato, proprio perché in contrasto con il novellato art. 118 della Costituzione.