È del 20 marzo 2013 la notizia della declaratoria di inammissibilità del Tar Lazio del ricorso proposto dal Codacons per ottenere l’annullamento di tutti i provvedimenti che hanno contribuito ad introdurre l’IMU, considerata l’iniquità dell’imposta.
Il giudice amministrativo non si è spinto ad esaminare il merito delle censure prospettate, rilevando in via pregiudiziale “innanzitutto” il difetto di legittimazione ad agire del Codacons e argomentando poi l’inammissibilità del ricorso collettivo dei consumatori per la mancata allegazione di elementi sufficienti a comprovare la loro stessa legittimazione a ricorrere, nonché per la circostanza che le delibere comunali impugnate recassero o potessero recare determinazioni diverse sulle aliquote applicate nei diversi Comuni.
L’aspetto più interessante della pronuncia è sicuramente rappresentato dal teorema della non sovrapponibilità del concetto di contribuente con quello di consumatore, alla base della rilevata carenza di legittimazione attiva del Codacons.
Afferma il giudice amministrativo: “difetta innanzitutto, ad avviso del Collegio, in capo alla ricorrente Associazione, la legittimazione ad agire al fine della sollecitazione del sindacato giurisdizionale in materia di istituzione, regolamentazione e disciplina di un tributo, afferente pertanto ad un interesse non dei consumatori o degli utenti di un pubblico servizio, quanto dei contribuenti in generale”.
Ma in che cosa si differenzia la nozione di consumatore da quella di contribuente?
L’esorbitanza dell’azione promossa dal Codacons rispetto alle sue stesse finalità statutarie e alle possibilità di impugnativa riconosciute dal Codice del Consumo (Dlgs 206/2005) e dalla Legge sulle Associazioni di promozione sociale (L. 383/2000), viene argomentata dal Tar Lazio in ragione della maggiore ampiezza della nozione di contribuente – che di fatto comprende tutti i cittadini – rispetto alla nozione di consumatore, che invece riguarda solo gli utenti di determinati beni o servizi. E il Codacons, al pari di qualsiasi altra associazione volta a tutelare i diritti e gli interessi dei consumatori, non può prescindere dall’accertamento della lesione di un interesse collettivo della specifica categoria rappresentata, omogeneo e indivisibile.
Pertanto, conclude il Tar “la legittimazione a ricorrere delle associazioni dei consumatori e degli utenti in possesso di regolare iscrizione nell’apposito elenco ministeriale, legittimazione correlata ai “diritti fondamentali” che l’art. 2 comma 2 d.lg. 6 settembre 2005 n. 206 (c.d. Codice dei consumatori) riconosce in favore dei consumatori e degli utenti medesimi, per quanto ampia non può tuttavia estendersi sino a ricomprendere qualsiasi attività di tipo pubblicistico che si rifletta economicamente, in modo diretto o indiretto, sui cittadini, dovendo al contrario esser commisurata a quegli atti che siano idonei a interferire con specificità e immediatezza sulla posizione dei consumatori e degli utenti”.
Per ulteriori approfondimenti, si rende disponibile il testo integrale della sentenza n. 2843/2013 del Tar Lazio.