Cassazione: davanti al Tribunale lavoro può patrocinare il praticante abilitato?

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 10102 del 29 aprile 2013, ha affermato che il praticante abilitato è legittimato a presentare il ricorso introduttivo nelle cause di lavoro assegnate al Tribunale monocratico in funzione di giudice del lavoro, purchè si tratti di controversie il cui valore non ecceda i cinquanta milioni di vecchie lire.

La questione giuridica affrontata e risolta dalla Corte ruota attorno alla interpretazione dell’art. 7 della L. n. 479/1999 (cd. Legge Carotti), già vigente all’epoca dei fatti di causa, che elenca dettagliatamente e tassativamente le materie e i casi in cui “i praticanti avvocati, dopo il conseguimento dell’abilitazione al patrocinio” possono esercitare la professione dinanzi al Giudice di Pace e al Tribunale in composizione monocratica.

Nel caso di specie, il conseguimento dell’abilitazione forense e la successiva iscrizione nell’Albo degli Avvocati si era avuta solo successivamente alla presentazione del ricorso introduttivo, al tempo della quale il difensore aveva la qualifica di “praticante abilitato al patrocinio”.

La sentenza impugnata riteneva che tra queste non potevano essere incluse le controversie in materia di lavoro e previdenza che, dopo la riforma del Giudice Unico, non erano state assegnate al Giudice di Pace ma erano di esclusiva competenza del Tribunale monocratico: pertanto il praticante abilitato non avrebbe potuto ritenersi legittimato a patrocinare dinanzi al Tribunale del lavoro.

La Suprema Corte, nel respingere la tesi del ricorrente incentrata sull’applicabilità dell’art. 7 ai soli praticanti non abilitati al patrocinio, ha da un lato sottolineato come il tenore letterale della norma in esame è chiaro nel riferirsi ai praticanti avvocati in genere, senza operare alcuna distinzione tra coloro già abilitati e coloro che non lo erano, ma dall’altro ha anche affermato che in ogni caso la possibilità di esercitare l’attività professionale negliaffari civili” limitatamente “alle cause, anche se relative a beni immobili, di valore non superiore a lire 50 milioni” (secondo la dizione dell’art. 7 comma 1 lett a) n. 1, L. cit.) comprende in sé anche quelle in materia di lavoro e di previdenza e assistenza che, prima della istituzione del giudice unico di primo grado, rientravano nella competenza pretorile.

Nonostante l’esito interpretativo della Corte di Cassazione sia diametralmente opposto a quello della Corte di merito, la sentenza impugnata viene comunque confermata in quanto il difensore in questione era carente dello ius postulandi in relazione al valore della causa in questione, di fatto eccedente la soglia dei cinquanta milioni di lire fissata dall’art. 7 L. n. 479/1999.

Per ulteriori approfondimenti, si rende disponibile il testo integrale della sentenza in commento (Cass. Civ. Sez. Lavoro, sentenza n. 10102 del 29 aprile 2013).

Redazione

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