Il Tar Campania, con sentenza n. 1756 del 3 aprile 2013, fornisce indicazioni circa le modalità di produzione in giudizio della notifica c.d. “diretta” di ricorsi amministrativi a mezzo PEC effettuata da parte di avvocato autorizzato ai sensi della L.53/1994 e successive modifiche.
Posto che l’art. 39 comma 2 del cpa per le notificazioni degli atti del processo amministrativo rinvia alle norme del codice civile e delle leggi speciali in materia, i giudici amministrativi si sono trovati ad affrontare una questione processuale trasversale e comune al processo civile.
Due le questioni affrontate: l’ esatta definizione delle produzioni in giudizio necessarie a dimostrare la regolarità della notifica effettuata dall’avvocato a mezzo PEC ex L. 53/1994 e la necessaria conformità dell’atto allegato alla PEC a quello prodotto in giudizio.
La Legge n. 53/1994, com’è noto, disciplina le notifiche in proprio degli avvocati o dei procuratori legali di atti civili, amministrativi e stragiudiziali a mezzo posta, condizionando la validità di una tale notifica alla condizione che sia stata chiesta e ottenuta la relativa autorizzazione al Consiglio dell’Ordine di appartenenza (art. 7) e che il legale si sia munito di un apposito registro cronologico, numerato e vidimato in ogni foglio dal Presidente del Consiglio dell’Ordine o da un Consigliere delegato (art. 8).
All’indomani dell’avvento della PEC nel nostro ordinamento, si è posto il problema del suo coordinamento con la disciplina normativa della Legge 53/1994 e con la disciplina codicistica generale delle notifiche.
Da un lato, si è stabilito che la notifica a mezzo PEC debba seguire il procedimento di cui all’art. 149-bis cpc in quanto compatibile, dall’altro, con L. 148/2011 (in vigore dal 1°gennaio 2012), si è provveduto a modificare la L. 53/1994 inserendo come strumento alternativo la notifica a mezzo PEC purchè in presenza della indicata autorizzazione del Consiglio dell’Ordine di appartenenza e solo se l’indirizzo del destinatario risulta da pubblici elenchi.
Il quadro normativo poi è completato dal Codice dell’amministrazione digitale (Dlgs n. 82/2005) e dal DM 21 febbraio 2011 recante le regole tecniche sul processo civile telematico (PCT).
Orbene. Benchè l’art. 18 del decreto ministeriale preveda che la notifica si intende perfezionata con la cd. ricevuta breve di avvenuta consegna della PEC, questo tipo di ricevuta non riporta l’intero atto con la firma digitale ma solo un suo estratto, peraltro codificato, che non consente al giudice di poter verificare con immediatezza la sua corrispondenza all’originale. Inoltre, l’art. 23 del CAD afferma come si possa parlare di copia cartacea di documento informatico firmato digitalmente solo quando vi sia una conformità all’originale “in tutte le sue componenti”.
“Si ritiene, pertanto – afferma il Tar Campania -, che al fine di verificare che effettivamente la notifica dell’atto sia andata a buon fine e che l’atto notificato con la P.E.C. sia conforme a quello depositato in formato cartaceo, debba essere prodotta dall’avvocato notificante la c.d. ricevuta completa di avvenuta consegna della P.E.C., in modo da poter produrre tale ricevuta con l’intero atto notificato, e non soltanto un suo estratto.
E’ inoltre necessario che l’avvocato produca la stampa dell’atto notificato con la relata; il certificato di firma digitale del notificante; il certificato di firma del gestore di PEC; le informazioni richieste dall’art. 18 per il corpo del messaggio; le ricevute della PEC; gli ulteriori dati di certificazione”.
Nel caso di specie, essendo stata depositata unicamente la ricevuta di accettazione del messaggio e la ricevuta di avvenuta consegna, senza che si potesse evincere quale fosse il documento consegnato e se rappresentasse la copia informatica del ricorso depositato, quest’ultimo è stato dichiarato inammissibile per violazione delle norme della L.53/1994, oltre che per insufficiente prova dell’integrale struttura del documento elettronico.
Per ulteriori approfondimenti, si rende disponibile il testo integrale della sentenza in commento (Tar Campania, sent. n. 1756 del 3 aprile 2013).