Corte costituzionale: ai legali della PA è preclusa la difesa delle società partecipate

Gli avvocati degli uffici legali degli enti pubblici possono patrocinare solo le cause dell’ente di appartenenza e non possono assumere la difesa legale delle società partecipate dal medesimo soggetto pubblico.
Questo è quanto ha affermato la Corte costituzionale con sentenza n. 91 del 20 maggio 2013, con cui ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 29 commi 1 e 2 della legge della Regione Campania n. 1/2009, nella parte in cui estende le prerogative della propria avvocatura interna anche agli enti strumentali e le società interamente partecipate dalla Regione Campania, consentendo la stipula di apposite convenzioni per regolare le modalità attraverso cui può essere richiesta ed ottenuta l’assistenza legale.
Il Regio decreto n. 1578/1933, recante la vecchia disciplina della professione forense, prevedeva, all’art. 3 comma 2, l’incompatibilità dell’esercizio della professione di avvocato con qualunque impiego o ufficio retribuito a carico del bilancio dello Stato o degli enti pubblici, stabilendo un principio derogabile – per quanto riguarda gli avvocati degli uffici legali di tali enti – solo per le cause e gli affari propri dell’ente presso il quale i professionisti sono incardinati e a condizione che siano iscritti nell’elenco speciale annesso agli albi professionali, ai sensi del medesimo art. 3, quarto comma, lettera b).
Tale principio è stato interpretato restrittivamente dalla consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, che attribuiva alla norma natura eccezionale e pertanto la riteneva insuscettibile di applicazione analogica. Sulla stessa linea si è attestata infine anche la recente riforma forense, realizzata con L. n. 247/2012 che ha ribadito il pregresso regime di incompatibilità della professione forense con qualsiasi tipo di attività di lavoro subordinato anche se con orario ridotto (part time).
Ebbene, considerato il quadro normativo e giurisprudenziale richiamato, la Consulta ha ritenuto che “La normativa regionale censurata, consentendo agli avvocati regionali di svolgere attività di patrocinio in giudizio e di consulenza anche a favore di enti strumentali della Regione e di società il cui capitale sociale è interamente sottoscritto dalla Regione, amplia la deroga al principio di incompatibilità, prevista dal legislatore statale esclusivamente in riferimento agli affari legali propri dell’ente pubblico di appartenenza, e pertanto si pone in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. Infatti, la norma secondo cui gli avvocati dipendenti possono patrocinare per l’ente di appartenenza – e solo per esso – non è suscettibile di estensione da parte del legislatore regionale, ma rientra nell’ambito dei principi fondamentali della materia delle professioni, affidato alla competenza del legislatore statale”.
I criteri di riparto delle competenze normative tra Stato e Regione di cui all’art. 117 Cost. riservano infatti la disciplina delle professioni allo Stato, atteso il suo carattere necessariamente unitario, residuando una competenza regionale solo per la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale. La legge regionale impugnata, investendo in generale il sistema delle incompatibilità professionali, finisce per disciplinare un ambito non modulabile in base a specificità territoriali, ed è quindi incostituzionale, nonostante l’apprezzabile finalità di contenimento della spesa pubblica.
Per ulteriori approfondimenti, si rimanda al testo integrale della sentenza in commento (Corte Cost. Sent. n. 91 del 20 maggio 2013).

Redazione

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